Capitolo VI: Zarcon

Capitolo VI: Zarcon

Dopo aver attraversato il bosco in cui si era rifugiato, il gruppo si diresse verso occidente, seguendo un invisibile sentiero tra le colline. I guerrieri di Zarcon montavano tutti sui loro destrieri, che durante la notte e l'attacco dei Vampiri erano rimasti legati nei dintorni dell'accampamento e, ben addestrati com'erano, non avevano dato segni della loro presenza con rumori inopportuni. Sekor cavalcava Nevesole assieme a Kejah, mentre su Tempesta c'erano Mikor e Kareth. Roden si era accontentato di Rim, più robusto di Ram, mentre il capitano Freydar, su un magnifico stallone nero dai riflessi bluastri di nome Mistero, si era incaricato di Veldhris.

La cantante quel mattino aveva avuto agio di osservarlo. Poteva avere una decina d'anni più di lei, quindi essere sui trentacinque; gli occhi grigio-azzurri ben si accompagnavano alla sua carnagione chiara e facevano uno spiccato contrasto coi capelli bruni dai riflessi rossi, dello stesso colore della barba, leggera e ben curata; una cicatrice a forma di amo, sicuramente frutto di qualche vecchio scontro, gli segnava il volto sul lato destro, partendo dall'angolo dell'occhio per scendere allo zigomo, risalendo poi verso la tempia fino all'attaccatura dei capelli. Ora, seduta dietro di lui, Veldhris poteva constatare l'ampiezza della sua schiena, accentuata dagli spallacci, nonché la sua considerevole statura, che superava la sua di tutta la testa.

Durante la mattinata parlarono poco. Ogni tanto Freydar dava ordini perché l'avanguardia esplorasse una zona dei dintorni, poi a mezzogiorno diede l'alt. Veloci ed efficienti, gli uomini e le donne del manipolo impastoiarono i cavalli, accesero un fuoco e prepararono il pranzo sotto gli occhi attenti e compiaciuti del loro capitano che, lo si vedeva subito, godeva della loro stima e della loro incondizionata fiducia.

Durante il pasto, Freydar chiese delucidazioni a proposito delle Maleterre, il Deserto Maledetto come lo chiamava il Popolo del Fiordo, e Roden gli raccontò della loro traversata, coadiuvato dagli interventi di Mikor e Kareth. Sekor, un po' indebolito dalla cavalcata poiché non si era ancora completamente ripreso, non partecipò alla conversazione; premurosamente, Kejah si occupò di lui, ispezionando la ferita e spalmandovi sopra l'unguento che aveva usato la notte prima, per poi tornare a fasciarla.

Veldhris notò la sollecitudine della cugina, che era più di quella che una guaritrice usa normalmente per un paziente, e sorrise tra sé: era evidente che Kejah era fortemente attratta dal principe. Peccato che questi si sentisse altrettanto evidentemente attratto da lei, Veldhris, che da parte sua non era affatto sicura di provare la stessa cosa per lui. Certo, era un bel ragazzo, simpatico e affascinante, ma...

D'un tratto, si rese conto di star fissando insistentemente Freydar, immerso nel discorso con Roden. Il pensiero di non aver mai visto un uomo più attraente le attraversò la mente a velocità fulminea. Aveva un fisico statuario, come si poteva indovinare sotto la cotta di maglia, gli aderenti pantaloni di pelle scamosciata e il mantello aperto e gettato indietro: spalle ampie, fianchi stretti, lunghe gambe e braccia muscolose gli conferivano un'aura di forze e di potenza, controllata ma pronta ad esplodere in caso di necessità, che eguagliava quella di Roden sebbene quest'ultimo avesse un fisico più massiccio.

Veldhris si sorprese a raffigurarsi quelle braccia attorno a sé, quel corpo possente che premeva sul suo, e si sentì riempire di un desiderio inaspettato, come se la stessa baciando ed accarezzando. Questo la lasciò così interdetta, che distolse subito lo sguardo dal capitano e la mente da quel sensuale sogno ad occhi aperti; sentendosi le orecchie in fiamme, tornò a concentrarsi sul cibo nel piatto. Rollie guaì, reclamando un boccone, e lei gli passò un osso con della carne perché lo rosicchiasse. Non si accorse così dello sguardo cupo e meditabondo che Mikor aveva posato su di lei.

OOO

In tutto, sostarono un paio d'ore, più che altro per dar modo a Sekor di riposarsi un poco, e poi ripresero il cammino. Nel rimontare a cavallo dietro al capitano, Veldhris si sentì a disagio, ma si costrinse ad ignorare il fatto, concentrandosi invece su Rollie che, saltellando e correndo a tratti, trotterellava al loro fianco con energia inesauribile. Della sua brutta avventura a Tamya e del faticoso viaggio attraverso le Maleterre, il cagnolino pareva non serbare alcun ricordo, dando libero sfogo alla sua spensieratezza e vivacità.

Nel pomeriggio, Freydar mandò avanti uno dei suoi uomini in modo che Re Oolimar fosse avvertito del loro rientro e potesse far disporre un alloggio per gli ospiti, come li definì. Infine, mentre il sole declinava, la compagnia giunse in vista del mare e si trovò, quasi all'improvviso, sul margine di un ripidissimo strapiombo che ai sei di Tamya ricordò immediatamente le Scogliere Tonanti. Lo seguirono verso nord per qualche tempo e ben presto Veldhris notò che il paesaggio si stava trasformando, divenendo come l'estuario del Fiume Lungo: una profonda spaccatura nella linea costiera che si inoltrava nell'entroterra, come una stretta valle dal fondo coperto d'acqua.

"Questo è il Fiordo di Zarcon", disse Freydar, indicando con un ampio gesto del braccio.

A Veldhris sfuggì un'esclamazione di sorpresa mentre finalmente dava un nome allo strano paesaggio che aveva incontrato nell'estremo sud della sua patria: dunque, quella che aveva finora chiamato valle d'acqua, in mancanza di un termine più adeguato, era in realtà un fiordo. Il ricordo dell'imponente visione delle Cascate di Cristallo che precipitavano nel Fiordo del Vespro, come subito lo denominò, le suggerì alcuni versi e d'un tratto si rese conto che era da più di tre settimane che non cantava. Aveva quasi dimenticato lo yord infilato nella sua custodia alla cintura e di essere un membro della Gilda dei Cantori; data l'importanza che per le aveva sempre avuto la sua arte, tale dimenticanza le confermava l'enormità del cambiamento che la sua vita aveva subito in quel breve torno di tempo.

La compagnia proseguì ancora verso settentrione fino a giungere ai margini di un bosco assai fitto e scuro: se non fosse stato per la misura degli alberi, i sei di Tamya avrebbero creduto di ritrovarsi ai confini della Foresta del Vespro.

Freydar diede l'alt, prese il corno che gli pendeva al fianco e vi soffiò una precisa sequenza di richiami di varia durata ed intensità. Gli rispose il suono di un altro corno e poi tra gli alberi comparvero due uomini armati di archi e frecce, con l'aggiunta di lunghe spade.

"Bentornato, capitano Freydar", lo salutò uno di loro. "Re Oolimar è già stato avvertito e vi attende."

"Grazie, Doran. Ci rivedremo in città non appena avrete finito il turno."

"Sissignore", disse il giovane guerriero, arrossendo. Si scostò per lasciarli passare e, in fila, i cavalli ed il loro carico di persone e cose si inoltrarono nel bosco.

Veldhris non riuscì a frenare la propria curiosità. "Quel giovanotto mi sembrava molto imbarazzato, come mai?"

Freydar sorrise. "Ha chiesto a mia sorella Alorya di sposarlo. Ora dovrà venire da me a chiedere il mio permesso, in quanto capofamiglia da quando mio padre è morto, due anni fa."

"Ah, capisco", disse Veldhris, ma non era del tutto sincera: presso il Popolo della Foresta, non era necessario chiedere il permesso a chicchessia perché due giovani di maggiore età potessero sposarsi. Era una cosa che riguardava esclusivamente i futuri sposi e pertanto le famiglie non avevano voce in capitolo. Certo potevano disapprovare la scelta compiuta dal congiunto, ma questo non poteva impedire il matrimonio, se i due erano fermamente determinati a compiere il passo.

"E tu hai intenzione di permettere a tua sorella di sposarlo?" indagò, incapace di trattenersi.

Si rese conto troppo tardi che non erano affari suoi, ma Freydar, molto cortesemente, le rispose lo stesso. "Certamente. Conosco Doran da molti anni e so che è un brav'uomo e un eccellente guerriero. Alorya sarà felice con lui."

Questo dovrebbe deciderlo lei, pensò Veldhris; si astenne dall'esprimersi ad alta voce, ma non poté fare a meno di considerare la possibilità che Alorya, in realtà, potesse non voler affatto sposare Doran. In questo caso, si augurò che potesse rifiutare la proposta di matrimonio. Ad ogni modo, però, lei era una straniera, non conosceva niente degli usi di Fiordo, e soprattutto, la faccenda non la riguardava, perciò tenne saggiamente la bocca chiusa.

Poco dopo, il terreno cominciò a salire ripidamente sul pendio di una collina coperta d'alberi, sorta davanti a loro quasi all'improvviso. Nel fianco dell'altura si apriva una profonda spaccatura, come se una gigantesca scure si fosse abbattuta su quel punto, quando il mondo era stato creato. Due guerriere sbucarono dall'imboccatura del crepaccio e marciarono incontro al gruppo a cavallo, che frattanto s'era fermato. Veldhris scivolò prontamente a terra e corse a prendere Rollie in braccio, in modo che non si allontanasse, curioso com'era, ad esplorare quel nuovo posto. Anche tutti gli altri smontarono di sella.

Freydar lasciò le redini di Mistero in mano alle due nuove venute ed affidò loro anche gli altri cavalli, compresi quelli di Tamya, affinché li conducessero nei recinti poco distanti, nascosti nel folto. "Saranno ben accuditi e rifocillati", rassicurò Mikor e Sekor, alquanto ansiosi per la sorte dei loro destrieri, Tempesta e Nevesole. "Purtroppo non possiamo portare cavalli in città."

La ragione di tale impossibilità fu presto chiara: non appena si furono rimessi in cammino, dopo essersi divisi e caricati in spalla i bagagli e le ormai magre provviste, i guerrieri di Zarcon si addentrarono nello stretto crepaccio, seguiti da Freydar e dai sei di Tamya. Il passaggio tra le due pareti a strapiombo era tanto angusto da permettere a malapena l'avanzare di una sola persona per volta. Nel burrone era già quasi buio e la via era rischiarata da una serie di fiaccole, infilate in anelli di ferro fissati sulla roccia e protette da schermi di vetro per evitare il rischio di spegnimento: certamente il vento doveva soffiare assai forte in quello stretto budello.

Si addentrarono nel cuore dell'alta collina per circa cento metri, poi, dopo una brusca svolta a sinistra, giunsero alla fine del crepaccio. Nel punto in cui le due erte pareti si congiungevano, si apriva l'imboccatura di una caverna, anche questa illuminata da torce, ed il manipolo di Freydar vi s'infilò senza esitazioni.

Veldhris si fermò un istante, perplessa, a guardare l'ingresso della grotta. "Ma... Zarcon è una città sotterranea?" domandò, rivolta a Freydar che le camminava davanti.

Il capitano si fermò a sua volta per girarsi verso di lei. "No", rispose. "Si trova sul mare. Vedrai, vedrai... è un'autentica meraviglia", aggiunse sorridendo quando notò la sua espressione incredula.

Si inoltrarono nella caverna, che si rivelò l'ingresso di una galleria in discesa ed alquanto ripida. Il cammino però era agevolato da gradini intagliati nella viva roccia, in parte corrosi dal tempo e dall'uso.

Scesero molti gradini e molti metri per un tempo che parve lunghissimo a Veldhris, ma che in realtà fu di forse una mezz'ora. Infine, sbucarono su di una larga cengia a una ventina di metri sul livello del mare, protetta da una robusta balaustra di legno. I sei di Tamya, voltandosi alla loro destra, ebbero la prima visione della città di Zarcon.

L'agglomerato sorgeva su di una spianata di roccia che si staccava bruscamente dalla ripida parete orientale del fiordo, spingendosi verso il centro dello stesso simile alla prua di una nave. Tutt'intorno erano state costruite delle piattaforme sostenute da robuste colonne allo scopo di allargare lo spazio disponibile, permettendo così la costruzione di nuove abitazioni. Quasi tutte le case avevano il tetto a terrazza occupato da un giardino pensile, ovviando all'impossibilità di dedicare spazio ad aree verdi. Tuttavia, anche senza quelle macchie di piante e fiori, Zarcon sarebbe stata bellissima, in virtù del materiale di cui era costruita: tutti gli edifici erano infatti di corallo, una sostanza sconosciuta al Popolo della Foresta che però conquistò subito i suoi sei rappresentanti. Corallo di una varietà unica, che esisteva solamente all'interno delle acque calde del Fiordo di Zarcon, molto resistente, di crescita assai rapida, e di tutte le sfumature possibili di rosso, rosa, bianco, arancione e nero, combinati tra loro a formare disegni geometrici e decorativi. Nella luce del tramonto, che tingeva di rosa le pareti di roccia chiara alle spalle della città, pareva una visione uscita direttamente da un sogno.

"Meraviglioso", sospirò infine Veldhris. Rollie abbaiò brevemente, come a dichiararsi d'accordo, e gli altri si espressero similmente.

Freydar sorrise, compiaciuto della loro ammirazione per la sua città natale. "Venite", li invitò poi, avviandosi lungo la cengia in direzione di Zarcon. "Immagino che siate stanchi, dopo il lungo viaggio che avete affrontato da Tamya a qui: presto potrete riposare e rifocillarvi negli alloggi allestiti per voi."

Quella prospettiva rincuorò tutti, compreso lo stesso Freydar, ed il gruppo, ormai distanziato dal manipolo di guerrieri che l'aveva preceduto, si incamminò con passo baldanzoso.

Man mano che la luce del giorno scemava, cedendo il passo alle tenebre notturne, nelle case e nelle strade della città di corallo si accendevano tremolati le fiammelle delle lampade e delle candele, illuminando le finestre e le vie simili ad uno sciame di lucciole. Veldhris ricordò con nostalgia struggente le luci colorate dei lampioni e delle finestre schermate dai tendaggi della sua città d'alberi, che non esisteva più. Invidiò Freydar e tutto il Popolo del Fiordo perché avevano ancora una patria, ma non le venne in mente che l'esistenza di questo regno era minacciata e dipendeva da lei. Anche se aveva deciso di accettare la missione che il destino le aveva imposto, quest'ordine di idee le era ancora troppo estraneo perché potesse pensarci spontaneamente.

I sei di Tamya e la loro guida percorsero le vie di Zarcon in silenzio, sogguardati con curiosità e un pizzico di apprensione dai cittadini occupati nelle loro faccende. Il pianoro era leggermente inclinato ed essi camminarono in salita, verso la parete rocciosa, in direzione della grande costruzione bianca striata di rosa scuro che avevano scorto dalla cengia, presumibilmente il palazzo reale. Superarono un cancello aperto, custodito da un picchetto di guardie che salutarono Freydar scattando sull'attenti, e si inoltrarono nei giardini circostanti la reggia, gli unici della città; non furono però condotti a palazzo, bensì al padiglione distaccato dal corpo principale che era stato loro assegnato come alloggio.

I guerrieri del manipolo di Freydar vi avevano già portato i loro bagagli; gli ospiti furono accolti da alcuni servitori, i quali avevano pensato bene di preparare un bagno caldo per ciascuno di loro, notizia che fu assai gradita.

Freydar qui si congedò e Roden, stringendogli la mano, gli chiese: "Ti rivedremo?"

"Certamente", confermò il capitano. "Domani verrò a chiamarvi io stesso per l'udienza con Re Oolimar. Ora pensate soltanto a riposarvi e a cenare, cosa che farò a mia volta senza indugio", aggiunse con un sorriso. "Vi auguro una buona notte."

Fece un lieve inchino in direzione di Mikor, poi girò sui tacchi e si allontanò in fretta, senza degnare Veldhris di un solo sguardo. Inspiegabilmente, la cosa la indispettì: dopotutto, era una principessa e, come Mikor, aveva diritto di...

Stupita di se stessa, Veldhris si bloccò nel bel mezzo del pensiero: ma come, se proprio lei aveva chiesto di non essere trattata da principessa, ora cosa pretendeva? Scrollando la testa, si voltò ed entrò nel padiglione.

Il bagno la rilassò, lasciandola in un piacevole stato di torpore, che fu però subito spezzato dal vigoroso ed abile massaggio di una domestica, una robusta donna di mezza età che, a quanto le parve, si divertì ad impastarla. Dopo però Veldhris si sentì immensamente meglio, spariti gli indolenzimenti e la stanchezza che il viaggio le aveva procurato. Anche Rollie era stato lavato ed asciugato da un servitore, che gli aveva anche portato una palla di stracci con cui giocare.

Lo stesso trattamento era stato riservato anche ai cinque compagni della cantante, come più tardi a cena apprese dai loro commenti. Mangiarono piatti saporiti a base di pesci di varietà a loro sconosciute, accompagnati da un leggero vino di colore dorato, con abbondanza e comodità che non sperimentavano da settimane, ed infine si ritirarono nelle loro stanze per dormire.

Stesa sotto le coltri su di un morbido materasso, Veldhris tentò di pensare ad un discorso da fare l'indomani a Re Oolimar per presentare se stessa ed i suoi compagni sotto una buona luce, ma il sonno le piombò addosso a tradimento e si addormentò, con Rollie acciambellato ai piedi del letto, nel giro di pochi minuti.

OOO

Il mattino dopo, il cielo era corrucciato e minacciava pioggia. Veldhris fu svegliata dalle vivaci manifestazioni d'affetto di Rollie, che saltellava e scodinzolava allegramente in giro per il letto. Veldhris rise di quella spensierata esuberanza, si alzò con un sospiro soddisfatto e cercò il vestito che un'ancella le aveva fornito la sera precedente, perché potesse indossarlo al posto degli impolverati e malconci abiti da viaggio. Poco dopo, era in sala da pranzo, dove trovò Roden e Sekor intenti a consumare la colazione. Alcuni minuti più tardi furono raggiunti da Kareth e Kejah, e per ultimo arrivò anche Mikor.

Alle dieci si fece annunciare Freydar, che portava loro un messaggio personale di Re Oolimar. "Il re mio cugino mi ha incaricato di porgervi il suo buongiorno. Vi invita tutti a recarvi alla reggia per conferire con lui, e poi saremo suoi ospiti a pranzo."

Veldhris notò che anche il capitano si era cambiato e che ora, dismessa la cotta di maglia, indossava un abbigliamento più consono alla vita di corte, simile ai comodi indumenti forniti a Roden, Mikor e Sekor. A differenza di questi ultimi, non portava armi; la ragione di ciò divenne chiara quanto Mikor s'incamminò per uscire e Freydar lo fermò. "Perdonate, Sire, ma dovete lasciar qui le vostre armi, tutti quanti. Nella reggia si entra soltanto disarmati."

"Non mi separo mai dalla mia spada", ribatté il principe, contrariato. "È stata tramandata per molte generazioni nella mia famiglia e non mi garba l'idea di lasciarla incustodita."

"Non rimarrà incustodita", lo rassicurò Freydar, sempre cortese. "Basterà che la depositiate in un baule e che lo chiudiate a chiave: là sarà al sicuro, e in ogni caso i domestici che vi sono stati assegnati sono degni della massima fiducia."

"Nessun problema", intervenne Veldhris. "Siamo tra amici e non avremo certo bisogno di armi, vi pare?"

Fece un sorriso innocente, ma in realtà il sospetto che aveva colto nello sguardo e nel tono di Mikor l'aveva seccata: dovevano dimostrarsi amichevoli, non ostili, al Re del Fiordo, per cui aderire alle consuetudini del posto era il minimo che potessero fare. La stupiva e l'irritava che il principe, che aveva certamente avuto un'educazione adeguata, non capisse una cosa tanto elementare: in casa altrui, si fa come i suoi abitanti.

Mikor la fulminò con un'occhiata micidiale, ma Sekor sostenne prontamente il punto di vista della sua protetta. "Ma certo, Veldhris ha ragione. Ecco il mio arco, la frusta l'ho lasciata nella mia stanza."

Chiusero quindi tutte le loro armi – ascia, archi, spade e pugnali – in una robusta cassapanca chiusa da un lucchetto, di cui Mikor intascò la chiave. Veldhris affidò Rollie ai servitori, affinché non rimanesse senza cibo ed acqua, e poi finalmente si recarono a palazzo.

La reggia disorientò un po' tutti quelli di Tamya, che erano abituati a dimore estese in senso verticale. Invece, la residenza di Re Oolimar si sviluppava maggiormente in senso orizzontale, comprendendo solamente tre piani, con una superficie ed un numero di stanze certamente pari a quelli dell'Albero Albino.

La sala del trono, situata al pianterreno, era molto vasta, ma ben proporzionata, ed il soffitto decorato a motivi geometrici era sostenuto da due file di aggraziate colonne in corallo nero a striature bianche e rosse. Dalle pareti pendevano grandi arazzi di squisita fattura, tutti molto antichi ma ben conservati, che raffiguravano la storia della fondazione del Regno del Fiordo. Molte lampade e candele illuminavano la sala, dato che dalle finestre alte e strette entrava una luce alquanto smorta a causa del cielo rannuvolato. Si era alla fine di settembre e le mattine cominciavano ad essere fresche, per cui in svariati bracieri ardevano fuocherelli che riscaldavano l'ambiente. In fondo al lungo salone si elevava una pedana a tre scalini, sulla quale c'era il trono, un seggio di legno dipinto d'argento e decorato con corallo nero, con lo stemma di Zarcon – tre onde blu in campo azzurro – intagliato e dipinto sull'alto schienale. Poiché il re era vedovo, mancava il tono della regina, che normalmente stava sulla destra dell'altro.

Veldhris era così assorta nella contemplazione di quanto la circondava da non accorgersi dell'uomo seduto sul seggio reale finché non si fermò con gli altri ai piedi della pedana. Prima di sprofondarsi in un inchino in piena regola, però, fece in tempo a vederlo bene.

Re Oolimar poteva avere più o meno trentacinque anni, l'età di Freydar; abbronzato come il cugino, a differenza di lui portava i capelli scuri lunghi sulle spalle. Tra le mani teneva uno scettro d'argento incrostato di corallo rosso e diaspro. Gli occhi bruni, pur essendo afflitti da una leggera miopia che lo costringeva a strizzarli per vedere lontano, erano attenti e penetranti, tanto che, quando si raddrizzò, Veldhris si sentì esaminata e compresa all'istante.

Freydar procedette con le presentazioni; man mano che venivano nominati, gli interessati accennavano ad un inchino, in modo che Oolimar potesse individuarli più facilmente.

Quando il capitano ebbe finito di parlare, il re disse con voce gradevole: "Siate i benvenuti nel mio regno. Da lungo tempo la vostra venuta era attesa."

Sbalorditi, i sei di Tamya si guardarono l'un l'altro e Veldhris pensò d'aver capito male. "Come, Sire?" chiese, stupefatta. "Ci attendevate?"

Oolimar la fissò con sguardo di tranquilla sicurezza. "Non aveva forse detto di venire da Tamya, nella Foresta del Vespro?"

Sempre più confusa, Veldhris annuì. "Certamente, Sire. Il Regno della Foresta è la nostra patria, ed il principe Mikor ne è il Signore", specificò, indicandolo.

Poiché non era stato ufficialmente incoronato, Mikor non poteva ancora fregiarsi del titolo di Re del Vespro, pur avendo diritto all'appellativo di Signore della Foresta. Per tale ragione ci si rivolgeva ancora a lui chiamandolo Altezza o Sire e non Maestà.

Oolimar si girò verso il principe e lo osservò per alcuni secondi in silenzio; poi si alzò, scese dalla pedana e si fermò dinanzi a lui. "Nei nostri libri di profezie", disse, "compilati ai tempi di Zarcon lo Scudiero, sta scritto: Nidal e Deegor suo figlio fonderanno una città d'alberi ed un regno vespertino. Dalla loro discendenza nascerà l'Erede di Arcolen, che nel giorno del pericolo verrà al Regno del Fiordo. Tutti i re e le regine miei predecessori giurarono che, quando quel giorno fosse giunto, avrebbero deposto il loro scettro ed il loro regno ai piedi dell'Erede di Arcolen."

Fece per chinarsi, ma Roden intervenne sveltamente. "Un momento, Maestà!"

Oolimar si girò sorpreso verso il boscaiolo, che si sentì improvvisamente impacciato mentre proseguiva. "Perdonate, Sire, ma l'Erede di Arcolen non è il principe Mikor, bensì la principessa Veldhris, sua cugina e mia sorella adottiva."

Il re si girò ulteriormente per guardare Veldhris; siccome non si muoveva, Kareth la sospinse in avanti e quindi la giovane donna, arrossendo per l'imbarazzo, si affrettò ad eseguire una riverenza.

Sul viso di Oolimar si disegnò inequivocabile un'espressione compiaciuta. Freydar, poco discosto dal re, era alquanto meravigliato da quello che aveva appena appreso, ma ciò non gli impedì di notare il moto di stizza che Mikor ebbe alla precisazione di Roden, e la cosa non gli piacque.

"Perdonate l'equivoco, Altezza", si scusò Oolimar, avanzando verso Veldhris. Il suo mantello scuro ondeggiò mentre si chinava a deporre lo scettro ai piedi della cantante. "Accettate l'umile segno della nostra devozione", disse il re, ponendo un ginocchio a terra. "Tramite noi due, Arcolen e Zarcon si incontrano nuovamente, e tornano Imperatore e scudiero."

"Neanche per idea!" protestò Veldhris vivacemente, al colmo dell'imbarazzo ed anche misteriosamente spaventata. Con decisione, aiutò Oolimar a rialzarsi. "Troppi anni e troppe generazioni ci separano dai nostri antenati: ora voi siete un re, e io soltanto una principessa. Vi ringrazio infinitamente, ma non intendo accettare il vostro scettro."

Si chinò a raccogliere l'oggetto da terra e lo porse ad Oolimar.

Il re esitò. "Sono legato da un giuramento. Lo scettro è vostro per diritto in ogni caso: voi siete l'Erede di Arcolen, e quando restaurerete l'Impero di Shyte, diverrete la nuova Imperatrice."

Veldhris lo fissò, colta di sorpresa: a questo non aveva proprio pensato. Eppure, era stata avvertita, Rova l'aveva detto chiaramente.

"Prima devo trovare la Corona di Luce, e poi devo sconfiggere Rakau", disse con fermezza. "Potrei anche non arrivare viva alla fine di questa storia, e intanto voi siete ancora il Re del Fiordo."

Nessuno la smentì, consci di cosa significasse lottare contro la Signora dei Draghi Neri.

Oolimar riprese lo scettro. "Sia come volete, Altezza. Sappiate però che sarò sempre al vostro servizio", dichiarò.

Veldhris cose la palla al balzo. "Bene, allora non chiamatemi altezza e non trattatemi con tanta deferenza, ve ne prego. Presso il Popolo della Foresta, se si vuol dimostrare considerazione e rispetto, ci si rivolge a una persona con il suo patronimico o matronimico. Nel mio caso, Yuniadil."

Era stata sul punto di dire Teewadil, ma si ricordò in tempo quale fosse il nome della sua vera madre.

Quanto al re, la sua richiesta gli giunse inaspettata: dall'Erede di Arcolen si era aspettato orgoglio e fierezza, forse spinti fino all'altezzosità, come la intuiva in Mikor, e non la semplicità e la schiettezza dimostrate invece da Veldhris. Poi però, guardandola meglio, grazie all'acume mentale che lo caratterizzava Oolimar scorse in lei quello che la madre adottiva, Teewa, aveva identificato tanto tempo prima: l'autentica nobiltà, quella che non nasce dal sangue, ma dal cuore e dall'animo. Ed intravide anche la forza di carattere che si celava sotto l'apparenza dolce e malleabile, quel nucleo di roccia che anche Kejah aveva intuito in lei. "Sarà un onore per me, Yuniadil", dichiarò, inchinandosi lievemente con un sorriso. Sì, quella giovane donna meritava di essere chi era.

Durante il pasto di mezzogiorno, che si tenne nella sala da pranzo privata del re, Veldhris chiese spiegazioni in merito alle profezie citate da Oolimar. "Maestà, avete detto che l'arrivo dell'Erede di Arcolen è stato previsto fin dai tempi di Zarcon lo Scudiero, ma com'è possibile? Nemmeno la Famiglia Reale di Tamya dava molto credito alle antiche leggende."

Oolimar la guardò stupito. "È strano, considerando che queste leggende vi riguardano tanto da vicino", considerò, senza nascondere la propria perplessità. "Comunque, Zarcon era al corrente della Profezia di Arcolen, secondo la quale dalla Stirpe Eccelsa sarebbe nato un Erede in grado di sconfiggere Rakau. Ne era al corrente perché la sentì dalle labbra dello stesso Imperatore, che la pronunciò prima di morire per mano della Signora dei Draghi Neri."

Zarcon, proseguì il re, era infatti uno dei Tre della Luce, assieme alla vessillifera Mindal e, ovviamente, al Portatore della Corona, Arcolen. Lo scudiero era stato l'unico sopravvissuto e, obbedendo alle ultime volontà del suo signore, era fuggito con l'Imperatrice Kyala. Rakau, terrorizzata dalla Profezia di Arcolen, aveva fatto uccidere l'unico figlio dell'Imperatore, Rossar, ma non sapeva che Kyala attendeva una figlia da Arcolen, che sarebbe poi stata chiamata Nidal. Pochi anni dopo, Zarcon, Kyala e Nidal avevano incontrato un gruppo di superstiti dell'Ultima Battaglia, che con le famiglie stavano fuggendo dal regime di terrore instaurato da Rakau, stabilitasi nella sua capitale Necrodia, sul fiume Fimda. Assieme a loro, avevano vagato ancora a lungo nello Shyte devastato; era stato del tutto per caso che avevano scoperto il fiordo dove avrebbero finito col rifugiarsi. A quell'epoca, il cunicolo che collegava la città al resto del mondo era ancora nascosto nelle viscere della terra e solo molti anni dopo una frana ne avrebbe rivelato l'ingresso inferiore, facendo cadere il sottile diaframma che lo occultava. Fino a quel momento, la gente saliva e scendeva con delle ceste attaccate a robuste corde azionate a braccia con un sistema di pulegge, cosa quanto mai faticosa e scomoda. Questo fatto, unito alla crescente difficoltà di vettovagliamento, aveva deciso il giovane Deegor, figlio di Nidal, ad andarsene ed a cercare un altro luogo, altrettanto protetto, dove fosse possibile vivere. Una buona metà della popolazione, inclusa la madre, lo aveva seguito. Varon, un sapiente dotato di grandi poteri magici, aveva loro promesso di aiutarli a trovare un posto adatto, perché sapeva dell'esistenza di un'immensa, oscura foresta nel sudest dello Shyte. Era stato così che Nidal e Deegor della Stirpe Eccelsa avevano abbandonato il nascente Regno del Fiordo e Zarcon lo Scudiero. Essi promisero però che, quando sarebbe venuto il tempo, l'Erede di Arcolen si sarebbe rivolto ai discendenti di Zarcon. Pochi anni dopo, lo scudiero era morto, ma aveva fatto scrivere ogni cosa che sapeva della profezia, di Kyala, di Nidal e di Deegor, in modo che le generazioni future sapessero cosa le aspettava. Sua figlia Gada era stata proclamata Regina del Fiordo e la dinastia non s'era mai interrotta: infatti Oolimar discendeva direttamente da lei e da Zarcon.

Roden, che era il più esperto delle antiche leggende del Regno della Foresta, era rimasto ad ascoltare con la forchetta sospesa, troppo preso dal racconto del re per pensare a mangiare. Si riscosse soltanto quanto Oolimar terminò il racconto. "Quanto dite, Sire, conferma e completa i miti della Foresta del Vespro", dichiarò. "Da noi si raccontava che il Regno era stato fondato da Deegor, figlio di Nidal, e il primo Mago di Corte si chiamava Varon."

Sekor si posò contro lo schienale della sua sedia, pensieroso. "Già, è proprio così", confermò. "Questo dimostra, una volta di più, come quanto noi credevamo soltanto un mito, o perfino una favola, è in realtà storia realmente accaduta."

Oolimar assentì, concordando. "Noi di Zarcon non ne abbiamo mai dubitato, non fosse che per lo scettro: esso infatti apparteneva all'Imperatrice Kyala. Le era stato donato da Zarcon, poiché era lei il capo della comunità che si era creata nel Fiordo; alla sua morte lo lasciò alla figlia Nidal, che avrebbe dovuto a sua volta tramandarlo a Deegor, ma quando lui decise di abbandonare il Fiordo alla ricerca di un altro rifugio, di comune accordo lo restituirono a Zarcon. Fu per questo che poi Gada venne proclamata regina, alla morte del padre."

Oolimar chiamò un servo e si fece portare lo scettro, che passò a Veldhris. "C'è un'iscrizione, qui, ed un'altra sul lato."

Veldhris prese il prezioso bastone e lo esaminò: i caratteri delle iscrizioni erano una forma più arcaica di quelli a cui era abituata, e anche molto consumati dal tempo, per cui si trovò in difficoltà a decifrarli. Le venne in aiuto Freydar, seduto al suo fianco, che si sporse lateralmente e lesse ad alta voce le due frasi incise nell'argento. "Alla nostra amata Imperatrice Kyala dal suo popolo fedele. E questa invece dice Da Nidal e Deegor un dono all'amico Zarcon e alla sua discendenza."

L'inaspettata vicinanza col bel capitano fece trasalire Veldhris; si sforzò di nascondere il proprio turbamento e soppesò lo scettro ancora per qualche istante con aria intenta, poi lo rese ad Oolimar. "A quanto pare, avevo ragione affermando che questo scettro appartiene più a voi che a me: non mi permetterei mai di riprendere un dono fatto da un mio avo a uno dei vostri."

Il re non replicò, ma accettando l'oggetto la ringraziò con un cenno del capo.

Il pranzo proseguì assieme allo scambio di notizie. Oolimar chiese informazioni riguardo alla ragione che aveva indotto i sei di Tamya ad abbandonare la loro patria ed a recarsi a Zarcon; apprese così che il giorno del pericolo era effettivamente giunto con la distruzione della città, e che l'ultima Maga di Corte, Rova, aveva indirizzato l'Erede di Arcolen al Regno del Fiordo, facendo così adempiere l'antica promessa di Deegor.

Prima che il pasto terminasse, le cateratte del cielo si spalancarono e rovesci violenti di pioggia di abbatterono sulla città di corallo.

"Sono spiacente", disse Oolimar, rammaricato. "Avrei voluto farvi visitare i miei giardini, ma a quanto pare il tempo ha deciso altrimenti."

Trascorsero quindi il pomeriggio nella reggia, conversando tra di loro come vecchi amici, perfino il solitamente scontroso Mikor. In questo modo, appresero qualcosa di più sulla storia della fondazione e dello sviluppo del Regno del Fiordo.

Le ragioni che avevano spinto Deegor ad abbandonare quel luogo, vale a dire la scomodità di accesso e la difficoltà di procurarsi il cibo – a parte la pesca – erano state eliminate con la scoperta del cunicolo che, dalla cengia a livello della spianata su cui sorgeva la città, saliva nel cuore della scogliera fino a sbucare nello stretto budello che spaccava in due la collina circondata dal bosco, che Veldhris e i suoi compagni avevano visto la sera prima. A quell'epoca, gli alberi non erano così fitti, ma gli abitanti di Zarcon ne avevano piantati molti altri a rapida crescita, occultando l'ingresso del burrone e della galleria. La maggior comodità di comunicazione tra la città nascosta e la sommità del fiordo aveva fatto sì che alla pesca, sempre molto abbondante, si affiancasse anche una modesta agricoltura, che alleviava non poco il problema di come sfamare la crescente popolazione. Nel giro di pochi secoli, la città s'ingrandì al punto che si dovette pensare a costruire delle piattaforme per aumentare la superficie disponibile, cosa nient'affatto facile dato che tali strutture dovevano reggere il peso di interi caseggiati. Il problema fu però brillantemente risolto grazie alle agili menti dei numerosi studiosi del regno: infatti, la coltivazione delle risorse intellettuali era considerata altrettanto importante della coltivazione di generi alimentari, e tutti i monarchi che si erano susseguiti nel corso dei secoli avevano incoraggiato tale tendenza, essendo anzi spesso loro stessi dei sapienti.

Veldhris, principale interlocutrice di Oolimar, ricambiò raccontando della vita condotta dal Popolo della Foresta, ivi inclusa la diversa forma di governo, la diarchia condivisa da moglie e marito. Freydar si dimostrò piuttosto stupito, ma Oolimar gli ricordò che la stessa consuetudine era in uso fin dai tempi della fondazione dell'Impero di Shyte: si trattava quindi di un semplice rispetto di antiche consuetudini e non di una novità.

Man mano che il pomeriggio si inoltrava nella sera, re Oolimar trovava Veldhris sempre più di suo gusto. Acuto osservatore dell'animo umano, trovava conferma alla sua prima impressione, ossia che lei fosse la persona più adatta ad essere l'Erede di Arcolen, a differenza di Mikor che, anche se per nessuna ragione apparente, non gli ispirava fiducia.

OOO

Il mattino seguente continuò a piovere, anche se solo a tratti, e nel pomeriggio finalmente il sole l'ebbe vinta sulle nuvole, aprendosi un varco e splendendo direttamente sulla città di corallo, le cui levigate superfici brillarono come se fossero state lucidate a specchio. Quello spettacolo ispirò Veldhris, che chiese carta, penna e calamaio e si tuffò nella composizione di una ballata che celebrasse la bellezza di Zarcon. La scrisse tutta di getto e poi pensò a rifinirla. Progettava di offrirla a re Oolimar in cambio della sua ospitalità, essendo certa che egli, persona sensibile alle arti, l'avrebbe molto gradita.

Il sole autunnale stentò un po' ad asciugare il terreno del parco della reggia, unico spazio verde della città se si escludevano i giardini pensili e le altane delle case, per cui nessuno dei sei di Tamya ebbe voglia di uscire a passeggiare. Veldhris, impegnata nella sua nuova canzone, la prima dopo la tragedia che aveva colpito la sua città, non si accorse del trascorrere del tempo, e gli altri cinque s'intrattennero conversando e giocando a dadi o a carte, o con Rollie, che non si faceva pregare per essere un compagno di giochi.

Verso sera, re Oolimar li invitò a cena, sempre tramite Freydar, e fu durante il pasto che Veldhris cantò Fiordo di sogno, accompagnata dall'immancabile yord.

Il re dimostrò effettivamente di apprezzare la canzone e si dichiarò incantato dalla voce della cantante, sommergendola di complimenti. Poi, incuriosito dallo strumento musicale, le chiese di poterlo esaminare. "Un oggetto mirabile", considerò, soppesandolo con approvazione. "Non abbiamo niente di simile, qui a Zarcon. Avete anche altri strumenti musicali che non conosciamo?"

"Non saprei", rispose Veldhris, lusingata dall'interesse che il re dimostrava. "Usiamo cetre, arpe, liuti, flauti, ghironde e trombe, in dimensioni e tonalità diverse. Poi naturalmente ci sono tamburi, timpani, gong, campane..."

Fece un gesto vago, come a dire che ce n'erano anche altri.

Oolimar annuì. "Questi li conosciamo tutti. Non avete nominato la miltea, Yuniadil: vi è sconosciuta?"

"Il nome mi è nuovo", ammise Veldhris. "Com'è?"

"Si tratta di una serie di tavolette di metallo di grandezze diverse disposte su un'intelaiatura di legno; sotto a ciascuna tavoletta c'è un tubo di legno che ne amplifica il suono... ma già, invece di limitarmi alla descrizione, potrei farvelo vedere. Freydar, vuoi essere così gentile?"

"Volentieri, cugino", rispose il capitano, alzandosi in piedi.

Mentre usciva, Oolimar tornò a rivolgersi a Veldhris. "Sapete, il principe Freydar è uno dei migliori suonatori di miltea di tutto il regno. Credo che non lo yord si potrebbe formare un duetto assai suggestivo."

Poco dopo, Freydar era di ritorno con lo strumento descritto dal re. La miltea era fornita di quattro gambe che la tenevano sollevata da terra all'altezza delle anche del suonatore, che percuoteva le tavolette metalliche con martelletti dalla testa imbottita, due per ciascuna mano. Il capitano diede una dimostrazione musicale di grande abilità, traendo dallo strumento suoni vibranti e pieni che riempirono la stanza quasi come una presenza fisica, facendo fremere gli ascoltatori all'unisono con la melodia.

Veldhris ne fu entusiasta. "Meraviglioso! Sembra una magia che afferra lo spettatore e lo fa vibrare con lo strumento..."

L'idea del duetto tra miltea e yord lanciata da re Oolimar non fu però mai attuata, durante il soggiorno di Veldhris e dei suoi compagni nel Regno del Fiordo. I giorno trascorrevano rapidi, più rapidi di quanto Veldhris desiderasse, e la partenza si avvicinava inesorabile, benché il gruppo di Tamya non avesse ancora preso alcuna decisione.

La sera del quarto giorno di ottobre, re Oolimar diede un banchetto in onore degli ospiti per presentarli ai maggiorenti del regno. Vi parteciparono quindi tutte le personalità più in vista: ministri, consiglieri, nobili, militari d'alto grado, cortigiani, ed eccezionalmente anche i due figlioletti del re, Malles e Hafil, di nove e sette anni. Veldhris conobbe i famigliari di Freydar, compresa la sorella Alorya, e durante la serata ebbe modo di sincerarsi che la giovane, coetanea di Kareth e Kejah, era davvero molto felice che suo fratello avesse dato il permesso per il suo matrimonio con Doran. Questo la rassicurò e, in un certo qual modo, la confortò.

Il lauto pasto, a base di aragoste, ricci di mare, gamberi, astici, cozze e molte altre varietà di pesce del tutto sconosciute ma molto apprezzate dai sei di Tamya, fu innaffiato da diversi vini bianchi e rosati, frizzanti e secchi, e ben presto i convitati si animarono e la festa procedette allegramente fino a notte fonda.

OOO

Passarono altri giorni, che i rappresentanti del Popolo della Foresta occuparono soprattutto con l'esplorazione della bellissima città di corallo.

Poi, una sera, durante la cena nel padiglione, Veldhris parlò all'improvviso. "Dobbiamo partire. E presto."

Cinque paia d'occhi – sei, contando anche Rollie, che aveva percepito il tono grave della padroncina – si appuntarono su di lei.

"Ma perché?" domandò Mikor. "Stiamo bene, qui."

"Hai dimenticato la nostra missione?" domandò Sekor, stupito del fratello.

Mikor s'irrigidì. "Certo che no! Ma non vedo tutta questa fretta."

"A me sembra che ce la siamo presa anche troppo comoda", lo contraddisse seccamente Kareth. "Veldy ha ragione: dobbiamo partire al più presto."

"Sì, sono d'accordo", dichiarò Roden. "Domattina andremo da re Oolimar e gli comunicheremo la nostra decisione."

"Ne sarà dispiaciuto", osservò Kejah. "Anche se sono certa che ci fornirà tutto l'aiuto possibile."

"Sì, lo penso anch'io", assentì Veldhris. "Abbiamo bisogno di viveri, e di cavalli, uno per ciascuno di noi: il viaggio sarà meno faticoso e più rapido."

Tutti si dichiararono d'accordi riguardo alle richieste da fare a re Oolimar, ma quando si trattò di stabilire una data precisa per la partenza, i pareri furono discordi: c'era chi, come Kareth, voleva partire di lì a due giorni, appena il tempo per organizzarsi, e chi invece voleva prenderla con più calma. Tra questi ultimi, oltre che Mikor c'era stranamente anche Veldhris, che pure era stata la prima a sollecitare la partenza. In realtà la giovane era, nonostante tutto, molto riluttante a lasciare la relativa sicurezza di Zarcon.

Infine, la decisione venne rimandata all'indomani, dopo il colloquio con re Oolimar, e tutti andarono a dormire.

Nel suo letto, Veldhris si rigirò a lungo, tormentata dai pensieri. Neanche la rassicurante presenza di Rollie, sdraiato accanto a lei, riuscì a confortarla.

Doveva partire, questo era sicuro; ma aveva paura. Intuiva che il viaggio da Tamya a Zarcon era stato solo un assaggio di quanto l'attendeva lungo il cammino alla ricerca della Corona di Luce, ed inoltre temeva che la responsabilità ricadutale sulle spalle tanto inaspettatamente fosse troppo grande per lei. Nonostante tutto, anche se era la favoleggiata Erede di Arcolen, lei era e rimaneva soltanto una cantante, non un'eroina dei miti del passato. E se avesse fallito nell'intento? Se Rakau l'avesse vinta, soggiogata, uccisa? Il suo nome sarebbe stato maledetto per l'eternità in tutto lo Shyte: la tanto attesa incarnazione della Profezia di Arcolen non era riuscita, era stata sconfitta, e la Tirannide del Potere Oscuro non avrebbe più avuto fine!

Su di lei pesava il destino di tanta, troppa gente: tutte le popolazioni dell'antico Impero dipendevano da lei, dalla sua vittoria o dal suo fallimento. Dopotutto, Arcolen aveva profetizzato l'avvento di un erede in grado di sconfiggere Rakau, non che avrebbe sconfitto Rakau. La differenza era significativa.

Veldhris rabbrividì a quel pensiero; Rollie, percependo il suo turbamento, le si fece ancor più vicino. La sua presenza, calda e viva, sciolse qualcosa dentro all'animo di Veldhris. Pensando amaramente all'imminente partenza dalla bella città che l'aveva accolta e ospitata e che avrebbe potuto, col tempo, prendere il posto di Tamya nel suo cuore, la giovane donna pianse. Lentamente, molto lentamente, il nodo ferreo che aveva dentro dal giorno della distruzione di Tamya si allentò e, abbracciata al cagnolino, consumò tutte le sue lacrime in un pianto silenzioso ed accorato, rivolto alla sua città ed ai suoi cari spazzati via dal Potere Oscuro.

OOO

Il giorno dopo, Veldhris si era già ripresa dalla sua momentanea debolezza. Il suo compito era chiaro, un compito dovuto non solo a tutto lo Shyte e alle sue popolazioni disperate, bensì anche alla Foresta del Vespro, al Regno di Zarcon e a se stessa, un compito che le veniva dal suo retaggio: come aveva già avuto modo di dire, non poteva tradire il suo sangue.

Così, chiese udienza a re Oolimar, che gliela concesse prontamente. Veldhris ed i suoi compagni furono introdotti nella biblioteca privata del re e poco dopo vennero raggiunti da Freydar, che il re aveva mandato a chiamare.

Oolimar non si fece attendere. "Prego, accomodatevi", li invitò, indicando loro di sedere. "È accaduto qualcosa?"

Veldhris guardò per terra, aspettando che fosse qualcun altro a parlare, ma accorgendosi che nessuno apriva bocca, tornò ad alzare la testa: tutta la stavano guardando, evidentemente attendendo proprio lei. La cosa la disorientò, ma comprese che doveva abituarsi: dopotutto, era l'Erede di Arcolen, e come tale tutte le decisioni importanti spettavano a lei.

Si alzò. "Ecco, Sire..." cominciò, ancora confusa. "Abbiamo deciso di partire. Dobbiamo iniziare il viaggio alla ricerca della Corona di Luce."

Oolimar assunse un'espressione grave e concentrata. "Sì, è tempo", confermò lentamente. "Indugiare troppo potrebbe essere fatale. Io vi darò tutto l'aiuto che mi sarà possibile."

"Grazie, Maestà", disse Veldhris, con gratitudine. "Avremo bisogno di viveri, e di cavalli."

"Sarò lieto di fornirvi i migliori destrieri del regno", dichiarò Oolimar. "Mio cugino Freydar li sceglierà personalmente."

"Ve ne saremo eternamente riconoscenti, Sire."

"Non sto facendo altro che adempiere all'impegno assunto dai miei antenati", replicò Oolimar con un gesto sbrigativo, per quanto cortese. "Avete già deciso dove andare?"

Veldhris pensò a quanto aveva detto Rova prima di morire, riferendosi al luogo in cui si trovava la Corona. "Non lo sappiamo di preciso", rispose. "La Maga di Corte ha parlato del Monte Ghiacceterni, situato nell'estremo nord dello Shyte, ma non sappiamo dove si trovi esattamente. Per ora, quindi, ci limiteremo a andare verso nord, cercando questo monte."

"Capisco. Darò subito disposizioni affinché vengano preparate vettovaglie adatte a un lungo viaggio per sette persone."

Veldhris corrugò la fronte, sorpresa. "Sette, Maestà?"

Freydar si alzò. "Ho chiesto a re Oolimar il permesso di accompagnarvi come rappresentante del Popolo del Fiordo, se sei d'accordo, Veldhris. Sono un'ottima guida e un buon combattente, e inoltre conosco molto bene le terre a nord del regno fino alle Colline Grigie, che si trovano a circa dieci giorni di cavallo da Zarcon."

"Vi darei volentieri anche una scorta armata", intervenne Oolimar. "Tuttavia, il capitano Freydar ritiene che una compagnia eccessivamente numerosa attirerebbe troppo l'attenzione."

Veldhris era incerta, ma soprattutto confusa dalla propria reazione a quell'annuncio: si sentiva eccitata e, allo tesso tempo, intimorita e imbarazzata. Una sensazione alquanto spiacevole.

Dato che la sorella non si decideva a parlare, Roden si alzò a sua volta. "Sono d'accordo con Freydar", dichiarò. "Meno siamo, meno diamo nell'occhio. Non ho niente in contrario al fatto che venga con noi: come guida e guerriero ci sarà di grande aiuto. Che ne pensi, Veldy?"

Chiamata in causa, Veldhris esitò soltanto un altro momento, poi annuì: era d'accordo col fratello.

Fu così che il capitano Freydar, Principe del Fiordo di Zarcon, si unì ai sei di Tamya per assisterli nella loro pericolosa missione.

OOO

I giorni successivi furono occupati con la preparazione alla partenza. A Veldhris e ai suoi compagni furono forniti, oltre a viveri abbondanti e cavalcature, anche abiti pesanti per l'inverno ormai non molto lontano, un inverno che sarebbe stato più rigido nelle regioni nordiche verso cui erano diretti rispetto a quanto lo fosse a Zarcon, e dei mantelli di tela cerata, usati dai pescatori del luogo, per proteggersi dalla pioggia. Quanto ai cavalli, Freydar sottopose le sue scelte agli interessati, vale a dire Veldhris, Roden e le gemelle, affinché le approvassero o eventualmente le cambiassero, ma tutti e quattro furono soddisfatti.

Per Veldhris, la cavallerizza meno esperta, il capitano aveva scelto una bellissima giumenta bianca dalla criniera corvina di nome Stella Nera, una cavalcatura tranquilla e paziente dal passo sicuro, che all'occorrenza sapeva correre come il vento e che doveva il proprio nome alla macchia di pelo nero a forma di stella che spiccava sulla sua fronte; per Roden, la scelta era caduta su di un robusto sauro dal mantello fulvo con il suggestivo nome di Vento di Fuoco; per Kareth una giumenta di roano, bianca e rossa, vivace ma non nervosa, chiamata Ardia; per Kejah, infine, che non amava particolarmente cavalcare, un tranquillo baio castrato dal manto nocciola, denominato Messere per il suo incedere orgoglioso.

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La nebbiosa alba del decimo giorno di ottobre vide la partenza da Zarcon di Veldhris e dei suoi compagni. In groppa a Stella Nera, la cantante cavalcò dietro a Mistero, lo stallone nero di Freydar, seguita dagli altri cinque componenti il gruppo e da Rim e Ram, i due cavalli da soma salvati dalle rovine di Tamya.

La partenza dal Regno del Fiordo rattristava molto Veldhris, che avrebbe sempre ricordato l'ultimo gesto di Oolimar. Il sovrano li aveva voluti accompagnare fino all'imboccatura inferiore della galleria che costituiva l'accesso a Zarcon e, nel mentre la salutava, le aveva consegnato un pegno della propria amicizia: un medaglione di corallo con inciso lo stemma di Zarcon, le onde e il cielo. Poi, guardandoli uno per uno, aveva proferito il suo augurio. "Che la benedizione di tutte le Contrade Libere accompagni e protegga tutti voi, che siete la nostra speranza più luminosa, affinché abbiate successo e possiate tornare sani e salvi."

Ora, i sette viandanti si diressero verso il margine settentrionale del bosco che custodiva l'accesso alla città nascosta di Zarcon. Lasciata la protezione dei fitti alberi, si inoltrarono nella nebbia del primo mattino, seguendo un'invisibile pista che portava verso nord.

Quella che, negli anni a venire, sarebbe passata alla storia come la Cerca della Corona di Luce era cominciata.


(Hugh Jackman, nei panni di Gabriel Van Helsing, dà il volto a Re Oolimar di Zarcon)

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