Capitolo XV: Il Deserto di Neve

Capitolo XV: Il Deserto di Neve

"Guardate!"

L'improvvisa esclamazione, lanciata da Sekor con voce roca, fece sussultare gli altri sette viandanti. Il principe del Vespro aveva alzato il braccio, indicando un punto sulla crudele distesa bianca ai loro piedi: lontano, lontanissimo sull'orizzonte a nordovest, si scorgeva una vaga forma scura stagliarsi solitaria contro il cielo scolorito.

"Che cos'è?" chiese Kejah. "Il... Monte Ghiacceterni?

"La direzione è quella", rispose Nirvor, scrutando il punto con il suo sguardo acutissimo; ma la sua non era una risposta.

"Dicevi che dista duecento chilometri dal Valico", osservò difatti Roden, perplesso. "Non siamo tanto in alto da poterlo vedere."

"Bisognerebbe essere quasi tremila metri al di sopra della pianura", confermò Freydar. "Mentre adesso direi che non superiamo i cinquecento."

Kejah, che come cacciatrice ed esploratrice era esperta nel valutare il rapporto tra altezza e distanza almeno quanto Freydar, fece un rapido calcolo. "Qualsiasi cosa sia, non dista più di cento chilometri. Perciò, o Xos ha spostato la sua tana, oppure quello che vediamo è un'altra cosa."

"Il potere di spostare una montagna ce l'avrebbe", dichiarò Nirvor gravemente. "In particolare il Monte Ghiacceterni, che non è una formazione naturale poiché l'ha creato lui."

Tacquero tutti, sbalorditi da quella notizia: se Xos aveva una tale capacità, con ogni probabilità condivisa da Nirvor giacché lei stessa aveva ammesso che le loro facoltà si equivalevano, quale potenza poteva mai avere Rakau, Detentrice delle Quattro Pietre, ricettacolo dell'essenza del Potere Oscuro?

Infine Freydar decise di rompere quel greve silenzio carico di timore. "Sarà meglio scendere finché c'è ancora luce", disse, mostrando un'indifferenza che era ben lungi dal provare. "Potremmo accamparci laggiù, al riparo sul fondo della valle."

"Le notti sono molto lunghe qui, in questo periodo dell'anno", li informò Nirvor, fissando il sole, di uno strano color paglia, che stava per tuffarsi oltre l'orlo del mondo. "Dovremo approfittare di ogni minuto di luce."

I suoi compagni annuirono, a indicare che avevano capito.

Cominciarono l'ultimo tratto in discesa. Il cielo sbiadì lentamente in un freddo crepuscolo che durò molto dopo la scomparsa del pallido sole oltre l'orizzonte, ed i loro occhi, adattandosi, non ebbero eccessiva difficoltà ad individuare il cammino da percorrere.

Raggiunsero infine il livello della pianura, spossati perché quel giorno avevano marciato più a lungo del solito, ed eressero con fatica penosa l'accampamento, ritirandosi poi subito per riposare. Veldhris prese un boccone di frutta secca e di carne salata, poi piombò in un cupo sonno di sfinimento.

Nella gelida ora che precede l'alba, la cantante si destò di colpo, inspiegabilmente inquieta. Cercando di controllarsi, si mise ad ascoltare il silenzio che la circondava. Poco a poco, distinse il lieve e regolare respiro delle gemelle, che dormivano vicine dall'altra parte della tenda, e quello più rapido di Nirvor, che come sempre giaceva sveglia, rilassata ma vigile; in sottofondo, il sibilo del vento che galoppava per la pianura sconfinata.

Incapace di rimanere ferma, Veldhris si sollevò a sedere, scostando le calde coperte del giaciglio, e Nirvor, udendo il pur lieve rumore, volse i suoi occhi d'argento verso il punto in cui sapeva essere la sua protetta. "Qualcosa non va?" chiese a bassa voce.

"No, niente", si affrettò a sussurrare Veldhris. "Voglio solo uscire un attimo."

Nirvor tacque e Veldhris strisciò carponi fino all'ingresso della tenda, uscendo silenziosamente. Dopo il buio assoluto dell'interno, il pur scialbo chiarore del crepuscolo boreale era una luce più che sufficiente e la cantante si alzò in piedi, stringendosi freddolosamente nel mantello. Si allontanò rapidamente dal bivacco, camminando sulla crosta ghiacciata della distesa nevosa. Non aveva intenzione di andare lontano, né, se l'avesse avuta, sarebbe arrivata molto distante: superato un grosso masso franato chissà quanto tempo addietro dai monti, all'improvviso davanti a lei si erse una grande figura ammantata. Soffocando un grido, Veldhris indietreggiò spaventata, ma era già stata vista.

"Veldhris! Che ci fai in giro a quest'ora?" domandò una voce ben nota, e la cantante sospirò.di sollievo. "Dovresti dormire."

"Potrei dire lo stesso di te, Freydar", rispose lei. "Mi hai spaventata."

"Mi spiace. Questi mantelli bianchi sono fatti apposta per mimetizzarsi nella neve: anche tu mi hai fatto prendere un colpo!"

Veldhris ridacchiò: discorrere con Freydar la faceva sentire meglio, più rilassata, ma subito il sollievo svanì non appena lui riprese a parlare. "Non hai ancora risposto la mia domanda."

"Mi sono svegliata e non riuscivo a riaddormentarmi", disse lei di malavoglia. "Non sono tranquilla", aggiunse dopo un attimo.

"Allora siamo in due", dichiarò Freydar, serio. "Sono uscito per assicurarmi che tutto fosse a posto."

"Oh, qui lo è."

Dal modo in cui lo disse fu come se avessi soggiunto ma non dappertutto è così. Freydar però non sapeva che la cantante si stava riferendo ad un luogo in particolare, e lo capì solo quando si accorse che lei stava fissando in silenzio, con espressione scoraggiata, in direzione del punto scuro individuato la sera prima dall'alto della valle.

Veldhris aveva sentito lo stomaco restringersi nell'udire di che cosa era capace Xos. Fino ad allora, quell'essere era rimasto per lei soltanto un nome, temibile ma irreale, e di colpo aveva invece assunto una dimensione concreta. Era il primo nemico che sfidava consapevolmente: i Vampiri, gli Spettri, Krutu, le Arpie, il Kraken, per non parlare degli ostacoli naturali, le si erano sparati davanti del tutto imprevisti. Li aveva superati tutti, ma ciononostante si sentiva impreparata ad affrontare la minaccia di quella creatura delle Tenebre: lei non era nata per fare la guerriera, per compiere gesta eroiche, lei era solo una cantante, suo malgrado coinvolta in un'avventura più grande di lei che prima o poi l'avrebbe sopraffatta.

In quegli istanti di profondo scoraggiamento, Veldhris si sentì piccola e vulnerabile, debole, incapace di fronteggiare il nemico da sola, senza l'appoggio dei suoi amici e soprattutto di Nirvor la Custode. La paura, incontrollata, crebbe in lei e ruppe gli argini, facendola impallidire e dilatandole gli occhi.

Freydar, che spesso aveva visto sul volto dei compagni d'arme quell'espressione, l'espressione di chi sull'orlo di un baratro sta per precipitarvi, d'un balzo le fu appresso e, presala per un braccio, la girò verso di sé per impedirle di continuare a fissare quel punto sull'orizzonte. Come destata da un incubo, Veldhris si riscosse ed il suo sguardo perse la vacuità del terrore, posandosi sul volto attraente del capitano. Fece per parlare, ma la voce si rifiutò di uscirle dalla gola.

"Sì, lo so", disse Freydar a bassa voce. "Hai paura. Anch'io ne ho."

Sorpresa da quell'inaspettata confessione, Veldhris sgranò gli occhi, incredula, e Freydar fece un piccolo sorriso storto, a metà fra il triste e l'ironico. "Siamo tutti esseri umani, con la nostra forza e la nostra debolezza", disse. "Vel, ricorda: la paura è soltanto l'altra faccia del coraggio."

Vergognandosi all'improvviso che lui avesse visto il suo turbamento, mentre lei aveva invano tentato di nasconderlo, Veldhris ebbe uno scatto d'insofferenza. "Parole!" sbottò, liberandosi bruscamente dalle mani che la trattenevano. "Che ne sai, tu, di quello che provo!"

"So molto più di quel che credi", ribatté Freydar con calma. "Su quella cengia che è costata la vita al nostro caro amico Neys hai affrontato la tua paura come ho visto pochi farlo, e l'hai domata. Non c'è ragione che tu tema di non farcela anche stavolta."

Veldhris lo guardava fisso, sempre più sbalordita via via che il principe proseguiva: non era dunque riuscita a cancellare dal viso i segni della grande lotta che si era svolta in lei quel giorno? Era quindi un'attrice ben peggiore di quanto credesse, e se questo era vero, Freydar aveva indovinato anche che lei si era innamorata di lui. Doveva saperlo per forza...

A quel punto avvampò, ma nello stesso momento il significato dell'affermazione del capitano, che l'aveva colpita solo a livello emotivo, lei si palesò sotto forma logica e ne fu rincuorata: Freydar aveva fiducia in lei, completamente.

"Davvero lo pensi?" chiese, esitante.

"Ne sono convinto", affermò Freydar. "Forse non te ne rendi ancora conto, ma sei molto forte. Mio cugino Oolimar lo aveva intuito e me l'ha detto, ma io stentavo a credergli, perché non avevo ancora compreso la natura della tua forza. Una forza singolare, fuori del comune: non di quelle contro di cui ci s'infrange, ma sulla quale si rimbalza, irrimediabilmente respinti", sorriso di nuovo, stavolta con spontaneità, ed una luce si accese in fondo ai suoi occhi azzurri mentre tornava a posarle le mani sulle spalle. "Ed è per questo e per altre ragioni ancora che ti dico: sei straordinaria, Veldy."

Inconsciamente lei fece un passo avanti e si ritrovò praticamente tra le braccia di Freydar. I loro corpi si sfioravano, e persino attraverso i pesanti strati di stoffa degli indumenti entrambi percepirono la corrente che li attraeva l'uno verso l'altra. Il sorriso si spense sulle labbra del principe mentre i suoi occhi si tuffavano con quelli di Veldhris, che nella pallida luce dell'interminabile crepuscolo boreale scintillavano simili a gemme preziose.

Lentamente, le braccia di Freydar si chiusero attorno alla cantante e la trassero verso di lui. Il ricordo dell'esperienza nell'arena delle Arpie li colse entrambi, facendoli trasalire e rendendo il momento d'attesa pieno di un'ansiosa aspettativa.

Ed infine le loro labbra s'incontrarono, facendo scoccare le mai dimenticate scintille di allora. D'un tratto, i tre mesi trascorsi da quei magici momenti furono come cancellati: si ritrovarono preda dello stesso febbrile desiderio e si sentirono smarrire nello stesso vortice di sensazioni che escludeva il resto del mondo. Con un ansito, Veldhris si aggrappò alle spalle di Freydar, schiudendo la bocca per accogliere un bacio di cui aveva spesso fantasticato. Freydar la strinse più forte; le loro lingue si sfiorarono, assaporandosi, accarezzandosi vicendevolmente, intrecciando una danza sensuale, eccitante ma allo stesso tempo dolce, mentre i loro corpi, pur impacciati dagli abiti pesanti, aderivano con naturalezza, cercandosi, esplorandosi.

Durò un'eternità, o un istante. Poi, all'improvviso, con un gemito soffocato Veldhris si strappò alla stretta di Freydar e, tenendo le braccia tese dinanzi a sé come difendersi, ansimò. "No!"

Freydar, stupefatto, rimase a fissarla mentre le braccia gli ricadevano inerti lungo i fianchi. L'espressione quasi atterrita di lei lo sconvolse.

"No", ripeté Veldhris più piano, scuotendo il capo. "No."

Senza lasciargli il tempo di raccogliere il fiato per chiedere spiegazioni, si voltò e se ne andò di corsa, scomparendo nelle pallide ombre del crepuscolo iperboreo.

Poco dopo, era di nuovo distesa nell'oscurità della tenda che divideva con Nirvor e le gemelle. Il vago chiarore proveniente dal giaciglio della Custode non si mosse, né la donna d'argento parlò, forse percependo il turbamento della sua protetta e sapendo che non avrebbe ottenuto risposta ad un'eventuale interrogativo.

Veldhris ne fu sollevata e, pur non avendo un filo di sonno, tentò di riaddormentarsi, ma faticò parecchio. Il pensiero di quanto era appena accaduto le ritornava costantemente, riempiendola ora d'imbarazzo, ora di languida nostalgia. Se non fosse stato per le circostanze, avrebbe ceduto al desiderio che, al solo toccarla, Freydar suscitava in lei. Nemmeno le condizioni disagevoli – il freddo, la neve – l'avrebbero fermata: per un attimo, la vertigine che aveva provato tra le braccia del bel capitano l'aveva resa come incosciente, isolata da tutto quello che non era loro due, assieme, soli, abbracciati. Avrebbe voluto – oh sì, quanto lo avrebbe voluto! – che lui la prendesse, la facesse sua, subito... Avrebbe voluto sentire le sue mani accarezzarla tutta, le sue labbra baciarla ovunque, la sua carne entrare nella propria nella più gradevole delle invasioni...

Quei pensieri sfacciati fecero fremere le sue profondità. Non le era mai accaduto di desiderare un uomo con tanta intensità e si sentiva quasi sgomenta. Non era soltanto perché erano molti mesi che non aveva rapporti intimi; la ragione prima era il fatto che lo amava. Ma lui? Cosa provava Freydar per lei? Indubbiamente la desiderava, considerato come l'aveva baciata e toccata. Tuttavia, desiderare una persona non implica necessariamente esserne innamorati. Lei non era assolutamente in grado di stabilire cosa Freydar provasse veramente nei suoi confronti, e quel pensiero la tormentava, rendendola nervosa ed infelice. Accidenti! Perché si era innamorata? Non era proprio il momento adatto: con la missione di cui era stata investita aveva già sufficienti grattacapi, perché quindi aggiungerne un altro? Ma al cuore non si comanda né il tempo, né la persona per cui palpitare, ed ormai era troppo tardi.

Finalmente, il sonno la colse e Veldhris si lasciò scivolare nell'oblio.

OOO

Quando la svegliarono, le parve che fosse passato a malapena un minuto.

"Alzati, Vel, è l'alba."

La voce bassa ma decisa di Kejah le penetrò nel cervello ancora in preda alla nebbia del sonno, squarciandone bruscamente i veli. Con un gemito, Veldhris mise fuori un occhio dalla coperta, poi si tirò faticosamente a sedere e sbadigliò, strizzando gli occhi nella luce troppo bianca che entrava dall'ingresso della tenda.

Borbottando proteste incomprensibili, la cantante si alzò, infilò gli stivali, si avvolse nel mantello di pelliccia bianca ed uscì nell'aria gelata del primo mattino. Il freddo tagliava la pelle con mille lame acuminate e gli ultimi residui di sonno lasciarono immediatamente i suoi occhi, che si riempirono di lacrime per difendersi dal gelo. Sbatté due o tre volte le palpebre, cercando di abituare le pupille sia al chiarore niveo sia alla temperatura rigidissima.

Freydar, che pareva non essere tornato a dormire dopo l'incontro notturno con Veldhris, aveva riacceso il fuoco, riparato da un lato da un grosso masso e dall'altro dalla tenda degli uomini. Quella piccola comodità confortò i cuori dei viandanti, che tesero le mani nude verso le fiamme crepitanti, alla ricerca di calore.

Dopo aver fatto colazione, smontarono le tende, impacchettarono i bagagli e dispersero le ceneri del falò. Prima che si mettessero in marcia, Freydar distribuì, in un bicchierino grande come un ditale che fungeva anche da tappo, un liquido tratto da una fiasca che aveva prelevato dallo zaino di Neys. "Buttatelo giù d'un fiato", raccomandò loro.

Prima di farlo, Veldhris, notando le smorfie dei compagni che l'avevano preceduta, annusò sospettosamente il contenuto del microscopico bicchiere. "Ma è vòdai, in cordiale dei kirton", disse, riconoscendone il caratteristico odore aspro e penetrante.

"Infatti", confermò Freydar. "Ci scalderà per un po' meglio di un fuoco. Questo di stamattina è stato l'ultimo: nel Deserto di Neve non ci sono alberi per far legna, e la scorta è esaurita."

Veldhris bevve il liquore come le era stato raccomandato e per poco non stramazzò: era come bere fuoco! Tossì un paio di volte, suscitando la benevola ilarità di alcuni compagni, ma si riprese subito e restituì il bicchierino con molta dignità. Era mortificata, ma non certo per la magra figura che aveva fatto dimostrando di non essere abituata ai liquori forti, bensì per non aver considerato il problema del fuoco. Calore e cibo sono indispensabili per la sopravvivenza, e lei aveva pensato solo al secondo. Senza fuoco, sarebbero riusciti a non morire assiderati? Certo, avevano le tende, le vesti pesanti ed i mantelli di pelliccia, più alcune coperte, ma sarebbero stati sufficienti senza il benefico ed insostituibile calore delle fiamme? Il vòdai non poteva certo bastare, anche se le aveva bruciato la gola proprio come fuoco liquido e scaldato subito mani e piedi. Il fatto di non aver pensato a quel grave problema le riproponeva di colpo la certezza, quasi dimenticata, della sua inadeguatezza come capo, e questo la mortificava. Era un'incosciente, eppure da lei dipendevano le vite dei suoi compagni, per non parlare del destino dell'intero Shyte. Come poteva pensare che la vittoria le avrebbe arriso?

Nella sua umiltà, non pensò che, in realtà, non c'era soluzione al problema, perché non avrebbero potuto portarsi appresso la legna necessaria per tutto il lungo tragitto fino al Monte Ghiacceterni, e che quelli nel gruppo più esperti di lei lo sapevano benissimo, e quindi non aveva niente da rimproverarsi.

"Oh, perché dovevo vivere proprio allo scadere del Millennio di Tirannide?!" sbottò fra sé, più angosciata che in collera.

Nirvor, che le stava a fianco, la udì. "Non abbiamo la facoltà di decidere in qual giorni vivere", disse dolcemente, comprensiva. "Tuttavia, abbiamo la facoltà di decidere cosa fare dei giorni che ci sono stati dati in sorte."

Veldhris le lanciò un'occhiata, imbarazzata di essersi lasciata sorprendere in un momento di debolezza, ma dopo un istante di riflessione annuì. "Sì, è vero", riconobbe sottovoce. "E io ho già deciso."

Gli altri, indaffarati con i bagagli, non notarono quel rapido scambio di battute.

Poco dopo, i viandanti mossero i primi passi della lunga marcia che, attraverso il terribile Deserto di Neve, doveva portarli al Monte Ghiacceterni, loro meta, dove il destino gli attendeva.

OOO

Da quante ore stavano marciando? Veldhris se lo chiedeva, incapace di trovare risposta. Le sembrava trascorsa un'eternità da quando, quattro giorni prima, avevano lasciato le falde delle Montagne Senzanome diretti verso ovest-nord-ovest, in direzione del misterioso punto scuro sull'orizzonte intravisto dall'alto dell'ultimo tratto del passo montano. Anche quel mattino, lottando contro il vento che s'era alzato durante la notte, avevano levato il campo e si erano messi in marcia. Il vento, le cui raffiche si abbattevano a volte violente su di loro scuotendoli come pupazzi, ululava a tratti lugubremente, come un annuncio di morte per gli otto disperati che vagavano quasi alla cieca nella crudele distesa di neve. I turbini di cristalli di ghiaccio sollevati dalle folate impedivano loro di vedere sia le Montagne Senzanome alle loro spalle, sulla sinistra, sia la massa scura ed ancora sconosciuta che si levava al cielo sempre più vicina, davanti a loro. Non avevano la minima idea riguardo alla distanza percorsa, né tantomeno a quella che restava loro da compiere, e Nirvor, che li guidava, era certa solo della direzione. Stentavano persino a tenere il conto dei brevi giorni che passavano, dato che il cielo era nascosto da uno spesso strato di nuvolaglia che rendeva uniforme la luce irradiata dal sole, il quale raramente appariva attraverso i veli stratificati che lo celavano, ed ogni volta sembrava più pallido e debole, privo di forza. Il calore abbandonava lentamente i loro corpi pur strettamente avviluppati negli indumenti di lana e pelliccia, e solo il benefico cordiale dei kirton, che bruciava la gola e riscaldava le membra, impediva al gelo di sopraffarli. Durante le lunghe notti, nelle tende, i viandanti si stringevano l'uno all'altro, cercando calore e conforto nella reciproca vicinanza, come animali nelle tane. Quanto ancora avrebbero potuto resistere? Veldhris se lo chiedeva tormentosamente, osservando angosciata la lotta dei suoi compagni e la propria, lotta per la sopravvivenza che si faceva, di ora in ora, sempre più aspra e disperata. L'unica che non aveva di che preoccuparsi era Nirvor, cui il freddo era indifferente come la fame ed il sonno. La sua presenza era rassicurante e rendeva la speranza a chi la perdeva: era il segno tangibile, materiale, che le Potenze Luminose vegliavano su di loro. Grazie a lei, la Custode della Corona, la loro missione non sarebbe fallita, non poteva fallire.

Così perlomeno andava ripetendosi Veldhris nel semideliquio in cui era caduta ed in cui continuava ad arrancare, barcollando, presa come da un incubo senza fine che non la lasciava. Voleva convincersene, ma il dubbio la rodeva: dopotutto, cosa poteva fare, in concreto, Nirvor l'Argentea per salvarli dall'assideramento? Ricorrere ai suoi magici poteri? Ma questo li avrebbe immediatamente rivelati al nemico più prossimo, Xos il Lupo. Non c'era da dubitare minimamente della veridicità delle affermazioni di Nirvor al riguardo: pertanto, dovevano contare sulle loro forze soltanto, e Veldhris si sentiva ormai allo stremo delle proprie. Non doveva cedere, non poteva, non voleva! Eppure, stava per spezzarsi...

La massa nera, imponente, che emerse all'improvviso tra il turbinare della neve nel vento, la strappò alle sue tetre elucubrazioni. "Che cos'è?" esclamò, ma le labbra irrigidite dal freddo dietro l'alto collo di pelliccia non potevano muoversi, sicché il suo fu come il verso rauco di un uccello spaurito.

Nirvor guardò in alto, verso l'invisibile cima della massa oscura, mentre gli altri le si raggruppavano attorno. "L'Ago Nero!" esclamò l'Argentea, e la sua voce conteneva un certo stupore. "L'ultima volta che l'ho visto era nell'estremo occidente del Deserto di Neve. Xos lo deve aver spostato per qualche sua oscura ragione." Si rivolse quindi ai compagni che facevano capannello attorno a lei. "Non c'è niente da temere. Anzi, è un colpo di fortuna, perché c'è una serie di caverne e cunicoli nel fianco di questa montagna, dove potremo ripararci dalla tempesta che sta per scatenarsi."

Se quello era solo il preannuncio, penso Veldhris, preoccupata, non osava immaginare come fosse la tempesta vera e propria...

Si avvicinarono a quella che ora sapevano essere una montagna e Nirvor li condusse su per un ripido, invisibile viottolo. Si vedeva che conosceva bene l'Ago Nero, come l'aveva chiamato, poiché li guidò senza incertezze. Gli ultimi metri dovettero farli quasi carponi, metà trascinandosi, metà arrampicandosi, ma infine furono all'interno di un cunicolo stretto e buio.

Nirvor si liberò del mantello, mettendosi ad irradiare luce per rischiarare il sito. "Più in là c'è una grotta", li informò brevemente.

La seguirono, tenendosi per mano per non perdersi nel buio, lungo la galleria tenebrosa. Percorsi pochi metri, svoltarono a destra e poi di nuovo a destra, ed infine si trovarono in una caverna piuttosto ampia, fredda ma asciutta, dal fondo curiosamente sabbioso.

Roden si tolse lo zaino e, frugando nel contenuto, ne trasse la lampada ad olio che portava con sé. Vedendolo, Sekor lo imitò, e poco dopo due fiammelle esili ma vive e guizzanti illuminavano la grotta, facendone fuggire le ombre. La luminescenza di Nirvor s'attenuò e scomparve, ormai inutile.

"Manca solo un bel fuoco", sospiro Kejah, lasciandosi cadere a terra, spossata.

"Si può fare", annunciò inaspettatamente Nirvor. Gli occhi stanchi dei suoi sette compagni si appuntarono su di lei come se fosse impazzita, ma l'Argentea non se ne curò e trasse da dietro un cumulo di pietrisco una grossa fascina di legna, che gettò senza alcuno sforzo apparente nelle braccia dello sbalordito Roden, che vacillò sotto il peso inaspettato.

"È impossibile!" trasecolò Sekor. "Devo aver le traveggole!"

"Non le hai, Sekor Samonden", lo rassicurò Nirvor, divertita. "È legna autentica, e ha più di mille anni, quanti ne sono trascorsi dal momento in cui l'ho portata qui. Non sapevo cosa mi spingeva a farlo, allora: non ho il dono della chiaroveggenza, come invece alcuni miei pari. Ma le Potenze Luminose hanno tanti modi per manifestarsi..."

Anche se sommamente stupito, Roden non aveva perso tempo e si era dato da fare con acciarino e pietra focaia: ben presto, un'allegra fiamma sprizzò dalla legna vecchia di un millennio. Tutti si accoccolarono attorno al fuoco, liberandosi le mani dai guanti e tendendo le dita intirizzite verso il calore delle fiamme. Solo Nirvor, che non ne abbisognava, si tenne un po' in disparte.

Il silenzio scese sul gruppo che circondava il piccolo falò per scaldarsi, un silenzio interrotto solo dal rassicurante scoppiettio della legna che ardeva. Un benefico calore invase poco a poco i viandanti che, uno ad uno, cominciarono a togliersi i pesanti mantelli di pelliccia, sui quali i cristalli di neve si scioglievano trasformandosi in stille d'acqua.

Un languido torpore appesantiva le palpebre di Veldhris quando Roden esclamò all'improvviso: "Finalmente potremo avere un pasto caldo!"

Qualcuno ha applaudì e Veldhris, dimentica del sonno, si unì alle manifestazioni d'entusiasmo: erano settimane che non mettevano qualcosa di caldo sotto i denti.

Sekor pescò un paiolo dalla sua sacca ed uscì brevemente per andarlo a riempire di neve, usando una delle lampade per rischiarare il cammino, e quando tornò lo mise sul fuoco. Lentamente, la neve andò liquefacendosi e, quando prese a bollire, Kejah vi mise un pezzo di carne essiccata in maniera speciale, di modo che si ammollasse in acqua e consentisse, pur essendo già cotta, di preparare del brodo. Freydar, attingendo alla sua riserva, aggiunse qualche erba aromatica, e quando, mezz'ora dopo, ognuno ricevette una gavetta di quel brodo, lo trovarono tutti squisito, sebbene il sapore fosse ben lontano da quello cui erano abituati; ma dopo tanti travagli, nessuno ci badò.

Si divisero poi la carne, che consumarono con qualche boccone di galletta, ed infine, appagato lo stomaco, si stesero per riposare. Sebbene secondo l'invisibile sole, che navigava alto sopra le turbinose nubi del Deserto di Neve, non fosse che metà pomeriggio, uno dopo l'altro i viandanti caddero in un sonno profondo.

Unico fra tutti, eccettuata ovviamente l'insonne Nirvor che vegliava il fuoco, Freydar non sentiva il bisogno di dormire e così, dopo un po' che stava disteso avvolto nelle sue coperte, si alzò e fece cenno all'Argentea che andava a dare un'occhiata all'esterno. Scivolò quindi lungo il corridoio portando con sé una delle lampade ad olio, ma arrivato all'ingresso si immobilizzò, sgranando gli occhi sullo spettacolo all'esterno: sulla sconfinata distesa bianca infuriava la bufera di neve più spaventosa che avesse mai visto o immaginato. Il vento soffiava con una tale violenza che avrebbe spazzato via una casa in muratura, figuriamoci le loro fragili tende; la neve turbinava fittissima, oscurando la luce al punto che si poteva credere che fosse notte fonda; la temperatura era talmente rigida che Freydar, anche se protetto dall'infuriare del vento gelido, dovete battere ben presto in ritirata e tornare nella grotta. Qui si stese nuovamente, ma non poté dormire nemmeno ora.

Quando aveva guardato all'esterno, un pensiero lo aveva colpito con un'intensità ed un'immediatezza che lo lasciava sconcertato: se non avessero trovato rifugio in quella caverna e fossero stati sorpresi dalla tempesta senza alcun riparo, Veldhris sarebbe morta. Non aveva pensato a se stesso, al fatto che anche lui, in quel caso, avrebbe fatto la stessa fine. No: gli era apparsa vivida, angosciosa, l'immagine di Veldhris, del suo bel corpo abbandonato, solo, per sempre irrigidito nel gelo della morte, sotto la crudele coltre della neve ghiacciata, e lui si era sentito cogliere da una disperazione improvvisa che gli aveva attanagliato le viscere. Ma perché? Perché quella reazione così violenta, così inaspettata e sconvolgente?

Troppo confuso e stanco per arrovellarsi il cervello con quell'interrogativo dalla risposta difficile, il principe sprofondò infine di un sonno profondo ma inquieto.

OOO

Si svegliarono tutti a notte fatta, secondo quel che disse loro Nirvor. Erano tutti nuovamente affamati ed in quattro e quattr'otto divorarono gli avanzi del pasto precedente.

Veldhris si preoccupò. "Forse sarà meglio fare l'inventario delle provviste e cominciare a razionarle", meditò ad alta voce. "Non sappiamo quanto a lungo dovremo ancora cercare il Monte Ghiacceterni, né se là troveremo cibo. Cibo adatto agli esseri umani, intendo", soggiunse.

"Non temere", la rassicurò Nirvor. "Nelle Cento Caverne vivono esseri strani e pericolosi, ma le loro vettovaglie non differiscono molto dalle vostre, sebbene solitamente preferiscano carne cruda. Inoltre, non siamo molto lontani: due o tre giorni di cammino, non di più."

Nessuno chiese come facesse a saperlo, se per un suo magico sapere o se per una più semplice conoscenza della distanza percorsa: Nirvor era un essere ultraterreno e le fonti delle sue conoscenze erano inimmaginabili.

Veldhris si sentì sollevata. "Meno male", commentò. "Speriamo che la bufera non duri tanto a lungo."

"Nel Deserto di Neve, una bufera può persistere per settimane come per poche ore", disse la Custode. "Non ci resta che aspettare, ma qualcosa mi dice che non ci vorrà poi molto. Un paio di giorni, forse."

"Due giorni rinchiusi qua dentro come topi in trappola?!" scattò Mikor. "Come a dire: aspettiamo che il nemico ci scopra e venga a farci una visitina..."

"Hai un'idea migliore, cugino?"

La voce di Veldhris, sommessa ma gelida e tagliente come una lama di ghiaccio, lo interruppe di botto. Lui la guardò furioso, ma la cantante si stava studiando con esagerata indifferenza un'unghia della mano sinistra. Quando alzò gli occhi, però, tutti videro che baluginavano irritati mentre affrontavano quelli blu di Mikor. Questi si sentiva soffocare dalla rabbia ma, non trovando nulla da controbattere, ingoiò il rospo e rimase zitto, limitandosi a scuotere la testa in segno negativo ed ostentando noncuranza.

"Bene", disse Veldhris, nello stesso tono di prima. Aveva una gran voglia di dirgli il fatto suo, ma si sforzò di controllarsi: se lo avesse fatto, avrebbe provocato una lite furibonda e forse addirittura una scissione, e l'ultima cosa di cui avevano bisogno era incrinare la compattezza del gruppo, già minacciata dalla costante ostilità di Mikor.

Fingendo che nulla fosse successo, Kejah osservò in tono leggero, senza rivolgersi a nessuno in particolare: "Allora, se dobbiamo rimanere qui per due o tre giorni, sarà meglio rigovernare ed avere le stoviglie pronte per domani. Chi mi da una mano?"

"Io", si offrì subito Sekor, esortando il fratello ad imitarlo, cosa che questi fece malvolentieri. Utilizzando una pentola più piccola, sciolsero e scaldarlo dell'altra neve, cui aggiunsero della cenere per sgrassare pentole, gavette e posate. Bicchieri non ne avevano, giacché ognuno beveva direttamente alla propria borraccia.

Nel mentre, gli altri si diedero alla conversazione. Freydar e Roden, che avevano stretto amicizia fin dall'inizio del viaggio, chiacchierarono delle rispettive Contrade Libere; Freydar soprattutto interrogò l'amico su Tamya e la Foresta del Vespro, che non aveva mai visto, chiedendo ragguagli sulla distruzione della capitale. Apprese delle rivelazioni di Rova, la Maga di Corte: comprese così meglio la ragione dell'astio di Mikor nei confronti di Veldhris e ne rimase turbato. Dopo aver assistito allo scontro di poco prima, l'ultimo di una serie pressoché continua, il Principe del Fiordo si chiedeva inquieto fino a che punto il Signore della Foresta del Vespro era disposto ad arrivare per nuocere a Veldhris, giacché ormai non nutriva più alcun dubbio riguardo a questo. Considerò la possibilità che Mikor uccidesse Veldhris per prenderne il posto quale Erede di Arcolen, ruolo che la cantante gli aveva rubato: infatti, per uno strano caso del destino, non c'erano altri discendenti della linea di Fortad, il trisavolo di Veldhris che era il fratello maggiore del trisavolo di Mikor e Sekor, e pertanto la successione spettava proprio a Mikor. Freydar decise che lo avrebbe tenuto d'occhio per vegliare sull'incolumità di Veldhris.

Esteriormente, però, nulla trapelava dei suoi pensieri, mentre incoraggiava Roden a parlargli degli usi quotidiani del Popolo del Vespro.

Nel frattempo, Veldhris si era rivolta a Kareth. "Come stai?" le chiese. Aveva notato ultimamente, nonostante la fatica e le difficoltà del cammino, che la cugina adottiva pareva riprendersi. Ne comprese la ragione udendo la risposta: "Forse sono incinta. Un figlio di Neys, Vel!"

Gli occhi di Kareth brillavano di fuoco verde mentre continuava sottovoce. "Qualche giorno fa aspettavo il mio ciclo lunare, ma non è arrivato. Subito non ci ho fatto caso, ma poi l'ho notato e sono stata felice. Capisci, Vel? Un figlio di Neys, un figlio che mi legherà a lui oltre e nonostante la morte, per sempre come ci eravamo promessi!"

C'era nell'eccitazione della sua voce un'allarmante nota di esaltazione.

"Ma ne sei certa, Kareth?" indagò Veldhris, cautamente.

"Deve essere così!" affermò la cacciatrice, con veemenza, ma sempre a bassa voce. "Altrimenti non avrò più ragione di vivere..." aggiunse in un soffio, quasi supplichevole.

"Non dire così!" esclamo Veldhris, spaventata: dov'era finita la Kareth che conosceva da sempre, l'allegra farfalla, l'abile cacciatrice, la coraggiosa compagna d'avventura cui si appoggiava tanto spesso trovando conforto nella sua forza?

È morta con Neys, le rispose una voce interna, grave e triste. Non è possibile! Kareth è molto forte: tornerà presto quella di sempre, ribatté un'altra voce, sicura. Lo sai che non è vero: Kareth non sarà mai più la stessa. Il fardello di dolore che porta è troppo pesante per lei, continuo la prima voce. No! si ribellò l'altra voce, cocciuta. È solo uno smarrimento momentaneo. Si riprenderà, te lo dico io.

La prima voce non rispose, e fu peggio di una condanna.

"Ascolta, Kareth, tesoro", disse allora Veldhris in fretta. "Ci sono cento e mille ragioni per vivere: i tuoi amici, il sole, la primavera, la pioggia, il pane, la caccia, la notte, la terra, l'erba verde..." vedendo che l'altra non reagiva, aggiunse. "Ti ricordi quello che mi hai detto il giorno in cui annunciasti il tuo matrimonio con Neys? Che non avresti mai voluto abbandonarmi. Ora che siamo a un passo dalla meta, non vorrei piantarmi in asso, vero?" concluse, dando alla voce un tono lievemente scherzoso anche se il suo cuore era tutt'altro che leggero.

L'ombra di un sorriso sfiorò le labbra pallide di Kareth. "Ti ho promesso che non ti avrei mai lasciata", concordò. "E non lo farò: qualunque cosa accada, ti starò sempre vicino."

"Ne sono felice", disse Veldhris, sentendosi alleggerita come da un grosso peso. "E per ricordarti quanto di bello c'è ancora il mondo, canterò qualcosa."

Non si era separata dallo yord, pur avendolo infilato nella sacca per meglio proteggerlo dal gelo; andò a prenderlo e lo riscaldò con qualche nota di prova.

Roden lo notò. "Brava, Veldy, cantaci qualcosa. Ci vuole proprio", la incoraggiò.

I tre che rigovernavano avevano finito, così l'attenzione di tutti si concentrò su Veldhris. "Con piacere", disse la cantante. "Il titolo è Miraggio ed è una canzone molto antica."

Attaccò una melodia a bocca chiusa, una rapida successione di note subito riprese ed arricchite dallo strumento posato sul suo petto. Poi, con voce dolce, cominciò a cantare, con le parole che s'intrecciavano mirabilmente alle note.

...verdi prati di fiori ricoperti

Dai colori cangianti e d'oro coronati

Limpide e gioiose cascatelle

Baluginanti d'iridate stelle

E tra gli alberi profumati di quiete

Timidi cerbiatti dagli occhi bruni

Prestan orecchio al canto di Riete

Che argentino risuona tra i pruni

Lei, la figlia del fiume

Che sorge dalle sue incantate brume...

Quei versi pieni di immagini luminose e famigliari, così lontane dal luogo e dalla situazione in cui si trovavano, fecero dimenticare a tutti la realtà presente, trasportandoli in un mondo di serenità: ascoltarono estasiati, turbati solo di tanto in tanto da una punta di nostalgica malinconia per le loro patrie così distanti.

Quando Veldhris tacque, nessuno applaudì, tanto un rumoroso battimani sembrava inadatto alla grazia ed alla dolcezza del canto appena spentosi; ma Freydar, interpretando i sentimenti di tutti, disse a bassa voce: "Grazie, Veldy."

Fu più di un'ovazione trionfale, per lei, che si sentì commossa dalla commozione degli altri.

OOO

La bufera di neve durò due notti e due giorni, come previsto da Nirvor, e si calmò nella tarda serata del terzo giorno dal loro arrivo nella grotta.

Quando infine poterono riprendere il cammino alla volta del Monte Ghiacceterni, trovarono un cielo finalmente sgombro di nubi, con un sole pallido e freddo ma limpido. L'aria frizzante, sempre gelida, punzecchiò i pochi centimetri quadrati di pelle scoperta dei viandanti, imbacuccati come al solito fino agli occhi. Solo Nirvor, insensibile al freddo quanto al sonno ed alla fame, teneva il bellissimo volto scoperto, sebbene il cappuccio ed il mantello di pelliccia coprissero i suoi luminosi, lunghissimi capelli di luna.

Con le racchette ai piedi a causa della neve fresca, gli otto viandanti si allontanarono dall'Ago Nero e, quando furono ad una certa distanza, si volsero a guardarlo. Fu allora che compresero la ragione del nome che portava: la montagna era come un pinnacolo di roccia nera e lucida che sorgeva all'improvviso dal terreno, dando l'impressione di essere altissimo a causa della sottigliezza della base. Sembrava davvero un ago immenso piantato lì da qualche gigante in ere remote e dimenticate.

Riavutisi dalla meraviglia, i compagni ripresero il cammino, avviandosi di buona lena, resi baldanzosi della sosta che avevano loro permesso di riprendere le forze. Tenevano sempre la stessa direzione, ovest-nord-ovest, ed il pensiero che la loro marcia si sarebbe conclusa entro pochissimi giorni era un motivo in più per procedere spediti. Quello che sarebbe accaduto dopo, quando avrebbero dovuto affrontare le Cento Caverne ed i tranelli di Xos, appariva di secondaria importanza, in quel momento: ciò che contava era raggiungere la meta e sottrarsi ai pericoli del Deserto di Neve, poiché nessuno di loro poteva dimenticare che si erano salvati da quella terrificante tempesta per puro caso, e non avevano alcun desiderio di rimanere allo scoperto più del necessario.

Prima di sera avvistarono sulla linea dell'orizzonte, proprio davanti a loro, una massa oscura, simile all'Ago Nero ma più massiccia e scura.

"Il Monte Ghiacceterni", annunciò Nirvor con sicurezza. Contrariamente a quanto s'era aspettata, Veldhris non si sentì intimidita, né impaurita; ma forse, pensò a cupamente, era solo perché si trovava ancora ad una certa distanza.

La sera si accamparono con un senso di stanchezza che però non pesava più come piombo sulle loro membra indolenzite, ed il mattino seguente ripresero la marcia con la stessa baldanza del giorno prima. Procedettero con maggior speditezza, dato che la coltre di neve s'era nuovamente gelata ed indurita, per cui poterono fare a meno delle ingombranti racchette.

Per tutto l'arco della giornata, venti di quota mantennero sgombro il cielo pallido, ma Veldhris, annusando l'aria gelida a mezzogiorno, sentenziò con sicurezza: "Prima di domani mattina nevicherà."

"Un'altra bufera?" chiese Kareth. Da quando aveva la quasi certezza di attendere un figlio, era tornata ad interessarsi della vita e dei pericoli che incombevano su di loro, inclusa quindi lei stessa e la sua creatura. "Che ne pensate, Donna Nirvor?"

"Speriamo di no", rispose l'interpellata, osservando pensosa il cielo tuttora libero. "Le collere del Deserto di Neve sono improvvise e imprevedibili."

"In ogni caso, non manca molto", considero Roden, strizzando gli occhi nel bagliore della neve per guardare la montagna, che era andata ingrandendosi via via che si avvicinavano. "Quarantotto ore al massimo."

"Probabilmente un po' di più", lo corresse Nirvor. "Il monte è molto alto e massiccio, per questo sembra più vicino di quello che è in realtà."

Sekor sospirò leggermente, la fronte aggrondata. "Speriamo in bene."

Ripresero il cammino dopo un pasto veloce. Quando tornò la sera, bivaccarono di nuovo, montando le tende con qualche lieve difficoltà poiché s'era levato un po' di vento. Durante le ultime ore della notte, le folate aumentarono d'intensità, tanto che a tratti ululavano rabbiosamente sulla sconfinata distesa di neve gelata, abbattendosi sui ripari dei viandanti e minacciando di sradicarli dai picchetti, pur saldamente piantati. Gli otto compagni si svegliarono di colpo al primo assalto del vento e, dopo un po', si risolsero con rammarico a smontare le tende per non rischiare che le raffiche le strappassero via. Non nevicava ancora, tuttavia Veldhris sentì che stava per cominciare, e difatti, di lì a poco, grossi fiocchi candidi presero a volteggiare giù dal cielo nell'incerto chiarore della notte iperborea. Il vento ululava ancora attorno ai viandanti, radunatisi istintivamente tutti assieme.

Kareth si strinse rabbrividendo nel mantello, posando inconsciamente le mani sul ventre, come a proteggerlo. "Come ulula il vento!" si lagnò. "Se almeno quello smettesse!"

A quelle parole, Freydar aguzzò le orecchie: nelle vastità bianche attorno a loro si rincorrevano ferali lamenti da far ghiacciare il sangue nelle vene. "Il vento ulula?!" esclamò. "E ulula con voci di lupo!"

Inorriditi, i viandanti si scambiarono un'occhiata. Veldhris sbiancò, ricordando all'improvviso le parole di Coriv, prima della partenza da Kirton: affrontare il Deserto di Neve equivale quasi a un suicidio: il gelo intensissimo, le tormente, i Lupi Bianchi..."

I Lupi Bianchi.

"Non perdiamo la testa!" ingiunse Mikor, anche se pallido quanto gli altri. "Come possono degli animali vivere con queste temperature? Forse è solo uno scherzo della nostra immaginazione."

"Se lo è, non c'è pericolo", fu d'accordo Nirvor. "Ma se si tratta, come temo, dei Lupi Bianchi, dovremo difenderci con ogni mezzo a nostra disposizione, a costo di ricorrere alla mia magia e rivelare la nostra presenza a Xos. I Lupi Bianchi non perdonano: sono anch'essi creature di Rakau."

All'improvviso il vento cadde, ma gli ululati rimasero. Per qualche minuto Veldhris s'illuse che fossero folate lontane, ma poi si rese conto che il vento era definitivamente cessato e nella subitanea bonaccia i lugubri richiami denunciavano inequivocabilmente la presenza di lupi. Un sudore diaccio le imperlò la fronte: nella Foresta del Vespro si aggiravano alcuni branchi di lupi, specialmente nelle zone più selvagge, ed a volte si erano sentite storie spaventose di animali domestici sbranati e di persone assalite senza via di scampo. I Lupi Bianchi dovevano essere cento volte più pericolosi.

I fiocchi di neve s'infittivano rapidamente.

"Muoviamoci!" ordinò Freydar. "Restar fermi non fa che peggiorare la nostra situazione. Rimaniamo in guardia, e se dovremo combattere mettetevi in cerchio con le spalle rivolte all'interno, così potremo fronteggiare meglio l'attacco."

Gli ululi erano ancora piuttosto lontani e chissà, forse avrebbero potuto raggiungere un qualche rifugio; ma la speranza era debole: l'unica cosa che fino ad allora aveva interrotto la monotonia della pianura nevosa era stato l'Ago Nero, che era lontano ormai due giorni di marcia.

Il gruppo si mise rapidamente in cammino. Sotto i loro stivali, la neve ghiacciata scricchiolava, ma ben presto tutti i rumori che producevano finirono per essere soffocati dai fiocchi di neve che cadevano rapidi, talmente fitti oramai che non ci si vedeva a più di dieci metri di distanza. Se continuava così ancora per molto, i viandanti sarebbero stati costretti a mettere le racchette ai piedi per poter procedere, cosa che in caso di combattimento li avrebbe fatalmente impacciati.

Ogni tanto, una folata di vento faceva turbinare i soffici fiocchi che calavano silenziosi dall'alto. D'un tratto, Veldhris intravide una lunga sagoma bianca, come un fantasma incorporeo e tuttavia terrificante nella sua vitalità, sfrecciare sul loro fianco destro, e lanciò uno strillo acuto di terrore. Lei rispose una tempesta di ululati spaventosi che parevano uscire dall'oltretomba.

"Presto, mettetevi in circolo!" urlò Freydar, sguainando la spada. In un attimo, i viandanti si schierarono, le armi in pugno, compresa Nirvor che a Kirton aveva ricevuto una lunga spada dalla lama sottile ma robusta.

Veldhris si sentiva tremare come una foglia, in preda ad un terrore folle; chiuse per un istante gli occhi, in un inconscio tentativo di fuga. D'un tratto, dietro lo schermo delle palpebre, si materializzò l'immagine della battaglia contro il Kraken e rivide l'azione di Nirvor: nel bisogno estremo, la Custode della Corona l'avrebbe protetta, usando del suo magico potere a costo di svelarsi a Xos.

In qualche modo rincuorata da quella consapevolezza, Veldhris aprì gli occhi: la decisione di combattere le brillava nello sguardo, rendendolo feroce senza che se ne rendesse conto.

La neve smise di fioccare quasi di colpo e fu come se una tenda fosse caduta, rivelando una dozzina di Lupi Bianchi che circondavano da ogni dove i viandanti riuniti schiena contro schiena a fronteggiarli. Avevano smesso di ululare ed ora ringhiavano sordamente, guatando le prede con occhi gialli in cui ardeva una scintilla di malvagia intelligenza. Veldhris sentì il proprio coraggio, tanto faticosamente racimolato, vacillare pericolosamente, ma non fu l'unica: anche gli altri fissavano atterriti le belve minacciose. Erano indubbiamente lupi, ma erano ben più grossi, alti come vitelli; il vello completamente bianco li mimetizzava sullo sfondo della neve, e gli occhi baluginanti di crudeltà costituivano l'unica macchia di colore, poiché persino il naso e la lingua che s'intravedeva nelle fauci erano bianchi. Le labbra sollevata in un ringhio scoprivano zanne spaventose, ferine.

Tutti si prepararono all'attacco imminente: Freydar e Mikor strinsero più saldamente le else delle rispettive spade; Roden bilanciò meglio il peso dell'ascia; Sekor sollevò la frusta dalla punta tagliente come un rasoio, pronto a colpire; Kareth e Kejah presero la mira con le frecce incoccate; Veldhris infine ripiegò i polsi, apprestandosi a lanciare i micidiali coltelli kirton come le aveva insegnato Esteya, la moglie di Coriv. Solo Nirvor non si mosse, limitandosi a studiare attentamente i lupi.

Questi cominciarono a stringere l'assedio, avvicinandosi passo a passo. Uno, il più grosso, probabilmente il capobranco, cominciò a ripiegarsi sulle poderose zampe, preparandosi al balzo.

All'improvviso Nirvor arrovesciò la testa e rise. Nel silenzio che li circondava, interrotto solo dal sordo ringhiare delle belve, parve a tutti un'allucinazione demenziale. I lupi tacquero e si immobilizzarono, mentre la risata si sgranava senza esitazioni, squarciando il silenzio ora assoluto, echeggiando sulla sterminata distesa del Deserto di Neve.

I viandanti, sbigottiti, stentarono a dominare l'impulso di voltarsi per rendersi conto di quello che stava succedendo alla Custode della Corona: era impazzita? Oppure rideva perché li aveva attirati in una trappola? Sotto le sembianze di Nirvor l'Argentea si celava forse un essere delle Tenebre? Il sospetto era inconcepibile, ma ciò nondimeno sfiorò le menti sbalordite dei sette compagni.

Il riso di Nirvor cessò, all'improvviso com'era cominciato. L'Argentea fece un passo avanti, con decisione, e brandì la spada con entrambe le mani. "Filate alla svelta, sacchi pieni di pulci che non siete altro! Cosa credete, di farci paura? Dovete crescere ancora un bel po', prima di spaventarci!"

La voce non sembrava più nemmeno la sua, che solitamente era dolce e pacata: ora risuonava secca e tagliente, dura come cristallo di rocca.

"Porta queste cimici che hai per compagni nella loro tana, nanerottolo!"

Con un brusco movimento, Nirvor fece roteare la spada davanti al naso del capobranco, che arretrò spaventato.

"Forza, sparite e non fateci perdere altro tempo, poppanti!"

La donna d'argento balzò in avanti ed abbatté la punta della spada davanti al capobranco, a pochi centimetri dalle sue zampe anteriori. Il grosso lupo si ritirò precipitosamente, imitato dai suoi compagni; ma non erano ancora sconfitti, mentre continuavano a fissare con pupille bramose le loro prede.

"Allora, ti decidi a toglierti dai piedi, sorcio puzzolente?"

Nirvor vibrò un colpo di piatto, che raggiunse il lupo al muso. L'impatto fu violento, tale da strappargli un ululato di dolore ma non da fargli perdere i sensi. I risultati potevano essere due: o indurlo ad una ritirata precipitosa, oppure farlo infuriare. Inaspettatamente, la Custode della Corona lanciò un urlo raccapricciante, che fece rizzare i capelli in testa ai suoi compagni ed il pelo sulle schiene dei lupi, che volsero senz'altro le terga e si diedero ad una fuga disordinata, sbandando ognuno in una direzione diversa con ululati di terrore. Vedendosi abbandonato, il grosso lupo colpito da Nirvor ringhiò rabbiosamente, forse tentando di richiamare gli altri, ma quando vide l'Argentea avanzare, pronta ad attaccarlo nuovamente, girò su se stesso e se la svignò con la rapidità del fulmine.

Veldhris e gli altri avevano assistito increduli allo svolgersi degli eventi, e quando videro l'esito dell'insolito duello lanciarono all'unisono un grido d'esultanza. Kareth e Kejah si gettarono l'una tra le braccia dell'altra, ridendo e piangendo di sollievo, e Freydar non poté trattenersi dall'abbracciare fortemente Veldhris, che lo ricambiò istintivamente. Sekor vide le due figure strettamente allacciate e provò una fitta al cuore; distolse in fretta lo sguardo, ma non abbastanza da impedire a Mikor di notare la sua espressione addolorata. Il Signore della Foresta del Vespro sogguardò con occhi foschi Freydar e Veldhris ed il modo con cui si tenevano stretti, e ne trasse le sue conclusioni.

Mikor trovava Veldhris odiosa, specialmente da quando si era accorto del tenero sentimento che Sekor nutriva per lei e che lo aveva indotto ad allontanarsi da lui, suo fratello, per allearsi alla ragazza. Forse però ora...

Lanciò un'altra occhiata a Sekor, che stava battendo amichevolmente una mano sulla spalla di Roden, ma il sorriso sulle sue labbra non fugava la malinconia dello sguardo.

Sì, pensò Mikor con cupa soddisfazione, forse adesso poteva fare di Sekor nuovamente un alleato. Adesso, o fra non molto. Non per un solo istante provò compassione per il dolore del fratello.

"Siamo salvi!" esultò Roden con voce tonante. "Siete grande, Donna Nirvor!"

L'Argentea era tornata sui suoi passi, avvicinandosi al gruppetto entusiasta e fuor di sé dal sollievo. "Non io sono stata grande", disse con serietà. "Erano i Lupi Bianchi a essere piccoli", e poiché gli altri la guardavano senza comprendere, spiegò. "Erano solo cuccioli. Stavano provandosi l'un l'altro il loro coraggio. È stato relativamente facile spaventarli."

"Cuccioli?!" si sbalordì Kejah. "Ma erano grandi quasi due volte un lupo normale!"

"Siamo stati fortunati", considerò Nirvor, annuendo. "I Lupi Bianchi adulti sono più grossi di un orso."

Veldhris inghiottì a vuoto, la gola improvvisamente arida: l'avevano scampata bella. Ma le cose si erano risolte nel migliore dei modi, senza spargimenti di sangue e senza ricorso alla magia rivelatrice: potevano davvero ringraziare gli dèi protettori.

Si accorse di essere zuppa di freddo sudore e si strinse nel mantello: la neve aveva ripreso a cadere, fioccando in lente volute, indifferente alla loro sorte. La cantante guardò verso la solitaria formazione scura che era la loro meta, ormai vicinissima, e rabbrividì: in quel luogo l'attendeva una prova ben peggiore.

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