Capitolo XII: Nella Terra degli Unicorni

Parte Terza: La Terra (Xos)

Capitolo XII: Nella Terra degli Unicorni

Sollevando gli occhi dal volto esanime di Veldhris, Freydar scorse delle figure umane a cavallo, una ventina in tutto, sbucare dagli alberi e venire loro incontro con piglio deciso. Erano uomini massicci, chiari di capelli e di occhi, abbigliati con caldi indumenti di lana, mantelli di pelliccia e morbidi stivali imbottiti. Tutti erano armati di corte spade, scudi rotondi e lunghe lance, che tenevano minacciosamente puntate contro il gruppo emerso dal lago. I destrieri, esemplari superbi, avevano la stessa aria bellicosa e decisa dei loro cavalieri.

Freydar scattò in piedi e si mise tra Veldhris, che giaceva nella neve sostenuta da Nirvor, ed i nuovi venuti, impugnando la spada pronto a difendere se stesso ed i suoi compagni. Sekor si portò immediatamente al suo fianco srotolando la frusta, sua unica arma giacché aveva perso la spada, l'arco e le frecce nel naufragio, mentre Mikor e Roden, più lontani, si affrettavano a raggiungerli con le gemelle, le armi sguainate. Persino Rollie, accanto alla padroncina, si irrigidì, le orecchie ritte sul capo ed i denti scoperti in un ringhio silenzioso ma non per questo meno greve di minaccia.

"Non muovetevi, stranieri!" tuonò uno dei nuovi venuti, che si distingueva dagli altri per il mantello gallonato. "Far resistenza non vi gioverebbe!"

Il suo accento era aspro e gutturale, tanto diverso da quelli che Freydar aveva finora sentito che gli occorse qualche istante per capire le parole che gli erano state rivolte. Lanciò una breve occhiata ai compagni e dovette riconoscere che non avevano scelta: con le poche armi che erano loro rimaste non avrebbero potuto far nulla contro quei soldati ben equipaggiati. Inoltre, Veldhris aveva sicuramente bisogno di cure e tutti loro di un riparo, cosa che, anche da prigionieri, avrebbero senz'altro ricevuto. "Ci arrendiamo", disse pertanto, lasciando cadere a terra la sua spada.

Dopo una breve esitazione, Sekor lo imitò, rinunciando alla frusta, e così fecero Roden e le gemelle con i pugnali. Solo Mikor si rifiutò di lasciare la spada, furioso perché Freydar aveva praticamente assunto il comando al posto suo.

Senza tanti complimenti, il Principe del Fiordo gli strappò l'arma di mano e la gettò nella neve, fulminandolo con lo sguardo e sibilandogli, "Non fateci correre rischi inutili, Sire!"

Mikor avvampò per la collera, ma si trattenne dal ribattere.

"Veniamo in pace!" dichiaro Freydar ad alta voce, rivolto al gruppo di guerrieri.

Quello che aveva parlato, evidentemente il capo, scrollò le spalle. "Sta al Kirton giudicarlo, straniero, poiché ora siete suoi prigionieri", fece cenno al suo drappello di avanzare e circondare i viandanti, che nei loro abiti fradici tremavano violentemente per il freddo. Il capo se ne accorse. "Voi!" apostrofò alcuni suoi uomini. "Toglietevi i mantelli e dateglieli, prima che muoiono assiderati!"

Avvolti nelle calde cappe foderate di pelliccia, i sette prigionieri coscienti si sentirono subito meglio. Roden avvolse Veldhris in una di esse, poi la sollevò sulle formidabili braccia.

Intanto, uno dei guerrieri aveva raccolto le armi dei viandanti, mentre un paio da altri erano andati a prendere i cavalli. La facilità con cui trattarono perfino con il solitamente ombroso Mistero convinse Freydar, più di ogni altra considerazione, di trovarsi di fronte a membri del Popolo dell'Unicorno, i Kirton. Tra l'altro, sugli scudi dei soldati era incisa a rilievo una testa di quel mitico animale.

"Montate sui vostri cavalli", ordinò il capo. "Non cercate di fuggire: quelli povere bestie sono stremate, mentre le nostre sono fresche e sarebbe un gioco da ragazzi riacciuffarvi."

Ancora una volta, Freydar dovette riconoscere che non avevano scelta, e diede l'esempio salendo in groppa a Mistero. I suoi compagni lo imitarono, sebbene a malincuore; persino Nirvor, che solitamente non cavalcava, preferì non contraddire gli ordini e montò in sella a Messere con Kejah, mentre Roden prendeva con sé Veldhris su Vento di Fuoco; Kareth invece si occupò di Rollie.

La comitiva si mise in marcia, con i prigionieri al centro ed i soldati tutt'attorno, seguendo una larga pista di neve battuta che aggirava il bosco in direzione est.

Finalmente Veldhris rinvenne e si guardò attorno smarrita.

"Stai bene?" s'informò subito il fratello adottivo, ansiosamente.

"Sì... sì", rispose lei, un po' a fatica. "Ma cos'è successo? Chi sono quegli uomini?"

"Kirton, credo", rispose Roden, e le spiegò l'accaduto.

"E cosa ci faranno?" domandò Veldhris, preoccupata, quando il fratello tacque.

Nirvor, che caracollava con Kejah proprio a fianco, la rassicurò. "Non temere, sono certa che ci tratteranno con equità."

Quella gente, infatti, non era ostile, ma solo gelosa della propria neutralità faticosamente ottenuta e dolorosamente mantenuta. I Kirton erano consapevoli che bastava uno screzio sia pur insignificante con Rakau perché la loro precaria indipendenza fosse distrutta e trasformata in schiavitù, e per tale ragione dovevano agire con molta prudenza.

Proseguiranno verso nordest per circa un'ora, fino a giungere ai piedi di un ripido colle roccioso, sulla cui vetta si elevava una torre tozza e squadrata. Sulla cima merlata sventolavano due stendardi: quello più basso raffigurava una testa di Unicorno d'Oro in campo bianco, quello più alto era l'emblema della Signora dei Draghi, le Quattro Pietre su sfondo rosso.

Il segno del loro vassallaggio forzato, pensò Veldhris, riconoscendo i simboli delle bandiere.

Il gruppo cominciò a risalire lentamente la ripida china su per uno stretto sentiero serpeggiante. Il ponte levatoio della torre fortificata era calato, proteso su di un crepaccio profondissimo che spaccava a metà la cima del colle. Poco dopo, gli otto prigionieri venivano condotti nelle segrete, le donne da una parte, gli uomini dall'altra. Per essere delle celle, notarono, i locali erano singolarmente confortevoli: quattro pagliericci con coperte vecchie ma pulite, un tavolo con gli sgabelli, un candeliere di ferro con quattro candele di sego, due torce già accese, una piastra per il fuoco in un angolo, una catasta di legna in un altro. Solo la mancanza di finestre e l'inferriata che chiudeva l'ingresso indicavano inequivocabilmente l'uso cui erano adibiti quei locali.

Kareth non perse tempo e si diede da fare per accendere un fuoco, al quale poterono asciugarsi e scaldarsi.

"Speriamo di non beccarci un accidente, con tutto il freddo che abbiamo patito", disse Kejah, preoccupata. "Ho perso il sacchetto delle erbe medicinali..."

Poco dopo, quasi in risposta alla sua osservazione, giunse una vecchia canuta, che recò loro delle ciotole colme di un intruglio scuro, bollente ed amaro, utilissimo, così assicurò alle prigioniere, contro le malattie da raffreddamento. Le quattro donne non discussero e trangugiarono il liquido; Nirvor, che non ne avrebbe avuto necessità, lo fece per non destare sospetti.

Verso sera, dopo la semplice cena servita loro dalla stessa vecchia donna, giunse il capo degli uomini che li avevano catturati sulle sponde del Lago dalle Acque Nere. "Io sono Zonev, Maliscalco del Confine Meridionale", si presentò, accigliato e deciso ma non ostile. "Ho già interrogato i vostri compagni, ma non hanno voluto dirmi nulla, tranne che soltanto il vostro capo può decidere se rispondere o meno alle mie domande, a nome di tutti voi", le scrutò, perplesso. "A quanto ho capito, il capo è una di voi."

Il suo tono, forse involontariamente, conteneva una vaga derisione.

Veldhris strinse gli occhi, urtata. "Infatti", disse, gelida. "Sono io."

Zonev la fissò, senza riuscire a celare la sua sorpresa. "Tu?"

"Proprio così", confermò lei, sempre gelida. "Sono Veldhris, Principessa del Regno del Lago."

Prudentemente, la cantante si attribuì un titolo inventato ma che le desse prestigio, ma al tempo stesso le evitasse di presentarsi per chi era veramente, ossia l'Erede di Arcolen.

Zonev cambiò leggermente espressione. "Una principessa, eh?" borbottò, accarezzandosi la barba rossiccia. Valutò l'aspetto e l'atteggiamento della sua interlocutrice, pensoso, e qualcosa in lei lo decise a crederle.

Veldhris rimase in attesa, limitandosi a fissare fieramente il maliscalco. Aveva deliberatamente omesso di e il suo matronimico, Yuniadil, perché aveva notato che quello era un uso esistente solo presso il Popolo della Foresta, ed una simile particolarità poteva tradirli agli occhi di chiunque fosse al corrente delle usanze del Regno del Vespro.

"D'accordo, Altezza", riprese infine Zonev, con una nota di deferenza nella voce. "Rivolgerò quindi a voi le mie domande: chi sono i vostri compagni, innanzitutto?"

"Miei parenti e amici", rispose prontamente lei. Non ritenne opportuno fornire i nomi, soprattutto per non rivelare l'identità di Nirvor.

Il maliscalco lanciò un'occhiata penetrante all'Argentea, il cui aspetto straordinario, anche senza la particolare luminescenza, attirava irresistibilmente l'attenzione. "Ho visto come questa donna ha agito contro il Kraken", disse, rivolgendosi sempre a Veldhris. "Ha usato la magia. È forse una fata?"

Il suo tono era pieno di rispetto, ma anche di timorosa perplessità.

Veldhris esitò, prima di rispondere: nelle leggende della Foresta del Vespro, le fate erano creature benevole, ma non particolarmente dotate di poteri magici. Forse presso i Kirton era diverso, ma lei non poteva sapere quanto, né in che modo. "No", si decise infine a dire. "È una sacerdotessa, studiosa di arti magiche, al mio servizio."

"Capisco..." mormorò il Maliscalco. "Posso chiedervi la vostra provenienza, e la ragione della vostra presenza in Kirtonia?"

"Veniamo dal Regno del Lago", rispose Veldhris, ripetendo il nome che aveva inventato. "Una piccola regione nel profondo sud dello Shyte. È improbabile che tu ne abbia mai sentito parlare, come del resto io ignoravo l'esistenza della Kirtonia. Quanto alle ragioni del viaggio, se permetti esse ci appartengono. Accontentati di sapere che si tratta... dell'adempimento di un voto."

Zonev la sogguardò: era certissimo che gli veniva nascosto molto, ma capiva che Veldhris non avrebbe detto una parola di più. Annuì rigidamente. "Come volete, Altezza. A ogni modo, devo condurvi dal Kirton, il Re dell'Unicorno, e lui deciderà della vostra sorte."

Detto questo, girò sui tacchi ed uscì a grandi passi dalla cella.

Nirvor posò una mano sulla spalla di Veldhris. "Hai agito bene. Anche se penso che i Kirton siano brava gente, non sappiamo ancora di chi, tra loro, possiamo fidarci. Meno ne sanno di noi, meglio è."

"Già", borbottò Kareth. "Speriamo che il re sia comprensivo e si dimostri amichevole."

"Speriamo", sospirò Veldhris, preoccupata. Si sentiva stanca, stanca non solo del viaggio estenuante, ma soprattutto della sua pesante responsabilità, della continua tensione in cui viveva, del pericolo che gravava su di loro... Desiderava una pausa, un'isola di tranquillità, dove poter riposare il corpo e la mente... Cominciava ad averne proprio bisogno, ma chissà per quanto tempo ancora quel conforto le sarebbe stato stato negato.

OOO

Tre giorni più tardi, di mattina presto, i prigionieri furono scortati fuori dal torrione, diretti verso est, dove un paio d'ore dopo incontrarono un fiume molto ampio che scendeva da nord. Una nave a remi, con un'unica vela quadrata, attendeva attraccata al piccolo molo. Veldhris rimase impressionata dalla mole dell'imbarcazione, molto più grande dei battelli visti a Tamya od a Zarcon. Nessuno, a quell'epoca, a parte forse i carpentieri di Dorea la Grande, ricordava fino a che proporzioni erano giunte le navi dell'antico impero di Shyte prima della caduta, quando solcavano le acque dirette ad oriente, verso le misteriose, selvagge terre oltre l'oceano. In confronto a quelle, la nave che ora Veldhris ed i suoi compagni vedevano era grande meno della metà, tuttavia abbastanza da lasciarli tutti con tanto d'occhi.

Sollecitati dal Maliscalco Zonev, i prigionieri salirono sull'imbarcazione, seguiti dalla scorta; rimasero indietro solo quattro uomini con il compito di riportare i cavalli al forte, mentre gli altri andavano a completare l'equipaggio della nave.

Mikor protestò vivacemente. "I cavalli sono tutto quello che ci rimane! Non potete..."

"Possiamo, invece", ribatté il Maliscalco, tranquillamente. "Se il Kirton deciderà il vostro favore, i cavalli vi saranno restituiti. In caso contrario virgola non vi serviranno più."

A quel chiaro avvertimento, il principe ingoiò la rabbia e si lasciò condurre sottocoperta con gli altri. Veldhris, indispettita, si chiese se fosse solo l'arroganza, o non anche un pizzico di stupidità, a far agire Mikor con tanta tracotanza.

Il viaggio sul fiume durò tre giorni e due notti. In quell'arco di tempo, durante il quale rimasero quasi sempre rinchiusi in due cabine, gli uomini in una e le donne nell'altra, Nirvor svelò a Veldhris il segreto, ignorato persino da Rova, la Maga di Corte, per far apparire sulla fronte il Segno della Corona, di modo che fosse visibile a chiunque per brevi istanti.

"Può essere usato come prova irrefutabile della tua eredità e identità", le disse l'Argentea. "Stai perciò attenta all'uso che ne farai."

La sera del terzo giorno di navigazione giunsero in vista di una città cinta di formidabili bastioni, che sorgeva su di un colle tondeggiante completamente circondato da un fossato, distante circa mezzo chilometro dal fiume. Un'ampia strada selciata si avvolgeva a spirale verso la sommità, dividendo la città in strati o livelli sovrapposti, fino a giungere alla residenza del re, un cupo castello disadorno.

La nave attraccò ad un molo, aggiungendosi alle molteplici imbarcazioni che affollavano il porticciolo, ed il Maliscalco Zonev si affrettò a scendere nella cabina delle donne per consegnare a Nirvor un ampio mantello nero con cappuccio, con l'ordine di metterselo e di non toglierselo prima di giungere in presenza del Kirton. Nirvor accettò di buon grado, giacché il suo aspetto non sarebbe altrimenti certo passato inosservato e non desiderava esporsi a eventuali spie di Rakau, mentre a Veldhris venne spontaneo chiedersi le ragioni di quel desiderio di segretezza da parte del Maliscalco.

Infine, i prigionieri furono fatti sbarcare assieme alla scorta venuta dal torrione; alla fine del molo trovarono dei cavalli già sellati per i soldati ed un carro.

"Yekat!" chiamo il Maliscalco, rivolgendosi al suo luogotenente. "Precedici e annuncia a re Coriv che gli portiamo dei prigionieri. Riferiscigli tutto quello che ti ho detto di loro, poi torna con la sua risposta."

Yekat balzò in sella e partì al galoppo. Zonev fece cenno ai prigionieri di salire sul carro ed ai suoi uomini di montare a cavallo, dopodiché si issò a sua volta in groppa e diede l'ordine di muoversi.

La strada che portava in città era alquanto sconnessa e gli otto viandanti dovettero sopportare parecchi scossoni prima di giungere sul ponte levatoio.

Zonev si rivolse a Veldhris. "Benvenuta nella nostra capitale, Kirton l'Imprendibile, Altezza."

"Grazie, Maliscalco", rispose lei, sostenuta. "Avrei preferito giungervi da ospite, anziché da prigioniera."

"Son tempi duri", si limitò a ribattere l'uomo, con una nota di tristezza nella voce che si sarebbe detta insolita in un soldato come lui, che ai tempi duri doveva essere abituato.

Cominciarono a risalire la strada serpeggiante. Molta gente si affacciava alle finestre ed alle porte od interrompeva la propria attività per osservare il passaggio del gruppo di soldati con i prigionieri, con sguardi diffidenti ed anche timorosi.

Veldhris era a disagio, ma comprendeva la loro ansia, che era un altro risultato della tirannia del Potere Oscuro. Una volta di più sentì rinfocolarsi il suo desiderio di combattere l'origine di quel male terribile, che aveva contaminato la terra – la sua terra, non solo in quanto abitante ma anche in quanto sovrana...

Respinse subito, spaventata, quel pensiero che le era giunto come di soppiatto nella coscienza, pensiero che la riempiva di apprensione quasi quanto quello dello scontro con Rakau.

Le sue riflessioni vennero interrotte dall'arrivo di Yekat, il luogotenente di Zonev, che riferì: "Il Kirton desidera interrogare subito i prigionieri in privato, nella sua Stanza di Lavoro."

"Bene, li scorterò personalmente", decise il Maliscalco.

Mezz'ora dopo, gli otto viandanti furono fatti scendere dal carro nel cortile del castello e condotti per oscuri corridoi pieni di archi fino alla saletta dove li attendeva il Kirton. La stanza, abbastanza vasta, era arredata austeramente, con un tavolo di legno massiccio, due panche, varie sedie, alcuni scaffali ingombri di carte e pergamene. Nessun tendaggio o arazzo mitigava l'asprezza delle pareti di pietra prive d'intonaco, e solo il fuoco acceso nel caminetto e in due bracieri di bronzo rallegrava l'ambiente; varie lampade ad olio illuminavano i due uomini ivi presenti. Quello seduto a capotavola, notò Veldhris, era più vicino ai sessanta che ai cinquanta e non portava né corona né scettro: abbigliato come un guerriero, con l'elmo posato sulla chioma bionda appena striata di bianco e la spada al fianco, dal portamento e dallo sguardo fiero si capiva immediatamente che era il sovrano. In piedi accanto a lui, sulla destra, stava un bel giovane, anche lui biondo, poco più che ventenne, in tenuta da soldato come l'altro. Nonostante la folta barba del più anziano, la rassomiglianza tra i due era evidente, indicando stretti legami di sangue.

Zonev s'inchinò davanti ai due. "Kirton, mio re; Giovane Kirton, mio principe. Ho condotto il prigionieri", annunciò rispettosamente.

Gli occhi chiari di Coriv, il sovrano-guerriero, luccicarono muovendosi nella luce delle lampade per posarsi sugli otto viandanti con sguardo indagatore.

"Chi di voi è la principessa Veldhris?" domandò con voce baritonale, leggermente rauca.

Veldhris fece un passo avanti e si produsse in un inchino, maschile giacché vestiva in quella foggia. "Sono io, Maestà", rispose.

Il re fece un gesto come a schermirsi e scosse il capo. "L'unico titolo di cui mi fregio quale capo del Popolo dell'Unicorno è Kirton. Niente maestà, sire o mio signore."

Veldhris assenti per indicare di aver capito ed attese.

Il Kirton la scrutò attentamente, poi disse: "Le notizie che ci avete fornito sono piuttosto scarne, Altezza."

"Chiedete quello che volete, Kirton", ribatté la cantante. "Se posso, risponderò."

Il re avvampò di collera e batté un pugno sul tavolo. "Se potete?!" ruggì. "Vi ricordo che siete mia prigioniera!"

Veldhris non batté ciglio: nonostante il curioso accento che contraddistingueva i Kirton, compreso il loro re, il tono di voce le aveva chiaramente rivelato che, dietro lo scoppio d'ira, c'era la preoccupazione viva. Del resto, il sovrano era di carattere collerico ed austero, ma retto e generoso, come in seguito avrebbe appurato. Intanto, con tranquillità, ricambiava lo sguardo fiammeggiante del suo interlocutore.

Zonev, inquietato, tentò di intervenire: "Kirton, mio Re..."

Coriv lo zittì con un gesto brusco, continuando a fissare Veldhris, che non abbassò gli occhi. Lentamente, la collera svanì. "Avete del sangue freddo, Altezza", riconobbe infine. "Ad ogni modo, vorrei conoscere anche i nomi dei vostri compagni."

A questo Veldhris poteva rispondere rispettando la verità quasi in pieno. "Mio fratello Roden", cominciò, indicando via via le persone nominate. "Le mie cugine, Kareth e Kejah. I miei cugini, Mikor e Sekor, figli del sovrano della mia patria, il Regno del Lago. Freydar, principe del sangue e capitano delle guardie. Ed infine la sacerdotessa degli Dei d'Argento, cui ci si rivolge chiamandola Donna Argento."

Quest'ultimo particolare era stato concordato durante la navigazione, assieme ad altri dettagli, tutti atti a celare la loro vera provenienza e la missione che stavano compiendo.

Veldhris, senza attendere le domande del re, continuò. "Sono in viaggio per adempiere un voto che feci quando mio padre si ammalò gravemente: chiesi agli Dei d'Argento di farlo guarire e in cambio io avrei cercato il mitico Amuleto di Ghiaccio che, secondo la leggenda, si trova nell'estremo nord dello Shyte. Questa è la ragione per cui la sacerdotessa Donna Argento mi accompagna."

La cantante era piuttosto stupita della facilità con cui era riuscita ad intessere quella ragnatela di bugie: poco avvezza a mentire, scopriva in sé, non senza inquietudine, un'insospettata dote da commediante. Ciò nonostante, sostenne lo sguardo indagatore di Coriv senza sforzo.

Il Kirton valutava pensieroso quanto gli era stato rivelato, in cerca di indizi su quanto, invece, gli era stato tenuto nascosto. Sentiva, intuiva che dietro alla presenza di quello strano gruppo di stranieri si celava qualcosa di grave, molto più di quanto le parole di Veldhris potevano far supporre.

Il Giovane Kirton, ignaro delle preoccupazioni paterne, fissava apertamente le gemelle, in particolare Kareth, e la cacciatrice, accorgendosi dello sguardo del giovanotto, lo fissò a sua volta, perplessa da quell'interesse. Lo aveva giudicato subito molto attraente, ed ora ne aveva conferma: un volto dall'espressione leggermente pensierosa, in cui brillavano occhi di un azzurro chiarissimo, capelli biondi lunghi sul collo, zigomi alti, naso sottile, bocca decisa ed un fisico forte, da guerriero. Uno strano brivido scese lentamente la spina dorsale di Kareth.

"Non mi avete detto tutto", disse infine il re, interrompendo il silenzio che era calato nella stanza. "Ma non mi sembrate malintenzionati. Tuttavia, non desidero incorrere nell'ira di Rakau: dovrò chiamare il suo ambasciatore affinché indaghi sul vostro conto. Se non ci saranno problemi, saremo lieti di lasciarvi proseguire il viaggio, restituendovi i cavalli e dandovi anche un aiuto per quanto riguarda viveri e vestiario. In caso contrario, però..."

Tacque, ma la frase, che non era una minaccia, era eloquente.

Veldhris impallidì: erano perduti!

"Raccontagli la verità, Veldhris", le sussurrò Nirvor all'orecchio. "L'ho esaminato bene: l'Oscurità è lontana dal suo animo. Sapendo chi sei veramente, ci aiuterà."

"Cos'ha detto la sacerdotessa?" indagò il Giovane Kirton. "Non si deve sussurrare in presenza del Kirton mio padre."

La voce, nonostante le parole, non era brusca, ma conteneva un blando rimprovero; Kareth ne fu favorevolmente impressionata.

"Donna Argento mi ha suggerito di raccontarvi tutta la verità, Kirton", disse Veldhris con assoluta sincerità. "Quanto ho da dirvi, però, deve essere ascoltato soltanto da voi."

"Non ho segreti per mio figlio", ribatté Coriv.

"Voi forse no", insistette la cantante. "Ma io sì."

L'inappuntabilità dell'osservazione parve colpire il re. "Come desiderate", decise. Si alzò e fece un cenno al figlio. "Neys, ti spiace provvedere alle necessità dei prigionieri? Forse hanno fame, o sete, saranno stanchi del viaggio..."

"Ci penso io, padre", disse Neys, annuendo.

"Bene. Vogliate seguirmi, Altezza."

Veldhris non se lo fece ripetere e si allontanò con il re verso il fondo della stanza.

Sekor, preoccupato, la seguì con lo sguardo, trattenendo Rollie che voleva correrle dietro. "Ma è prudente lasciarla sola con quell'energumeno?" sussurrò.

Nirvor lo rassicurò. "Non c'è pericolo, Altezza. Ora è al sicuro."

Coriv condusse Veldhris in un piccolo locale un po' più confortevole, fornito, oltre che di caminetto acceso, di sedie imbottite dagli alti braccioli e di due piccoli tavolini.

Memore delle parole di Nirvor, la cantante andò subito al punto, con un solo piccolo preambolo. "So che nonostante il vassallaggio non siete amico della Signora dei Draghi Neri", cominciò, e vedendo che il Kirton stava per protestare, giustamente timoroso di un tranello, si affrettò ad aggiungere. "Inutile che lo neghiate: la mia sacerdotessa ha letto nel vostro animo. Non temete, anch'io sono nemica del Potere Oscuro che domina l'antico impero di Shyte."

"E io come posso esserne certo?" indagò Coriv, prudente. Una luce però si era accesa in fondo al suo sguardo grigio-azzurro, come una speranza subito soffocata dal timore di una delusione.

"Avete sentito parlare della Profezia di Arcolen?" rispose lei con una contro-domanda.

Il re annuì. "Certo, tutti la conoscono, ma sono ben pochi coloro che danno credito a questa leggenda."

"Non è una leggenda, Kirton", lo contraddisse Veldhris con pacata fermezza. "La prova sono io. Perché io sono l'Erede di Arcolen."

Coriv la fissò, incredulo. "Cosa?! Siete pazza!"

"Posso provarvelo", continuò lei, ignorando l'interruzione e grata a Nirvor per i suoi insegnamenti. "Conoscete il Segno della Corona?"

"Un triangolo rovesciato", rispose il Kirton. "Ma non credo che..."

S'interruppe di botto: sulla fronte di Veldhris, tra le sopracciglia, era apparso un triangolo con la punta rivolta in basso, luminosissimo. Un secondo, poi scomparve senza lasciar traccia.

"Donna Argento", proseguì la cantante, "in realtà è Nirvor la Custode."

Coriv non l'aveva quasi udita, sbalordito dal prodigio cui aveva appena assistito. Esitante, allungò una mano e sfiorò con un dito il punto in cui era apparso il Segno della Corona.

"Potrebbe essere un trucco, un miraggio..." mormorò. "Eppure..."

Rimase immobile per qualche istante, come ipnotizzato. Qualcosa nel profondo della sua anima, prima ancora che nella sua mente, qualcosa di non legato al raziocinio ma all'istinto, gli diceva di credere a questa giovane donna.

Poi, con un movimento improvviso, il fiero re-guerriero posò un ginocchio a terra e le porse l'elsa della propria spada. "Perdonate la mia iniziale diffidenza, Maestà Imperiale", disse in tono deciso. "Vi prego di accettare quest'arma, che pongo ora al vostro servizio."

Veldhris si sentì enormemente in imbarazzo per l'omaggio e per l'offerta. Avrebbe voluto protestare, farlo rialzare, rifiutare il suo atto di sudditanza, ma comprese che, se lo avesse fatto, avrebbe deluso e umiliato Coriv. Si sforzò quindi di assumere un atteggiamento di dignità e regalità adeguato al momento, cercando di immaginare come avrebbe agito il suo antenato Arcolen. "Accetto, Kirton", disse in tono solenne, ponendo le mani sull'impugnatura. "Accetto con gioia e con gratitudine. Ma vi prego, rialzatevi."

Coriv obbedì. Il suo sguardo lampeggiava. "Ho sempre creduto nella Profezia di Arcolen", le confidò. "E come me, tutti i miei predecessori, ma abbiamo sempre mantenuto segreta la nostra convinzione per non incorrere nelle ire di Rakau, a malapena placata dai nostri tributi. Forse è stata vigliaccheria", aggiunse, di colpo vergognoso.

"No, Kirton", lo rassicurò Veldhris. "Mostrarsi sottomessi al nemico e privi di speranza era necessario per il bene dell'intero Popolo dell'Unicorno, e pertanto non si può parlare di vigliaccheria; ma ora ascoltatemi bene: non dovete parlare con nessuno della mia identità, né di quella di Nirvor, nemmeno con coloro di cui vi fidate ciecamente."

"Nemmeno con mio figlio Neys?" chiese il re. "Lui condivide le mie idee e le mie speranze, mi fido di lui come di me stesso."

"Non ne dubito, ma prima di metterlo al corrente, Nirvor lo esaminerà come ha esaminato voi. Ci vorrà solo qualche minuto. Capite, non possiamo correre il minimo rischio."

Coriv aveva aggrottato la fonte, un po' offeso che Veldhris non gli credesse sulla parola, ma obiettivamente non poteva darle torto: dopotutto, si conoscevano da appena pochi minuti e, se lei aveva potuto fornirgli una prova concreta dalla propria identità e lo aveva convinto a fidarsi di lei, lui non poteva fare altrettanto per convincerla a ricambiare la fiducia sulla sola base della sua parola, per quanto fosse la parola di un re. "D'accordo", disse pertanto.

"Un'altra cosa", proseguì Veldhris. "Trattatemi come una principessa, quindi per rango inferiore a voi. Niente nel vostro comportamento deve dar adito a sospetti. Le spie di Rakau possono essere ovunque."

Coriv annuì. "Ai vostri ordini, Altezza", disse, senza esitare. "Sono più che mai lieto di aver dato rigide disposizioni ai miei Maliscalchi dei Confini riguardo agli stranieri: dovrei riferire all'ambasciatore di Rakau della presenza di qualsiasi estraneo in Kirtonia, ma io voglio accertarmi prima della loro identità e delle loro intenzioni, altrimenti rischio di condannare a sofferenze inaudite degli innocenti." Un'espressione d'odio gli indurì i lineamenti. "Invece, facendovi condurre qui in gran segreto, la vostra presenza nella Terra degli Unicorni passerà inosservata al nemico."

Veldhris si sentì sollevata come da un gran peso. "La vostra saggezza è pari solo al vostro senso di giustizia, Kirton. Che ne dite, vogliamo tornare di là? Donna Nirvor può esaminare vostro figlio anche subito, se non l'ha già fatto mentre parlavamo."

Coriv fu d'accordo e le porse il braccio. Tornarono nella Stanza di Lavoro, dove il re congedò il Maliscalco Zonev rassicurandolo sulle intenzioni degli ospiti, come li definì, una cosa non nuova dato che in passato era già accaduto che degli stranieri fossero accettati come amici a palazzo. Zonev, come gli altri Maliscalchi, era assolutamente fidato e avrebbe mantenuto il segreto, e con lui i suoi uomini. Quanto all'ambasciatore di Rakau, avrebbero pensato a una storia per giustificare la loro presenza a palazzo.

OOO

Passarono i giorni. Nirvor aveva esaminato Neys, trovandolo idoneo ad esser messo al corrente della loro identità, e Veldhris ne era stata lieta, tanto più che fu presto evidente che Kareth era molto attratta dal Giovane Kirton. Comunque per il momento preferì non rivelargli niente, perché meno persone sapevano, minore era il rischio. Coriv non ne fu molto felice, ma riconobbe che aveva ragione.

L'Argentea confidò alla sua protetta le proprie preoccupazioni riguardo allo scoppio d'energia che era stata costretta ad usare contro il Kraken e che la Signora dei Draghi Neri aveva sicuramente percepito.

"Pensi che Rakau possa scoprirne l'origine?" domandò Veldhris, inquieta.

"No, se nessuno le racconterà com'è accaduto", ragionò Nirvor. "Il Kirton si fida di Zonev e dei suoi uomini. Le possibilità sono basse, ma non è questo che mi preoccupa: se il Kraken era stato messo a guardia del Lago dalle Acque Nere, prima o poi Rakau verrà a sapere che c'è stato uno scontro e vorrà capire come sia stato possibile che quel mostro abbia subito i danni che gli ho inflitto. Anche se il Kraken non è intelligente, Rakau potrà estrargli le informazioni dai ricordi."

Veldhris assunse un'espressione angosciata e la Custode le posò una mano sul braccio con fare rassicurante. "C'è anche la possibilità che il Kraken si sia installato nel lago di sua propria scelta e non sia quindi tenuto d'occhio in modo particolare da Rakau, pertanto la notizia non giungerà ai suoi orecchi. Devo chiedere in giro cosa ne sanno qui del mostro, mi aiuterà a capire se e quanto rischioso sia rimanere qui."

"Va bene", annuì Veldhris." In base a quello che apprenderai, sapremo come comportarci", poi sospirò. "Povera Stella Nera, che brutta fine..."

Anche se erano state insieme per poco tempo, si era affezionata alla bella e paziente cavalla e non aveva dimenticato l'orribile sorte che il Kraken le aveva inflitto.

"Finché tutti crederanno che siamo lontani parenti della defunta moglie di Coriv, saremo al sicuro", osservò Nirvor, facendo riferimento alla storia concordata con il Kirton. "Voi rimanete qui, a riposare e a fare preparativi per la prossima tappa, il Deserto di Neve. Io indagherò sugli eventuali echi suscitati dalle mie azioni contro il Kraken."

"Quindi ci lasci?" domandò Veldhris, incapace di nascondere la propria ansia.

"Sì, ma non temere, non ci vorrà molto, e se ci fosse pericolo, sai come chiamarmi", le ricordò l'Argentea.

Quella stessa notte, la Custode se ne andò in gran segreto. Veldhris spiegò le ragioni della sua scomparsa al re, che fece spargere la voce che Donna Argento si era ritirata in preghiera e digiuno in un angolo riservato del castello, cosicché nessuno si meravigliasse della sua assenza.

Nessuno degli otto viandanti poteva saperlo, ma la permanenza in Kirtonia si sarebbe protratta in modo imprevedibile ed avrebbe portato novità del tutto inaspettate.


(L'immagine della copertina di questo capitolo è di Omupied su Deviantart)

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