Capitolo VIII: Il Cerchio di Pietre
Capitolo VIII: Il Cerchio di Pietre
I sette viandanti tennero i cavalli al galoppo finché la sinistra cortina di gelida caligine fu ben lontana alle loro spalle, quindi si concessero una breve sosta per rifocillarsi. Kejah preparò nuovamente la tisana della sera precedente e la distribuì.
"Cugina, non ti par di esagerare coi tuoi beveroni?" protestò Roden. "Sono così ingrati da far scappare a gambe levate anche i più coraggiosi!"
"Saranno anche ingrati, ma fanno bene", replicò Kejah senza scomporsi. "Non credere che perché sei grande e grosso ti sia impossibile ammalarti! Dopo tutto quello che abbiamo passato in quell'orribile acquitrino rischiamo la polmonite, se non facciamo niente."
"Sagge parole le tue, Kejah", convenne Sekor; la cacciatrice s'illuminò al suo apprezzamento, ma cercò di nasconderlo, tuttavia Veldhris, che la stava osservando di sottecchi, lo notò e pensò che non l'aveva mai vista comportarsi con tanta discrezione nei confronti di un uomo che l'attraeva. Le dispiacque sapersi la causa di tale atteggiamento, ma purtroppo non poteva farci nulla; non aveva mai incoraggiato Sekor e si comportava con lui come con tutti gli altri, e non poteva mettersi a trattarlo male per allontanarlo da sé con il rischio di ferirlo o, peggio, di inimicarselo. Lo sapevano gli dei quanto bisogno aveva di amici e sostenitori! Ne aveva più che a sufficienza con Mikor ed il suo sordo rancore, non aveva certo bisogno di altro astio tra i compagni che la seguivano nella sua pericolosa missione.
Durante la breve tappa, nessuno chiese a Veldhris spiegazioni riguardo all'accaduto, evidentemente aspettando che fosse lei a decidere quando sarebbe stato il momento. La cantante s'accorse che i suoi compagni stentavano a frenare la loro ansia di sapere, ma sbirciando la coltre di bruma che ancora s'intravedeva all'orizzonte dietro di loro, giudicò meglio allontanarsi ancora un po' prima di rievocare i fatti agghiaccianti che erano accaduti, e pertanto tacque.
Consumato un pasto veloce, i sette viandanti cancellarono come sempre le tracce del loro bivacco e si rimisero in marcia costeggiando un torrente, che proveniva da nord per andare a perdersi nell'acquitrino.
Nel tardo pomeriggio, prima che il sole tramontasse, raggiunsero un'erta collina circondata da alture minori, dove decisero di passare la notte. La zona era rocciosa e la scarsa vegetazione era costituita da pochi ciuffi d'erba e da stenti cespugli e rovi spinosi, ma offriva un buon riparo dal vento che, come una gelida lama, aveva preso a soffiare da settentrione.
Approfittando del torrente, che avevano continuato a seguire e che attraversava le alture, lavarono i loro vestiti imbrattati di melma, stendendoli poi su delle corde tese tra due alberelli, e accesero due fuochi – uno per parte – per accelerarne l'asciugatura. Poi, non potendosi propriamente lavare i capelli per non rischiare di buscarsi un malanno, bagnarono le spazzole e le usarono per strigliarsi per bene, togliendo gli ultimi residui di fango essiccato.
Infine, accoccolati attorno al fuoco acceso nella conca prescelta per l'accampamento, i compagni di Veldhris ascoltarono sbigottiti il suo racconto a proposito degli Spettri delle Paludi e del suo colloquio con essi. Quando finì, Kareth esclamò:
"Adesso capisco perché fuggivano urlando sentendoti cantare!"
"Già", considerò Roden, pensieroso. "Sono stati intrepidi guerrieri, ma ricercavano la pace, così non potevano sopportare di udir declamare gesta eroiche e gloriose che evocavano le proprie."
Tutti si sentirono rabbrividire al ricordo del pandemonio che si era scatenato come reazione all'offensiva canora di Veldhris.
"È stato orribile", disse Kejah. "Come hai fatto a non morire di paura, Vel?"
Veldhris accarezzò distrattamente Rollie, sforzandosi di ricordare, poi scosse la testa. "Non lo so, Kejah. Proprio non lo so. Ho agito d'istinto, senza riflettere."
"Hai dimostrato un sangue freddo incredibile", dichiarò Sekor in tono ammirato. Veldhris gli lanciò un'occhiata, sentendosi lusingata dal suo apprezzamento.
"Sì, sei stata eccezionale", riconobbe Freydar con una certa fretta, quasi seccato di non essere stato lui il primo a complimentarsi con lei.
Veldhris si sentì le guance accaldate ed evitò di guardarlo. "Ho solo fatto del mio meglio."
"Questo non sminuisce quel che sto per dirti", sogghignò Roden. "Sei stata grande, sorellina!"
Lei fece una buffa smorfia e lo guardò da sotto in su per enfatizzare la propria statura minuta. "Mica poi tanto, fratellone!"
Risero tutti alla sua uscita: certo, il suo metro e sessanta scompariva, in confronto al metro e novanta del fratello adottivo, ma la sua spiritosaggine nulla tolse al significato autentico delle parole di Roden. Con il suo comportamento, Veldhris aveva per la prima volta messo completamente in luce la volontà indomita, il coraggio e la generosità che la caratterizzavano, qualità finora in parte sconosciute a lei stessa, che la rendevano degna erede del suo grande antenato, Arcolen il Saggio, e pienamente meritevole delle lodi dei suoi amici.
La cena fu frugale, a base di carne salata e gallette: ora infatti avevano viveri per una settimana scarsa e dovevano pertanto cominciare a razionarli, non sapendo quando avrebbero potuto rifornirsi
Il mattino seguente ripartirono poco dopo l'alba. Il cielo era limpidissimo, di un bell'azzurro intenso, ed il sole brillava scacciando il gelo della notte.
Veldhris annusò l'aria con espressione intenta. "C'è odore di neve", sentenziò.
Sekor, che le cavalcava accanto, la guardò con aria stupita. "Ma non c'è una sola nuvola in cielo!"
"Invece ti dico che prima di sera nevicherà", insistette Veldhris con tranquilla sicurezza. "Non mi sbaglio mai, in questo."
"Veldy ha ragione", intervenne Roden, dall'altro lato della cantante, guidando con le ginocchia il suo impetuoso roano Vento di Fuoco. "Ricordo che le poche volte che a Tamya nevicava, lei lo prevedeva con mezza giornata di anticipo e anche di più, ma non sono mai riuscito a sentire l'odore della neve, come dice lei."
"E io mi domando come fai tu a non sentirlo", replicò prontamente Veldhris sorridendo. "Per me è chiarissimo: un odore acuto, freddo, che punge le narici, per così dire."
"Adesso ti pungo io!" scherzò Roden, accarezzando l'impugnatura del suo coltello da caccia.
Veldhris rise e spronò Stella Nera, fingendo di scappare dall'inesistente minaccia del fratello. Così facendo, affiancò Freydar, che era in testa alla comitiva.
Per un po' caracollarono in silenzio. "Anche razionando i viveri, non possiamo continuare per molto", osservò poi Veldhris con gravità. "Dobbiamo trovare un posto dove rifornirci."
Freydar assottigliò le labbra in un'espressione preoccupata. "Sì, hai ragione: il cibo ci basterà appena per una decina di giorni, anche economizzando al massimo. Purtroppo nessuno della mia gente si è mai spinto tanto a nord, per cui non ho la più pallida idea della direzione da prendere per trovare un luogo adatto."
"Una vale l'altra, a questo punto", considerò Veldhris cupamente, guardando cogitabonda verso nord. Freydar capì che nemmeno la penuria di vettovaglie l'avrebbe indotta a recedere dal suo proposito, a riprova della sua ferma volontà di portarlo a termine.
In Veldhris era andato infatti maturando un proposito ferreo di continuare, di persistere ad ogni costo. Il nucleo di volontà indistruttibile intuito da Kejah nella Foresta del Vespro ed intravisto da re Oolimar a Zarcon, finora ignorato dalla stessa Veldhris, cominciava a manifestarsi chiaramente, e niente al mondo l'avrebbe spezzato. Anche Freydar lo comprese, inducendolo a guardare con occhi diversi quella singolare giovane donna, la cui personalità si stava rivelando, di giorno in giorno, con nuovi lati sempre più sorprendenti.
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Nel pomeriggio, il cielo si riempì di nuvole bianche e soffici cariche di neve, e poche ore prima del tramonto cominciarono a cadere grossi, indolenti fiocchi candidi. La temperatura precipitò, costringendo tutti ad aggiungere uno strato al proprio vestiario e ad imbacuccarsi nei caldi mantelli con cappuccio. Ben presto il terreno fu ricoperto da uno strato di neve. Fortunatamente, non c'era vento e i fiocchi non s'infittirono, così la comitiva poté proseguire agevolmente. Prima di sera la nevicata cessò ed i viandanti si fermarono per la notte. I mantelli di tela cerata che isolavano i loro giacigli dalla neve ed il fuoco che venne mantenuto acceso tutto il tempo mitigarono il gelo delle ore notturne. Come sempre, poco dopo l'alba i sette erano di nuovo in marcia.
Quel giorno, il cielo si mantenne coperto e nevicò ancora, tanto che, da qualsiasi parte guardassero, non vedevano che bianco, per terra e sopra le loro teste. Continuò a nevicare in modo lieve fino a notte fatta, poi smise, ma solo per ricominciare al mattino.
I viandanti continuarono ad avanzare nella neve, fortunatamente mai troppo alta, per tutto quel giorno e quello seguente, mentre le provviste si assottigliavano sempre di più e la loro preoccupazione cresceva.
Finalmente, verso mezzodì del sesto giorno dacché erano sfuggiti alle Paludi del Sonno, il dodicesimo di novembre, la comitiva ormai stremata giunse sul limitare di una foresta di conifere e pini, che cominciava sulle falde di un colle isolato e proseguiva per molti chilometri quadrati dietro di esso, estendendosi verso nord. Qui trovarono una caverna asciutta e ben isolata abbastanza grande perché li accogliesse tutti comodamente, uomini e cavalli; sul fondo, dietro un diaframma di roccia striata di quarzo giallo che ostruiva metà passaggio, Freydar scoprì una sorgente d'acqua limpida e gelida che si riversava in una pozza poco profonda e scorreva subito via in un canale sotterraneo.
La foresta di conifere era abbastanza oscura a causa degli alberi fitti, ma popolata di molta selvaggina, come scoprirono Kareth, Kejah e Sekor quello stesso pomeriggio, con gioia e sollievo di tutti. Ora di sera, le gemelle tornarono con un cinghiale, trasportato a spalla appeso ad un grosso ramo, e Sekor con due galli cedroni, specie piuttosto rara nella Foresta del Vespro ma che lì abbondava. A cena si concessero quindi di mangiare abbondantemente, mentre i cavalli poterono pascolare nei dintorni con erbe, foglie e radici, senza perdere di vista i loro cavalieri. Come aveva spiegato loro Freydar prima della partenza da Zarcon, tutti i destrieri erano addestrati ad accorrere appena udivano il fischio o la voce del loro cavaliere, addestramento condiviso anche da Nevesole e Tempesta, i cavalli di Sekor e Mikor. Rim e Ram, i due cavalli da soma, non erano addestrati allo stesso modo, ma istintivamente seguivano i destrieri e imitavano il loro comportamento.
Il sommario pasto sembrò a tutti a dir poco prelibato, tanto che alla fine a Roden sfuggì un rutto che, con suo sommo imbarazzo, suscitò l'ilarità generale.
"Bene", disse infine Kejah, alzandosi. "Finalmente siamo in grado di darci una lavata come si deve. Abbiamo l'acqua qui comoda e anche la possibilità di privatezza", accennò al diaframma screziato di quarzo che nascondeva la fonte. "Mettiamo una pentola sul fuoco, così avremo acqua calda", propose.
"Idea eccellente", approvò Veldhris, rammentando che l'ultima volta che avevano potuto fare un bagno era stato tre settimane prima, nelle Colline Grigie, perché dopo di allora aveva cominciato a far troppo freddo per potersi bagnare in un torrente.
Portarono dunque delle torce nel vano dietro allo schermo di roccia, e con l'acqua scaldata sul fuoco, a due o tre alla volta, si detersero dalla sporcizia del viaggio.
Portati i cavalli nella caverna affinché stessero al riparo dal freddo notturno, stanchi morti ma molto più sereni di quanto non lo fossero stati negli ultimi giorni, i viandanti andarono a dormire.
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Sostarono nella foresta di conifere otto giorni, rifornendo le loro magre provviste e riposandosi dalle fatiche del viaggio. Freydar insegnò a Veldhris come fare le gallette, impastando farina ed acqua e cucinandole poi su di un sasso piatto arroventato sul fuoco, e la giovane donna ne preparò una buona quantità.
Partirono all'alba del ventesimo giorno di novembre, sotto un cielo sereno ma freddo: erano carichi di vettovaglie e lo spirito era tornato alto.
Per tutto il primo giorno, costeggiarono la foresta diretti a nord, poi si addentrarono in una vasta pianura erbosa, che però andò via via trasformandosi finché, nel giro di due giorni, non divenne molto simile alla regione deserta e squallida situata tra i confini settentrionali di Zarcon e le Colline Grigie, solo che questa aveva molte analogie anche con le Maleterre: un'arida brughiera, piatta e desolata, con radi ciuffi d'erba corta e dura che affioravano qua e là dal terreno sabbioso, intercalati da bassi cespugli spinosi. A vista d'occhio si contavano forse tre o quattro alberi rinsecchiti, e non c'era traccia d'acqua.
La comitiva si fermò ad osservare sgomenta il paesaggio desertico che le stava davanti.
"Ma è spaventoso", mormorò Kareth, scoraggiata.
"Non è peggiore della Maleterre", osservò Veldhris.
"Non è esatto", puntualizzò Mikor con una certa asprezza. "Allora sapevamo quanta strada avremmo dovuto fare senz'acqua, mentre ora non abbiamo idea di quanto sia estesa questa landa desolata."
Veldhris non rispose e rimase a fissare il nord, dritto davanti a loro.
Roden si schiarì la gola. "Veldy... non avrai intenzione di attraversare questa steppa, spero."
La cantante non si girò. "Freydar", disse invece. "Razionando l'acqua, quanti giorni di autonomia abbiamo?"
Il capitano, chiamato in causa, fece un rapido calcolo. "Ecco, limitandoci a razioni ragionevoli per noi e per i cavalli, direi non più di otto o nove giorni", rispose.
"Calcolo prudente o ottimista?" incalzò Veldhris.
"Prudente."
Veldhris meditò sulla questione, in silenzio. Gli altri attesero la sua decisione con animo più o meno ansioso.
"Andiamo"; disse la giovane donna, tanto all'improvviso da far sobbalzare più d'uno al suono della sua voce.
"Ma è una follia!" Mikor quasi lo gridò.
Lei scosse il capo. "Non credo. Devo andare. È come se mi stessero chiamando", si voltò verso il fratello e le cugine. "Vi ricordate a Tamya? Vi ho detto che sentivo come un richiamo..."
Dopo un attimo di esitazione, Kejah annuì. "Sì, Vel, lo ricordiamo. Ma allora era Rova, mentre qui, in questa landa, chi mai potrebbe essere?"
Veldhris scosse di nuovo la testa. "Non lo so, ma intendo scoprirlo. Si tratta di qualcosa legato alla Corona di Luce... so che è così."
"È da incoscienti!" esclamò Mikor con veemenza. "Non posso e non voglio rischiare la vita per una stupida sensazione!"
"Nessuno ti obbliga a seguirmi, Mikor", ribatté Veldhris, la voce gelida e tagliente come una lama di ghiaccio. "E se nessuno è disposto a farlo, andrò da sola, portando Ram con me. Voi potete tutti tornare indietro, se così desiderate."
Era una finta, perché Veldhris sapeva bene che perlomeno Roden e Sekor l'avrebbero accompagnata, non fosse che per proteggerla. Se non avesse avuto questa certezza, non avrebbe parlato così, non tanto perché avesse paura, quanto perché sapeva che da sola non se la sarebbe mai cavata. E lei era tutto fuorché incosciente, come invece sembrava ritenere Mikor. Il richiamo che sentiva era assai simile a quello di Rova, perfino più forte. Doveva saperne di più, assolutamente: ne andava della Corona, e tanto le bastava per decidere.
Come aveva previsto, Roden e Sekor furono i primi a farsi avanti.
"Sai bene che non ti lascerò, Vel!" sbottò il boscaiolo. "E credo di parlare anche per buona parte degli altri."
"Esatto", confermò Sekor con enfasi.
Kejah e Kareth non dissero nulla ma, come sempre comprendendosi senza parole, fecero avanzare Ardia e Messere fino a portarli accanto a Stella Nera.
Freydar non riuscì a reprimere un sogghigno. "Mi pare che la nostra compagnia abbia deciso", disse in tono neanche tanto velatamente ironico, rivolto a Mikor.
Il Signore della Foresta, scuro in volto, serrò la mascella. "Non sarò certo io a tirarmi indietro", disse, torvo. "Anche se è una pazzia."
Veldhris nascose il proprio sollievo. "Allora muoviamoci", esortò tutti, avviandosi al passo.
Gli altri si accodarono.
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Fin dal primo giorno dell'attraversata delle Brughiere Aride – come le denominarono subito – il cielo si velò di uno strato di persistente foschia, che celava il sole e creava una luminosità pallida e triste sulle già pallide e tristi distese di quella landa deserta. Solo occasionali alberi, scheletrici e quasi neri, come bruciati, rompevano la monotonia della sterminata pianura, che nessun alito di vento percorreva, cosicché l'aria era pesante ed afosa nonostante il freddo.
La direzione in cui la comitiva si muoveva era lievemente cambiata perché, per seguire il misterioso ed inaudibile richiamo, Veldhris aveva scelto il nordest, verso cui puntava dritta e senza esitazioni. In realtà – ma questo non lo diede a vedere – la sua sicurezza era solo apparente, perché sovente il dubbio l'assaliva: aveva il diritto di rischiare la vita dei suoi compagni per rincorrere una mera sensazione, quel richiamo puramente soggettivo? Il suo buonsenso si ribellava, eppure non poteva rinunciare: la Corona di Luce era troppo importante, e con essa qualunque cosa che la riguardasse. Importante per lei, e non solo per lei, rifletteva, tentando di trovare una giustificazione che la soddisfacesse; ma il timore di essere in torto non si attenuava.
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Proseguirono in quella direzione per quattro interi giorni. Nel pomeriggio del quinto giorno, lontano sulla pianura, gli occhi allenati di Freydar scorsero una macchia scura che non era un albero. La indicò a Veldhris. "Cosa ne dici?" la interrogò.
La cantante scrutò il punto che lui le stava mostrando. "È quello che cercavo", rispose sottovoce, come trasognata.
Spronarono le cavalcature al trotto; nel giro di un'ora, raggiunsero la meta e si fermarono a breve distanza, osservandola meravigliati.
Era un cerchio, del diametro di cinquanta metri, di massicci pilastri rettangolari in granito grigio alti cinque metri, sormontati da architravi ugualmente massicci; all'interno si vedeva un cerchio di monoliti piatti alti la metà, e più all'interno ancora, un ferro di cavallo composto di cinque coppie di colonne unite da un architrave a comporre un trittico di parallelepipedi di pietra, più alti del cerchio esterno di un paio di metri. Un ulteriore ferro di cavallo di monoliti piatti si situava all'interno dei triliti. Alcuni dei massi più piccoli erano spezzati, altri erano storti o addirittura caduti, mentre i blocchi di pietra coperti da architravi erano ancora tutti intatti, seppure scheggiati e danneggiati dal tempo e dall'azione dei fenomeni atmosferici.
Da tutta l'imponente costruzione pareva emanare un senso di arcana, silente possanza che riempiva gi animi di reverenziale timore. Il luogo pareva essere antico quanto il mondo, ed il silenzio sovrumano che lo circondava rafforzava tale impressione, perché sembrava che lì il Tempo si fosse fermato.
"Che cos'è?" domandò infine Sekor, spezzando quel silenzio innaturale ed oppressivo.
"Sembra un monumento agli dèi di un'era barbarica", disse Kareth, sbirciando i blocchi di granito con un senso di enorme rispetto per i suoi costruttori.
"Forse era un osservatorio astronomico", azzardò Freydar, rammentando gli strumenti usati dagli scienziati di Zarcon, strumenti che in qualche modo ravvisavano la struttura della costruzione che gli stava davanti.
Incerti sul da farsi, vagamente intimoriti dall'aura di silenzioso potere emanata dagli immobili pilastri di pietra, i sette se ne ristavano a qualche passo dalla cinta esterna.
"Io so cos'è", disse Roden all'improvviso, facendo trasalire tutti. "È il Cerchio di Pietre, dove avvenne lo scontro tra Arcolen e Rakau. È narrato nei miti della Foresta."
"È vero!" esclamò Mikor con insolita enfasi, suo malgrado affascinato dalla misteriosa costruzione. "Adesso che l'hai detto, me ne ricordo anch'io."
Kejah occhieggiò le enormi colonne. "Sembra non essere un posto di questo mondo", osservò a bassa voce, impressionata.
Veldhris non aveva ancora detto nulla. Sempre in silenzio, smontò di sella e si avviò verso i cerchi concentrici. Rollie, come d'abitudine, la seguì, ma giunto presso la cinta esterna si fermò, esitante, come se qualcosa lo intimorisse troppo per proseguire.
Freydar scese da cavallo e ricalcò in fretta i passi della giovane donna, imitato subito da Sekor.
Intanto, Veldhris aveva già raggiunto e superato il cerchio interno ed anche i triliti disposti a ferro di cavallo, ma dopo pochi passi si fermò, al di fuori della serie più interna di monoliti piatti.
Freydar sopraggiunse alle sue spalle e le si affiancò; dopo un attimo arrivò anche Sekor. Incuriositi, i due uomini osservarono la cantante, sul cui viso aleggiava un'espressione talmente assente da preoccuparli.
"Veldhris?" chiamò Freydar sottovoce. Non sortendo alcun effetto, ripeté più forte. "Veldhris!"
Di nuovo lei non rispose, come se fosse lontana mille chilometri. I due principi si scambiarono un'occhiata perplessa e preoccupata: cosa stava succedendo all'Erede di Arcolen?
In quel momento vennero raggiunti dagli altri quattro componenti la comitiva. Kareth, non appena vide la cugina in quello stato semi-ipnotico, rammentò di colpo ciò che era accaduto il giorno della distruzione di Tamya, quando avevano visto l'Oscurità sulla loro città: Veldhris aveva assunto la stessa espressione di lontananza e di apatia totale. "Veldy..." l'apostrofò con cautela. "È da qui che proviene il richiamo?"
Ancora una volta, Veldhris non diede segno di aver udito. Kareth fece per posarle una mano sul braccio e scuoterla, ma Kejah la fermò con un cenno.
"Cosa succede?" domandò Mikor con impazienza, ma sottovoce, contagiato dalla solennità che avvertiva tutto attorno.
"Non lo so", rispose Roden. "È già accaduto, una o due volte. È stato il giorno della distruzione di..."
"Era un luogo buono, questo", disse Veldhris inaspettatamente, inducendo Roden ad interrompersi. Sei paia d'occhi si fissarono su di lei, ma era come se fosse sola, perché il suo sguardo era perduto in profondità insondabili. "Era un luogo incorrotto e puro", continuò con voce afflitta, come lamentandosi di una grande pena. "L'Oscurita l'ha contaminato e ne ha smorzato la vitalità, tanto tempo fa. Quando dunque giungerà la purificazione? Ah, lo strazio della terra violentata dal Male!"
Con quel grido, Veldhris si nascose il viso tra le mani, tremando violentemente.
Sekor, che le stava di fianco, istintivamente la presa tra le braccia per confortarla, e lei gli si aggrappò addosso con movimenti convulsi, come un naufrago che si avvinghia ad una tavola di legno per rimanere a galla.
Impietrita come da un immenso dolore, Veldhris rimase immobile come una statua per un interminabile minuto. Poi di colpo si rilassò e si staccò dal principe, fissando lo sguardo smarrito prima su di lui e poi sugli altri che la circondavano.
"Veldy! Stai bene?" chiese Freydar, nell'ansia chiamandola con il diminutivo usato solo dai suoi familiari.
Veldhris scrollò la testa e si passò una mano sugli occhi. "Sì ... credo di sì", rispose a fatica. Poi si guardò ancora attorno, quasi cercasse qualcosa, e l'inquietudine si dipinse sul suo viso ancora stravolto. "Non c'è più..." mormorò come a se stessa. Trasse un lento sospiro e tornò a guardare i suoi compagni, che attendevano trepidamente una spiegazione. "Andiamocene di qui", li pregò. "Non è più un buon posto."
Rapidi com'erano venuti, i sette viandanti si allontanarono dall'antichissimo monumento, il Cerchio di Pietre che mille anni prima era stato teatro del terribile duello tra la Luce e l'Oscurità.
La sera bivaccarono nell'aperta brughiera e qui, con delicatezza, Kejah si informò su quanto era accaduto.
"Non ricordo molto bene", rispose Veldhris come scusandosi. "So solo che ho visto una scena terribile, un duello, e so che si trattava di Arcolen e di Rakau. Rakau ha convinto Arcolen a togliersi la Corona di Luce, facendogli credere di rinunciare alle Quattro Pietre, ma in realtà ha deposto delle copie e si è tenuta quelle vere. Così l'ha sconfitto e poi ha cercato la Corona, ma non l'ha trovata. Era scomparsa senza lasciare tracce."
"E chi l'ha presa?" indagò Kareth, perplessa.
Veldhris si strinse nelle spalle. "Non lo so."
"Rova ha detto che ce l'ha Xos, nelle Cento Caverne", disse Sekor, pensieroso. "Dev'essere stato lui. Non l'hai visto, Veldhris?"
La cantante scosse la testa. "No. Ho visto solo Arcolen e Rakau... o meglio, li ho intravisti, come guardando attraverso un fitto velo. Sapevo che erano loro, ma non so cosa mi desse quella certezza."
Ci fu una pausa di silenzio.
"È tutto molto strano", considerò infine Freydar.
"Già", fu d'accordo Veldhris. "E finché non troveremo la Corona, tutte le nostre domande rimarranno senza risposta."
"A meno che prima non incontriamo Nirvor l'Argentea", disse Roden, serissimo.
Mikor lo squadrò con sprezzo. "Non crederai davvero che la Custode della Corona esista...?"
Roden trattenne uno sbuffo di esasperazione. "Non vi è bastato vedere comprovate leggende come i Draghi Neri, i Vampiri, il mare, il mondo oltre la Foresta, i vostri stessi antenati, per credere anche a Nirvor? Ho il sospetto che perfino quando troveremo la Corona avrete qualcosa da ridire sull'autenticità della sua esistenza!"
"Finché non vedo con i miei occhi, non sono disposto ad accettare niente!" ribatté il principe, adirato.
"Ma se escludete a priori l'esistenza di qualcosa, rischiate di trovarvi sprovveduto dinanzi agli avvenimenti!"
"Questo riguarda solo me..."
"Piantatela, tutti e due!" sbottò Veldhris, intervenendo d'autorità. "A polemizzare non si guadagna niente!"
I battibecchi del fratello adottivo con il principe la preoccupavano non poco, perché aumentavano il malanimo già esistente tra di lei e Mikor, per cui fu lieta quando i due tacquero, ammutoliti dal suo scatto di insofferenza.
Freydar si agitò, inquieto: quello stato di cose non poteva durare ancora a lungo. Prima o poi la situazione sarebbe precipitata, ed allora poteva accadere il peggio. Qualunque piega prendessero gli eventi, però, il capitano già sapeva come si sarebbe comportato: avrebbe sempre appoggiato Veldhris. Come lui la pensavano pure gli altri e Freydar era certo che anche Mikor lo sapesse: finché le cose stavano così, quest'ultimo non avrebbe osato fare o dire niente di troppo. Freydar concluse che doveva vigilare affinché, nell'equilibrio dei poteri del gruppo, nulla mutasse, compito che gli si prospettava tutt'altro che facile.
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Di notte la temperatura precipitava bruscamente a livelli molto bassi, per cui i viandanti erano costretti a tenere il fuoco acceso e ad imbacuccarsi il più possibile, ma ciò nonostante non riuscivano a scacciare del tutto il gelo. Poiché nella landa non c'era molta disponibilità di legna da ardere, ogni qual volta che la comitiva passava accanto ad uno di quei poveri alberi rinsecchiti, uno dei componenti si fermava e ne raccoglieva, spezzando o tagliando alcuni rami, ma siccome questo spesso non bastava per alimentare il fuoco tutta la notte, usavano anche i ramoscelli dei cespugli spinosi di cui era cosparsa la brughiera. Ogni notte il terreno gelava, così la mattina la piatta campagna pareva cosparsa di polvere bianca, brina che però presto evaporava.
Si dirigevano ora nuovamente verso settentrione; erano in viaggio attraverso le Brughiere Aride da ormai una settimana e la scorta d'acqua sarebbe bastata appena per altri due giorni, ma la monotona steppa non accennava a finire. Nessuno si lamentava: era troppo tardi per tornare indietro, lo era stato fin da prima di raggiungere il Cerchio di Pietre, e non c'era altro da fare che continuare sperando che presto sarebbero usciti dalla landa. La situazione era grave, ma non disperata. Non ancora, almeno.
Sul far della sera di quello stesso giorno, il penultimo di novembre, Mikor scorse qualcosa dritto davanti a loro, una macchia scura, grande, che appariva quasi all'orizzonte. Pur aguzzando lo sguardo stanco, il principe non riuscì a distinguere molto, e nemmeno gli altri, finché non si furono avvicinati di qualche chilometro.
"Alberi!" esclamò Freydar, incredulo. "Alberi verdi!"
Erano in prevalenza conifere e pini, una piccola selva che ricordava la foresta in cui avevano sostato per otto giorni. Le piante erano vive, verdi e brune, ben diverse dagli occasionali alberi, avvizziti e come carbonizzati, che avevano incontrato lungo la via, vagando nelle Brughiere Aride. Piante verdi significavano la presenza di acqua e le narici dei cavalli fremettero e si dilatarono sentendone l'odore invitante. I loro cavalieri li incitarono ed i destrieri aumentarono l'andatura sbuffando d'aspettativa.
L'acqua c'era effettivamente. Zampillava da un lieve rialzo del terreno, formando appena più in basso una pozza poco profonda di un colore glauco e promettente, la cui vista riempì d'allegria e sollievo i cuori dei viandanti, che poterono finalmente bere a sazietà. L'acqua non era eccessivamente fredda e parve a tutti di un sapore particolare, delizioso.
Il sole era già calato dietro all'orizzonte e la luce del lungo crepuscolo nordico penetrava appena tra gli alberi, alquanto fitti nelle immediate vicinanze della pozza, quando Roden batte l'acciarino per accendere il fuoco. Era ormai troppo tardi per esplorare l'oasi, ma avrebbero potuto farlo l'indomani con comodo, giacché prevedevano di fermarsi almeno un paio di giorni.
Dopo la cena, che era stata sostanziosa ed assai apprezzata, la comitiva si dispose al sonno, tranne Veldhris cui competeva il primo turno di guardia, precauzione questa cui non avevano mai rinunciato durante tutto il viaggio. Rollie, pur essendo per una volta visibilmente stanco, vegliò con lei finché non poté andare a coricarsi, quando Sekor venne a darle il cambio.
Indicibilmente sollevata per il buon esito della sua contestata decisione di attraversare le Brughiere Aride, Veldhris dormì saporitamente come non le accadeva ormai da settimane.
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Il giorno seguente; Kareth, cui era toccato l'ultimo turno di guardia, riferì d'aver visto un cervo, o un animale simile, aggirarsi nei dintorni dell'accampamento, incuriosito ed evidentemente non abituato alla presenza di esseri umani.
"Perché hai detto un cervo o qualcosa del genere?" l'interrogò Kejah.
"Aveva strane corna e era più grosso di un cervo adulto", spiegò la gemella. "Ma non ho potuto vederlo bene, era troppo buio."
"Strane corna?" ripeté Veldhris. "In che senso?"
"Beh, sembravano... pale, ramificate solo alle estremità."
Gli altri scossero la testa e si strinsero nelle spalle: non avevano mai sentito di un animale simile. Anche se in quei giorni ne videro altri ed anzi ne cacciarono un paio, trovandone ottima la carne, solo più tardi avrebbero appreso che si chiamavano alci.
Nel frattempo, l'evento suggerì un'altra idea a Freydar. "Se quell'animale era qui, e con esso ce ne saranno sicuramente altri, significa che il confine delle Brughiere Aride non è molto distante. Due o tre giorni al massimo, direi."
"Questa sì che è un'ottima notizia!" esultò Sekor, e gli altri ne convennero con entusiasmo.
Poco dopo ci sparpagliarono per l'oasi, ognuno alla ricerca di qualcosa: Kareth e Kejah s'erano incaricate di cacciare selvaggina, e Mikor aveva chiesto a Freydar di prestargli l'arco per poter accompagnare Sekor nello stesso intento; Roden decise di fare il suo mestiere e di raccogliere una buona scorta di legna, sufficiente per almeno una settimana, e partì impugnando la scure; Veldhris e Freydar, infine, andarono in cerca di bacche, erbe e radici commestibili, accompagnati dall'immancabile Rollie. I cavalli furono lasciati liberi di pascolare a piacimento.
Veldhris e Freydar trovarono una gran quantità di funghi, che raccolsero facendo bene attenzione che non fossero velenosi, ed una varietà di piccole bacche giallorosse dolci e succose. Prima di mezzogiorno, i due raccoglitori avevano fatto un bel po' di strada, serpeggiando tra gli alberi, e riempito le due sacche di tela che si erano portati appresso.
"È ora di tornare al campo", annunciò Freydar, guardando il sole che occhieggiava tra le fronde, alto nel cielo appena velato di foschia. "Per oggi basta, penso."
"Sì, penso anch'io", fu d'accordo Veldhris. "Sono piuttosto stanca."
Si posò le mani sulle reni ed inarcò la schiena all'indietro, come se fosse una vecchia dolorante e querula.
Freydar le sorrise, divertito dalla sua spassosa mimica, e dietro di lei qualcosa luccicò, attirando la sua attenzione.
Veldhris notò il suo sguardo e si voltò, incuriosita: oltre gli alberi, alcuni metri più in là, c'era un piccolo specchio d'acqua. "Oh, ma è uno stagno!" esclamò allegra. "Andiamo a vedere!"
Si caricò la propria sacca in spalla e si avviò, seguita da Freydar con l'altro zaino, e poco dopo si fermarono sulla riva del laghetto. Non si vedeva immissario o emissario, segno evidente che lo stagno traeva origine da una fonte sotterranea; la superficie grossomodo ovale non superava i dieci metri quadrati. L'acqua era immota e molto scura e rifletteva nitidamente gli alberi circostanti.
Veldhris si sporse un po' e vide la propria immagine, con accanto quella di Freydar. "Guarda, sembra uno specchio", disse sorridendo incantata.
Freydar sbirciò l'acqua. "Hai ragione", confermò, sorridendole di rimando. "Potremmo chiamarlo Stagnospecchio."
Veldhris, che apprezzava molto la fantasia, fu piacevolmente sorpresa di riscontrare tale qualità anche nel Principe del Fiordo. "Stagnospecchio", ripeté piano. "Suona bene."
D'un tratto notò lo strano silenzio che era calato all'improvviso attorno a loro. Le fronde, pur mosse dal vento, avevano cessato di stormire e gli uccelli non cantavano più. Regnava una calma innaturale e vagamente minacciosa.
Veldhris stava per aprire bocca e farlo notare a Freydar, ma si accorse di non riuscire a parlare. Tentò di distogliere lo sguardo dalla scura superficie dell'acqua, ma qualcosa glielo impedì, costringendola a tenere gli occhi incollati nel punto in cui erano fissi. Lentamente, la sua immagine affiancata da quella del capitano sbiadì e rimase solo un nero vuoto. Poi, altrettanto lentamente, si formò un'altra immagine, e se avesse potuto Veldhris avrebbe lanciato un grido: era Tamya! La sua città... proprio com'era prima della distruzione. Lì in fondo, sulla destra, c'era l'imponente mole dell'Albero Albino, e davanti a sé poteva vedere la scuola che aveva frequentato da piccola. Di fronte c'era il negozio del vecchio Halder Zaruden, che vendeva pollame e uova, e dietro l'angolo l'osteria Al Cervo Dorato, dove lei aveva tenuto la sua prima esibizione canora, all'età di undici anni. E quella in fondo alla strada era la sua casa...
L'immagine s'ingrandì, dandole l'impressione di avvicinarsi all'abitazione. Poté così vedere che c'erano due uomini davanti alla porta, uno grande e grosso, vestito di verde e marrone, e l'altro più basso e sottile, abbigliato con l'uniforme bianconera delle guardie di palazzo. Li riconobbe: erano Barod Unkorden, suo padre – il padre adottivo – e Arton Flasterden. Stavano litigando violentemente, le espressioni alterate, e presto sarebbero arrivati alle mani. Veldhris si mise a correre: doveva fermarli! Suo padre le aveva promesso di non cercare Arton per punirlo del tentativo di stupro che lei aveva subito, ma non aveva detto nulla riguardo all'eventualità che il giovane soldato venisse a cercarla.
Veldhris vide che avevano già cominciato ad azzuffarsi.
"Fermi, fermi!" gridò, buttandosi tra i due contendenti. "Calmatevi!"
Non servi a niente: Barod se la scrollò di dosso e la spinse da parte, poi tornò ad affrontare l'avversario.
Veldhris non si diede per vinta e tornò a frapporsi. "Basta, smettetela!" strillò, furibonda. Parti un pugno, ovviamente non diretto a lei, che però dimenandosi si beccò direttamente al mento. Il mondo sembrò esploderle in faccia e Veldhris cadde a terra priva di sensi.
Sopra di lei, l'acqua scura dello Stagnospecchio ribollì furiosamente. Anche Freydar era scomparso.
OOO
"Veldy e Freydar ritardano", osservò Kejah, controllando lo stufato, che mandava un odorino delizioso.
"Se non si sbrigano, cominceremo senza di loro", decise Roden. "Sono troppo affamato per aspettarli."
L'attimo dopo, un Rollie esagitato e sconvolto fece irruzione nell'accampamento e si mise ad abbaiare disperatamente.
"Rollie!" esclamò Kejah, allarmata. "Cosa succede?"
Il cagnolino corse da Sekor, che era seduto poco distante, e gli afferrò con i denti il mantello, cominciando a tirare.
"Ehi, ma cosa vuoi?" domandò il principe, perplesso.
Rollie smise di tirare e latrò brevemente, poi ricominciò. Sekor si alzò ed il cagnolino lo mollò per correre nella direzione da cui era venuto, ma vedendo che nessuno si muoveva si fermò ed abbaiò ancora, con insistenza.
"Vuole che lo seguiamo!" gridò Kareth. "Dev'essere successo qualcosa a Veldhris!"
Tutti afferrarono le loro armi e si slanciarono tra gli alberi, seguendo le tracce di Rollie che li guidava correndo a rompicollo. Quando lo raggiunsero, lo Stagnospecchio era sparito, come inghiottito dalla terra. Al suo posto c'era un lieve avvallamento ovale dal fondo muschioso e soffice. Rollie mandò un uggiolio lamentoso e prese a correre su e giù latrando disperatamente. I cinque compagni lo guardarono saettare qua e là con sbalordimento crescente: poiché non sapevano dell'esistenza dello Stagnospecchio, quel comportamento convulso era per loro inspiegabile.
"Ma cos'ha quel cane?" esplose infine Mikor. "È impazzito?"
Senza rispondere, Kareth si avvicinò al bordo dell'avvallamento e scrutò attentamente il terreno, alla ricerca di tracce.
"Guardate, ci sono delle impronte!" esclamò, accosciandosi. "Molto recenti. Di due persone, entrambe con grossi stivali, ma una ne calza di molto piccoli. Un uomo e una donna, direi", la cacciatrice si rialzò in piedi. "Non possono essere che di Veldhris e Freydar", concluse.
Sopraggiunse Rollie, che la guardò con grandi occhi tristi, poi di repente si mise in punteria come un cane da caccia. Tutti guardarono nella direzione indicata, nel piccolo avvallamento.
"Ma lì non c'è niente", disse Kejah.
Rollie la contraddisse con un latrato convinto. Perplessi, i cinque scesero nella lieve depressione e cercarono a lungo, esaminando attentamente il terreno, ma non trovarono traccia dei due scomparsi. Non si accorsero della larga botola accuratamente mimetizzata nel muschio.
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