Capitolo XIV: Il Valico di Forrascura

Capitolo XIV: Il Valico di Forrascura

Verso sera, Veldhris convocò i suoi compagni nella saletta comune messa loro a disposizione da Coriv. La reazione dei quattro uomini alla notizia del matrimonio di Kareth e Neys fu pressoché unanime: grande stupore, vaga inquietudine, sincere congratulazioni. Solo Mikor fece un commento sarcastico sulla precipitazione di certe donne ma, come stava diventando un'abitudine, venne vistosamente ignorato da tutti.

Fu a cena che, secondo la tradizione kirton, Neys annunciò ufficialmente al padre ed alla matrigna l'avvenuto matrimonio. Coriv manifestò rumorosamente la propria approvazione, mentre Esteya, secondo la sua natura riservata, si limitò a formali, ma sentite felicitazioni. Kareth si sentì infinitamente sollevata, perché aveva temuto la contrarietà del Kirton ad una notizia così inaspettata; solo in seguito apprese che l'erede al Trono dell'Unicorno per tradizione si sposava a sorpresa, e di conseguenza il fatto non giungeva poi così inaspettato come poteva sembrare.

Sempre secondo l'usanza kirton, dodici giorni dopo l'annuncio ufficiale di Neys al padre si tennero i festeggiamenti per il matrimonio, durante i quali gli sposi furono portati in giro per la città in un carro scoperto per essere visti ed acclamati da tutti gli abitanti. Il banchetto che segui fu più elaborato e sfarzoso di quello indetto per il compleanno di Neys, pur senza raggiungere i fasti di quelli di Tamya, ed in appositi chioschi lungo la strada a spirale che, dal cancello d'ingresso, portava al castello, vennero distribuiti gratuitamente cibo e bevande.

La curiosità attorno alla sposa era naturalmente grande, così, per evitare possibili illazioni o pettegolezzi, Coriv e Veldhris, di comune accordo, fecero circolare una serie di notizie concordate con le gemelle, secondo le quali Kareth era originaria di un paesino kirton situato lungo il Confine Occidentale, tanto piccolo e tanto lontano da non essere nemmeno cartografato nelle mappe della Terra degli Unicorni. Rimasta orfana, lei e la sorella Kejah avevano deciso di recarsi a Kirton nella speranza di rintracciare una vecchia zia, unica parente loro rimasta, e qui avevano conosciuto Neys che, venuto a conoscenza della loro situazione, le aveva ospitate al castello. Poi lui e Kareth si erano innamorati ed infine sposati.

Ce n'era abbastanza per soddisfare la curiosità dei cittadini, ma non per rispondere a tutte le domande: nei giorni che seguirono, ci fu un continuo fiorire di ipotesi e notizie, inventate di sana pianta ma spacciate per vere, le quali, via via che giungevano all'orecchio del Kirton, venivano confermate o smentite, a seconda del vantaggio che potevano portare alla copertura di Kareth.

"Sono un po' preoccupata", confidò la cacciatrice a Veldhris, poche sere dopo. "Tutte queste storie sul mio conto che s'incrociano, si confermano, si negano... Non so mai quale devo considerare accettata e quale rifiutata ufficialmente, al punto che tremo al pensiero che qualcuno mi ponga delle domande..."

"È vero, è come un castello di carte che potrebbe crollare da un momento all'altro", riconobbe Veldhris. "Ma non darti pensiero, non rimarremo qui ancora per molto: Nirvor sta per tornare."

"Come lo sai?" domandò Kareth, sorpresa.

La cugina adottiva si strinse nelle spalle. "Nello stesso modo in cui, in queste settimane, ho saputo che non era il caso di preoccuparsi per lei: lo sento."

Kareth tacque: aveva rinunciato a capire l'esatta natura del misterioso collegamento esistente tra Veldhris e Nirvor. Del resto, non la incuriosiva più come una volta, ora che Neys assorbiva tutti i suoi pensieri. "Va bene", disse soltanto, "Per quando prevedi che arrivi?"

Veldhris scrollò la testa. "Presto."

Le sue previsioni si rivelarono esatte: quella notte stessa, Nirvor fece ritorno ed andò a svegliare la sua protetta.

"Nirvor!" esclamò Veldhris, vedendola brillare nell'oscurità accanto a sé. "Bentornata!" "Grazie. State tutti bene?" s'informò l'Argentea, sedendosi sul bordo del letto.

"Sì, benissimo. Ci sono anche grosse novità, ma prima dimmi: è emerso qualcosa? Siamo al sicuro? Rakau sospetta qualcosa...?"

Nirvor scosse la lunga chioma color della luna, divertita dall'irruenza di Veldhris. "Non c'è niente di cui preoccuparsi", rispose quietamente. "A parte forse proprio questo niente."

Veldhris, che si era rizzata a sedere senza accendere la candela giacché vedeva benissimo la sua interlocutrice, aggrottò la fronte. "Che vuoi dire?"

Nirvor sospirò lievemente prima di esporre il suo punto di vista. "Mi par strano che la morte del Kraken non abbia suscitato alcuna eco. Ho cercato di scoprire qualche voce sull'accaduto, e invece niente, nessuno sembra essersi accorto della scomparsa di quel mostro. D'accordo, non era famoso come i Vampiri o Krutu, ma mi sono spinta fino a Necrodia, la capitale di Rakau, e nemmeno là c'era traccia della notizia. È come se non fosse successo niente o come se il Kraken non fosse mai nemmeno esistito."

Veldhris rifletteva. "È strano, infatti", concordò. "Un'eco seppur minima dovrebbe esserci... e questa mancanza è a dir poco sospetta. Dobbiamo partire subito."

"Non credo sia il caso di precipitare le cose", disse Nirvor. "Però sono d'accordo: è meglio affrettarci", rimase un momento in silenzio, poi chiese. "Prima accennavi a delle grosse novità: di che si tratta?"

Veldhris si distolse dall'immediata preoccupazione della partenza e le raccontò del matrimonio di Kareth e Neys e della decisione di portarlo con loro, previa sua approvazione.

"Non me ne stupisco", dichiarò Nirvor quando la ragazza tacque. "Prima della partenza avevo già letto nei loro cuori quello che essi stessi ignoravano: sono fatti l'uno per l'altra. Inoltre Neys sarà un buon compagno per noi."

Infine l'Argentea prese congedo dalla sua protetta con l'esortazione di riposare tranquillamente e senza preoccupazioni.

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"Sicché dobbiamo ripartire."

L'affermazione di Freydar non conteneva né sorpresa, né rammarico: era una semplice constatazione. Veldhris si chiese, a disagio, se non si trattasse in realtà di indifferenza. "Sì", confermò, dominandosi. "Ma partiremo senza precipitazione, per cui abbiamo ancora alcuni giorni di tempo per organizzare ogni cosa a puntino: l'equipaggiamento, l'itinerario, le persone che ci accompagneranno..."

S'interruppe per lanciare un'occhiata circolare nella stanza dov'erano riuniti i suoi compagni. Con loro c'erano anche Coriv e Neys, che erano stati messi al corrente con gli altri dell'inquietante risultato di Nirvor.

"Kirton", ricominciò Veldhris, "è ora che vi riveli la nostra vera meta: vogliamo raggiungere la roccaforte di Xos il Lupo, il Monte Ghiacceterni."

Il viso di Coriv rimase impassibile, ma impallidì leggermente. Il re-guerriero fissò a lungo la cantante, pensieroso, poi scosse il capo. "Non vi chiederò la ragione di una simile impresa, Altezza, perché è evidente che non intendete rivelarla. Capisco le vostre esigenze di sicurezza. Purtroppo non posso aiutarvi: del Monte Ghiacceterni sappiamo solo che si trova al di là delle Montagne Senzanome, in pieno Deserto di Neve. Nessun kirton ha mai tentato di scoprirne l'ubicazione, anche se alcuni si sono spinti fin oltre il Valico di Forrascura."

"Non necessitiamo di guida", disse Nirvor. "Io so dove si trova."

Coriv assenti. "Lo immaginavo. Comunque, ho portato una mappa per illustrarvi il cammino che dovrete compiere, perlomeno la parte al di qua delle montagne."

Su cenno del padre, Neys spiegò sul tavolo un rotolo di pergamena, che Roden si affrettò ad aiutare a tener fermo. Tutti si chinarono ad esaminare la mappa.

"Questa è Kirton, con il fiume Gioma", disse Neys, indicando il punto sulla pergamena. "La catena delle Montagne Senzanome si trova a circa centicinquanta chilometri a nord della città e si estende per oltre millequattrocento chilometri in direzione est-ovest. Entrambe le estremità si allungano verso nord per altri due o tremila chilometri, così che l'intera catena assume l'aspetto di un ferro di cavallo, anche se alquanto sproporzionato. Il Valico di Forrascura è qui, quasi esattamente al centro della catena. Vista da kirton poco meno di cinquecento chilometri, vale a dire un dieci o dodici giorni di viaggio."

"Dal valico al Monte Ghiacceterni", completò Nirvor, "ci sono altri duecento chilometri."

"Duecento chilometri in quelle condizioni", mormorò Coriv preoccupato. "Non sarà facile, tanto più che dovrete lasciare i cavalli prima del valico, che è transitabile solo a piedi", scosse il capo." Affrontare il Deserto di Neve equivale quasi a un suicidio", dichiarò. "Il gelo intollerabile, le tormente, i Lupi Bianchi... e nessun punto di riferimento. Siete certa di quello che volete fare, Altezza?"

"Non si tratta di quello che voglio fare", rispose Veldhris con quieta fermezza. "Lo devo fare."

Corvi tornò a fissarla con quel suo sguardo cogitabondo. "Aiutarvi mi pesa", disse poi, lentamente. "Oh, non certo in quanto al gesto in sé, ma perché, aiutandovi, potrei causare la vostra morte... e quella di mio figlio. Tuttavia, così come non vi chiedo la ragione della vostra decisione di raggiungere la tana di Xos, non tenterò di dissuadervi, né voi, né mio figlio."

Padre e figlio si guardarono negli occhi. Veldhris si avvicinò al re e gli posò una mano sul braccio. Si rendeva conto del tormento che affliggeva il suo cuore di genitore nel lasciar partire l'unico figlio per un viaggio dal quale aveva molte probabilità di non tornare vivo, un viaggio il cui fine, oltretutto, gli era oscuro. "Grazie, Kirton", mormorò con voce rotta.

Coriv distolse lo sguardo da Neys e lo portò in quello della cantante, l'Erede di Arcolen. Con una morsa al cuore, Veldhris ebbe l'impressione di vederlo di colpo invecchiato di vent'anni, immagine o presentimento forse dei terribili eventi che stavano per piombare su di loro.

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Nei giorni seguenti furono fatti i preparativi per la partenza. I viandanti furono forniti di abiti e calzature adatte, compresi dei mantelli di pelliccia bianca, caldi e mimetici ad un tempo, ed inoltre vennero loro date delle curiose racchette ovali con una coda ed il telaio di legno, da legare ai piedi per avanzare agevolmente sulla neve fresca senza sprofondare.

Si decise poi la scorta che li avrebbe accompagnati al valico di Forrascura, dove i nove avrebbero dovuto lasciare i cavalli, e Coriv propose il Maliscalco Zonev con cinque uomini della sua guardia personale, tutti elementi di provata fedeltà.

"Una volta completata la nostra missione al Monte Ghiacceterni", disse Nirvor durante una delle riunioni per definire i particolari del viaggio, "dovremo recarci a Necrodia."

Veldhris non seppe trattenere un brivido a quell'annuncio: la capitale della Signora dei Draghi Neri era sempre stata la loro meta ultima, anche se mai espressa, giacché era lì che Rakau risiedeva abitualmente, ma finora, tesa all'ottenimento della Corona di Luce che si trovava nelle Cento Caverne, non ci aveva mai riflettuto se non fugacemente. Il giorno in cui avrebbe dovuto affrontare l'Oscurità le parve di colpo vicinissimo e si sentì mancare. Ciò nonostante, riuscì a rimanere impassibile ed a mascherare il proprio turbamento, attingendo a quel suo nucleo di forza incrollabile che le era ancora in gran parte sconosciuto.

"Necrodia si trova molto a sud rispetto alla Terra degli Unicorni", osservò Coriv. "Impiegherete mesi per arrivarci."

"Non se navigheremo sul Fimda", ribatté Nirvor. "Il fiume nasce dalle Montagne Senzanome e se non sbaglio, costituisce il confine occidentale della Kirtonia, scorrendo verso sud e passando non molto lontano da Necrodia. Basterà procurarci delle imbarcazioni adatte, piccole e maneggevoli, trasportabili anche a piedi perché ci saranno dei tratti da percorrere a riva."

"Capisco. Ne parlerò con Zonev..."

Grazie alla conoscenza geografica di Nirvor, il viaggio venne organizzato in ogni sua parte: i viandanti sarebbero quindi partiti a cavallo, scortati da Zonev e dai suoi uomini, alla volta del Valico di Forrascura, dove avrebbero proseguito a piedi verso il Monte Ghiacceterni, guidati da Nirvor. Una volta lasciate le Cento Caverne, si sarebbero impadroniti di una o più delle slitte a vela che Xos e la sua gente usavano abitualmente per spostarsi nel Deserto di Neve e si sarebbero diretti verso ovest, dove avrebbero trovato le sorgive del Fimda e l'omonima valle. Qui avrebbero abbandonato le slitte per proseguire ancora a piedi fino al luogo in cui Zonev e la scorta li avrebbero attesi con le barche. Da lì, i viandanti avrebbero iniziato la navigazione del fiume, diretti a Necrodia.

Ancora una volta, Veldhris ebbe un brutto presentimento e si chiese in quanti, effettivamente, avrebbero preso parte al viaggio verso meridione.

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Era l'alba del quattordicesimo giorno di febbraio quando un gruppo di cavalieri lasciò la città di Kirton, diretto verso ovest-nordovest. Se ne andò alla chetichella e ben pochi notarono i quindici personaggi silenziosi ed ammantati, che sfilarono attraverso il ponte levatoio della città fortificata e si incamminarono sulla sconfinata distesa di neve senza volgersi indietro.

Per cinque giorni il gruppo avanzò sempre nella stessa direzione, fino a raggiungere i primi contrafforti delle Montagne Senzanome. Qui mutò strada e, costeggiando la catena montuosa, diresse decisamente verso occidente, proseguendo per altri sei giorni. Nel pomeriggio del dodicesimo giorno dacché avevano lasciato Kirton, la compagnia raggiunse il luogo da cui cominciare l'ascesa per il Valico di Forrascura e qui si accampò.

Veldhris, Nirvor, Neys e Zonev si riunirono in una delle tende per consultare le mappe ed concordare il luogo preciso del convegno sul Fimda. La scelta cadde sul villaggio di Rela, un centinaio di chilometri a sud delle fonti del Fimda, dove Zonev ed i cinque uomini della scorta si sarebbero stabiliti in attesa dell'arrivo dei nove che dovevano recarsi al Monte Ghiacceterni. Nel frattempo, avrebbero procurato loro delle imbarcazioni adatte alla navigazione fluviale, veloci e leggere.

Quando scese la notte, dopo il lungo crepuscolo nordico, tutti si ritirarono per dormire. Neys rientrò nella sua tenda e trovò Kareth che lo attendeva, nuda sotto le coperte del giaciglio; in silenzio, la moglie lo attrasse a sé e fecero l'amore con il consueto trasporto. Dopo, Kareth non prese la radice di helor per prevenire un'eventuale concepimento. Che cosa l'avesse spinta a ciò, la cacciatrice non lo seppe mai: i tragici avvenimenti che li aspettavano gliel'avrebbero impedito.

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Il mattino seguente di buon'ora, i nove viandanti presero congedo dalla scorta. Veldhris affidò Rollie a Zonev, giacché non poteva certo portarselo appresso nel Deserto di Neve, ed il cagnolino rimase stranamente tranquillo, intuendo forse, con lo straordinario istinto degli animali, che la padroncina non lo stava abbandonando che per un breve periodo.

Salutato il Maliscalco ed i suoi uomini, Veldhris ed i suoi compagni si caricarono i bagagli in spalla e si avviarono per l'erta che li avrebbe condotti al Valico di Forrascura.

Nel cielo, che in quei dodici primi giorni di viaggio si era mantenuto sgombro, andarono addensandosi nubi bianche e soffici, cariche di neve, che però passarono sulle alte creste dei monti senza lasciar cadere un solo fiocco, sospinte da venti di quota verso sud-est, sulla sterminata distesa della Kirtonia.

I viandanti arrancarono, non senza fatica e piuttosto a rilento data la scarsa dimestichezza con il terreno, su per lo stretto e ripido passaggio, tracciando con i loro passi un incerto sentiero che presto, al primo manifestarsi di maltempo, sarebbe scomparso. La neve sulle rocce era dura e ghiacciata e, man mano che salivano, il freddo si faceva più intenso. Il passo era situato ad un'altitudine di oltre millequattrocento metri, una vera e propria spaccatura considerando che la catena montuosa sfiorava, nella media, i quattromila metri. Il lato che stavano ascendendo era meno ripido di quello volto a settentrione, cosa che li facilitava un poco giacché nessuno di loro era un esperto scalatore e la salita è sempre più difficile della discesa.

Per tutto quel giorno avanzano lentamente ma con costanza, e la sera si accamparono al riparo di alcuni grossi massi caduti: il vento, incanalato dalle pareti a strapiombo del valico ormai prossimo, soffiava piuttosto forte, portando con sé il gelo del Deserto di Neve. Grazie alle tende, fatte di pelli con una concia particolare che le rendeva isolanti, i viandanti non patirono il freddo e poterono dormire abbastanza comodamente, considerati la situazione ed il luogo.

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Il mezzogiorno seguente, quando sostarono per rifocillarsi, erano giunti decisamente addentro al passo vero e proprio, ma la via da percorrere era ancora lunga.

"Per quanto tempo dovremo ancora salire?" chiese Freydar a Neys, addentando un pezzo di carne affumicata.

"Secondo quanto hanno riferito i nostri esploratori", rispose l'interpellato, "ancora tutto oggi, poi domani cominceremo ad avanzare in discesa per un altro giorno abbondante. Il che significa che siamo quasi a metà strada, adesso."

"Meno male", commentò Veldhris, accoccolata freddolosamente nel suo caldo mantello di pelliccia bianca. "Il nome Forrascura è ben meritato."

Infatti il sole di mezzodì riusciva a malapena a penetrare nello stretto valico, che rimaneva perlopiù immerso in una fredda penombra, tanto più gelida a causa del vento incessante, che era aumentato di intensità.

Ripresero il cammino poco dopo. Via via che avanzavano, il passo si faceva sempre più stretto e le pareti rocciose, avvicinandosi l'una all'altra, parevano volersi toccare. Il cielo, ancora denso di nubi cariche di neve, si era ridotto ad un esile nastro pallido sopra le loro teste. Ad un certo punto Neys, che precedeva il gruppo aprendo il cammino, diede bruscamente l'alt.

"Che succede?!" vociò Roden dal fondo della fila.

Neys fece un secco cenno per indicare di tacere ed indicò in alto con aria preoccupata: su di una sporgenza della roccia si era accumulata una quantità impressionante di neve, che ora sembrava protendersi verso l'esterno ed il basso, in precario equilibrio.

"Non sono un montanaro", dichiaro Neys a bassa voce, "ma conosco bene la neve: quella è una valanga in procinto di cadere."

"E per quando prevedi che avvenga?" domandò ingenuamente Veldhris, completamente ignara della potenzialità distruttiva di una valanga d'alta montagna: nella Foresta del Vespro non esistevano rilievi consistenti e inoltre nevicava raramente e poco.

"Non posso saperlo", rispose il giovane, voltandosi verso di lei. "Da un momento all'altro come fra un mese."

Tacquero tutti, tesi nel silenzio innaturale che li circondava: l'unico suono udibile era quello del vento che sibilava nelle loro orecchie, ma anch'esso si era attenuato, come timoroso di provocare la collera della montagna.

"Dobbiamo passare per forza di qui", concluse Neys. "Non c'è modo di aggirare il posto."

Freydar, terzo della fila, guardò in su verso la pericolosa massa di neve in bilico. "Speriamo che la fortuna ci assista", mormorò, sentendosi inquieto. Nemmeno lui conosceva le valanghe, ma aveva visto alcune catastrofiche frane nel fiordo di Zarcon e non faticava ad immaginare il rischio che correvano.

Su cenno di Neys, che raccomandò a tutti di fare il minor rumore possibile, il gruppo in fila si mosse ondeggiando. Avevano fatto forse venti passi quando la superficie della massa nevosa sullo spuntone roccioso si sgretolò e precipitò. Tutti si immobilizzarono, fissando come paralizzati la sporgenza con la neve che cominciava a sfaldarsi, e Neys urlò: "Indietro, indietro!!"

Veldhris sentì qualcuno afferrarla per un braccio prima ancora che il Giovane Kirton avesse finito di parlare. La voce di Neys si ruppe in cento echi, che rimbalzarono da una parete all'altra e diedero il colpo di grazia al fragile equilibrio della neve ammucchiata all'inverosimile sullo scalino di roccia: mentre i viandanti si precipitavano tornando sui loro passi, la massa bianca si staccò dalla sede ormai insufficiente e piombò giù. Il fragore spaventoso li assordò, una nuvola di gelidi cristalli di neve morse le loro facce scoperte accecandoli ed il terreno sussultò sotto i loro piedi, facendoli cadere disordinatamente. Storditi, rimasero immobili per interminabili minuti, finché tutto non si acquietò.

La prima a riprendersi fu Nirvor, che si sollevò scrollandosi di dosso la neve e guardandosi attorno ansiosamente, alla ricerca della sua protetta. Un lamento richiamò la sua attenzione: Kejah, che era caduta malamente, stentava rialzarsi, impacciata dalla pesante sacca. Nirvor l'aiuto, mentre anche gli altri, uno ad uno, si liberavano della neve e si tiravano in piedi.

"Ci siamo tutti?" s'informò l'Argentea, osservando i presenti.

Roden si girò, allarmato. "No! Manca Veldhris...e anche Freydar e Neys!"

Con un grido soffocato, Kareth si precipitò in avanti, verso il margine della valanga caduta, e si buttò a scavare freneticamente, a mani nude. Venne subito imitata dagli altri, tranne Roden che frugò nel proprio zaino alla ricerca del badile, con il quale si mise poi all'opera con una certa prudenza, per evitare di correre il rischio di ferire, scavando, chi era sepolto.

Veldhris e Freydar furono ritrovati subito: Freydar aveva spinto la cantante davanti a sé e cadendo le aveva fatto da scudo, attutendo l'impatto della neve che si precipitava su di loro seppellendoli, così era più malridotto di lei, ma entrambi erano coscienti e senza un graffio, a parte le ammaccature e lo spavento.

Poco dopo, sotto uno strato di neve più consistente, trovarono anche Neys, illeso tranne una ferita al mento che si era fatto cadendo.

Kareth lo abbraccio convulsamente, tremando come una foglia, e solo la sua abituale forza di carattere gli permise di non scoppiare in singhiozzi isterici. "Se ti fosse successo qualcosa", sussurrò all'orecchio del marito, la voce tremula, "non sarei sopravvissuta."

Neys la strinse a sé, gli occhi chiusi. "Non dire così", la pregò sottovoce, accorato. "Non dire così, ti supplico."

Veldhris, che era la più vicina, udì i loro sussurri e, pur non capendone le parole, intuì il significato dal tono. Un improvviso sentimento, che era un misto d'imbarazzo e d'invidia, la indusse a volgere lo sguardo altrove, solo per incontrare gli occhi azzurri di Freydar, che pensosi riposavano su di lei. Il cuore, senza ragione apparente, le diede un sobbalzo ed un improvviso rossore le imporrò le guance, più rivelatore di una confessione; ma il Principe del Fiordo non poteva sapere quali sentimenti e quali pensieri si agitavano nell'animo della cantante, così non capì. Veldhris invece si chiese, al colmo dell'imbarazzo, se non si fosse tradita, perché la rivelazione era stata un vero e proprio fulmine a ciel sereno: si era innamorata. Tra tutte le cose strane, belle o pericolose, terribili o rasserenanti, che le sarebbero potute capitare nel corso della sua avventura, quella era proprio l'ultima che si era aspettata: trovare l'amore, lei, il cui cuore aveva raramente palpitato per un uomo, e mai con la convinzione che sentiva adesso.

"Grazie agli dei siete tutti sani e salvi!" esclamò Nirvor, sollevata, interrompendo quell'attimo fuori dal tempo.

Neys, Kareth e Veldhris si riscossero dei loro pensieri, ed anche Freydar tornò al presente.

Neys si rialzò, un po' a fatica, ed esaminò la neve caduta che sbarrava loro la via. "Per proseguire dovremo metterci le racchette da neve", disse, "altrimenti affonderemo ad ogni passo fino alle anche."

Si accinse a recuperare lo zaino per trarne le racchette, ma Kareth lo fermò. "Calma! Siamo tutti scossi da quanto è appena accaduto: non sarebbe meglio fare una sosta per riprenderci?"

"È un'ottima idea", fu prontamente d'accordo Veldhris, che però, più che dalla valanga, si sentiva scossa dall'improvvisa consapevolezza dei sentimenti che provava nei confronti di Freydar, consapevolezza che la faceva sentire turbata e priva di forze.

Anche gli altri aderirono alla proposta di Kareth e, poiché mancava poco a mezzogiorno, approfittarono della sosta per consumare un frugale pasto. Infine, circa un'ora più tardi, ripresero il cammino.

"Le racchette ci agevoleranno parecchio", asserì Neys, mostrando agli altri il modo corretto di allacciarle agli stivali. Nirvor fu l'unica a non usarle, poiché poteva camminare sulla neve fresca come aveva fatto sul Lago dalle Acque Nere. Avrebbe potuto fare molto di più, usando la sua magica forza per trasportare i suoi compagni da un margine all'altro della valanga caduta, ma questo avrebbe comportato un considerevole uso d'energia, ed essendo ormai sulle soglie del territorio di Xos il Lupo, che poteva percepirne l'irradiazione, era sconsigliabile farlo, sicché gli altri otto dovettero arrabattarsi con le racchette. Neys era l'unico a non aver difficoltà a camminare con questi arnesi ai piedi, ma tutti gli altri faticarono non poco ad avanzare, impacciati nei movimenti e continuamente sul punto di perdere l'equilibrio.

Kejah, che procedeva in coda, inciampò e, non del tutto casualmente, cadde addosso a Sekor, che le stava sulla destra. Entrambi finirono gambe all'aria nella neve, sprofondando di parecchi centimetri. "Sono terribilmente spiacente!" si scusò la cacciatrice, sinceramente, poiché cadendo aveva inavvertitamente colpito il principe al volto con un pugno.

"Non preoccuparti, non l'hai certo fatto apposta", borbottò Sekor, massaggiandosi la mascella dolorante. "Non mi era mai capitato prima di essere picchiato da una donna!" aggiunse poi con una smorfia, nonostante tutto divertito.

Sollevata, Kejah scoppio a ridere ed il principe notò che aveva una bellissima risata, che si sgranava come una campanella d'argento e che rispecchiava perfettamente la sua personalità. Il pensiero che Kejah era una creatura incantevole gli saettò per la mente, ricordandogli poi però subitamente di aver così definito anche Veldhris, il giorno in cui l'aveva conosciuta. Sì, le due cugine adottive si assomigliavano, erano entrambe vivaci, allegre e sensibili, eppure il loro fascino nasceva da fonti molto diverse.

Gli altri, accorsi subito in loro aiuto, interruppero le sue riflessioni, che del resto avevano preso solo pochi attimi e furono subito dimenticate. I due vennero rimessi in piedi ed il gruppo riprese la marcia.

Quando ebbero attraversato la valanga caduta e si tolsero le racchette, si accorsero di essere stanchi morti, eccetto Neys, che era abituato a quel modo di procedere, e ovviamente Nirvor. Fecero quindi un'ulteriore sosta e ripresero il cammino quando il sole, oltre la persistente coltre di nubi, aveva già iniziato a declinare. Proseguiranno quindi ancora per poco e poi si accamparono per la notte.

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Durante la notte, il gelido vento, che pareva essersi attenuato, si fece più forte di prima, prendendo ad ululare con voce crudele nelle crepe delle pareti rocciose, infilandosi nelle tende saldamente piantate ed impedendo il sonno ai viandanti.

Il mattino si levò, pallido e freddo, ed i viandanti strisciarono fuori dai loro ripari a malincuore. Dopo una colazione scarsa e sconfortante, consumata in piedi, ripresero la marcia lottando contro i turbini di vento che li facevano barcollare. Prima che la mattina fosse terminata e che giungesse il meriggio, l'invisibile sentiero che stavano seguendo ormai in discesa si trasformò in una strettissima cengia lunga una cinquantina di metri, con alla destra la ripida parete orientale del valico ed alla sinistra un profondo burrone tenebroso.

"Questo è il punto più difficile, disse Neys. "Ma è un passaggio obbligato: sul fondo del precipizio scorre un torrente gelido e impetuoso, pieno di rocce aguzze e taglienti, perciò non è possibile scendere e proseguire laggiù. Siamo costretti a passare sulla cengia."

Veldhris lanciò un'occhiata nel buio strapiombo e si sentì cogliere da vertigine: il nome di Valico di Forrascura le sembrava sempre più di malaugurio. Rabbrividì, e non solo di freddo, ma si dominò facendosi forza. "Se non c'è alternativa, non vedo perché si debba indugiare", disse ad alta voce, mostrando una sicurezza che in realtà non provava. "Ne abbiamo affrontate di peggio", aggiunse, ripensando ai Vampiri, a Krutu ed al Kraken. Una cengia, per quanto stretta, non poteva essere più pericolosa di quei mostri usciti degli incubi; ma questo pensiero non la rassicurava, e continuava ad aver paura di quel nero vuoto che si spalancava ai suoi piedi, pronto ad inghiottirla.

"Non c'è alternativa", confermò Freydar, che aveva osservato attentamente il luogo. "Però c'è un modo per rendere il passaggio più sicuro: una corda tesa da un'estremità all'altra, che stia alle spalle di chi cammina sulla cengia e a cui sia legato, di modo che, se dovesse disgraziatamente cadere, rimarrebbe attaccato alla corda."

"Brillante idea", riconobbe Neys, sorpreso. "Non ci avevo pensato, ma non conosco la montagna, e credevo che nemmeno tu te ne intendessi."

Guardò con aria interrogativa il capitano, che spiegò: "Zarcon si trova sul mare, ma sta in un luogo che ricorda molto questo: le pareti a strapiombo del Fiordo sono identiche a queste, e io le ho scalate, a volte, da ragazzo. Per questo conosco alcuni trucchi, sebbene non sia un esperto."

"L'idea è ottima", intervenne Veldhris, preoccupata. "Ma il primo e l'ultimo che passeranno sulla cengia non avranno la sicurezza della corda, dato che il primo dovrà portarla di là per fissarla e l'ultimo dovrà invece staccarla prima di passare."

"Per il primo sarà inevitabile", riconobbe Roden. "Ma se abbiamo più di un rotolo di corda, possiamo sacrificarne uno e abbandonarlo qui."

Neys scosse la testa. "La fune pesa parecchio e non potevamo portarne moltissima: ho io l'unico rotolo. L'ultimo dovrà affrontare lo stesso pericolo del primo."

"È evidente che il primo sarò io", dichiarò Freydar. "Non solo perché l'idea è stata mia, ma anche perché credo di essere l'unico in grado di fissare adeguatamente la corda, da un lato come dall'altro."

Veldhris sentì l'impulso irrefrenabile di protestare: non voleva che Freydar rischiasse così tanto! Riuscì però a contenersi: se si fosse opposta, avrebbe dovuto portare motivi validi, incaricare qualcun altro, ma Freydar aveva ragione: era l'unico di loro che conosceva abbastanza la tecnica dei rocciatori. Inoltre, chiunque si fosse assunto il rischio era legato a lei da affetto, tranne Mikor, che certamente non si sarebbe candidato. Ed era pura follia che fosse lei a farsi avanti, giacché era anche più inesperta degli altri.

Quel turbine di considerazioni le passò per la mente con incredibile velocità, ma straordinaria nitidezza: senza rendersene ancora conto, aveva compiuto un altro passo sulla strada per diventare una vera leader, che può sì avere un'autorità pressoché illimitata, ma che deve prima di tutto pensare al benessere ed alla sicurezza di tutta la comunità, grande o piccola che sia.

Fu per questo che parlò con fermezza. "Va bene, il primo sarai tu."

"E io sarò l'ultimo", decise Neys. "Penso di essere, dopo Freydar, il miglior arrampicatore del gruppo."

"Non credo sia esatto", interloquì Kareth, preoccupata per il rischio che avrebbe corso il marito. "Nella Foresta non mi batteva nessuno, quanto a scalare alberi."

"Gli alberi sono molto diversi dalla roccia", osservo Neys. "Non sono uno scalatore, come del resto neanche Freydar, ma non sono del tutto privo di esperienza, pur essendo un uomo delle pianure."

Kareth fece per protestare energicamente, ma il suo buon senso prevalse e soffocò la ribellione, inducendola a cedere. "Va bene", mormorò. "Ma ti prego, stai molto attento."

"Lo farò", le promise lui, stringendole un braccio per rassicurarla.

"Bene, allora ci muoviamo?" chiese Freydar a Veldhris.

"Sì: prima facciamo, meglio è", rispose lei, non senza un certo sforzo: la reazione di Kareth, che poteva esprimere liberamente il suo pensiero ed il suo sentimento, l'avevano fatta all'improvviso sentire prigioniera del suo ruolo di capo, ruolo che non aveva né cercato, né voluto, ma che doveva svolgere al meglio delle sue possibilità.

Neys frugò nella sua sacca e ne trasse il rotolo di corda, che passò a Freydar. Il capitano ne tagliò dapprima un lungo pezzo, puoi scelse un solido spuntone di roccia che affiorava dai ghiacci e vi fissò saldamente un capo della fune, dopodiché si appese il rotolo alla spalla, in modo che potesse svolgersi automaticamente via via che procedeva senza intralciarlo troppo. Da questo punto di vista, il primo che doveva affrontare la cengia era più esposto al pericolo che non l'ultimo, il quale, dopo aver slegato la corda, poteva passare senza impicci di sorta. Se ne resero conto sia Veldhris sia Kareth, e la prima trepidò, mentre la seconda ne fu lievemente sollevata.

Lentamente, senza fretta, Freydar avanzò lungo la cengia, aggrappandosi con le mani a tutti gli appigli che riusciva a trovare e tastando il terreno con il piede ad ogni passo. Ventre alla parete, evitava accuratamente di guardare in basso e si limitava a fare un solo movimento per volta: trovare un appiglio con la mano sinistra, spostare il piede sinistro, aggrapparsi con la mano destra, spostare l'altro piede, e via di seguito, con lentezza ma con costanza, ed infine fu dall'altra parte. Asciugandosi il sudore dalla fronte, che grondava nonostante il freddo pungente, pensò che quelli erano stati i cinquanta metri più lunghi della sua vita. Per somma fortuna, il vento, che aveva soffiato tutta la mattina, si era calmato prima che giungessero al burrone, altrimenti l'attraversata sarebbe stata molto, molto più pericolosa.

Rapidamente, fissò la fune, di cui rimaneva ancora qualche decina di metri, ad un altro spuntone di roccia e fece cenno agli altri che potevano cominciare a passare.

Nonostante lo sgomento, Veldhris volle essere la prima a seguire Freydar, non solo per essergli al più presto vicina, ma anche perché pensava che, se avesse visto qualcuno rischiare di cadere, non sarebbe più riuscita a tenere sotto controllo la propria paura e quindi ad affrontare la cengia.

Neys tagliò un pezzo della corda lanciata da Freydar e, avvoltone un cappio attorno alla fune tesa lungo la cengia, la fissò strettamente attorno alla vita di Veldhris, con un nodo sulla schiena ed uno sul davanti.

Se a Freydar quei pericolosi cinquanta metri erano parsi lunghi, a Veldhris sembrarono interminabili. La lotta che dovete sostenere per non lasciarsi cogliere dal panico fu assai aspra ed inenarrabile, e la lasciò infine molto provata, ma anche molto più consapevole della propria forza d'animo: lentamente ma inevitabilmente, il nucleo indistruttibile su cui si plasmava la sua personalità prendeva consistenza anche ai suoi propri occhi.

Sekor fu il secondo a calcare le orme di Freydar, seguito nell'ordine da Kejah, Nirvor – che usufruì della corda di sicurezza solo perché, in caso di caduta, sarebbe stata costretta ad usare il proprio potere magico – Roden, Mikor e Kareth, e nessun incidente turbò la sequenza, nemmeno un passo un po' maldestro. Infine. Neys staccò la corda dallo sperone roccioso cui l'aveva fissata il capitano e la lasciò cadere, mentre dall'altra parte Roden la recuperava riavvolgendola prontamente. Quindi, il Giovane Kirton si accinse ad affrontare l'arduo passaggio con tutto il sangue freddo di cui era capace, che era molto.

Kareth e gli altri seguirono la sua impresa con apprensione crescente, giacché il vento aveva ripreso a soffiare, anche se in raffiche meno violente del primo mattino. Col fiato sospeso, gli occhi incollati sulla figura che avanzava cautamente, la moglie ed i compagni di Neys osservavano il suo procedere lento ma continuo.

Mancavano ancora solo pochi metri alla salvezza e tutti si apprestavano a tirare un sospiro di sollievo, quando la tragedia, in agguato fin dal principio del viaggio, piombò su di loro come una belva assetata di sangue. Tutto accadde nel giro di pochi istanti, eppure, quando in seguito Veldhris avrebbe trovato il coraggio di ripensare all'accaduto, le sarebbe sempre parso che la scena si fosse svolta con innaturale lentezza, tanto i particolari si erano impressi, uno ad uno, nella sua memoria.

Neys posò il piede sinistro e, spostando il corpo per bilanciarsi su di esso, sollevò l'altro piede per avvicinarlo al primo. Improvvisamente, il punto su cui poggiava tutto il suo peso cedette e franò. Il giovane scivolò bruscamente, perdendo l'appiglio della mano sinistra, la cui presa aveva allentato per spostarsi più in là. Per un lungo, angoscioso istante, Neys rimase aggrappato alla roccia con la sola mano destra, le dita disperatamente contratte attorno ad una piccola sporgenza, le gambe penzolanti nel vuoto. I cuori dei suoi amici si erano fermati, i respiri sospesi, gli occhi dilatati. Il peso della sacca sulle sue spalle trascinava Neys irresistibilmente verso il basso, tuttavia il giovane lottò per aggrapparsi a qualche appiglio. Una raffica di vento, come l'alito gelido di una volontà demoniaca, scelse proprio quel momento per abbattersi su di lui, scollandolo selvaggiamente: con un urlo che si franse in mille echi, Neys piombò nell'abisso.

Kareth vide il marito cadere prima ancora di essersi resa conto dell'accaduto e lanciò un grido terribile, slanciandosi in avanti; si sarebbe gettata nel burrone se Roden non l'avesse prontamente afferrata e trattenuta. Nello stesso istante, Nirvor tentò un disperato salvataggio con i suoi poteri, incurante di svelare la propria presenza a Xos il Lupo, ma era già troppo tardi: non fece in tempo a rafforzare il raggio di luce che si sprigionava dalle sue dita per arrestare od almeno rallentare la caduta, che Neys si schiantò sulle rocce prima di giungere in fondo al dirupo.

"Kareth!" esclamò Roden, spaventato: la cugina non si agitava più tra le sue braccia ed era pallida come una morta.

OOO

Non ci fu bisogno di consultazioni: anche se la sosta avrebbe determinato un ulteriore ritardo, dovevano recuperare il corpo di Neys e rendergli gli estremi onori. Fu Freydar, seguito da Sekor, a calarsi nel burrone fino alle rocce che avevano bruscamente arrestato la caduta del Giovane Kirton. Il capitano si caricò il corpo inanimato in spalla, mentre Sekor recuperava la sacca. Ancora una volta, a causa della vicinanza con il regno di Xos, si era evitato l'ausilio dei poteri di Nirvor, anche se al momento della tragedia lei stessa aveva accantonato ogni prudenza per tentare il salvataggio.

Kareth, amorevolmente soccorsa dalla gemella e da Veldhris, si riprese a fatica dallo svenimento, senz'altro il primo ed unico della sua vita; non pianse, al contrario di Kejah e di Veldhris: il suo volto, bianco come un cencio, era una maschera di marmo, ma esprimeva un dolore così disperato da straziare il cuore.

Quando Freydar ritornò dal fondo del burrone con il corpo di Neys in spalla, lo depose sulla coperta che Sekor, salito prima di lui, aveva tolto dallo zaino del Giovane Kirton e che sarebbe servita ad avvolgere il cadavere. Data la situazione, non potevano osservare la comune usanza funebre della cremazione, perciò si era tacitamente convenuto di seppellirlo.

Kareth, rifiutando il sostegno della sorella, si avvicinò al corpo del marito e s'inginocchiò accanto ad esso. Rimase qualche attimo a contemplarne il volto, dagli occhi pietosamente chiusi da Freydar, poi, con un gesto infinitamente dolce, si chinò per accarezzargli la guancia, fredda come il ghiaccio. "Qualcosa mi diceva che il nostro tempo insieme sarebbe stato breve", sussurrò. "Ma io mi rifiutavo di ascoltare..." si chinò a baciare le labbra, pallide e gelide, e continuò. "La formula di matrimonio del tuo popolo dice saremo sempre insieme finché la morte non ci separerà; ma quella del mio dice dove sarai tu, là ci sarò anch'io. Ti giuro, amore, ti giuro che nemmeno la morte può separarci..."

Nessuno dei compagni, che si erano radunati attorno al corpo del morto, udì i suoi bisbigli. Lentamente, quasi dovesse concentrarsi per farlo, Kareth slacciò il mantello di Neys e gli tastò il collo, alla ricerca della catenina d'oro, che gli tolse ed intrecciò con quella che lui le aveva dato sposandola: secondo il costume kirton, quello era il segno della vedovanza per la donna.

Infine si rialzò; lasciò agli altri il compito di avvolgere Neys nella coperta e di deporlo nella buca poco profonda, che Mikor e Roden avevano provveduto a scavare nella neve, assieme alle sue armi, la spada ed il pugnale. Ricoprirono il corpo, poi eressero un piccolo tumulo di pietre, presso il quale sostarono ancora un po'.

Accecata dalle lacrime che continuavano a bagnarle le guance, Veldhris si trovò a scrutare di sottecchi i suoi compagni, come per coglierne i veri sentimenti in quell'ora di lutto: Kareth, il viso impietrito dalla sofferenza; Kejah, disperata per la sorella amatissima; Freydar, addolorato ed ancora incredulo; Roden, profondamente partecipe allo strazio della cugina; Nirvor, gli occhi d'argento pieni di una tristezza tranquilla ma non meno sentita; Sekor, commosso sin quasi alle lacrime; Mikor, con un cipiglio che non nascondeva un cordoglio forse non del tutto di circostanza.

Improvvisamente, Veldhris sentì il bisogno di dire qualcosa, ma non era certa della propria voce. Inghiotti più volte, spesso a vuoto, scacciando le lacrime, ed infine si provò a parlare. "Volevamo tutti bene a Neys", comincio, e gli occhi degli altri si appuntarono su di lei, tranne quelli di Kareth che continuò a fissare la montagnola di sassi. Veldhris si schiarì la gola, sforzandosi di sciogliere il nodo che la stringeva, e continuò. "Neys era una di quelle persone che non si può fare a meno di amare: buono, generoso, allegro. Grande è il nostro dolore per la sua perdita, ma finché lo ricorderemo, lui non sarà morto."

L'inadeguatezza del suo discorso le strinse il cuore: come poteva mai consolare Kareth? Si sentì a disagio, e Freydar, accorgendosene, intervenne in suo aiuto. "I discorsi", disse con voce triste, "servono solo a chi resta, e purtroppo non giovano a chi non c'è più . Ma se esiste un luogo ove gli esseri umani giungono dopo che è suonata la loro ora, io sono certo che Neys ci sta guardando e sa che lo piangiamo dal profondo del cuore."

Le lacrime tornarono a riempire gli occhi di Veldhris: i sentimenti espressi da Freydar erano anche i suoi, sebbene non fosse riuscita a metterli in parole. Eppure, lei era una cantante, ed aveva scritto molti versi, ma per il momento il dolore per quella perdita improvvisa era ancora troppo cocente. Forse, un giorno, avrebbe composto una canzone in ricordo dell'amico assente.

Kejah, guardando la gemella con dolce pietà, parlò a sua volta. "Breve e stata la sua vita, ma piena e intensa, e ha avuto il tempo di conoscere un amore grande e vero."

Kareth sbatté le ciglia, ma non pianse: poiché la vita l'aveva abbandonata con Neys, le lacrime, che sono l'acqua della vita, si erano prosciugate nei suoi occhi. Mai più avrebbe versato lacrime, nulla più avrebbe spezzato il suo cuore, perché lei non aveva più né lacrime né cuore. Ormai non era nulla più di un guscio vuoto, da cui l'anima era fuggita.

Percependo quel dolore dalle profondità insondabili, Nirvor la Custode si decise a parlare, con voce bassa e dolce. "Esiste davvero un luogo ove le anime dei mortali si radunano dopo il trapasso da questa vita all'altra, un luogo in cui io non ho accesso, poiché sono immortale e perciò priva d'anima. L'anima è infatti il dono che gli Dèi fecero ai mortali per compensarli della brevità del loro soggiorno in questo mondo, e dopo la morte essi la chiamano a sé per elargirle la giusta ricompensa per le azioni compiute. Sono sicura che essi accorderanno a Neys il premio maggiore, perché egli era un uomo retto."

Le sue parole di speranza e di conforto sortirono qualche effetto su Kareth: la tensione parve abbandonarla e, sebbene continuasse a non piangere, l'espressione immobile come pietra lasciò il suo viso, soppiantata da una profonda, rassegnata tristezza. "Ci siamo attardati fin troppo", mormorò. "È bene andare."

Veldhris le lanciò un'occhiata, piena di meravigliata compassione, e dopo qualche attimo acconsentì. Tutti si ricaricarono in spalla gli zaini, dopo essersi distribuiti il carico di Neys, e dissero addio alla solitaria tomba nella neve.

Veldhris fu l'ultima ad andarsene. "Neys", disse a bassa voce, fissando la tomba. "Ti faccio solenne giuramento che la tua morte non è stata vana: il giorno in cui la Corona di Luce si troverà di fronte alle Pietre del Potere Oscuro, penserò a te e dedicherò a te la vittoria", tacque, e l'ombra dell'antico timore, mai del tutto fugato nonostante le parole di Nirvor, le oscurò il volto. "Se vittoria ci sarà", soggiunse, cupa.

Freydar, che si era attardato per sistemarsi meglio il carico sulle spalle, udì l'ultima frase e le posò una mano sul braccio. "Ci sarà, Vel", disse con convinzione.

Lei gli lanciò un'occhiata. La sua sicurezza la confortò. "Sì, ci sarà", ripeté. "Per Neys."

OOO

Proseguirono solo per qualche ora, dato che il pomeriggio era già inoltrato quando lasciarono la tomba di Neys. La sera si accamparono, sempre sotto la sferza del vento, e Kareth dormì nella tenda che Kejah, Veldhris e Nirvor dividevano dalla partenza da Kirton. Pur avendo tutti saltato il pranzo, ben pochi avevano appetito, ma Veldhris volle ugualmente che ci si sforzasse di mandar giù qualche boccone: dovevano rimanere in forze per affrontare il Deserto di Neve. Anche Kareth lo comprese e piluccò qualcosa, sebbene la sola vista del cibo le facesse venir la nausea.

Al mattino ripresero la faticosa marcia, che durò tutto il giorno in una discesa alquanto lenta, ma costante. Fortunatamente non incontrarlo altri punti impervi e ben presto uscirono dal Valico di Forrascura: le pareti quasi verticali si aprirono ed essi poterono così scorgere un ampio scorcio delle terre oltre le Montagne Senzanome.

Bianco nella pallida luce del tramonto che sbiadiva lontano ad occidente, spazzato da incessanti folate di vento che potevano in un batter d'occhio trasformarsi in terrificanti bufere, gelido ed implacabile, davanti a loro si stendeva sconfinato il Deserto di Neve.


(L'immagine della copertina di questo capitolo è di me66erz_d4gd6ad)

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