Capitolo V: La notte dei Vampiri

Capitolo V: La notte dei Vampiri

Quello stesso giorno, mentre il rogo finiva di consumare il corpo della Maga di Corte, i sei giovani scesero nell'abitazione sotterranea di Rova. Il crollo di cui avevano parlato Mikor e Sekor, causato dalla caduta dell'Albero Albino, non aveva danneggiato la breve scala a chiocciola che scendeva sotto il livello del terreno, né ostruito la porta d'accesso, per cui non ebbero difficoltà a raggiungere lo studio della maga ed a rovistarvi fino a trovare le mappe di cui aveva loro parlato. Al guizzante chiarore delle torce, le antiche carte ingiallite dal tempo avevano un che di arcano, soprattutto perché rivelavano cose e luoghi sconosciuti, e si sa quanto l'ignoto abbia l'effetto di intimorire l'animo umano. Così, portarono in fretta le mappe alla luce del sole del primo pomeriggio e le studiarono con attenzione. Una di esse cartografava la Foresta del Vespro da Tamya verso meridione, e fu questa a strappare a Roden un'esclamazione che fece trasalire gli altri. "Guardate!" strillò concitato, battendo un dito sull'estremità inferiore della mappa. "Questo è il mare!"

Sekor aggrottò la fronte. "Il mare? Che cos'è?"

Con una stretta al cuore, Veldhris riconobbe nel tono del principe la stessa perplessa incredulità che sua madre Teewa – la madre adottiva – aveva usato una sera a cena nel porre la stessa domanda, tre settimane o tre secoli prima.

"Secondo quel poco che ne so, è una vastissima distesa d'acqua", rispose Roden. "Talmente grande che non se ne può scorgere i confini."

Gli occhi di Mikor riflettevano sprezzante scetticismo. "E che cosa ci sarebbe, al di là?" domandò, senza celare il sarcasmo.

"Nessuno lo sa", rispose Roden, freddamente. "A scuola ci hanno insegnato che la Foresta è tutta circondata dalle Maleterre, ma alcune antiche carte mostrano invece questa distesa d'acqua a sud che chiamano mare. Ora, se anche le mappe di Rova lo confermano, dovremmo crederci senz'altro."

Mikor schioccò la lingua, irritato. "Più questa storia va avanti, più diventa assurda! Prima dobbiamo credere a un manufatto dai poteri mistici da contrapporre a un altro manufatto dai poteri altrettanto mistici, poi alla storia del vero Erede di Arcolen, e ora anche a un mare le cui dimensioni non ci stanno neanche, entro i confini del mondo...!"

"Spiacente, Altezza, ma non sono d'accordo", interloquì Veldhris in tono tagliente. "Sono convinta che il mondo sia molto più vasto di quanto ci abbiano fatto credere. La stessa Rova ha affermato che lo Shyte è così esteso che la Foresta ne è soltanto una piccolissima parte. Perché dunque negare a priori un'altrettanto vasta zona occupata dalle acque? Che ne sappiamo, in definitiva, noi del Popolo della Foresta, del resto del mondo? Assolutamente niente!"

Girò la mappa che stava esaminando in modo che tutti potessero vederla. Rappresentava una striscia di terreno che si estendeva da est a ovest, con un fiume che scendeva da nord e che sboccava in un'enorme distesa d'acqua che portava la dicitura di mare. Lo sbocco, spostato verso oriente, era profondamente incassato tra rocce che si estendevano nelle due direzioni, etichettate col nome di Scogliere Tonanti. Ad occidente, le Maleterre iniziavano dal mare per proseguire verso nord, a circondare sui tre lati la Foresta, ed uscivano dalla cartina.

"Vedete qui?" chiese Veldhris, indicando l'estremo ovest della mappa. "C'è una freccia."

Gli altri si sporsero in avanti per vedere meglio: la freccia indicava verso ovest-nord-ovest ed accanto c'era scritto Zarcon, Regno del Fiordo.

"Rova l'aveva detto", mormorò Kejah. "C'è un modo per uscire dal Regno del Vespro senza affrontare le Maleterre."

"Già", confermò Sekor in tono pensieroso. "Anche la direzione corrisponde, grossomodo."

Rimasero in silenzio per un po'; infine, Kareth pose la domanda che tutti si stavano facendo. "E allora, cosa facciamo?"

Veldhris trasse un respiro profondo e misurato. "Per quanto riguarda me", disse con calma, "farò quello che devo fare."

Mikor la guardò con malcelato disprezzo. "E sarebbe?"

Veldhris girò lentamente gli occhi e li fissò apertamente in quelli del principe. Il suo sguardo era fermo e fiero mentre rispondeva. "Ognuno è libero di compiere le proprie scelte. Io l'ho fatto: ho deciso di mettermi alla ricerca della Corona di Luce, e il primo passo è di recarmi a Zarcon", passò lo sguardo su tutti i presenti, che sembravano congelati nell'attesa delle sue parole. "Anche da sola, se devo."

Roden rizzò di scatto la schiena. "Non senza di me, Vel!" esclamò in un tono che non ammetteva repliche.

"Neanche senza di me", dichiarò Sekor, con tranquilla decisione.

Kejah e Kareth si scambiarono un'occhiata d'intesa. "Non credere di poter lasciarci qui, Veldy."

Mikor era stato l'unico a non pronunciarsi. Tutti gli occhi si appuntarono su di lui, in attesa. Il principe, messo alle strette, ricacciò la tentazione di rifiutare, cosa che gli avrebbe permesso di contrariare quell'arrogante cantante da strapazzo che, scoperto d'aver sangue nobile nelle vene, osava elevarsi al suo livello, ma che gli avrebbe impedito di controllare gli sviluppi degli eventi. Quindi, a malincuore, annuì. "E va bene: la maggioranza ha deciso. Verrò con voi."

OOO

Dalle rovine delle scuderie reali, che erano situate ai margini della città e quindi erano state colpite solo di striscio, Mikor e Sekor avevano tratto in salvo, il giorno stesso dell'attacco, due cavalli da soma. I destrieri personali dei principi si erano salvati perché al momento dell'assalto si erano trovati coi padroni nel cortile ed erano fuggiti in preda al panico. La giumenta grigia pomellata di Mikor, di nome Tempesta, e lo stallone bianco dalla criniera bionda chiamato Nevesole di Sekor erano poi tornati, quando tutto s'era acquietato nella dolorosa immobilità della morte, perché così erano stati addestrati, ed erano pertanto stati recuperati.

I sei giovani dedicarono tutto il pomeriggio alla ricerca e alla raccolta di viveri. Kareth, Kejah e Sekor, armati dei loro archi, si recarono nella foresta, a caccia di selvaggina, anche se non pensavano di poterne trovare molta, essendo gli animali selvatici sicuramente fuggiti lontano dalla battaglia; ma c'era la possibilità che avessero cominciato a tornare. Mikor e Roden invece si occuparono di erbe e tuberi commestibili.

Veldhris, preposta alla cucina visto che non sapeva cacciare ma era un'ottima cuoca, tornò nell'abitazione della Maga di Corte e nella dispensa, parzialmente danneggiata dal crollo, trovò delle provviste assai utili: vasi di carne sotto sale, verdure sott'olio, pesce affumicato, funghi essiccati e perfino una buona scorta di gallette e biscotti. I Maghi di Corte infatti erano soliti a viaggiare molto, in lungo e in largo per tutto il Regno del Vespro per portare la loro sapienza a tutti gli abitanti della Foresta.

Soddisfatta, Veldhris riempì tutte le sacche che avevano usato per la gita da nonna Jada e le trascinò all'aperto, dove attese il ritorno dei cacciatori assieme a Mikor e a Roden, che avevano raccolto patate, cipolle, rape, fagioli e piselli negli orti devastati della città; Roden si era spinto in un mulino ancora parzialmente in piedi e ne aveva recuperato un sacco di farina miracolosamente intatto.

La caccia di Sekor e delle gemelle risultò abbastanza fruttuosa, considerato il poco tempo a disposizione e il fatto che il terribile fragore della battaglia aveva allontanato gli animali, spaventati a morte. Kareth aveva abbattuto un giovane daino e Sekor un cerbiatto, mentre Kejah non era riuscita a prendere che una pernice e un fagiano. Il tutto fu scuoiato o spennato, curato, tagliato, arrostito e poi riposto nelle bisacce dei cavalli da soma, avvolto in pelli oleate adatte allo scopo.

Infine, a notte fonda, i sei giovani, esausti, andarono a dormire, ma all'alba del giorno seguente, il decimo di settembre, si apprestarono alla partenza. Scesero al Dôl dove, attraccata ad un molo protetto dal sottobosco e quindi risparmiato dai terribili strali di energia nera che avevano distrutto Tamya, trovarono una vecchia chiatta, piccola e malmessa, probabilmente prossima alla demolizione ma ancora in condizione di navigare e sufficiente per portare loro, i cavalli, i bagagli e il cagnolino Rollie, che Veldhris non si sentì di abbandonare.

Si imbarcarono e usarono le pertiche per muovere la chiatta in mezzo al fiume. La corrente, in quel punto modesta, cominciò a sospingere l'imbarcazione; gli occupanti rimasero a guardare le rovine della città dove avevano vissuto tutta la vita, i cuori appesantiti non solo dal lutto, ma anche dalla consapevolezza che, molto probabilmente, non sarebbero mai più ritornati.

Quando Tamya fu scomparsa dietro di loro, nascosta da un'ansa del fiume, cominciarono a governare la chiatta, aiutando la debole corrente alternandosi alle pertiche.

Discesero il Dôl per tutto quel giorno; a sera, accostarono per bivaccare sulla riva. Il giorno dopo, ripresero la navigazione, raggiungendo il Fiume Lungo, che seguirono per tre intere giornate.

La sera del terzo giorno, un lontano rumoreggiare fece rizzare le orecchie a Kejah, che aveva un udito particolarmente acuto. Richiamò l'attenzione degli altri. "E questo cos'è?"

Tutti si tesero in ascolto. Il rumoreggiare, simile ad un continuo, sordo rombo di tuono, si avvicinò, crescendo d'intensità.

"Non ho mai sentito un simile rumore", dichiarò Veldhris, la fronte accigliata per la concentrazione.

La chiatta dette un improvviso sobbalzo e si mise quasi ad un tratto a correre più veloce sulle acque che si erano fatte più turbolente, trascinando l'imbarcazione verso la fonte dell'inquietante suono.

Fu Roden il primo a capire di cosa si trattava. "Le Cascate di Cristallo!" urlò. "Indietro, indietro!"

Si mise a manovrare freneticamente la propria pertica. Subito Mikor, Sekor e Kejah lo imitarono, mentre Kareth e Veldhris si buttavano sul timone, tentando di dirigere il barcone verso la riva.

"Presto, presto!" li incitò Roden. "Altrimenti sarà troppo tardi!"

Maneggiando le pertiche con tutte le loro forze, riuscirono ad avvicinarsi alla sponda, dove la corrente li mandò ad incagliarsi con un colpo che scosse i cavalli, facendoli nitrire e scalpitare spaventati, e che sbalzò Mikor in acqua, fortunatamente dalla parte opposta alla corrente, cosicché il principe poté aggrapparsi alla chiatta ed essere tratto agevolmente in salvo.

Quando persone, cavalli, cagnolino e bagagli furono al sicuro sulla riva, Sekor emise un fischio di sollievo. "C'è mancato poco! Dobbiamo veramente ringraziare gli dei della vita..."

"Altro che dei!" lo rimbeccò il fratello, grondando acqua dal tuffo. "I nostri muscoli dobbiamo ringraziare!"

La sua insolita uscita fece ridere tutti, non tanto perché fosse divertente, ma perché così scaricarono la tensione e risollevarono gli animi.

Accesero un fuoco, al cui calore prima asciugarono gli abiti di Mikor e poi, vista l'ora, riscaldarono la cena.

"Avete notato che in quattro giorni di navigazione non abbiamo incontrato anima viva?" osservò Kareth ad un certo punto.

Sekor annuì, pensieroso. "Sì, è vero. Sembra come che l'intera Foresta sia... paralizzata."

"O in attesa di qualcosa", disse Veldhris, fissando il fuoco, cogitabonda. "È come se... come se tutto fosse in attesa di un segno. E ho la sensazione che quel segno devo essere io a fornirlo. E ho paura..."

"È comprensibile", disse Kejah, posandole una mano sul braccio in un gesto di conforto. "Ma tu sei l'Erede di Arcolen. E non sei sola."

Grata, Veldhris guardò la cugina con l'ombra di un sorriso sulle labbra e le posò la mano sulla sua, in un gesto di tacita alleanza.

OOO

Il mattino seguente, abbandonata la chiatta, i sei viandanti proseguirono lungo la riva. Due montavano Tempesta e Nevesole, due conducevano Rim e Ram, i cavalli da soma, per le redini, e due camminavano all'avanguardia; avevano convenuto che si sarebbero scambiati di posto ogni paio d'ore.

Meno di mezz'ora dopo arrivarono sul ciglio di una scarpata, laddove le acque del Fiume Lungo precipitavano fragorose dando origine alle Cascate di Cristallo, un impressionante triplo balzo di oltre centosessanta metri che li lasciò senza fiato. Una nube di gocce polverizzate, da cui il sole traeva un magnifico arcobaleno, saliva dal fondo della scarpata, rinfrescando l'aria tutto attorno.

Mikor si rivolse a Roden. "Ieri hai dato un nome a questa cascata, ma non l'ho mai sentito prima: l'hai visto segnato sulle carte?"

Roden annuì. "Sì, ma non credevo che fosse così grande. Le Scale Cascate nell'alto Dôl sono meno di un quarto, come dislivello."

Andò a frugare in una delle bisacce portate da Ram e ne tornò con una delle mappe di Rova, che spiegò sull'erba. "Ecco", disse, indicando un punto. "Qui ci sono le Cascate di Cristallo. Come vedete, non ci manca molto al mare, anzi, da qui risulta che comincia proprio ai piedi della cascata."

Difatti, il Fiume Lungo precipitava in una stretta valle dalle ripide pareti rocciose ricoperte di vegetazione che si allargavano gradualmente a V, aprendosi verso sud-est. Dal punto in cui si trovavano, i sei giovani avevano la vista impedita dagli alberi della Foresta, per cui non poterono scorgere il riflesso dell'acqua, solo alcuni chilometri più avanti. C'era però nell'aria qualcosa di differente, un odore che nemmeno Kejah e Kareth, le cacciatrici, riuscirono ad identificare, e che solo più tardi avrebbero associato alla vicinanza alle acque salmastre del mare.

"È una vera fortuna che ieri siamo finiti sulla riva destra", osservò Sekor. "Se fossimo stati costretti a attraversare il Fiume Lungo, avremmo dovuto tornare indietro di molti chilometri prima di trovare un punto favorevole."

Tutti gli sguardi si appuntarono nuovamente sulla mappa e Veldhris capì a cosa alludeva il principe: se volevano proseguire per Zarcon, il misterioso Regno del Fiordo, dovevano seguire la riva verso sud-sud-ovest, per poi superare le Maleterre che partivano dalla costa e piegare a nord-ovest, come suggerito dalla freccia.

"Sì", disse. "Se ci fossimo trovati dall'altra parte, avremmo dovuto perdere un sacco di tempo per tornare a un punto dove la corrente fosse abbastanza lenta da permetterci l'attraversamento. Possiamo ringraziare gli dèi per esserci stati favorevoli."

Roden arrotolò la mappa e la ripose nella bisaccia, dopodiché la piccola compagnia si rimise in marcia. Seguirono il ciglio occidentale della valle dal fondo coperto dalle acque, cui solo tempo dopo seppero dare il nome di fiordo, parola che per loro non aveva ancora significato. Veldhris, in groppa a Nevesole, si girò a guardare le Cascate di Cristallo prima che scomparissero alla vista; da quella visione trasse una sensazione di incomparabile bellezza e forza allo stesso tempo, e pensò che non avrebbe mai dimenticato quel luogo così suggestivo.

Un paio d'ore dopo, gli alberi si diradarono percettibilmente, per poi finire bruscamente una ventina di metri dal margine delle Scogliere Tonanti. Il fiato si mozzò in gola a tutti per la grandiosità del panorama che si presentò ai loro occhi.

Ai loro piedi si stendeva la più vasta distesa d'acqua che avessero mai potuto immaginare. Da orizzonte a orizzonte, solo acqua, acqua blu profondo, che lontano a meridione pareva congiungersi con l'azzurro del cielo. Il blu era punteggiato dal bianco della spuma che incoronava le onde, che s'infrangevano contro le scogliere a picco con un rumore di tuono che giustificava la loro denominazione.

"Il mare..." alitò Veldhris, i grandi occhi verdi sgranati su quella veduta straordinaria. Nemmeno la sua vivida immaginazione aveva potuto prepararla a tanto, ed ora se ne stava lì a fissare quella meraviglia della natura, quasi perduta nella grandezza di quanto osservava, e agli altri non andava molto diversamente.

Ci fu un intervallo, che nessuno seppe poi quantificare in minuti, tanto quegli istanti sembrarono avulsi dal normale fluire del tempo. Solo la vena poetica di Veldhris poté renderlo con efficacia quando mormorò: "Questo è un momento di eternità..."

Infine, Mikor si riscosse e richiamò l'attenzione degli altri, distogliendoli a fatica dalla loro contemplazione. Il principe non spese una sola parola per scusarsi degli sprezzanti dubbi espressi a Tamya riguardo all'esistenza del mare o almeno per ammettere di essersi sbagliato, limitandosi invece a chiedere: "Dunque, ora dobbiamo proseguire lungo la riva, sul ciglio della scogliera?"

"Proprio così", confermò Roden, che in quei giorni aveva spontaneamente assunto il ruolo di guida. "Il Regno del Fiordo si trova esattamente a ovest-nord-ovest di questo punto, ma per evitare le Maleterre dovremo compiere un giro che ci porterà prima più verso sud."

"Quanto tempo credi che impiegheremo?" domandò Veldhris.

"Per raggiungere le Maleterre, un paio di giorni", rispose Kareth, che con al gemella aveva studiato con attenzione la mappa di quella zona, per loro sconosciuta, della Foresta del Vespro. "Per aggirarle, forse una settimana."

"E per arrivare a Zarcon?" incalzò Sekor.

"La cartina finisce poco più oltre il confine esterno delle Maleterre", disse Kejah con rammarico. "Non possiamo sapere quanto dista di là."

Roden osservò i suoi compagni ad uno ad uno; non scorgendo sulle loro facce altro che determinazione a proseguire, li esortò. "Bene, allora mettiamoci in cammino."

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Le previsioni di Kareth si rivelarono quasi esatte: dopo due giorni di marcia, i sei viandanti raggiunsero l'estremità occidentale delle Scogliere Tonanti, che digradavano piuttosto bruscamente fino a fondersi con la sabbia della spiaggia. Qui scoprirono ben presto che l'acqua del mare era piena di sale e imbevibile.

"Dovremo razionare l'acqua e rifornirci a ogni sorgente che troveremo", stabilì Roden. "Stando attenti, e mangiando solo cibo già pronto per cui non serva acqua per la cottura, dovremmo riuscire a oltrepassare le Maleterre senza particolari problemi."

Per un'altra giornata ebbero sulle loro destra il confine meridionale della Foresta del Vespro, i cui grandi alberi dai tronchi scuri parevano immutati rispetto a quelli che avevano sempre conosciuto, a parte una o due varietà locali. Infine, la mattina del quarto giorno dacché avevano lasciato il Fiume Lungo, raggiunsero le temute Maleterre.

Le sorgive avevano già cominciato a scarseggiare dopo la fine delle Scogliere Tonanti, lungo la spiaggia, ma quello che stavano guardando era un territorio totalmente arido, spoglio e desolato. Sulla loro sinistra, la sconfinata distesa del mare; davanti e a destra, l'altrettanto sconfinata distesa del deserto, che proteggeva e allo stesso tempo imprigionava il Regno del Vespro. Né l'uno né l'altro poteva loro fornire di che dissetarsi.

Riempirono borracce e otri all'ultima sorgente, poi coraggiosamente intrapresero un'impresa che, da quando quasi mille anni prima era stato fondato il Regno della Foresta, non era mai stata tentata da nessuno: l'attraversamento della Maleterre.

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La formazione della Maleterre non risaliva ad ere remotissime, bensì alla stessa epoca della fondazione del Regno del Vespro ad opera di Deegor, figlio di Nidal e quindi nipote di Arcolen e Kyala. Era stato il primo dei Maghi di Corte dell'Albero Albino a creare quella cintura difensiva attorno alla Foresta, larga una quarantina di leghe nel punto più esteso. L'improvvisa comparsa di quel terribile deserto, completamente privo di qualsiasi vegetazione, aveva subito diffuso la convinzione, presso i popoli circostanti, che la Foresta del Vespro, già inquietante a causa dei suoi scuri alberi giganteschi, era stata spazzata via da una forza immane, forse la stessa che, al nord, aveva provocato la caduta dell'Impero di Shyte alcuni decenni prima. Questa convinzione aveva dissuaso chiunque dal tentare l'attraversata della Maleterre, soprattutto dopo che pochi temerari ci avevano provato e non erano più tornati. La presenza di serpi e scorpioni dal veleno mortale erano un ulteriore potente motivo di dissuasione.

Veldhris ed i suoi compagni non lo potevano sapere, ma la via che Rova aveva loro indicato, l'unica percorribile in relativa sicurezza, era una specie di corridoio, dove mancavano sì l'acqua e la vegetazione, ma anche gli scorpioni e le serpi, il cui veleno uccideva nel giro di pochi minuti fra terribili dolori.

Durante quella giornata di marcia, la Foresta del Vespro andò man mano rimpicciolendosi dietro i sei viandanti, fino a ridursi ad una sottile linea scura all'orizzonte, per poi infine scomparire del tutto. Quando se ne accorse, Veldhris provò un senso di vuoto dentro di sé che le diede definitivamente la misura del passo compiuto: aveva abbandonato la sua patria, tutto ciò che conosceva, e probabilmente non sarebbe tornata mai più.

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Nel pomeriggio del quinto giorno dacché si erano inoltrati nelle Maleterre, i sei viandanti incontrarono le prime avanguardie di vegetazione, segno inequivocabile che stavano per uscire dal deserto. Dopo quei giorni interminabili, passati in un'alternanza di caldo infernale diurno e di gelo notturno, gli animi si risollevarono e tutti – persone, cavalli e cagnolino – avanzarono più baldanzosi.

In serata raggiunsero un piccolo bosco che cresceva striminzito nel terreno semidesertico, alimentato da una stentata fonte d'acqua dolce. Lì si accamparono, stanchi ma lieti, e si rinfrescarono sommariamente prima di dedicarsi al pasto serale, caldo per la prima volta dopo giorni. Lo sciacquio dell'acqua corrente parve a tutti il suono più bello del mondo, dopo il silenzio assoluto del deserto, interrotto solo dall'ampio respiro del mare.

Il mattino seguente si decise di abbandonare la costa, che aveva piegato ulteriormente a sud, e di proseguire verso nord-ovest, come aveva loro indicato Rova, aggiungendo che prima o poi avrebbero incontrato qualcuno di Zarcon. Questo sottintendeva probabilmente che il Regno del Fiordo era ben celato, come lo era stato il Regno della Foresta, a conferma che si trattava di una delle Contrade Libere di cui la maga aveva parlato.

Per due giorni, la compagnia marciò in quella direzione, inoltrandosi in un ondulato territorio di verdi colline appena punteggiate di boschetti; paesaggio assai nuovo per i loro occhi, abituati all'onnipresenza degli alberi. L'assenza delle famigliari e protettive piante durante la faticosa traversata delle Maleterre aveva anzi causato a tutti loro un vago senso di disagio, sentore di un'agorafobia latente, che in Sekor e Kareth aveva assunto una forma più grave, cagionando loro uno stato d'ansia piuttosto acuto durante i primi due giorni. Entrambi però, con l'aiuto di un'erba medicinale dal potere calmante somministrata loro da Kejah e soprattutto con la loro forza di volontà, avevano superato il malessere.

La sera del secondo giorno da quando avevano mutato direzione, il quindicesimo del loro viaggio, i viandanti si accamparono sulla cima tondeggiante di una bassa collina, protetti alle spalle da un bosco più grande degli altri, i cui alberi, se paragonati a quelli della Foresta del Vespro, parevano loro ridicolmente piccoli.

Più di una volta, durante le soste, Veldhris si era soffermata a pensare a quanto vario e differente era il mondo al di là del Regno del Vespro. In due settimane aveva visto più cose che in due decenni e mezzo di vita: le maestose Cascate di Cristallo, la valle d'acqua, il mare, il deserto, le colline che si susseguivano da un orizzonte all'altro, le piante così piccole, erbe e fiori dai colori e dai profumi sorprendenti; persino l'acqua delle sorgenti e dei torrenti pareva avere un sapore diverso. E se i paesaggi, la flora e la fauna potevano essere tanto vari, che differenze avrebbero trovato tra il Popolo della Foresta e gli altri abitanti dello Shyte? Che avessero due teste, o quattro braccia, oppure, come le piante, che fossero piccolissimi? O ancora, pur rimanendo delle loro stesse proporzioni, che avessero i capelli blu e gli occhi gialli, o la pelle a strisce colorate? Per quanto strani potessero sembrarle, aveva deciso Veldhris, non avrebbe mostrato divertimento né malizia, né tantomeno ribrezzo: in fondo, anche loro sei sarebbero certamente apparsi perlomeno strani agli occhi di creature tanto diverse.

Comunque, quella sera rimasero svegli un po' più del solito per discorrere, e poi Roden si dispose al primo turno di guardia, la grande ascia da boscaiolo, che aveva recuperato dalle macerie di una casa prima di lasciare Tamya, a portata di mano per ogni evenienza. Trovandosi infatti in un territorio a loro completamente sconosciuto, i viandanti preferivano non correre rischi ed ogni notte alternavano quattro turni di guardia.

Quando tutti si furono coricati, Roden afferrò la sua ascia e si mise a passeggiare un po' su e giù ai limiti dell'accampamento, ascoltando il respiro lieve e regolare dei suoi compagni addormentati ed i movimenti dei quattro cavalli, legati ai rami più bassi di un albero poco lontano. La notte era quieta, dal cielo sgombro di nubi occhieggiavano mille stelle e la luce della luna ancora quasi piena bagnava i fianchi delle colline. Quel panorama così estraneo riempì Roden di un'improvvisa, struggente nostalgia; ripensò con rimpianto alla sua Foresta, alla sua casa, ai genitori ed agli amici perduti, scomparsi per sempre a causa di Rakau. Strinse spasmodicamente il manico della grande ascia in un impeto d'odio profondo: quella maledetta donna l'avrebbe pagata cara! Lui, Roden Baroden, al suo confronto era forse una nullità, ma se la leggenda della Corona di Luce era vera, allora avrebbe aiutato Veldhris in tutti i modi, a qualunque prezzo, perché potesse entrarne in possesso e sconfiggere così il Potere Oscuro, riportando il Potere Luminoso nel mondo devastato. Roden intuiva infatti che quanto era da poco successo a Tamya ed al Regno del Vespro era la stessa sorte toccata all'intero Shyte mille anni prima, e la sua determinazione era, per effetto di tale convinzione, accresciuta.

Le due ore del suo turno di guardia passarono lentamente. I cavalli erano tranquilli, tutto in quel paesaggio immerso nella notte era quieto. La luna, bassa sull'orizzonte, stava per tramontare e Roden si apprestò a svegliare Kejah, cui competeva il secondo turno di guardia.

"Sveglia, Kejah, tocca a te" la chiamò a bassa voce, scuotendola.

Sbadigliando, la giovane donna aprì gli occhi, ancora pieni di sonno, e borbottando parole inintelligibili si mise a sedere. "Che seccatura, montare la guardia!" brontolò tra sé, strofinandosi gli occhi

Roden la osservò divertito. "È tutto tranquillo, non ti preoccupare", la informò.

"Male! Così finisce che mi addormento di nuovo", scherzò lei, tirandosi faticosamente in piedi e guardandosi attorno. "Bella notte", commentò, prima di controllare l'incordatura dell'arco.

Roden si stava già infilando sotto le coperte, quando uno dei cavalli sbuffò, improvvisamente agitato; gli altri ondeggiarono, facendogli eco. Kejah lanciò un'occhiata perplessa al cugino, poi si diresse verso gli animali, seguita da Roden, ma i due giovani non avevano ancora fatto metà strada che Nevesole, di colpo, s'impennò e nitrì forte, provocando l'immediata reazione degli altri cavalli e di Rollie, che si mise ad abbaiare.

Svegliati di soprassalto da quella improvvisa confusione, i quattro che ancora dormivano balzarono a sedere sui loro giacigli.

"Cosa succede?" domandò Mikor ad alta voce, alzandosi ed impugnando la spada.

"Non ne ho idea", rispose Roden.

I cavalli continuavano ad agitarsi in un crescendo sempre più frenetico, trasmettendo la loro inesplicabile ansia anche a Rollie, che cominciò a ringhiare contro una minaccia invisibile. Kareth incoccò in fretta una freccia al suo arco, imitata subito dalla gemella e da Sekor; Veldhris, l'unica a non avere pratica di armi, trasse dal fodero il lungo pugnale da caccia che aveva scovato nell'abitazione di Rova il giorno della partenza da Tamya. Rollie, in piedi accanto a lei, continuava a ringhiare, il pelo ritto sulla schiena.

Sei paia d'occhi ansiosi scrutarono il buio, ma per interminabili minuti non accadde assolutamente nulla.

L'attacco arrivò all'improvviso, preannunciato solo da un lieve fruscio.

Veldhris si sentì sfiorare da qualcosa di gelido e cacciò involontariamente un grido. Artigli tentarono di afferrarla per i capelli, ma lei si divincolò furiosamente brandendo il pugnale a casaccio al di sopra della testa e colpendo qualcosa di nero e viscido. Sekor scoccò la sua freccia ed un verso stridulo, acutissimo, echeggiò nella notte, gelando loro il sangue nelle vene.

"In nome degli dèi, che cosa sono?" strillò Kejah. Una nera ombra alata le piombò addosso e la gettò a terra con il suo peso, ma Roden fu pronto a tranciare a metà la forma con la sua ascia; subito un'altra ombra si precipitò dal cielo aggredendolo ed il giovane si difese, menando colpi in tutte le direzioni, ma il buio impediva di vedere, cosa che diminuì l'efficacia della sua difesa.

"Qualcuno attizzi il fuoco!" vociò, ma tutti erano impegnati a respingere gli assalti delle malefiche creature – quali che fossero – persino il piccolo Rollie che tentava di morderne le estremità, dimostrando un coraggio inversamente proporzionale alle sue dimensioni. Sekor aveva abbandonato l'arco in favore della frusta, la sua arma secondaria, che usava con incredibile maestria e la cui punta d'acciaio era tagliente come un rasoio. Kareth, alle prese con tre creature contemporaneamente, sprecò alcune frecce prima di rinunciare, decidendo invece per il coltello da caccia come aveva già fatto Kejah. Veldhris, sorprendendo se stessa, si liberò velocemente e corse verso il fuoco per seguire l'indicazione del fratello, ma venne aggredita alle spalle e scaraventata a terra faccia in avanti. Qualcosa le si precipitò addosso dall'alto, ma lei fu svelta a rotolare di lato evitando per un soffio che la creatura le piantasse gli artigli nelle carni. Sekor intravide la scena nell'oscurità appena rischiarata dall'incerto chiarore delle stelle e si slanciò in suo soccorso roteando la frusta, che con uno schiocco si abbatté di punta sulla creatura.

Intanto Kejah, protetta alle spalle da Roden, riuscì ad avvicinarsi alle braci del falò e vi gettò sopra un fascio di legna, ventilandolo freneticamente affinché prendesse fuoco più rapidamente. Qualche istante dopo, le fiamme si levarono alte ad illuminare il campo di battaglia e finalmente i viandanti poterono vedere gli aggressori: sembravano pipistrelli, ma erano molto più grandi, con un'apertura alare di almeno due metri, e dalle fauci spalancate spuntavano lunghi canini appuntiti.

"I Vampiri!" urlò Roden, riconoscendoli da illustrazioni di vecchi manoscritti che parlavano di antiche leggende. "State attenti a non farvi mordere!"

Non c'era bisogno della sua raccomandazione: il nome vampiri aveva fatto correre un brivido di raccapriccio lungo la schiena di tutti i presenti, risvegliando atavici terrori.

Alla luce del fuoco, i Vampiri arretrarono, interrompendo l'assalto, ma poi, come se si fossero abituati al chiarore, ripresero a scendere in picchiata sui malcapitati viaggiatori, tentando di artigliarli per i vestiti o per i capelli ed emettendo versi striduli che gelavano il sangue nelle vene.

Mikor brandiva la sua grande spada a due mani a più non posso. Riuscì a tagliare molte ali e qualche testa, facendo schizzare dai corpi abbattuti un liquido scuro e denso, ripugnante e nauseabondo.

Kareth, immergendo la lunga lama del suo coltello nel ventre di un Vampiro, si imbrattò le mani ed il fetore le riempì le narici, stordendola tanto da farla cadere a terra priva di forze. La gemella, che nella foga della battaglia le si era avvicinata, la vide stramazzare e d'un balzo le fu a fianco, difendendola strenuamente. Roden accorse a darle man forte, mentre Veldhris, tentando di fare altrettanto, venne travolta da un Vampiro e buttata al suolo con violenza. Rotolando, la giovane donna finì quasi tra le fiamme, ma riuscì a puntellarsi per fermarsi giusto in tempo. D'istinto afferrò un ramo ardente e lo sollevò per difendersi, impugnandolo con una mano mentre nell'altra continuava a stringere il pugnale, e quando il Vampiro l'attaccò di nuovo, gli abbatté addosso il ramo fiammeggiante. La creatura avvampò come se fosse cosparsa di qualche sostanza combustibile ed agitò freneticamente le ali membranose, alzandosi in volo a velocità incredibile, ma non servì a spegnere le fiamme che la consumavano ed in breve precipitò, stridendo da far accapponare la pelle e disintegrandosi ancor prima di toccar terra.

Sekor, distratto da quella scena, non vide in tempo la scura forma che gli piombava addosso e quindi non riuscì ad evitare gli artigli protesi ad afferrarlo. Le unghie mortali, affilate come lame, lo presero di striscio dalla spalla al fianco opposto, lacerandogli la tunica ed aprendo una lunga ferita sul petto da cui sprizzò un fiotto di sangue. Il dolore gli fece mancare le gambe ed il principe stramazzò. Il Vampiro gli piombò addosso, pronto ad affondare i denti nella sua carne, e Veldhris strillò inorridita, precipitandosi verso il giovane, ma si rese subito conto che non sarebbe mai giunta in tempo a salvarlo.

D'un tratto, un urlo possente sovrastò i rumori della lotta ed il Vampiro chino sul corpo di Sekor parve spaccarsi improvvisamente e senza ragione a metà, inondando l'erba del suo sangue ributtante.

"Per Zarcon del Fiordo!"

Il grido di battaglia esplose nella notte da più punto tutt'attorno a loro. Veldhris vide un manipolo di uomini precipitarsi nel cerchio di luce del fuoco ed attaccare i Vampiri menando gran colpi di spada e brandendo lunghe lance acuminate. Uno di essi balzò da dietro la forma immobile e smembrata della creatura che si era gettata su Sekor, afferrò il principe svenuto sotto le ascelle e lo trascinò via; poi si dedicò agli altri Vampiri, abbattendo la sua spada su ali, teste e colli con feroce determinazione.

Veldhris tentò di raggiungere Sekor, immobile sull'erba, ma dovette difendersi dall'aggressione di un Vampiro buttandosi per terra per evitare di essere afferrata per i capelli. Di nuovo, si impadronì di un ramo fiammeggiante e lo lanciò contro la creatura, che si accese come una torcia bruciando in pochi secondi.

Kejah si avvicinò di corsa, la schiena piegata in avanti, lasciando Kareth affidata a Roden; usando il pugnale, strappò una striscia di stoffa dall'orlo della sua tunica, poi afferrò una freccia e ne avvolse la punta con un pezzo del tessuto tagliato, la ficcò tra le fiamme e poi, con rapidità accecante per non bruciarsi con l'asta che aveva preso fuoco assieme alla stoffa, tese l'arco e tirò il dardo incendiario. L'istante dopo, un Vampiro arse in volo mentre Kejah ripeteva l'operazione. Veldhris fece del suo meglio per proteggerle le spalle, brandendo rami infuocati contro i Vampiri mentre la cugina preparava e lanciava una freccia fiammeggiante dietro l'altra.

Due o tre degli uomini che erano intervenuti in loro difesa, armati di archi e frecce, raggiunsero il falò ed imitarono l'esempio della cacciatrice, ed assieme abbatterono molti Vampiri, mentre i loro compagni continuavano a combatterli con spade e lance. Nel giro di pochi minuti, le sorti dello scontro erano decise e gli attaccanti si diedero disordinatamente alla fuga, stridendo nella notte buia.

Ansanti, coperti di sudore e tremanti di fatica e spavento, i quattro viandanti ancora in piedi fissarono le forme alate svanire nel cielo notturno, imitati da coloro che li avevano tanto provvidenzialmente soccorsi. Poi, tutti si raccolsero attorno al fuoco, Roden sostenendo Kareth, ancora stordita, e Mikor portando il fratello in braccio. Veldhris si ritrovò accanto uno scodinzolante Rollie, dimenticato durante l'infuriare della lotta, e lo prese in braccio con un'esclamazione di gioia e sollievo. Il muso del cagnolino era sporco del sangue di un Vampiro, segno che anche lui aveva fatto la sua parte mordendo furiosamente una o più delle malefiche creature; il suo abbaiare eccitato indusse Veldhris a pensare che Rollie fosse convinto d'averli salvati tutti da solo, facendola sorridere divertita.

Quello che sembrava il capo dei soccorritori, lo stesso che aveva salvato Sekor, si fece avanti ed esaminò il principe svenuto. "Non è grave", dichiarò infine, in una voce baritonale dal tono sicuro. "Basterà lavare e fasciare la ferita, e tra qualche ora sarà di nuovo in piedi."

Il suo accento sorprese Veldhris quanto il suo aspetto l'aveva, in un certo senso, delusa: fisicamente, infatti, quegli uomini e quelle donne non erano diversi dagli abitanti della Foresta, avendo una sola testa, due braccia, due gambe e la pelle dello stesso colore, ma l'idioma era un po' differente da quello in uso nel Regno del Vespro. La cantante si diede della sciocca per non averci pensato: era chiaro, dopo mille anni d'isolamento una lingua tende a modificarsi per suo conto, e probabilmente ora nello Shyte si parlava come quell'uomo, non come lei. Perfino all'interno della Foresta c'erano leggere diversità di pronuncia.

Kejah era già andata a prendere il necessario per curare il principe ferito e si occupò di lui, mentre Kareth, ormai ristabilita, si rivolse sottovoce a Veldhris. "Veldy, stai bene?"

"Nemmeno un graffio", la rassicurò la cugina più giovane. "Tu, piuttosto?"

"Ho solo un saporaccio in bocca, ma sta passando."

Roden stava intanto guardando l'uomo che aveva esaminato Sekor. "Vi dobbiamo dei ringraziamenti, a te e ai tuoi compagni", disse, lanciando un'occhiata circolare ai nuovi venuti.

"Non c'è di che", rispose modestamente l'altro, aggiustando il mantello sulle spalle. "I Vampiri sono una terribile piaga. Siete stati molto imprudenti ad accamparvi qui, senza riparo."

"Siamo stranieri", spiegò Roden. "Non sapevamo nemmeno dell'esistenza di queste bestiacce."

Il suo interlocutore annuì. "Capisco. Comunque, non possiamo rimanere qui: appena avrete finito di curare il ferito, sarà meglio inoltrarci nel bosco: i Vampiri non possono volare tra gli alberi a causa delle loro dimensioni, e quindi saremo al sicuro."

Guardò i sei viandanti della Foresta, osservandoli con curiosità, e Veldhris si sentì scorrere un misterioso brivido lungo la schiena quando quegli occhi chiarissimi si posarono su di lei.

"Siete tutti qui?" s'informò lo sconosciuto. Roden annuì, confermando, ed allora l'altro gli tese la mano. "Io sono il capitano Freydar di Zarcon, e questi sono i miei guerrieri, dieci in tutto."

Roden afferrò la mano che gli veniva offerta. "Io sono Roden Baroden di Tamya, membro della Gilda dei Boscaioli."

Mikor si avvicinò ai due e si erse in tutta la sua statura. Veldhris notò che, nonostante questo, Freydar superava il principe ereditario di cinque buoni centimetri.

"Io sono Mikor, Signore della Foresta del Vespro."

Il tono altero del principe non impressionò Freydar, che si limitò a reclinare il capo in segno di rispetto. "Molto lieto, sire. A nome di mio cugino Oolimar, Re di Zarcon, vi porgo il benvenuto nel Regno del Fiordo, Contrada Libera dal Potere Oscuro."

Veldhris sussultò a quella rivelazione. "Come mai tanta disinvoltura nel dichiarare una cosa simile?" indagò, sospettosa. "Non temi le spie di Rakau?"

Freydar si voltò sorpreso nella sua direzione e, scorgendola, un sorriso gli incurvò un angolo della bocca in un sogghigno canzonatorio. Normalmente, un simile atteggiamento avrebbe irritato Veldhris, invece ora, stranamente, la cantante pensò che il capitano era molto attraente, con quella corta barba ben curata e gli occhi luminosi.

"Le spie di Rakau non verrebbero attaccate dai Vampiri, visto che essi stessi sono creature della Signora dei Draghi Neri", spiegò Freydar in tono ovvio.

Veldhris arrossì indispettita: in fondo, Roden aveva appena dichiarato che non sapevano dell'esistenza dei Vampiri, come potevano quindi conoscerne le origini? Attraente o no, quel tipo doveva essere arrogante e antipatico, concluse, sentendosi inspiegabilmente delusa.

Kareth, in piedi accanto alla cugina, si accorse del tono vagamente beffardo usato da Freydar nel rivolgersi a Veldhris. "Questa", dichiarò freddamente, "è la principessa Veldhris di Tamya della Foresta."

L'espressione di Freydar mutò in sorpresa mentre il suo sorriso diventava più ampio, perdendo la vena canzonatoria. "Principessa? È un onore incontrarvi, Altezza."

Con due passi delle sue lunghe gambe fu di fronte a Veldhris, le prese una mano e se la portò alle labbra in un gesto d'omaggio cui la cantante non era avvezza, data la sua scarsissima esperienza di vita di corte. Involontariamente, ritirò di scatto la mano, ma Freydar non fece una piega e si voltò per chiedere: "Come sta il ferito? Avete finito di bendarlo?"

Kejah si alzò in piedi. "Sì, capitano Freydar, ma non è ancora rinvenuto."

"Non importa, dobbiamo muoverci", decise il guerriero. "Prendete i vostri i cavalli."

Roden e Mikor si mossero, andando a slegare Tempesta, Nevesole, Rim e Ram, mentre Freydar dava disposizioni affinché si approntasse una barella di fortuna per il ferito e si accendessero delle torce alle fiamme del falò che ancora ardeva, per poi estinguerlo. Infine, quando Veldhris e gli altri ebbero raccolto le loro cose, si avviarono tutti verso il limitare del bosco alle loro spalle; s'inoltrarono tra gli alberi, dissipando momentaneamente le tenebre sotto di essi con la luce delle torce. Due degli uomini più robusti di Freydar trasportavano Sekor sulla barella improvvisata con due lance ed un mantello; all'avanguardia camminava il capitano, guidandoli con sicurezza tra gli alberi, mentre alla retroguardia c'erano due donne ed un uomo armati di lance.

Percorsero così circa mezzo chilometro, finché non raggiunsero l'accampamento da cui erano partiti in fretta e furia i guerrieri di Zarcon per soccorrere i viandanti attaccati, quando avevano udito i rumori della lotta e gli strepiti dei Vampiri.

Qui trascorsero il resto della notte senza altri allarmi, e Veldhris poté riposare con un senso di sollievo che non provava più dal giorno della distruzione di Tamya. Avevano raggiunto la loro meta: Zarcon, il Regno del Fiordo, era a portata di mano.

Non pensò che, con tutta probabilità, questa era solo la prima tappa del suo viaggio.

OOO

L'indomani mattina, svegliandosi, Veldhris decise che per prima cosa doveva parlare con Freydar. Non l'aveva fatto la notte prima, troppo stanca e frastornata, ma ora doveva convincerlo a portarla da re Oolimar che, a quanto aveva affermato, era suo cugino.

Si alzò e, seguita dallo scodinzolante Rollie, andò in cerca del capitano. Lo trovò già in piedi, intento a consumare la colazione da solo.

"Siete mattiniera, Altezza", commendò, vedendola.

Veldhris si sedette mentre lui le offriva del pane inzuppato nel latte. "Una sana abitudine", ribatté, accettando la ciotola. "Ma ti prego, non chiamarmi altezza: il mio nome è Veldhris."

Freydar annuì, apprezzando la sua modestia, così diversa dall'alterigia di Mikor. "D'accordo, Veldhris, come vuoi."

La cantante assaggiò il latte e rimase perplessa. "Ma è latte fresco?"

"Non proprio: ha quattro giorni."

"E non è andato a male?" si meravigliò lei.

"No, prima di partire lo abbiamo fatto bollire, così si conserva per diversi giorni", ripose Freydar, osservandola con curiosità. "Non conosci questo espediente?"

Veldhris scosse il capo. "No, la mia gente evidentemente non c'è mai arrivata... eppure è tanto semplice!"

"Sono proprio le cose più semplici ad essere difficili da scoprire", disse Freydar con inaspettata saggezza. La giovane donna gli scoccò un'occhiata, sorpresa dalla sua osservazione, ma non disse niente, e per un po' mangiarono in silenzio.

"Ieri sera avete detto di venire da un luogo chiamato Regno del Vespro", disse improvvisamente il capitano. "Dov'è?"

"Si trova oltre le Maleterre", rispose prontamente Veldhris, non ritenendo che ci fosse necessità di nascondere l'informazione. "In direzione est-sud-est rispetto a qui, a molti giorni di marcia."

Freydar la guardò sbalordito e con nuovo rispetto. "Vuoi dire che avete attraversato il Deserto Maledetto? E ne siete usciti vivi?"

"Mi pare evidente", replicò lei, inspiegabilmente contenta di dargli motivo di meraviglia. "C'è un solo modo per superarlo in relativa sicurezza, ed è il percorso che abbiamo seguito. Il nostro intento era di raggiungere Zarcon, il Regno del Fiordo."

"E come fate a sapere dell'esistenza della mia Contrada Libera?" indagò il guerriero, aggrottando la fronte sotto la corta frangia di capelli scuri che gli scendeva a V fin quasi tra le sopracciglia, in un taglio di capelli insolito agli occhi di Veldhris.

"Anche la Foresta del Vespro è – o forse dovrei dire era – una Contrada Libera. Come tale, conosce l'ubicazione di un'altra Contrada Libera. Sono certa che il tuo re sa di un'ulteriore Contrada Libera, e questa ne conosce un'altra ancora, e così via. Ce ne sono otto in tutto, e perlomeno era così in origine. Ora di sicuro ce n'è una in meno, perché Rakau ha scoperto il Regno del Vespro e ne ha distrutto la capitale e forse altri luoghi popolati..."

La voce di Veldhris si spezzò al pensiero dei suoi innumerevoli connazionali uccisi dai Draghi Neri e Freydar provò compassione per lei e per i suoi cinque compagni. Tuttavia, doveva indagare sulle loro motivazioni, per la sicurezza della propria terra. "Perché cercavate Zarcon?" domandò quindi, guardandola con aria scrutatrice.

Veldhris c'era ripresa dalla momentanea commozione e ricambiò il suo sguardo con fermezza. "Questo, se permetti, preferirei rivelarlo soltanto al tuo re."

Freydar assentì, seppur a malincuore. "D'accordo, è tuo diritto."

Lei s'illuminò: a quanto pareva, aveva raggiunto il suo scopo senza neppure dover chiedere. "Vuoi dire che ci porterai da lui?"

"Certamente. Vi devo condurre a Zarcon comunque, dato che siete stati sorpresi entro i confini del nostro regno."

Veldhris aggrottò la fronte. "Siamo stati sorpresi? Che significa?"

Freydar fece un gesto come a scusarsi. "Questa è una Contrada Libera. Rimarrà tale solo se nessuno porterà Rakau a conoscenza della sua esistenza, come a quanto hai detto è purtroppo accaduto alla tua patria."

La cantante non poteva che dargli ragione, ma la cosa la disturbava. Posò la ciotola ormai vuota a terra. "Dunque siamo tuoi prigionieri?" domandò.

"Se davvero volevate incontrare Oolimar, direi di no; ma se tenterete di scappare..."

Freydar lasciò significativamente la frase in sospeso.

Veldhris non capiva. "Ma hai detto tu stesso che non siamo spie di Rakau..."

"L'ho detto, e lo penso tuttora. Tuttavia, non posso averne la certezza assoluta. Dobbiamo essere estremamente prudenti, questo lo capisci, vero?"

Veldhris fece un sospiro rassegnato. "La vostra diffidenza è una diretta conseguenza del Potere Oscuro", considerò sottovoce. "Se solo potessi..."

S'interruppe appena in tempo, dandosi mentalmente dell'idiota: a momenti rivelava a Freydar la sua missione! Sentiva di potersi fidare di lui – a prescindere dalla sua apparente arroganza della notte precedente, di cui comunque stamattina non c'era traccia – ma come aveva detto lui, non poteva esserne assolutamente certa. Non poteva commettere imprudenze.

"Che cosa vorresti poter fare?" s'informò Freydar in tono cortese.

"Uh... Ecco, se solo potessi convincerti che io e miei compagni proveniamo veramente da una Contrada Libera, la Foresta del Vespro appunto, tutto sarebbe più facile, non credi?"

Il volto di Freydar non rivelò se la sua risposta l'aveva convinto o meno. "Hai ragione", si limitò a dire. "Se aveste qualche prova a sostegno della vostra affermazione, sarebbe effettivamente più facile."

Veldhris si sforzò di pensare a qualcosa, ma le vennero in mente soltanto le mappe di Rova. "Non saprei", ammise. "Ne parlerò col tuo re."

"Come vuoi. Ah, ecco che arriva Roden Baroden."

Con uno sbuffo, il giovane uomo biondo si sedette accanto a loro. "Buongiorno sorellina, dormito bene?" domandò, reprimendo a stento uno sbadiglio.

"Sì, grazie, fratellone. Spero anche tu", rispose lei, divertita.

Freydar li guardò perplesso, domandandosi come potesse un boscaiolo avere una sorella principessa; tuttavia, non fece commenti e si limitò a salutare il nuovo venuto con un cortese cenno del capo.

Mentre anche Roden faceva colazione, vennero raggiunti dagli altri e Veldhris fu contenta di vedere che Sekor, come aveva previsto Freydar, si era sufficientemente rimesso da poter camminare. Così, un'ora più tardi, i sei viandanti di Tamya e la loro scorta levarono l'accampamento e si fecero sulla via per Zarcon del Fiordo.

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