Capitolo VII: Le Paludi del Sonno

Parte Seconda: L'Aria (Nirvor)

Capitolo VII: Le Paludi del Sonno

Il territorio oltre i confini settentrionali del Regno del Fiordo era appena ondulato, incolto e quindi aveva un aspetto alquanto selvatico. L'erba era alta, arrivando fino ai garretti dei cavalli, ma era rada e stenta; gli alberi dei rari macchioni erano contorti, avvizziti, e la boscaglia era secca ed aspra: evidentemente, le magre sorgenti non bastavano a dissetare quel terreno perennemente arido.

Nessuno abitava quei luoghi desolati: a parte qualche tribù nomade di passaggio, la regione era completamente vuota di esseri umani.

I sette viandanti partiti da Zarcon si addentrarono dunque in quel territorio squallido e senza nome, puntando verso le Colline Grigie. Freydar aveva compiuto già alcune volte quel percorso, in passato, e così li guidava senza incertezze, scegliendo un itinerario che li portava, di volta in volta, in un luogo abbastanza protetto da potervi pernottare senza timore: una selva, una conca, una caverna nel fianco di un basso colle. Anche quelle zone erano infatti infestate dai Vampiri, e branchi di animali selvatici le percorrevano incessantemente alla ricerca di cibo.

"Che regione inospitale", osservò Veldhris, la sera del quarto giorno di viaggio. "Così deserta e selvaggia che la solitudine ti pesa addosso come una cappa di piombo."

Si erano accampati sul limitare di una boscaglia spinosa ed impenetrabile, dalla quale avevano tratto legname abbastanza secco per accendere un fuoco. Per evitare che l'erba, altrettanto secca, s'incendiasse, avevano tagliato gli alti steli per un bel tratto attorno alle fiamme, che circondarono di sassi raccolti nelle vicinanze.

"Si potrebbe fare molto per migliorarla", disse Freydar, rispondendo al commento di Veldhris.

"E come?" domandò Kareth, sorvegliando la cottura delle patate sotto la brace. "È tutto così brullo..."

"L'acqua c'è", rivelò il capitano. "Nel sottosuolo. Basterebbe scavare dei pozzi e costruire una rete di canali d'irrigazione. Il terreno diventerebbe fertile e vi si potrebbe coltivare un sacco di roba, per non parlare dei pascoli per l'allevamento di bestiame."

"E allora perché nessuno lo fa?" chiese Mikor, in tono vagamente sprezzante. "Se è così semplice..."

"Non lo è per niente", lo contraddisse vivacemente Freydar. "A causa dei Vampiri. Quelle bestiacce si divertono a lanciare i loro immondi escrementi sui campi e, poiché lo sterco contiene sostanze altamente corrosive, in breve il suolo si brucia. Per tale ragione i nostri campi si trovano all'interno del bosco che circonda l'accesso a Zarcon, così i Vampiri non possono arrivarci. E non possiamo ingrandire troppo le radure, altrimenti saremmo daccapo, e questo è un grosso ostacolo all'incremento dell'agricoltura."

"Che maledetti", borbottò Roden, ricordando il poco piacevole incontro con quelle creature.

"Si conoscono le origini dei Vampiri?" s'informò Sekor.

"Non se ne sa molto, salvo che è stata Rakau a crearli", rispose Freydar. "Si suppone che sia partita da un'innocua razza di pipistrelli e che poi li abbia trasformati con i suoi abominevoli procedimenti di stregoneria."

Veldhris corrugò la fonte, ripensando a quanto aveva raccontato Rova, la morente Maga di Corte, a proposito dei Draghi Neri, derivati da una razza di draghetti inoffensivi originari dell'estremo nord: Rakau aveva potere soltanto sulla materia, simboleggiata dalle Quattro Pietre, e perciò le mancava l'elemento fondamentale per la creazione: lo Spirito, su cui invece aveva potere la Corona di Luce. Per questa ragione la Signora dei Draghi Neri poteva solo modificare e corrompere cose già esistenti, e non crearne di nuove.

Seguendo il filo dei suoi pensieri, Veldhris mormorò. "Scommetto che anche questo territorio, ora così desolato, era un tempo popoloso, fertile e ben curato."

Freydar le lanciò un'occhiata incuriosita. "In effetti", disse lentamente, "stando alle notizie pervenute dai tempi di Zarcon lo Scudiero, era proprio così, ma non si conosce la ragione per cui quest'area si è spopolata subito dopo la Guerra dei Poteri. Certo è che molte zone un tempo rigogliose sono state – come dire – derubate, impoverite, dopo quel conflitto."

"È opera di Rakau", asserì Veldhris, convinta. "Quell'essere non sa far altro che produrre orrore e desolazione, nel mondo."

Involontariamente, senza alcuna ragione apparente salvo le parole della cantante, gli altri sei rabbrividirono, presi da un'oscura inquietudine.

Poi, Kejah lanciò un'occhiata alle pentole sul fuoco. "La cena è pronta", annunciò.

La notizia fu accolta con esclamazioni compiaciute che dissiparono l'attimo di tensione creato dalle ultime frasi; i sette viandanti, tutti dotati di sano e robusto appetito, si occuparono voracemente del pasto serale, e il cagnolino Rollie non fu da meno.

OOO

Percorsero quella landa desolata per dodici giorni. In considerazione dell'altezza dell'erba, Rollie viaggiava prevalentemente assieme a Veldhris in groppa a Stella Nera, salvo poi sgranchirsi le zampe con salti e corse non appena si fermavano per qualche breve sosta e la sera per pernottare.

Se fossero andati in linea retta, avrebbero potuto risparmiare tre o quattro giorni, ma avrebbero dovuto accamparsi spesso allo scoperto, cosa quanto mai sconsigliabile. Invece, seguendo il percorso serpeggiante scelto da Freydar, ogni notte ebbero un rifugio, a volte anche precario ma sempre sufficiente, a giudicare dal fatto che non videro traccia di Vampiri né furono molestati dagli animali selvatici. Solo una volta, durante il giorno, avvistarono in lontananza una mandria di cavalli bradi, ed un'altra volta un branco di cani inselvatichiti.

Cominciavano ad essere tutti stanchi di quell'attraversata monotona ed interminabile quando, un giorno a mattino inoltrato, Freydar andò in avanscoperta e tornò con la notizia di aver scorto all'orizzonte le alture delle Colline Grigie.

"Se faremo solo una breve sosta per il pranzo, proseguendo poi di buon passo, arriveremo alla meta prima di sera", fu il suo parere. "Là saremo al sicuro almeno dai Vampiri, perché è una zona boscosa e segna il limite settentrionale del loro territorio."

"Meno male", commentò Roden con Veldhris. "Cominciavo a essere stufo di questa continua ansia per quelle maledette bestiacce."

Si fermarono quindi soltanto per mangiare un boccone a pranzo, senza nemmeno accendere un fuoco, e poi ripresero il cammino ad andatura sostenuta. A metà pomeriggio, però, i cavalli cominciarono a dar segni di stanchezza, soprattutto Rim e Ram che erano molto carichi. Dopo un po', preferirono tutti smontare di sella e percorrere a piedi un tratto di strada, in modo da far riposare un po' le loro cavalcature.

Pian piano le colline davanti a loro s'ingrandirono; il sole tramontò prima che vi giungessero, dato che erano volontariamente appiedati, ma il buio non era ancora completo quando trovarono riparo in una conca tra due colli, circondata da pini silvestri profumati di resina e da altre piante, alcune completamente sconosciute ai sei di Tamya. Erano infatti giunti più a nord dell'estremo confine settentrionale della Foresta del Vespro, anzi addirittura più a nord della cintura delle Maleterre. La vegetazione cominciava a mutare sensibilmente e Veldhris lo notava con curiosità frammista ad un vago disagio, dovuto alla mancanza di famigliarità con l'ambiente.

"Siamo tutti molto stanchi", osservò Kareth. "Non sarebbe possibile fermarsi qui un paio di giorni per riposare?"

"Era nelle mie intenzioni proporvelo", assentì Freydar. "Potremo riposarci noi e anche i nostri cavalli. Inoltre, le Colline Grigie e il territorio più a nord sono abbastanza ricchi di selvaggina, così potremo rifornire le provviste."

"Ma è prudente?" volle sapere Mikor, dubbioso.

Freydar inarcò le sopracciglia. "Prudente? Beh, i Vampiri non ci daranno fastidio qui, Sire, se è questo che volete dire. Quanto agli animali selvatici, saranno tenuti lontani dalle fiamme del falò, ma comunque per precauzione suggerisco di continuare coi turni di guardia."

Si divisero quindi i compiti: Mikor, Sekor e Kareth si occuparono dei cavalli, togliendo loro selle, finimenti e bagagli e dando loro una bella strigliata che li rimise a nuovo; Roden e Veldhris prepararono il fuoco ed i giacigli per la notte; Freydar e Kejah si diedero invece da fare con le pentole per approntare una buona cena. Usando le erbe aromatiche essiccate portate da Zarcon, Freydar si dimostrò un cuoco fantasioso insaporendo il brodo con erba cipollina, il pollo bollito con salvia ed il quarto di cinghiale arrosto con rosmarino. Come contorno c'erano funghi sott'olio, tenuti in un vaso di terracotta sigillato, e patate bollite condite semplicemente con sale e prezzemolo. Ai sette stanchi viandanti quel pasto un po' improvvisato e tutt'altro che raffinato sembrò ottimo, sicuramente il migliore finora di tutto il viaggio, ed anche l'umore con cui venne consumato fu altrettanto eccellente. L'aver raggiunto la meta prefissata riempiva tutti di sollievo e di soddisfazione, sebbene fossero perfettamente consci che si trattava solo della prima tappa e che la meta reale era ancora molto lontana. Ciononostante, per un'ora si rilassarono, ridendo e scherzando attorno al fuoco.

Più tardi, mentre Kareth e Sekor si erano recati al vicino ruscello per risciacquare le stoviglie e i tegami, Veldhris si avvicinò a Kejah. "Non sto molto bene", le disse sottovoce, sbirciando Freydar, Roden e Mikor che stavano discorrendo poco lontano.

Subito allarmata, Kejah osservò la cugina e notò che era piuttosto pallida e che teneva una mano posata sul ventre. "Ti è iniziato il ciclo?" indagò.

"Non ancora, ma in sintomi sono quelli. Il mese scorso mi è saltato, probabilmente ero troppo sconvolta da quanto è successo a Tamya."

Kejah aggrottò la fronte. "Sei sicura che non sia per qualche altra ragione?"

Veldhris scosse il capo, intuendo cosa la cugina stesse suggerendo. "No, lo escludo."

"Sei sicura? Sai che basta dimenticare una sola volta di prendere la helor e si rischia di rimanere incinte..."

Le radici della pianta di helor erano ben note per le loro proprietà anticoncezionali ed il loro uso era largamente diffuso presso il Popolo della Foresta.

Veldhris sorrise. "Lo so, Kejah, ma non è proprio il mio caso. È un pezzo che non accolgo un uomo."

"Ah, capisco. Va bene, allora ti darò qualcosa per calmare il dolore, così stanotte potrai dormire tranquilla." La cacciatrice lanciò un'occhiata interrogativa alla donna più giovane. "Dì un po', com'è che ti sei data all'astinenza?"

Veldhris si strinse nelle spalle. "Ultimamente non ho incontrato nessuno che m'intrigasse abbastanza..."

"Senza alcun interesse non c'è divertimento", confermò Kejah, cominciando a frugare nella sua borsa delle erbe per cercare quelle giuste per il problema della cugina.

"Mi sono stancata del solo divertimento", le confidò Veldhris sottovoce. "Vorrei incontrare qualcuno di speciale... come papà lo era per mamma."

Si stava riferendo ai genitori adottivi, dato che non aveva conosciuto quelli naturali. Le sue parole fecero riflettere Kejah, che lanciò un'occhiata furtiva a Sekor, appena tornato con Kareth dal ruscello. Forse lei lo aveva incontrato, quel qualcuno di speciale cui si riferiva Veldhris?

Accantonò il pensiero: non era decisamente il momento per innamorarsi. Avevano davanti una missione di vitale importanza e molto pericolosa, doveva pensare a ben altro.

Poco dopo, preparata una tisana, la porse a Veldhris, che arricciò il naso all'odore poco promettente e la trangugiò con aria disgustata; ben presto però ne sentì gli effetti benefici.

Quella notte, dormirono tutti più rilassati di quanto non avessero potuto fare nel territorio deserto che avevano appena attraversato; nonostante il parere contrario di Kejah, Veldhris non volle rinunciare al turno di guardia toccatole in sorte per quella notte, il secondo, così da mezzanotte alle due vegliò sul sonno dei suoi compagni.

Avvolta in una coperta ed accoccolata a poca distanza dal fuoco, che venne mantenuto acceso per tutta la notte, la cantante non faticò eccessivamente a rimaner sveglia, aiutata dal freddo che, nelle ore notturne, si era fatto pungente. Ormai tutti indossavano gli abiti invernali, anche Freydar che aveva adottato un giaco di pelliccia sotto l'abituale mantello di un mimetico colore rosso-bruno.

Comunque, le due ore di veglia trascorsero tranquille, come anche il resto della notte. Il mattino successivo, Veldhris fu svegliata da Roden, cui era toccato l'ultimo turno di guardia; il boscaiolo aveva già preparato la colazione, cosa che tutti apprezzarono molto. Più tardi, Freydar e Mikor tolsero le pastoie ai cavalli per lasciarli un po' liberi di vagare per le colline e pascolare a piacere.

Veldhris si allontanò con Stella Nera, cui si era già affezionata, accompagnata dell'immancabile Rollie. I due animali avevano fatto amicizia, tanto che il cagnolino si divertiva a giocare tra le zampe della giumenta, che dal canto suo faceva attenzione a non calpestare quel vivace ed instancabile botolo, salvo poi, quando le dava fastidio, abbassare il lungo collo e spingerlo via con delicata fermezza; normalmente, dopo un paio di tentativi per riconquistare il suo territorio di gioco preferito, Rollie rinunciava e si rassegnava.

Adesso, Veldhris si sedette sotto una grande quercia ad osservare Stella Nera che brucava tranquillamente, mentre Rollie, come suo solito, giocava tra le sue zampe. Il cagnetto era adulto, sebbene giovane, ed aveva tutta la giocosità che la sua razza di piccolo cane da caccia conservava per tutta la vita.

Dopo un po' spuntò Nevesole, il superbo stallone bianco dalla criniera bionda che era l'orgoglio del suo proprietario, Sekor. Un minuto dopo comparve anche il principe, che scorgendola si avvicinò sorridendo. "Salve, Veldhris, cercavo proprio te", disse in tono cordiale.

Lei sollevò le sopracciglia, sorpresa. "Oh? In cosa posso esservi utile, Altezza?"

Sekor si sedette accanto a lei. "Ecco, tanto per cominciare potresti smetterla di chiamarmi altezza", esordì. "Dopotutto, non solo siamo entrambi di sangue reale, ma siamo anche parenti, seppure un po' alla lontana. Così, propongo di trattarci come tali."

Veldhris sorrise involontariamente al fervore che udiva nella voce del principe. Era consapevole di piacergli, e non poteva negare che la cosa la lusingasse. "D'accordo, Sekor", accettò. "Ne sono lieta."

Parlarono per un po', discorrendo dei giorni trascorsi a Zarcon, poi Sekor le chiese di cantare una canzone e Veldhris accondiscese, intonando una ballata di caccia accompagnata dall'immancabile yord.

"Bravissima, come sempre", si complimentò poi Sekor, in tono galante. La guardava con calda ammirazione e la cantante si sentì improvvisamente a disagio: l'evidente attrazione che Sekor le dimostrava lusingava sì il suo amor proprio, ma contemporaneamente la metteva in imbarazzo, perché era cosciente di non ricambiarla con la stessa intensità. "E tu sei molto gentile, come sempre", disse, un po' rigidamente. Si alzò in piedi e si guardò attorno. "Chissà perché le chiamano Colline Grigie? A me sembrano verdi, come qualsiasi gruppo di colli coperti da prati e boschi."

Un po' disorientato da quell'improvviso cambio di atteggiamento, che da quasi intimo era improvvisamente diventato distante, Sekor si alzò a sua volta. "Non saprei... Bisognerebbe chiederlo a Freydar."

L'inatteso accenno al bel capitano ebbe il potere di turbare Veldhris ancor di più. "Meglio che io torni all'accampamento", dichiarò. "Devo chiedere a Kejah una delle sue tisane curative."

La ragione addotta era soltanto in parte una scusa, giacché la giovane donna aveva in effetti bisogno di un'altra pozione per attenuare il fastidio del momento, così si avviò, seguita dal principe.

Nel pomeriggio, Freydar propose una spedizione per procacciarsi selvaggina fresca e rifornire le vettovaglie di Zarcon, che si erano alquanto ridotte. Kareth e Kejah si offrirono subito di accompagnarlo, e così fece Sekor. All'accampamento rimasero quindi solamente Veldhris, Roden e Mikor che, non essendo forniti di armi adatte alla caccia, avevano rinunciato a partecipare alla battuta.

I cacciatori partirono a piedi, gli archi pronti, e si divisero in coppie per aumentare il raggio della battuta. A sera, quando tornarono, avevano preso alcune quaglie, un paio di fagiani, un giovane cinghiale ed un grosso tacchino selvatico.

Più tardi, dopo cena, Freydar si rivolse a Veldhris. "A Zarcon hai detto che dovevamo andare verso nord e cercare un certo monte. Hai idea di quanto lontano dovremo andare?"

Veldhris scosse il capo, scrollando la chioma che, per una volta tanto, teneva sciolta sulla schiena.

"Non saprei", rispose. "Rova ha parlato di estremo nord, quindi ritengo che sia ancora molto lontano, se lo Shyte è davvero così vasto come diceva."

"Sì", confermò Kareth. "La Maga di Corte ha detto che dobbiamo cercare il Monte Ghiacceterni, situato oltre le Montagne Senzanome."

"Non ho mai sentito nominare questi luoghi", ammise Freydar, pensieroso. "Non sarà facile trovarli."

"Forse no", commentò Sekor. "Potremo però chiedere lungo la strada. Qualcuno saprà pure dove si trovano."

"È un rischio", osservò Mikor. "Potremmo attirare la sgradita attenzione degli alleati di Rakau."

"Avete ragione, Sire", confermò Freydar. "Tuttavia, non avendo indicazioni più precise, temo che saremo costretti a fare proprio così. Naturalmente prenderemo le debite precauzioni", tornò a guardare Veldhris. "Ti viene in mente qualcos'altro?"

La cantante rifletté, poi si strinse nelle spalle con aria rammaricata. "No, niente. A parte il fatto che, una volta trovato il Monte Ghiacceterni, dovremo entrare in un posto chiamato Cento Caverne di Xos il Lupo. Chi o che cosa sia quest'ultimo, non lo so."

"Lo sapremo a tempo debito, indubbiamente", concluse il capitano, in tono pratico. "Intanto domattina mi spingerò verso nord, così da perlustrare il territorio che attraverseremo, e dopodomani potremo partire."

Tutti si dichiararono d'accordo, e poi andarono a dormire, a parte Kareth cui competeva il primo turno di guardia.

Il giorno seguente, Mikor si offrì di accompagnare Freydar nella ricognizione ed il principe del Fiordo accettò di buon grado, così i due esploratori partirono in sella ai rispettivi cavalli, Mistero e Tempesta. Aspettando il loro ritorno, gli altri cinque componenti del gruppo si diedero da fare attorno alla selvaggina cacciata il giorno precedente, preparandola per il viaggio. Kejah si allontanò un paio d'ore per raccogliere erbe e radici da usare come condimento o come medicinale, o per entrambe le cose.

Gli esploratori rientrarono nel tardo pomeriggio, riferendo la confortante notizia che la regione a settentrione delle Colline Grigie era assai più ospitale di quella appena lasciata, essendo ricca di ruscelli e boschi.

Infine, i viandanti predisposero tutto alla partenza per il mattino seguente e andarono a dormire.

OOO

L'attraversata del territorio oltre le Colline Grigie fu molto più piacevole del tragitto da Zarcon alle stesse: i Vampiri non erano più una costante minaccia ed il paesaggio non era più così monotono, triste e squallido.

Dopo la terza giornata di viaggio dalla loro tappa, incontrarono una serie di alti colli dai ripidi declivi, tra i quali i sette viandanti si addentrarono cercando di mantenere il più possibile la direzione giusta.

Il primo giorno di novembre, il settimo dacché avevano lasciato le Colline Grigie, videro che il terreno tornava piatto ed anzi cominciava ad abbassarsi molto gradualmente.

Prima di lasciare la zona collinosa, Freydar e Roden si arrampicarono sull'ultima altura, dalla cui vetta scrutarono l'orizzonte settentrionale. Quando discesero avevano un'aria preoccupata.

"Che succede?" s'informò Veldhris. "Qualcosa non va?"

"Non lo sappiamo ancora", rispose Roden. "All'orizzonte abbiamo visto... non so, pareva una specie di nebbia scura."

"Nebbia?" ripeté Mikor, sollevando le sopracciglia con fare interrogativo.

"Sembrava nebbia", ribadì Freydar. "Era molto estesa, da un orizzonte all'altro. Per aggirarla saremo costretti a fare una lunga deviazione, temo."

Dopo un attimo di silenzio, Veldhris si espresse. "Sarà meglio vedere prima di cosa si tratta veramente. Poi decideremo se sarà il caso di deviare, e in quale direzione."

Gli altri notarono, con stati d'animo diversi, quanto rapidamente la giovane donna avesse analizzato la situazione per trarne le debite conclusioni: cominciava ad abituarsi al suo ruolo di responsabile e di fulcro della missione.

"Mi sembra un'idea eccellente", approvò subito Freydar. "A giudicare dall'altezza di questa collina, direi che raggiungeremo quella specie di nebbia domani a mezzogiorno."

"Allora andiamo", decise Veldhris, rimontando in groppa a Stella Nera.

Un paio d'ore dopo si fermarono per il pranzo e per una breve sosta di riposo, poi ripresero il cammino. La sera si accamparono nei pressi di un boschetto spoglio. L'inverno era cominciato ed il freddo si stava facendo sentire anche di giorno, tanto che i viandanti avevano adottato i caldi mantelli di lana forniti loro da re Oolimar.

Ripartirono di buon mattino, sempre diretti verso la misteriosa nebbia che sbarrava loro il cammino. Man mano che si avvicinavano, il terreno sotto gli zoccoli dei cavalli si faceva sempre più molle, intriso d'acqua, e quando, come previsto da Freydar, a mezzogiorno raggiunsero i margini del banco di nebbia, era diventato loro chiaro che stavano addentrandosi in un acquitrino.

I viandanti tirarono le briglie e si fermarono a fissare ciecamente quel muro di caligine, che turbinava in dense volute pur senza esser apparentemente percorso da alcun refolo di vento.

Veldhris si sentì raggelare fino in fondo all'anima: oltre quel fitto e mutevole velo di bruma grigiastra percepiva un sordo pericolo in agguato. "Non mi piace questo posto", dichiarò rabbrividendo.

"Lo credo bene", disse Freydar. "Penso di sapere di cosa si tratta: siamo ai confini delle Paludi del Sonno."

"Le Paludi del Sonno?", ripeté Sekor, perplesso.

"Esatto. È parecchio tempo che i guerrieri e gli esploratori di Zarcon non si spingono più a nord delle Colline Grigie, ma molti anni fa un gruppo le superò e giunse fin qui. Credevo che si trattasse di una semplice fantasia di quegli uomini, magari vittime di un'allucinazione, oppure di un'invenzione per rimediare alla delusione di non aver trovato niente. Invece mi sbagliavo, a quanto pare."

Fissarono nuovamente la nebbia vorticosa con una crescente sensazione di disagio.

"Allontaniamoci", propose Kareth. "Accampiamoci ed esploriamo i dintorni."

"Buona idea", approvò immediatamente Veldhris. "Torniamo indietro fino a un terreno più solido."

Voltarono quindi in fretta i cavalli e percorsero quasi un chilometro verso sud, da dove erano venuti, fermandosi quando trovarono suolo asciutto. Qui deliberarono il da farsi.

"Tanto per cominciare, visto l'orario faremmo bene a pranzare", suggerì Roden. "A stomaco pieno si ragiona meglio."

Gli altri si dichiararono d'accordo, così accesero il fuoco e prepararono un veloce pasto. Dopo che ebbero mangiato, cercarono di stabilire la loro prossima mossa.

"L'unica cosa da fare", dichiarò Sekor, "come ha già detto Kareth, è esplorare il terreno. Se seguiremo il margine di quel muro di nebbia, da una parte o dall'altra troveremo la via più breve per aggirarlo."

"Temo che servirà a poco", obiettò Freydar. "Ricordo che gli esploratori di cui vi parlavo prima affermarono di aver camminato lungo i bordi della palude per un giorno intero in entrambe le direzioni, ma di non aver visto la nebbia piegare verso nord, consentendo loro di proseguire."

"A cavallo potremo però raddoppiare l'estensione del terreno perlustrato", osservò Mikor.

"Questo è vero", ammise il capitano. "Speriamo che non si riveli una perdita di tempo, ma non vedo cos'altro potremmo fare."

Veldhris non era tranquilla: la sensazione di minaccia che aveva avvertito era ancora vivamente impressa nel suo animo. "Questo significa che dovremo fermarci qui?" chiese, esitante.

"Temo proprio di sì", rispose Freydar. "Possiamo allontanarci ancora un po' per accamparci, ma non di molto, altrimenti perderemmo ancora più tempo per raggiungere di nuovo la palude."

Veldhris si tormentò nervosamente le dita, ma non c'era veramente altro da fare. "D'accordo", disse infine.

"Bene", approvò Roden. "Propongo di far campo presso quel gruppo di alberi con la sorgente che abbiamo visto arrivando, non è molto lontano da qui. Gli esploratori potrebbero partire anche subito, che ne dite?"

"Sì, è meglio", annuì Freydar. "Il raggio di ricognizione sarà più vasto."

Decisero che Roden e Kejah sarebbero andati verso est, mentre Freydar e Mikor avrebbero cavalcato nella direzione opposta, mentre Veldhris, Kareth e Sekor si sarebbero invece accampati nel luogo proposto da Roden, ed inoltre si accordarono per ritrovarsi al massimo entro la sera del giorno seguente.

Prelevati un po' di viveri, quanto bastava per un giorno e mezzo di viaggio, i quattro esploratori si disposero alla partenza.

"State attenti", non poté trattenersi dal raccomandare loro Veldhris. "Tenetevi a una certa distanza, e soprattutto non addentratevi nella nebbia."

"Di questo puoi star sicura", la rassicurò Roden. "Il solo pensiero mi fa venire i brividi!"

"A chi lo dici!" confermò Kejah.

Dopo che gli esploratori furono partiti, gli altri tre dispersero le ceneri del falò, impacchettarono quanto avevano utilizzato per il pranzo e rimontarono a cavallo per recarsi alla sorgiva, circa un chilometro indietro, leggermente a est.

Pur essendo stati pronti a partire in vece degli altri, nessuno di coloro che erano rimasti invidiava particolarmente il compito degli esploratori: la sensazione di un qualcosa di sinistro celato nelle profondità della bruma era stata in tutti troppo forte per poterla ignorare o dimenticare.

OOO

Roden e Kejah perlustrarono una cinquantina di chilometri verso levante, ed altrettanti ne percorsero Freydar e Mikor nella direzione opposta. La prima coppia di esploratori rientrò che il buio era appena sceso e fu accolta con sollievo e curiosità.

"Allora, avete trovato qualcosa?" li interrogò subito Veldhris.

Roden scosse la testa. "No, niente. Ci siamo spinti molto più in là di chi ci ha preceduto qualche secolo fa, ma non abbiamo visto niente che potesse cambiare la loro versione: le Paludi del Sonno e la nebbia che le ricopre sembrano continuare all'infinito, almeno verso est."

Kareth fece una smorfia indispettita. "Peccato. Beh, speriamo che gli altri due portino notizie più confortanti."

Mentre i due esploratori si rifocillavano, Veldhris e Sekor governarono i loro cavalli, che erano visibilmente stanchi, poi tutti e cinque attesero il rientro degli altri due, che però tardavano. Era già notte fonda quando apparirono, tanto all'improvviso che Roden, Sekor e Kareth balzarono in piedi con le armi in pugno.

Riconoscendoli, Sekor mandò un'esclamazione di sollievo. "Se aveste tardato ancora, saremmo partiti alla vostra ricerca", dichiarò, correndo loro incontro.

"Avevamo detto stasera", gli ricordò Mikor con un certo sussiego. "Infatti, eccoci qui."

Un po' mortificato, Sekor tacque.

Veldhris si sentì dispiaciuta per lui: era evidente che teneva molto al fratello maggiore, ma tale sentimento non era ricambiato appieno. Forse Mikor voleva bene al fratello minore, tuttavia non lo teneva in grande considerazione. "Comunque avete fatto tardi", osservò in tono secco. "È naturale che fossimo preoccupati", si avvicinò, rivolgendosi intenzionalmente al solo Freydar. "Cos'è successo?"

"Abbiamo avuto qualche difficoltà", ammise il capitano, scivolando a terra dalla groppa di Mistero e cominciando a togliergli i finimenti. "Non siamo riusciti a trovare una via per aggirare le paludi a ovest. Gli altri hanno avuto miglior fortuna?"

"Purtroppo no", rispose Veldhris, e vedendolo intenzionato a governare il cavallo aggiunse. "Lascia stare , ci penserà qualcun altro. Ora tu e Mikor avete bisogno di mangiare e riposare."
Freydar non protestò, e nemmeno Mikor. Quando si furono rifocillati e i cavalli furono stati curati, il Principe del Vespro iniziò a raccontare. "Oggi pomeriggio stavamo tornando indietro, dopo l'infruttuosa ricognizione, quanto la mia cavalla ha inavvertitamente calpestato un serpente. Era solo una biscia di palude, ma Tempesta si è spaventata e ha talmente sgroppato che sono caduto di sella, fortunatamente senza farmi niente. Lei è scappata, gettandosi in mezzo alla nebbia. Io e Freydar abbiamo dovuto recuperarla prima di poter tornare, e la ricerca ci ha preso diverse ore, per questo abbiamo tardato tanto."

"L'incidente però non è stato del tutto inopportuno", puntualizzò Freydar. "Ci ha costretto a esplorare un tratto delle Paludi del Sonno e così abbiamo scoperto che il terreno non peggiora di molto, oltre i confini della nebbia, e che anzi ci sono larghe isole di suolo solido e asciutto. La bruma poi è più rada all'interno, sembra anzi che solo sui margini sia tanto fitta. Questa è una cosa che gli esploratori del passato non avevano appurato."

Kareth lo fissò, la fronte aggrottata. "Stai forse proponendo di attraversare la palude?"

Il capitano si strinse nelle spalle. "Mi sembra ragionevole. Il fatto che in un primo momento quel banco di nebbia ci abbia ispirato un certo timore non deve pregiudicare la nostra capacità di giudizio. L'evidenza ci indica che le Paludi del Sonno si estendono troppo da est a ovest per poterle aggirare senza perdere un mucchio di tempo, e vi ricordo che l'inverno incombe e che stiamo andando verso nord. Giacché non sembra particolarmente pericoloso, attraversarle non mi pare una cattiva idea."

"Sono d'accordo", dichiarò Mikor. "Se non facciamo così, rischiamo di sprecare molti giorni di cammino."

Un silenzio costernato e lievemente contrariato fece seguito alle ultime frasi. I due esploratori sostennero fermamente gli sguardi perplessi degli altri che, pur non mettendo in dubbio le loro parole, non condividevano la loro opinione. Poi, lentamente, sei paia d'occhi si volsero verso Veldhris, ancora una volta chiamata a decidere per tutti.

Ed ancora una volta, la cantante sentì il peso di quella responsabilità che non aveva cercato, ma da cui non intendeva fuggire. "Non rischieremo di perdere l'orientamento, là dentro?" indagò prudentemente.

"Non penso", rispose Freydar. "Il sole si vede abbastanza bene, attraverso la bruma che, come vi ho detto, all'interno è più rada."

Veldhris considerò il problema ancora per qualche minuto, indecisa. "Non mi piace l'idea di attraversare le paludi", disse infine, con un certo sforzo. "D'altra parte, non possiamo allungare di troppo il viaggio: non avremmo viveri a sufficienza, e la selvaggina attorno all'acquitrino scarseggia. Di tornare indietro non se ne parla nemmeno. Non mi rimane quindi che dichiararmi d'accordo con Freydar e Mikor."

La sua decisione provocò un mormorio di protesta, che però si spense subito.

Roden si schiarì la gola. "Se pensi che sia giusto, Veldy, allora sono con te."

"Non sono affatto sicura che sia giusto", ribatté lei, "ma mi sembra l'unica soluzione, ora come ora. Nessuno di voi è costretto a seguirmi, sia chiaro."

"Se siamo qui è perché lo abbiamo voluto", dichiarò Sekor con fermezza. "Io non ti lascerò certo adesso, perché sono intenzionato a seguirti fino in fondo."

La veemenza che vibrava nella sua voce incuriosì Freydar, che gli lanciò un'occhiata in tralice.

"Ben detto, Sekor!" esclamò Kejah, senza preoccuparsi dell'eccessiva famigliarità con cui lo aveva apostrofato. "Veldy, siamo tutti con te."

Anche Kareth annuì, d'accordo con la gemella, e Veldhris fece un piccolo sorriso. "Grazie. Ho bisogno del vostro appoggio, amici."

Freydar non era nemmeno accorto delle ultime battute dei suoi compagni, ancora immerso nelle sue riflessioni. Ne è innamorato, pensò, passando furtivamente lo sguardo da Sekor a Veldhris. Con stupore, s'accorse che il fatto lo infastidiva. Lo infastidiva proprio.

OOO

Essendo andati a dormire alquanto tardi, i sette viandanti non partirono al sorgere del sole, com'erano soliti fare, ma verso metà mattinata. Smobilitato il campo, cancellarono le tracce della loro permanenza e tornarono a dirigersi verso nord, incontro al muro di nebbia.

Arrivata sui fluttuanti margini della bruma, Veldhris tirò le redini di Stella Nera e la fermò. Gli altri l'imitarono.

La giovane donna fissò la fitta cortina di caligine turbinante, pensierosa. Non dubitava della scelta fatta, ma la sensazione di pericolo che l'aveva pervasa due giorni prima era tornata, più forte ancora. Cercò di racimolare il coraggio necessario per avanzare. Si vergognava della propria debolezza, eppure non poteva farci niente. Non si rendeva ancora conto che aver paura non significa essere vigliacchi, né che non averne significa essere eroi. Il vero coraggio è superare la paura per riuscire a fare quello che va fatto.

Infine, Veldhris si riscosse, raccolse Rollie da terra, inspirò profondamente e, senza voltarsi, disse: "Andiamo."

Con un leggero tocco dei talloni, fece avanzare Stella Nera nella bruma e venne subito affiancata da Freydar su Mistero, seguito da tutti gli altri.

Avanzarono nell'acquitrino per tutto il giorno, con una sola sosta per il pranzo. Mantennero un percorso abbastanza rettilineo verso nord, orientandosi col sole che si intravedeva oltre i veli di nebbia, lasciando che fossero i cavalli a scegliere la strada migliore con il loro infallibile istinto, e difatti non affondarono mai più dell'altezza degli zoccoli nella melma. Veldhris continuò a tenere in braccio Rollie, sebbene il cagnetto, dopo un po', mostrasse segni di insofferenza per l'immobilità cui era costretto.

Man mano che avanzavano, l'aria acquistava un odore sempre più pungente, esalazioni mefitiche che facevano arricciare il naso a tutti.

"Che puzza!" borbottò Veldhris, coprendosi la bocca e il naso con un lembo del mantello che indossava. "Sembra roba andata a male."

"Già", fece Freydar con aria disgustata. "Speriamo che non peggiori."

Le loro voci risuonavano soffocate, quasi come se fossero assorbite dalla bruma che li circondava. Il tanfo non peggiorò e la nebbia si mantenne relativamente rada, ma impregnò di umidità gli abiti dei viandanti facendoli rabbrividire dal freddo.

"Se non ci sbrighiamo a uscire da qui ci beccheremo un raffreddore coi fiocchi", brontolò Sekor, che cavalcava accanto a Kejah.

"Ormai non ce la faremo prima di notte, temo", disse quest'ultima, guardando il sole che tramontava alla loro sinistra come un rosso fantasma evanescente. "Mi sa che dovremo accamparci all'interno della palude. Con questa umidità spaventosa sarà un bel problema accendere il fuoco, ma per fortuna hai pensato a far buona scorta di legna secca."

Sekor non s'ebbe a male per l'apostrofe confidenziale usata dalla cacciatrice, pensando che era assurdo voler mantenere le convenzioni nella situazione in cui si trovavano. Inoltre, Kejah era cugina adottiva di Veldhris, e quindi anche un po' sua.

Prima che facesse troppo buio per proseguire, scelsero un'isola di terra solida e relativamente asciutta tra la fanghiglia e si accamparono. Dovettero faticare un po' con l'acciarino e la pietra focaia prima di riuscire ad accendere un fuoco; poi, mentre Roden e Sekor si occupavano della cena, gli altri governarono i cavalli, coprendoli come meglio poterono, e prepararono i giacigli, stendendo per terra i mantelli di tela cerata per proteggersi dall'umidità del suolo.

"Tutte le stagioni hanno i loro vantaggi", rifletté Veldhris con Kareth mentre erano intente alle loro incombenze. "Persino l'inverno, nonostante il freddo: se fosse estate, molto probabilmente saremmo divorati dalle zanzare."

"Non ci avevo pensato", ammise la cugina. "Hai ragione, ma tra i due scenari, non saprei proprio quale sia il peggiore."

Cenarono tutti assieme, poi Freydar si dispose al proprio turno di guardia e gli altri andarono invece a dormire, rannicchiandosi nei giacigli trascinati il più vicino possibile al fuoco, che venne tenuto acceso per tutta la notte nel tentativo di tener lontana l'umidità. Nonostante la sensazione di minaccia che continuava ad avvertire, Veldhris si addormentò presto, con Rollie stretto al petto.

Durante le ore notturne il tempo mutò e grosse nuvole cariche di pioggia coprirono il cielo, oscurando le stelle che brillavano al di sopra delle Paludi del Sonno. I viandanti però se n'accorsero soltanto al mattino, quando un improvviso quanto violento rovescio di pioggia strappò i dormienti al loro sonno e colse di sorpresa anche Roden, che era di guardia.

In fretta e furia, i sette viandanti si gettarono i mantelli di tela cerata sulle spalle, coprendosi la testa con i cappucci, poi raccolsero i bagagli e sellarono i cavalli. Erano tutti coscienti del pericolo che stavano correndo: l'acqua dal cielo si sarebbe aggiunta a quella del terreno già gravido, trasformando il leggero ed innocuo strato di melma in un mortale lago di fango, e forse di sabbie mobili.

Per loro somma fortuna, l'acquazzone non durò molto a lungo e le condizioni del suolo paludoso non peggiorarono tanto da costituire una seria minaccia. I cavalli avanzavano più faticosamente; una volta, Ram finì in un'area particolarmente instabile, affondando fin oltre i garretti ed impegnando Freydar e Roden in un difficoltoso salvataggio. Il cavallo da soma però si comportò egregiamente e non complicò le manovre dei due uomini, tanto che nel giro di un quarto d'ora erano di nuovo tutti in marcia. C'era però un problema: aveva sì smesso di piovere, ma il cielo era tuttora coperto da un fitto strato di nubi che impediva al sole di attraversare il banco di caligine che aleggiava sull'acquitrino, e questo a sua volta impediva ai sette viandanti di orientarsi, fatto aggravato dalla mancanza di punti di riferimento a livello del terreno.

Se ne resero conto tutti dopo poco tempo, ma in tacito accordo continuarono caparbiamente ad avanzare finché lo stomaco non disse loro che era ora di pranzo. Allora si fermarono e consumarono un pasto frugale, accendendo il fuoco solo per scacciare un po' di umidità dalle ossa.

Infine, Sekor affrontò la situazione. "Senza il sole ci è impossibile conoscere la direzione", osservò senza giri di parole. "Siamo sicuri che stiamo procedendo ancora verso nord?"

Freydar tacque, dimostrando così la propria perplessità in proposito. Kareth, che da esperta cacciatrice possedeva un senso dell'orientamento particolarmente sviluppato, rispose in sua vece. "Non posso esserne completamente certa, ma mi sembra di sì. Kejah, tu cosa ne pensi?"

La sua gemella annuì. "Sì, in linea di massima direi che stiamo andando verso nord, ma forse dovremmo spostarci più verso destra."

"Ma bene!" sbottò Mikor con sarcasmo. "Se adesso cominciamo con le deviazioni, una di qua e una di là, allora sì che siamo a posto! Chissà dove andremo a..."

"Hai una proposta migliore, cugino?" lo interruppe freddamente Veldhris.

Il principe la fissò a bocca aperta, interdetto da tanta sfacciataggine, ma non poteva rimproverarla, giacché effettivamente erano parenti e, anzi, lei era di lignaggio superiore al suo. Dominando a stento la sua collera, Mikor annuì rigidamente. "Non ha senso andare avanti senza sapere dove ci stiamo dirigendo. Fermiamoci e aspettiamo che torni il sole."

Nonostante l'avversione per il Signore della Foresta del Vespro, Veldhris considerò seriamente la sua proposta per un buon minuto. Si guardò in giro, scrutando la caligine che turbinava attorno a loro con gelida indifferenza. Le parve di intravedere sinistre ombre oltre quel velo, beffardi giochi dei vortici di bruma. "Non ha senso andare avanti", riconobbe infine, "ma non ha molto più senso fermarsi. Se ci limitiamo a aspettare non risolveremo il problema finché non torneremo a vedere il sole, mentre se continuiamo abbiamo sempre la possibilità di uscire dalla palude prima che il cielo si sgombri."

Freydar aveva seguito con grande attenzione quello scambio ed aveva percepito chiaramente la tensione esistente tra i due. Essendo al corrente delle loro vicende dinastiche, poteva ben immaginare il motivo dell'astio di Mikor e pertanto il principe gli piacque sempre meno: non si poteva fare una colpa a Veldhris se era lei l'Erede di Arcolen e non lui. Anche se il capitano non poteva saperlo, stava ragionando esattamente come Sekor.

Intanto Mikor, preso in contropiede dalla risposta di Veldhris, si era ripreso. "Non vedo perché affaticare inutilmente i cavalli", obiettò. "Inoltre, andando avanti alla cieca rischiamo di tornare addirittura sui nostri passi e di uscire dalla nebbia di nuovo sul fronte meridionale."

"Non avrebbe nessuna importanza", disse Veldhris, recisa. "Sarebbe in ogni caso meglio che rimanere bloccati qui. Non credo di doverti ricordare, cugino, che abbiamo provviste soltanto per una settimana, dato che abbiamo dovuto portarci appresso anche il foraggio per i cavalli e la legna da ardere. Per quanto ne sappiamo, il cielo potrebbe rimanere coperto per giorni e giorni e noi potremmo morire di fame e di sete prima di riuscire a lasciare queste maledette paludi."

Il cuor suo, Freydar l'applaudì: essendo la guida del gruppo, aveva già preso in esame la soluzione proposta da Mikor e l'aveva scartata per le stesse ragioni addotte da Veldhris; aveva taciuto perché era lei il capo e le sue decisioni andavano rispettate, ma solo ora Freydar accettò in pieno tale stato di cose. All'inizio gli era parso assurdo, ridicolo e persino pericoloso, ma ora aveva cambiato parere: Veldhris era giovane, ma capace di prendere le decisioni giuste, sia ascoltando tutti i pareri, sia da sola o seguendo i consigli altrui, come un vero capo, e di questo lui si compiacque.

Mikor, sconfitto, non replicò niente ed il gruppo si rimise in marcia, sperando di procedere nella giusta direzione. Avanzarono con fatica e tenacia fino a che non cominciò a far buio, quando si accamparono su di un'isola particolarmente asciutta e si disposero a passare una seconda notte nelle Paludi del Sonno.

A differenza della sera precedente, Veldhris faticò a prender sonno: l'onnipresente sensazione di pericolo che aleggiava tutt'attorno si era acuita con l'andar delle ore ed adesso incombeva su di loro come una presenza mostruosa. La cantante era certa che una terribile minaccia si celasse nelle profondità dell'acquitrino, anche se non aveva idea di che cosa potesse trattarsi. Incapace di addormentarsi, si rigirò a lungo nelle coperte prima di piombare in un sonno agitato e popolato d'inquietanti figure.

OOO

Fu una gelida sensazione d'immediatezza del pericolo presagito a risvegliarla bruscamente prima dell'alba. Veldhris rimase un istante immobile, cercando di stabilire da che parte venisse la minaccia. Comprese che non era ancora arrivata loro addosso: qualcosa l'aveva avvertita in anticipo, e forse erano ancora in tempo.

Si alzò in fretta, svegliando anche Rollie di soprassalto, e chiamò sottovoce Sekor, che era di guardia. "Sveglia gli altri", sussurrò concitata. "Dobbiamo andarcene, e in fretta."

"Ma..." cominciò il principe, sommamente stupito.

"Niente domande. Sbrigati!" lo troncò lei, piantandolo in asso per correre presso il fuoco e spegnerlo con una manciata di fango, che poi calpestò accuratamente per cancellare ogni traccia del falò.

Poco dopo erano tutti in piedi, ancora assonnati e disorientati dalla fretta che Veldhris metteva loro. "Presto, presto! E fate in silenzio!" li esortava incessantemente. La sua ansia fece presa sugli animi dei compagni: raccolsero velocemente le loro cose, sellarono i cavalli, che davano evidenti segni di nervosismo, e s'incamminarono nell'incerta luce di un'alba invisibile, luce resa livida dalla mutevole cortina di nebbia vorticante, con la maggior silenziosità possibile. Dietro di loro, le tracce degli zoccoli dei cavalli sparivano in pochi secondi nella melma del terreno paludoso.

Continuarono così per quasi un'ora, poi Veldhris fece un lento sospiro di sollievo e tirò le redini di Stella Nera, che si fermò sbuffando.

Gli altri sei la circondarono, in attesa di una spiegazione.

"E allora?" la apostrofò Mikor, irritato. "Si può sapere cosa ti è preso?"

"Contenetevi, Sire!" sbottò Roden, seccato dal suo tono insolente. "Mia sorella avrà certamente avuto le sue ragioni per agire come ha fatto!"

Mikor lo fulminò con un'occhiataccia, indignato da tanta impertinenza, ma il boscaiolo non abbassò lo sguardo.

"Calmatevi, tutti e due" intervenne Sekor, pacatamente ma con fermezza. "Veldhris, vuoi spiegarci?"

La cantante si sentì a disagio. Effettivamente, che motivi poteva addurre per giustificarsi? Una sensazione meramente soggettiva poteva spiegare ragionevolmente il suo comportamento? No, certo, l'avrebbero presa per pazza, o quantomeno per una visionaria. Decise di far ricorso alla sua autorità di capo. "No, Sekor, non è il momento. Per ora limitatevi a credermi se vi dico che è assolutamente necessario uscire dalle paludi oggi stesso, o saremo perduti."

"Quanto a questo, mi pare che lo siamo già" commentò Mikor, caustico. Nessuno gli badò.

"Come vuoi, Vel", decise subito Kareth. "Mi fido di te."

Veldhris ringraziò la cugina adottiva con un cenno del capo, poi squadrò gli altri uno ad uno. Nessuno ebbe qualcosa da ridire. "Bene, allora proseguiamo."

Come il giorno prima, continuarono per ore ad avanzare nella palude, incerti della direzione. Il cielo era ostinatamente coperto e non un indizio indicava loro la via da seguire. Solo l'istinto li guidava.

A metà pomeriggio, nonostante gli sforzi di Veldhris, quello che li minacciava li scoprì e li assalì, ma non fu un attacco come comunemente s'intende con questa parola.

Ad un certo punto, i cavalli si rifiutarono di andare avanti. I cavalieri smontarono di sella e cominciarono a tirarli per le redini, e per un po' poterono proseguire, affondando nella melma fin quasi al ginocchio. Fortunatamente, indossavano alti stivali che li proteggevano.

Veldhris cominciò a sentire un gran sonnolenza pesarle sulle palpebre. Tentò di scacciarla, ma non riusciva a tenere gli occhi aperti. Faticosamente, cocciutamente, continuò ad avanzare, ma il torpore le gravava addosso sempre di più, facendola barcollare. Ogni passo divenne più estenuante del precedente. Sembrava che l'aria satura di umidità vibrasse di una melodia inaudibile all'orecchio umano, ma percepibile a livello epidermico, una melodia insinuante contro cui Veldhris lottava strenuamente.

"Non cedere... Non cedere, Veldhris Yuniadil..."

La frase che continuava a ripetersi l'aiutò a percorrere un centinaio di metri, ma era sempre più difficile riuscire a sollevare un piede ed a metterlo davanti all'altro, finché una cappa d'oblio le piombò addosso e la fece stramazzare accanto a Stella Nera, che abbassò il muso a terra e rimase immobile, come pietrificata.

Veldhris non poté mai dire con esattezza per quanto tempo rimase in stato d'incoscienza: forse un'ora, forse due, o forse solo pochi minuti. A salvarla, e con lei i suoi compagni, fu il componente più improbabile del gruppo, il quasi dimenticato Rollie, che Veldhris aveva lasciato in groppa alla sua giumenta.

Il cagnolino resistette più di tutti allo strano sopore che li aveva tanto subdolamente assaliti, ma poi anche lui si addormentò in sella a Stella Nera, aggrappato in modo precario. Quando nel sonno si mosse, perse l'incerto equilibrio che fino ad allora lo aveva mantenuto sul dorso della cavalla e piombò a terra, finendo proprio sulla faccia di Veldhris. La cantante si risvegliò con un grido di spavento e Rollie schizzò via terrorizzato, ma la bruschezza dell'avvenimento li aveva strappati entrambi al letargo, anche se per poco. Infatti, il bisogno di abbandonarsi all'oblio tornò in fretta, insinuante, impellente, ma nuovamente Veldhris lottò contro di esso.

Dormi... dormi...

La giovane donna strizzò gli occhi, alzandosi a sedere, e scosse violentemente il capo. Le trecce imbrattate di fango le frustarono la faccia.

Lasciati andare...

Era un sussurro corale, suadente, irresistibile, ma a Veldhris ripugnava seguirne l'invito, che pure sembrava tanto allettante. L'istinto la metteva in guardia dalle sue lusinghe.

"Chi è?" domandò con voce flebile. Si schiarì la gola e ripeté più forte. "Chi parla?"

Dormi... rilassati... non pensare...

Faticosamente, battendo i denti per il freddo, Veldhris si mise in ginocchio. Gelata fin nel midollo, tremava come una foglia. "Fatevi dunque vedere, voi che parlate!" ordinò ad alta voce, imperiosamente. "Viventi o spettri, mostratevi!"

Pace... silenzio... eternità...

Le voci erano sempre più accattivanti, persuasive, e diveniva sempre più difficile resistere. Perché non cedere? Perché non abbandonarsi all'onda soffice e dolce del sonno? La pace, il silenzio erano cose assai desiderabili... Non dover più faticare, non dover più preoccuparsi di nulla...

"No!" esclamò Veldhris, tornano a scuotere con furia la testa. Di nuovo, le trecce inzaccherate le sferzarono il viso, contribuendo a mantenerla sveglia. "Fatevi vedere, chiunque voi siate!"

Non resistere... lasciati andare...

Il tono si era fatto più perentorio, cominciando ad assomigliare più a un ordine che a un invito.

"No, mai!" gridò Veldhris con foga. "Ditemi chi siete!"

Si alzò un lugubre coro di gemiti.

Noi siamo gli Spettri delle Paludi... coloro che combatterono la Guerra dei Poteri, mille anni fa...

Le voci tacquero, e Veldhris riprese la parola. "E perché tormentate i vivi?? Cosa volete da noi?" esclamò.

Poiché la maledizione di Rakau ci perseguita, noi non potremo lasciare il mondo dei vivi finché centomila esseri viventi non saranno stati intrappolati qui...

"Non avete il diritto di farlo!" ansimò la cantante, gelata ora anche nell'animo. Il terrore avrebbe dovuto schiacciarla, pensò confusamente, e invece si sentiva combattiva come mai prima in vita sua. Si aggrappò ad una staffa e poi alla sella, rimettendosi in piedi. Il freddo era sempre più pungente, e dovette stringere i denti per non farli battere.

Abbandona il mondo e i suoi tormenti... Qui troverai la pace... A che serve lottare, soffrire...

Il coro di voci era tornato suadente ed invitante. Veldhris fece per protestare con ancor più veemenza di prima, ma si trattenne: era inutile tentare di ragionare con loro, che non apparteneva più al mondo dei viventi ma che non erano ancora nel mondo dei trapassati. Veldhris rabbrividì, agghiacciata, scorgendo le ombre degli Spettri delle Paludi oltre la cortina di nebbia turbinante, simili a sagome di guerrieri dai contorni sfumati, e perciò terrificanti.

"Andatevene! Andate via, o vi scaccerò infliggendovi un supplizio orrendo per voi che ricercate la pace!" strillò con quanto fiato aveva nei polmoni. Rollie, mezzo soffocato nel pantano, si aggrappava ai suoi stivali per non affondare, rannicchiato su se stesso e schiacciato dal terrore.

Non pensare... lasciati andare...

Veldhris comprese che non avrebbe resistito a lungo. Il panico minacciava di sopraffarla nonostante la sua inaspettata grinta; doveva agire, o avrebbe finito col soccombere. Ma cosa poteva fare? Come poteva lottare contro degli spettri incorporei? Le armi non sarebbero servite a nulla, posto che fosse capace di brandirne una... Poi all'improvviso le sorse un'idea. La sua mano brancolò alla ricerca dello yord, lo trasse dalla sua custodia e lo appoggiò al petto, poi con voce esitante intonò un poema epico di antica origine, il cui contenuto eroico ed avventuroso risvegliava negli animi il desiderio di lottare. Man mano che proseguiva nella canzone, Veldhris si rincuorò e la sua voce acquistò forza e vigore; superati i balbettii iniziali, il canto proruppe potente dalla sua gola. Ululati e lamenti si levarono improvvisamente tutt'attorno a lei, ma la giovane donna si rifiutò di lasciarsi intimorire.

Quel frastuono terribile ridestò di soprassalto anche gli altri sei viandanti ed i cavalli, che presero a nitrire ed a sbuffare, aumentando il baccano e la confusione. Inorriditi, i sei che si erano appena svegliati dal letargo in cui erano stati gettati dall'incantesimo degli Spettri osservarono la scena che si presentava ai loro occhi, stentando a crederci: Veldhris, infangata da capo a piedi, cantava a gola spiegata gesticolando come impazzita, Rollie abbaiava freneticamente, i cavalli s'impennavano e sgroppavano nitrendo furiosamente, e strane scie di luce gelida, simili a fulmini dai contorni evanescenti, saettavano sulle loro teste lanciando urla e gemiti raccapriccianti, che fecero loro rizzar i capelli in testa.

Quel pandemonio durò forse mezzo minuto, ma a tutti sembrò un'eternità fatta di cieco terrore. Infine, le scie di luce sfrecciante scomparvero, le urla cessarono e gli animali si acquietarono.

Anche Veldhris smise di cantare. Sei paia d'occhi la stavano fissando, smarriti, implorando una qualche spiegazione.

"Alzatevi, presto!" ordinò la cantante, bruscamente. "Muovetevi, marmotte! In sella, svelti!"

I secchi comandi, quasi abbaiati tanto il tono era aspro e sgarbato, ebbero il potere di riscuotere istantaneamente tutti quanti. Automaticamente balzarono in piedi e si issarono in groppa ai loro cavalli.

"In fila per uno!" ordinò ancora Veldhris, con lo stesso tono di voce. "Andiamo, via via via!"

In silenzio, inzaccherati, infreddoliti e completamente disorientati, i suoi compagni obbedirono ed insieme si avviarono, proseguendo stancamente finché non fu sera, e nemmeno allora Veldhris permise che si fermassero. Lasciando alle cavalcature la scelta del percorso, continuarono ad avanzare senza sosta finché non fu troppo buio per vedere alcunché.

Solo allora Veldhris diede l'alt. "Accendiamo il fuoco", decise con autorità. "Dobbiamo asciugarci, cambiarci e mangiare qualcosa di caldo, o ci ammaleremo tutti. Poi organizzeremo turni di guardia doppi. Ripartiremo all'alba."

Nessuno fiatò finché non si furono tutti cambiati d'abito. Il fango, seccandosi sui loro capelli, li aveva ricoperti di una friabile crosta grigia, di cui si liberarono spazzolandosi con vigore, poiché per il momento non avevano la possibilità di lavarli. Ci avrebbero pensato quando fossero usciti dalle Paludi del Sonno, il cui nome aveva acquistato infine un significato preciso e sinistro. Veldhris diede anche una bella strigliata a Rollie, sorda ai suoi indignati guaiti di protesta.

Sempre in silenzio, Kejah preparò un infuso bollente di erbe medicinale che nella Foresta del Vespro era molto usato nella prevenzione delle malattie da raffreddamento, e tutti ne bevvero una tazza con espressioni più o meno disgustate, ma senza protestare.

"Senti, Veldhris, ma cosa diamine è successo?" domandò infine Freydar, dando voce all'interrogativo di tutti.

Veldhris scrollò il capo. "Siamo scampati agli Spettri delle Paludi: almeno per il momento, sono riuscita a respingerli. Se dovessero riapparire stanotte, dovete svegliarmi immediatamente, anche se si tratta soltanto di un sospetto, capito? Domani, o piuttosto quando saremo usciti di qui, vi spiegherò meglio come sono andate le cose."

Gli altri non obiettarono; Kejah e Sekor si assunsero il primo turno di guardia, mentre i rimanenti componenti del gruppo andarono a dormire.

Nelle primissime ore del mattino un forte vento di quota spazzò via i nembi che ancora oscuravano il cielo. All'alba, i viandanti ebbero la gradita sorpresa di vedere il sole sorgere sulla loro destra, lievemente spostato in avanti, così poterono correggere la direzione quel tanto che bastava per proseguire direttamente verso settentrione. Senza perdere tempo per la colazione, i sette montarono in sella e si rimisero in marcia, sgranocchiando una galletta strada facendo.

Gli Spettri delle Paludi ricomparvero a metà mattinata, assalendoli nuovamente con il loro potente incantesimo di oblio. Anche stavolta però furono scacciati dall'impetuoso canto di Veldhris, che evocava eventi grandiosi ed eroi magnifici in stridente contrasto con il loro sortilegio di pace e di sonno mortale. Urlando e gemendo, quelle anime tormentate batterono in ritirata.

Finalmente, nel primo pomeriggio, senza aver sostato nemmeno per il pranzo, i viandanti uscirono dalle infide nebbie delle paludi, ritrovando il cielo sgombro e la campagna aperta. Con grida di gioia e di sollievo, si slanciarono al galoppo e si allontanarono rapidamente dalle insidiose Paludi del Sonno.

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