Capitolo IX: Il Regno Sotterraneo

Capitolo IX: Il Regno Sotterraneo

Per un tempo interminabile, a Veldhris parve di sentirsi fluttuare in un grigio nulla, i sensi ottenebrati, la mente confusa. Non percepiva più il proprio corpo e più si sforzava, meno ci riusciva. Il panico s'impadronì di lei: era morta? Cercò disperatamente di captare qualcosa al di fuori dei propri pensieri sconnessi, ma era inutile: era una mente priva di corpo. Doveva essere morta, non c'era altra spiegazione. Ma non voleva rassegnarsi, troppe cose dipendevano da lei! Invano tentò di ribellarsi, ma non c'era niente da fare. Esausta, smise di lottare e si abbandonò ad una quieta disperazione.

Era finita.

Non avrebbe più cercato la Corona di Luce.

Non avrebbe più avuto la possibilità di battersi contro l'Oscurità.

Non avrebbe più riabbracciato Roden, Kareth e Kejah, né rivisto Sekor e...

Già, e Freydar? Era con lei quand'era accaduto... cosa? Che cosa era accaduto?

Veldhris si concentrò e ricordò la scena presso lo Stagnospecchio: lei era in piedi, guardava l'acqua scura, e vicino a lei c'era il capitano. E poi? Quelle scene della sua città, Tamya... suo padre e Arton che si picchiavano... ma com'era possibile? Tamya era stata distrutta quasi tre mesi prima! Doveva essere un inganno dell'Oscurità! Sì, non poteva essere diversamente: Rakau aveva scoperto l'Erede di Arcolen e l'aveva fatta cadere in una trappola per eliminarla. Ah, no, questo non glielo avrebbe permesso tanto facilmente!

Veldhris s'accorse d'un tratto di percepire di nuovo il proprio corpo. Cercò di muoversi, ma non le riuscì. Con uno sforzo immenso, arrivò a socchiudere gli occhi ed a mettere a fuoco la vista. Poté così vedere che si trovava in una caverna – ben asciutta ed areata come avrebbe in seguito appurato – illuminata da uno strano, diffuso bagliore lievemente verdognolo poco rassicurante. Era stesa a terra, supina, e quando riuscì finalmente a muovere la testa, girandola verso sinistra scoprì Freydar sdraiato accanto a sé, prono, gli occhi chiusi. Tentò di chiamarlo, ma la voce si rifiutò di uscirle dalla gola. Rassegnata, attese: le forze le stavano lentamente tornando.

Volgendo gli occhi qua e là, notò le loro sacche, che giacevano poco lontano, rovesciate ma intatte. Poco dopo si sentì chiamare. "Veldhris!"

La voce era stata poco più di un roco sussurro.

Voltò la testa verso di esso. "Freydar! Stai bene?"

Non riuscì a celare il sollievo che provava, né le importava.

Il principe aveva aperto gli occhi e la stava guardando. "Non riesco a muovermi", le disse, faticosamente.

"Non sforzarti", lo esortò Veldhris. "Passerà. Io sto già meglio."

Tacquero: era ancora troppo difficile parlare.

Poco a poco, le forze tornarono e finalmente, a fatica, riuscirono a trarsi a sedere.

Veldhris si passò le mani sul viso, cercando di scacciare l'intontimento che ancora provava. "Hai idea di cosa sia successo?" domandò a Freydar.

Il capitano scosse la testa e non riuscì a reprimere una smorfia di dolore: gli sembrava d'avere un'ascia piantata nel cranio. "Non lo so", rispose infine. "Ricordo che eravamo sulla riva dello Stagnospecchio... Poi ho visto..."

S'interruppe bruscamente, corrugando la fronte.

Veldhris gli lanciò un'occhiata. "Allora anche tu hai visto qualcosa", constatò, come tra sé. "È successo lo stesso a me. Ho visto Tamya, la mia città. E c'era mio padre che si picchiava con... con un giovane che conoscevo. Io mi sono buttata tra loro per fermarli... e poi più nulla."

Freydar annuì. "È stato così anche per me. Ho visto Maden, il primogenito di Oolimar, che tentava di cavalcare Mistero. Come sai, il mio stallone non tollera altri cavalieri all'infuori di me, a meno che non glielo dica io, e così si è messo a sgroppare e ha disarcionato Maden. Io sono accorso in suo aiuto, ed invece eccomi qua, senza sapere come ho fatto a arrivarci."

Con l'indice si grattò il mento coperto dalla corta barba, che si sforzava di tenere ben curata nonostante tutti i disagi del viaggio, in un gesto che Veldhris aveva imparato a conoscergli come segno di perplessità o d'imbarazzo. "Ma dove siamo?" gli domandò.

Freydar lanciò uno sguardo circolare all'ambiente. "Sottoterra, direi", rispose. "Speriamo che ci sia un'uscita."

"Beh, da qualche parte siamo pure entrati, no? E di lì ce ne andremo", disse Veldhris, ottimista.

Il capitano non volle deluderla: la misteriosa via che avevano seguito per arrivare là era sicuramente preclusa, perché nessuno si sarebbe dato tanta pena per catturarli, per poi lasciar loro un'agevole via d'uscita. "Quanto ci è capitato non è stato un caso", sentenziò. "Qualcuno l'ha voluto, predisponendo una trappola alquanto complicata ma efficace."

Veldhris impallidì, mentre le tornavano in mente tutti i pensieri che aveva avuto finché era immobilizzata. "Rakau!" bisbigliò. "Ha saputo di me..."

Freydar vide il terrore dilatarle le pupille e provò compassione per lei, ma anche una punta d'impazienza: ci mancava solo che quella donna si facesse prendere da una crisi isterica! Sforzandosi di superare l'irritazione, per tranquillizzarla, le passò un braccio attorno alle spalle ed all'improvviso rammentò la scena nel Cerchio di Pietre, quando Sekor l'aveva abbracciata. Corrugò la fronte: perché quel ricordo lo infastidiva?

"Non sono ancora pronta a affrontarla", sussurrò Veldhris con voce traballante, raggomitolandosi su se stessa. "Non senza la Corona di Luce."

"Non è detto che sia lei", le disse Freydar, rassicurante. "Non abbiamo fatto niente per attirare la sua attenzione. Nessuno, oltre a noi del gruppo e a Oolimar, sa di te."

Come d'incanto, la giovane donna si calmò. "Hai ragione", riconobbe. "Avevo pensato agli Spettri delle Paludi, che potrebbero essere controllati da Rakau, ma dopotutto ho solo cantato una ballata..."

Questo non era venuto in mente a Freydar, che dovette perciò rivedere le proprie opinioni sul comportamento di Veldhris: in effetti, se venivano scoperti ora, per loro era finita, perché all'Erede di Arcolen non bastava il proprio retaggio per sconfiggere la Signora dei Draghi Neri. La Corona era indispensabile, e non era ancora stata trovata. La paura di Veldhris era quindi ben giustificabile, giacché anche a lui veniva freddo solo a pronunciare il nome della nemica. "Bene", si decise infine a dire, interrompendo le proprie riflessioni. "Pensiamo a uscire da qui, adesso."

Si tirarono in piedi, barcollando un po', ed esaminando la caverna, che non era più grande di una stanza di medie proporzioni, scoprirono che la diffusa luminosità verdastra proveniva da una sorta di muschio grigioverde, di cui le pareti ed il soffitto della grotta erano interamente ricoperti. Quella strana luce conferiva ai loro volti una colorazione malsana e disegnava ombre dai contorni innaturalmente netti.

Esplorarono l'antro in silenzio e trovarono una sola via d'uscita, un cunicolo poco più alto di Freydar ed illuminato dallo stesso muschio fosforescente, solo un po' attenuato. Non avendo altra scelta, raccolsero gli zaini caduti ed imboccarono la galleria senza indugio.

Camminarono per circa mezz'ora prima d'incontrare una diramazione a T: il cunicolo che avevano percorso sboccava infatti in uno più ampio.

Veldhris guardò in entrambe le direzioni, ma la galleria sembrava uguale sia a destra sia a sinistra. "Da che parte?" domandò pertanto, guardando Freydar.

Lui si strinse nelle spalle. "L'una vale l'altra. Prendiamo a destra?

Veldhris annui. "Va bene, ma aspetta un attimo."

Sfilò il pugnale da caccia dalla cintura e con la punta grattò la parete accanto al cunicolo da cui erano venuti. Freydar si avvicinò e vide che aveva inciso le iniziali VY, raschiando via lo strano muschio luminescente e mettendo a nudo la roccia sottostante.

"Brava", approvò, capendo al volo il suo intento. "Così non rischiamo di ripassare di qui, casomai dovessimo perderci."

"È un'eventualità spiacevole, ma dobbiamo tenerla presente", disse la cantante, riponendo il pugnale nel fodero. Inavvertitamente toccò la custodia dello yord e, ricordandosi di colpo del suo strumento, lo estrasse per esaminarlo, preoccupata. "Per fortuna non si è ammaccato", constatò, sollevata." Ultimamente ne ha passate di cotte e di crude, fra bagni, calore e..." s'interruppe di botto, corrugando la fronte. "Già, bagni... Se ci siamo precipitati verso la fonte delle nostre visioni, saremmo dovuti finire nello Stagnospecchio: com'è che non siamo bagnati?" ragionò.

Anche Freydar aggrottò le sopracciglia. "È vero. Molto strano."

Si guardarono, sempre più perplessi.

"Mistero nel mistero", tagliò corto il capitano. "Restare qui non lo risolverà: andiamo?"

Prima di imboccare la nuova galleria verso destra, Veldhris incise nuovamente le sue iniziali, con una freccia che indicava la direzione presa, sulla parete di fronte alle altre, dopo di che si avviarono.

Non avevano fatto che poche centinaia di metri quando un improvviso suono strisciante alle loro spalle li fece volgere di scatto.

"Cos'è stato?" domandò Veldhris con apprensione.

"Non ne ho idea", rispose Freydar, prendendola per un braccio. "Proseguiamo in fretta, ma senza correre."

Camminarono velocemente, cercando di fare il minor rumore possibile, ma purtroppo i loro piedi calzati di pesanti stivali producevano tonfi chiaramente avvertibili ad ogni passo.

D'un tratto Veldhris si accorse con sgomento che la luminosità diffusa dal muschio che rischiarava la galleria era diminuita, e più avanti calava ancora fino a scomparire del tutto.

Anche Freydar lo notò.

"Maledizione!" borbottò, fermandosi a scrutare il passaggio dietro di loro. Il rumore non si sentiva più, ed i due si guardarono in faccia, indecisi.

"Torniamo indietro", propose Veldhris, sbirciando intimorita il buio della galleria davanti a loro.

Freydar strinse le labbra. "L'idea non mi garba: qualunque cosa fosse, là dietro, c'è ancora."

"Ma non possiamo andare avanti", obiettò la giovane donna. "È troppo buio, e non abbiamo torce, né lanterne o candele. Se ci fosse qualcosa in agguato nell'oscurità, non saremmo nemmeno in grado di vederlo."

"Questo è vero", ammise il principe. "Allora è meglio se ritorniamo indietro."

Si rimisero le sacche in spalla e tornarono sui loro passi. La galleria non proseguiva dritta, ma serpeggiava più o meno accentuatamente, e fu così che non s'accorsero del pericolo che li attendeva se non dopo una svolta, quando gli finirono quasi addosso.

Veldhris, che era leggermente più avanti, lo vide per prima e cacciò uno strillo terrorizzato, che fu quasi coperto da un assordante ruggito.

Freydar rimase un istante come paralizzato dall'orrore, poi reagì agguantando Veldhris per una spalla e spingendola dietro di sé per farle da scudo. Rapido, estrasse la spada, anche se dubitava di poter far molto contro il mostro.

La luce verdognola e malsana illuminava una visione d'incubo: la creatura, tanto grande da ostruire quasi completamente il passaggio, aveva una testa simile ad una lince, con un corpo massiccio e una lunga coda che frustava l'aria. Dalle fauci ancora spalancate sul ruggito spuntavano zanne della grandezza di pugnali.

Il mostro ruggì ancora, assordandoli, poi richiuse le mascelle di scatto, facendole schioccare sinistramente. Con gli enormi occhi felini scrutò le prede, studiandole prima di sferrare l'attacco.

"Veldhris", chiamò Freydar sottovoce, senza girarsi. "Stai bene?"

"S... sì", giunse la risposta dopo un attimo.

"Ascoltami bene, Veldhris: indietreggia lentamente, senza voltare le spalle. Appena sei oltre l'angolo, togliti di stivali e mettiti a correre più velocemente che puoi. Hai capito?"

Veldhris non aveva quasi sentito, come inebetita dal panico, ma comprese d'istinto quel che lui le aveva suggerito. "Ha capito", sussurrò. "Ma tu?"

"Non preoccuparti per me, in qualche modo me la caverò. Ora vai!"

La cantante obbedì, cominciando ad arretrare lentamente. Dopo pochi passi, però, tornò indietro. "È inutile, Freydar, non posso lasciarti qui: non ce la farai mai da solo."

"Non puoi aiutarmi, Vel!" sibilò il capitano. "Mi intralceresti soltanto, perché dovrei proteggere anche te. Scappa, finché puoi!"

Troppo tardi, perché il mostro attaccò proprio in quel momento. Con un ruggito terrificante, balzò in avanti per piombare addosso a Freydar, ma il principe si scansò appena in tempo, spingendo Veldhris di lato, poi alzò la spada e l'abbatté sul fianco indifeso della creatura.

Un urlo agghiacciante rimbombò nella galleria mentre l'attaccante, ferito, si ritraeva. Strano sangue, denso e bluastro, colava dal taglio prodotto dalla spada di Freydar, gocciolando sul pavimento del cunicolo.

Veldhris, brutalmente spinta di lato, era inciampata e caduta, ma adesso era di nuovo in piedi. Senza perder tempo ad indignarsi inutilmente per il trattamento subito – che le aveva salvato la vita – con presenza di spirito recuperò la sacca che Freydar aveva lasciato cadere e la lanciò oltre l'angolo da cui erano venuti, assieme alla propria: molto probabilmente, il contenuto degli zaini sarebbe stato l'unico sostentamento sul quale avrebbero potuto contare, se fossero stati costretti a vagare per giorni sottoterra.

Sempre che riuscissero a sopravvivere l'incontro con quel mostro, s'intende.

"Va' via!" le gridò il capitano. "Scappa!"

"Non senza di te!" gridò lei di rimando, estraendo il suo lungo pugnale da caccia. Il panico di poco prima s'era dissolto come d'incanto: era come se, crescendo e crescendo, avesse improvvisamente superato il limite di sopportazione, impedendole di continuare a percepirlo.

Il mostro attaccò ancora, catapultandosi verso Freydar, che di nuovo gli sfuggì e gli inferse un altro colpo, stavolta sul collo, strappandogli un ululato di dolore.

Rapida come il fulmine, Veldhris scattò in avanti brandendo il pugnale ed aprì una profonda ferita su una delle zampe anteriori della creatura, che mugghiando si rivoltò contro di lei.

Freydar imprecò violentemente per l'imprudenza della compagna e, sperando di distrarre il mostro da lei, tornò ad alzare la spada per colpirlo ancora, ma non fece in tempo: il bestione sollevò la zampa sanguinante e l'abbatté sulla cantante, scaraventandola all'indietro. Poiché la zampa l'aveva presa in pieno, i suoi lunghi artigli non la ferirono, ma la violenza del colpo e della caduta le fece perdere i sensi per qualche attimo.

Con un urlo angosciato e furibondo, Freydar immerse l'arma fino all'elsa nella carne del mostro, proprio dietro all'attaccatura della zampa ferita.

La spaventosa creatura emise un terrificante ruggito di dolore; infuriata, si erse sulle possenti zampe posteriori, giungendo così a sfiorare il soffitto della galleria, che in quel punto era alto almeno tre metri. La spada venne strappata dalle mani del principe, rimanendo conficcata nelle carni del mostro, che continuava ad ululare il suo dolore e la sua furia, cercando di liberarsi del terribile pungiglione che lo torturava. Freydar abbrancò il proprio pugnale, ma era consapevole che, senza spada, era spacciato.

In quel momento, Veldhris, che si era ripresa a sufficienza per riuscire a rimettersi in piedi, gli gridò:

"Scappiamo, presto!!"

Era la loro unica possibilità di fuga, mentre la creatura d'incubo era occupata a cercare di eliminare la cagione del suo tormento, così si girarono e si slanciarono oltre l'angolo. Recuperati al volo gli zaini, si precipitarono correndo a perdifiato nella direzione da cui erano venuti; ben presto, raggiunsero il punto in cui s'erano fermati per poi tornare indietro, ma non rallentarono e continuarono a spron battuto, inoltrandosi nel cunicolo sempre più buio, finché l'oscurità non si chiuse attorno a loro come un mare d'inchiostro. Allora rallentarono, procedendo tentoni, timorosi di sbattere addosso a qualche ostacolo invisibile o di finire contro un angolo che curvava bruscamente. Passo dopo passo, tastando il terreno con i piedi e una parete con le mani, arrancarono nel buio più assoluto, cercando vanamente di distinguere qualcosa in quelle tenebre opprimenti. Dietro di loro non giungeva alcun suono ed i due cominciarono a sperare di avercela fatta, di essere sfuggiti al mostro.

Nel silenzio totale, i loro passi ed i loro respiri erano gli unici rumori che si udivano sopra i tonfi degli stivali sul fondo della galleria.

Finalmente il muschio luminescente riapparve sulle pareti e sul soffitto del cunicolo, anche se rimase assai scarso. Comunque, per i loro occhi ormai abituati al buio completo, il vago chiarore era più che sufficiente.

Un ruggito lontano gli fece sobbalzare violentemente. Entrambi si volsero a scrutare l'impenetrabile oscurità alle loro spalle, in un gesto istintivo quanto inutile. L'urlo si ripeté, echeggiando lungo le pareti della galleria, già più vicino.

"Ci sta inseguendo", sussurro Veldhris, tesa e pallida.

Freydar l'afferrò per mano. "Scappiamo, presto!"

Si voltarono e si mossero veloci, ma la luce era ancora troppo scarsa perché potessero mettersi a correre come avrebbero voluto senza rischiare di non vedere in tempo gli ostacoli sul loro cammino. Dietro di loro l'urlo rabbioso del mostro risuonò nuovamente, ancora più vicino, facendo balzare loro il cuore in gola. L'intensità del muschio fosforescente era andata accrescendosi, così poterono finalmente correre, ma alle loro spalle l'orrendo strepito del bestione continuava inesorabilmente ad avvicinarsi, inducendoli ad aumentare il ritmo dell'andatura. Ma per quanto tempo potevano sperare di fuggire a quella velocità?

Il ruggito echeggiò nuovamente, ormai vicinissimo. Lanciandosi un'occhiata alle spalle dopo un lungo tratto quasi rettilineo, Freydar scorse in fondo al corridoio l'orribile sagoma del mostro che procedeva a grandi balzi. Forse, liberandosi delle sacche, avrebbero potuto correre ancora più velocemente, ma era indubbio che il bestione li avrebbe raggiunti ugualmente, nonostante le ferite che gli erano state inferte.

Veldhris correva come non aveva mai corso in vita sua. Era convinta che presto il cuore le sarebbe scoppiato in petto, tanto le doleva, e ad ogni respiro i polmoni bruciavano terribilmente, ma non cedeva, continuando caparbiamente a correre.

Sempre di corsa, i due fuggitivi giunsero ad una diramazione della galleria, che si biforcava ad Y. Uno dei cunicoli era uguale a quello che stavano percorrendo, mentre nell'altro il muschio luminescente tornava a spegnersi bruscamente; sul fondo però brillava una luce bianca, diversa da quella verdognola che emanava dal muschio.

"Di qua, Veldhris!" gridò Freydar, imboccando questo passaggio. Senza riflettere, fidando nell'istinto del compagno, Veldhris obbedì, e un centinaio di metri dopo raggiunsero la fonte della luce intravista dal principe: una specie di cortina luminosa, bianca, che sbarrava loro il passo. Freydar si arrestò bruscamente e Veldhris gli finì addosso, ruzzolando a terra con lui. Senza fiato, non persero tempo in inutili proteste e fissarono sbalorditi la cortina di luce bianca.

"Cos... Cos'è?" ansimò Veldhris, respirando affannosamente.

Alle loro spalle sentirono il ruggito della creatura, tanto vicino da far loro accapponare la pelle.

"Qualunque... cosa sia", boccheggiò Freydar, "è sicuramente meglio... di quel mostro!"

Veldhris girò la testa quel tanto che le fu sufficiente a vedere l'orribile sagoma dell'inseguitore profilarsi all'imboccatura del cunicolo che avevano scelto. Aggrappandosi alla parete, riuscì a mettersi in ginocchio, poi Freydar, rialzatosi faticosamente a sua volta, l'aiuto a sollevarsi da terra. Senza girarsi, balzarono oltre la cortina luminosa, ed un'esplosione di luce bianchissima li travolse irresistibilmente.

OOO

Quando Freydar riaprì gli occhi, rimase sbigottito: si trovava in una stanza priva di finestre, confortevolmente calda ed illuminata da una serie di lanterne dai vetri opachi, e lui era disteso su di un morbido letto. Qualcuno gli aveva tolto stivali, mantello e cotta di maglia.

Incredulo, il principe si soffregò gli occhi e tornò a guardare: niente era cambiato. Non riusciva a raccapezzarsi: come ci era arrivato, lì? L'ultima cosa che ricordava era di essere saltato oltre la cortina luminosa con Veldhris...

Di scatto si rizzò a sedere.

"Veldhris!" chiamò ad alta voce, cercando la donna con lo sguardo. Non la vide da nessuna parte, ma l'attimo seguente la porta si aprì ed entrò una giovane di incredibile bellezza, abbigliato con una lunga veste azzurra quasi trasparente che lasciava ben poco delle sue grazie all'immaginazione. I lunghissimi capelli neri, sciolti sulle spalle, lucevano come seta ed i grandi occhi cerulei brillavano nel volto dai lineamenti perfetti.

"Ti sei svegliato, finalmente", disse sorridendo, e la sua voce era calda e morbida quanto le sue labbra dipinte di rosso. "Ti senti meglio, ora?"

Tanto colpito dalla bellezza della sconosciuta da esserne quasi intimorito, Freydar tardò un momento a rispondere. "Uh, sì, direi di sì", bofonchiò infine. "Ma quanto ho dormito?"

"La luna è sorta e tramontata due volte, ed il sole una, da quando ti abbiamo trovato", rispose la giovane, avvicinandosi al giaciglio sempre sorridendo. "Avrai fame, immagino."

Ipnotizzato dal suo sorriso, ancora una volta il capitano ci mise qualche istante a rispondere. "Beh, sì... discretamente", ammise finalmente.

La donna annuì comprensiva e si allontanò per tirare un cordone dorato, probabilmente collegato ad un campanello. Si muoveva con sapienza e la veste leggerissima, ondeggiandole attorno al corpo snello, rivelava e nascondeva alternativamente le sue curve in un gioco visivo di grande effetto.

Freydar non riusciva a toglierle gli occhi di dosso e sentì che la gola gli s'inaridiva: chiuse gli occhi, sopraffatto, ma il rumore della porta che si riapriva lo indusse a tornare a guardare. Entrò un'altra giovane donna, bionda e formosa, abbigliata come la prima, ma di verde, e del pari bellissima; portava un grande vassoio con ogni sorta di vivande, che consegnò alla donna mora prima di congedarsi con un cenno del capo.

La discreta fame di Freydar si rivelò invece feroce; divorò l'intero contenuto del vassoio, composto di carni, verdure, dolci, frutta, formaggi, nonché acqua e vino. C'era anche del pane fresco e morbido, che il principe apprezzò particolarmente, dopo settimane di gallette croccanti.

Alla fine si sentì sazio e depose il vassoio sul materasso; la mora lo prese e lo posò su un tavolino. "Come ti senti, adesso?" gli domandò, tornando ad avvicinarsi.

Freydar si stiracchiò, soddisfatto. "In perfetta forma, come rinato."

"Ne sono lieta. Vuoi rinfrescarti?"

Il capitano annuì e lei gli indicò un angolo della stanza in cui si trovava un treppiede con uno specchio, una brocca ed un catino. Su una sedia accanto erano appoggiati degli asciugamani di lino.

Rapido, Freydar si lavò viso, collo, braccia e torso. Se fosse stato solo, si sarebbe tolto i pantaloni per una pulizia più completa, ma la presenza della sconosciuta glielo impedì. Sentendosi comunque molto più a proprio agio, dopo essersi asciugato si girò verso di lei, che si era seduta sul letto. "Come ti chiami?" le chiese incuriosito.

Lei gli sorrise. "Tu come mi chiameresti?"

Sorpreso dalla domanda, il principe rifletté. "Hai un sorriso splendido", rispose infine. "Fosse in me, ti chiamerei Gaia."

"E allora puoi chiamarmi Gaia", disse lei.

Freydar la guardò meravigliato. "Ma avrai pure in nome tuo, no?"

La giovane scosse il capo, a sua volta meravigliata. "Nessuno ha un nome proprio, qui: ci si chiama con il nome che più ci sembra adatto. La maggior parte dei miei amici mi chiama Miosotide per il colore dei miei occhi. Quando qualcuno è arrabbiato con me, mi chiama invece Corvo, per i miei capelli", tornò a sorridergli. "Gaia mia piace. Io invece chiamerò te..."

"Io ho un nome mio", si affrettò a dire il principe. "Freydar."

Gaia sbatté graziosamente gli occhi. "Freydar? E cosa significa?"

"Ehm..." fece il capitano, colto di sorpresa. "Non lo so. Non credo significhi qualcosa."

Gaia corrugò leggermente la bella fronte. "Ma che senso può avere un nome privo di significato?"

Non sapendo cosa replicare, Freydar si limitò a stringersi nelle spalle.

Gaia rifletté, poi s'illuminò. "Oh, ma forse è usanza del tuo popolo, in tal caso non si discute. Del resto, nemmeno le Signore hanno nomi comprensibili, essendo in una lingua a noi sconosciuta. Però hanno un loro significato preciso..."

Il discorso, il più lungo che avesse finora proferito, permise a Freydar di notare il modo di pronunciare le parole che Gaia aveva, diverso dal suo ed anche da quello di Veldhris e dei suoi compagni di Tamya: ancora una volta, l'isolamento aveva prodotto una corruzione locale della lingua.

Improvvisamente, il principe si sentì girare la testa, probabile conseguenza del lungo digiuno interrotto da un troppo abbondante pasto, e si portò la mano alla fronte.

Gaia si alzò in fretta e gli si avvicinò. "Non ti sei ancora completamente rimesso, vedo. È meglio se ti distendi di nuovo."

Gli posò una mano sul braccio e lo guidò verso il letto. Anche se in realtà il capogiro gli era già passato e non si sentiva affatto debole, Freydar non protestò quando lei gli mise le mani sulle spalle per sospingerlo sul materasso, contento di quel contatto.

"Posso fare altro per te?" domandò lei, senza accennare a scostarsi. Freydar tornò a guardarla: il suo seno, premuto contro la stoffa semitrasparente, si sollevava e si abbassava lievemente al ritmo del respiro mentre lei, seduta sul bordo del letto, gli sfiorava la guancia coperta della barba morbida.

"Puoi fare molto", mormorò Freydar, la voce arrochita, posandole una mano sull'anca.

Gaia non si mosse, continuando a fissarlo con un sorriso allettante. Incoraggiato, il principe seguì la curva del suo fianco fino a raggiungerle il seno morbido, poi le cinse la vita e la trasse a sé. Lei abbassò il viso e posò la bocca sulla sua, insinuandogli la punta della lingua tra le labbra. Freydar ricambiò il bacio sensuale, sentendosi inebriare dal profumo dei suoi capelli, ricaduti come una tenda attorno al suo volto. Gli sembrava un sogno: possibile che una donna così bella ricambiasse il suo desiderio, e soprattutto fosse disposta a soddisfarlo, considerando che si conoscevano da meno di un'ora?

Le lasciò le labbra, stordito, e la fissò, aspettando che lei facesse la prossima mossa.

Gaia gli sfiorò il petto in una carezza eccitante che non lasciava adito a dubbi sulle sue intenzioni. "Vuoi che canti per te?" domandò in un sussurro.

Che cosa intendesse esattamente per cantare, Freydar non aveva idea, ma non pensò a chiederglielo perché quella parola gli fece di venire di colpo in mente Veldhris. Afferrò Gaia per le spalle e la scostò da sé, ma senza malagrazia. "Gaia, dov'è Veldhris?" chiese, dimentico delle dolci promesse di voluttà che aveva letto negli occhi della bellissima giovane, troppo ansioso di conoscere le sorti della sua compagna.

Gaia aggrottò vezzosamente le sopracciglia perfettamente disegnate. "Chi?"

"Veldhris. La donna che era con me."

"Oh, lei. È nella stanza acanto. Dorme ancora", tornò ad abbracciarlo, premendo il seno contro il suo petto. "Suvvia, dimenticala. Lascia che ti mostri le delizie di cui sono capace..."

Ma Freydar aveva ormai in mente altro, per il momento. "Ti ringrazio, Gaia, ma è meglio rimandare. Adesso voglio vedere Veldhris."

Il sorriso si gelò sulle belle labbra della giovane, che si allontanò di scatto e si rimise in piedi. "Come vuoi, ma come ti ho detto, sta ancora dormendo. Evidentemente è una creatura debole", concluse con una certa asprezza.

Freydar ricordò la terribile zampata che il mostro aveva sferrato a Veldhris e non poté trattenersi. "Se l'è vista molto peggio di me, c'è poco da stupirsi che non si sia ancora ripresa!"

Vide le spalle di Gaia tendersi, poi di colpo la giovane si rilassò e tornò a guardarlo sorridendo. "Hai ragione, non ci avevo pensato: in effetti, era conciata peggio di te. Vieni, ti porto da lei."

Perplesso dal suo atteggiamento mutevole, Freydar si alzò e si guardò attorno. "Dove sono i miei vestiti?" domandò.

"Lì, su quella sedia", rispose Gaia, indicando in un angolo. "Ma sono sporchi. Li faremo lavare e te li restituiremo una volta puliti. Comunque sono troppo pesanti: qui fa caldo e non usiamo coprirci molto."

Lo vedo, pensò Freydar, guardando involontariamente le curve della donna, ben visibili attraverso la stoffa quasi trasparente.

"Ti abbiamo procurato quei sandali", concluse Gaia, indicando lo stesso angolo.

Freydar quindi rimase con le sole brache di tela che aveva indossato a letto – si chiese vagamente se era stata Gaia a togliergli i calzoni per sostituirli con questi, oppure un'altra persona – e calzò i sandali che gli erano stati offerti. Poi seguì Gaia fuori dalla stanza, che dava su di un lungo corridoio illuminato a giorno da lanterne dalla luce molto vivida, certamente non contenenti candele, ma il loro bagliore impedì al capitano di individuare quale fosse la fonte di una luminosità così intensa.

Gaia lo guidò nella camera alla destra, dove Freydar trovò Veldhris stesa su un letto uguale al suo. Al suo capezzale, un bel giovane bruno abbigliato con soltanto perizoma ingoiellato le stava detergendo la fronte con un panno bagnato. Il gesto aveva un'apparenza intima e Freydar si sentì ribollire il sangue. "Che cos'ha?" domandò bruscamente, avvicinandosi rapidamente al letto. La stanza, notò, era arredata come la sua, con mobili comodi anche se non lussuosi.

"Ha battuto la testa", rispose il giovane. "Si è ferita sulla fronte, sotto i capelli."

Freydar rivide la scena della zampata del mostro che aveva scaraventato Veldhris a terra. E lei non gli aveva fatto capire niente... Durante tutta la fuga aveva taciuto e non si era lasciata sfuggire una sola parola, un solo lamento!

Lo spirito battagliero, suscitato dalla vista dell'altro uomo in atteggiamento tanto confidenziale con Veldhris, svanì come uno sbuffo di vapore al sole, lasciando il posto ad un vago senso di colpa. "Adesso come sta?" chiese quindi in tono assai più mite.

Il giovanotto si alzò. "Molto meglio. Non ha sanguinato molto, trattandosi solo di un graffio, però il colpo ha lasciato le sue conseguenze..."

"Quali conseguenze?" lo interruppe Freydar, allarmato.

"Niente di grave: un leggero intontimento, che ho curato col sonno", lo rassicurò l'altro.

"Non preoccuparti", intervenne Gaia. "Acrobata è un ottimo guaritore."

Il suo tono, come l'espressione, era indecifrabile. Freydar non insistette ed andò invece a sedersi al posto di Acrobata; il volto di Veldhris era immobile e pallido, ma non in modo preoccupante. Il principe fissò la giovane donna, meravigliato: dapprima, abbandonata al sonno, gli parve estremamente vulnerabile, ma l'attimo dopo gli sembrò forte ed inattaccabile, poi di nuovo tornò ad apparire fragile ed indifesa, per riassumere subito un'aria volitiva e tenace. Con sorpresa, Freydar si rese conto che era un'impressione completamente soggettiva: a seconda dello stato d'animo con cui la si guardava e dell'opinione che si aveva di lei, Veldhris appariva invulnerabile o inerme, forte o debole, indistruttibile o delicata. Quella donna era una continua sorpresa e lui aveva appena cominciato a conoscerla, così non seppe decidere quale dei due aspetti fosse il più rilevante, il più vero.

Lentamente, Veldhris aprì gli occhi, due grandi pozze verdi cangianti al nocciola, e li girò pigramente su Freydar. Il suo sguardo, reso languido dal lungo sonno, gli fece correre un brivido d'improvviso desiderio lungo la schiena. Durò un solo istante, poi Veldhris lo riconobbe ed il suo sguardo si schiarì, perdendo l'espressione sognante e ridiventando sveglio e presente. "Freydar?"

"Sì, sono qui. Va tutto bene, Veldy?"

L'uso del diminutivo, cosa strettamente riservata ai più intimi, e il rendersi conto di essere praticamente nuda sotto un lenzuolo mentre Freydar se ne stava seduto sul suo letto a petto scoperto – una festa per gli occhi, considerò involontariamente – la fece arrossire, ma lui non capì il motivo del suo rossore e pensò che non si sentisse bene. Tolse di mano ad Acrobata il panno bagnato e fece per detergerle il volto, ma Veldhris gli fermò la mano. "Sto benissimo, grazie. Ma dove siamo?"

Freydar si guardò attorno e sorpreso si rese conto di non aver ancora posto quella domanda a Gaia. Ora si rivolse alla bellissima bruna. "Già, è vero: dove siamo? Come siamo arrivati qui? E che fine ha fatto il mostro che ci inseguiva?"

"Ti stai riferendo a Krutu, immagino", rispose Acrobata. "È il nostro guardiano: veglia affinché nessun estraneo disturbi il sonno della Regina."

"Quanto a questo, bastava dircelo", ribatté il principe, in tono tagliente. "Non era necessario aggredirci."

"Krutu non è molto intelligente", spiegò Gaia. "Non può distinguere gli intrusi ben disposti da quelli malintenzionati."

Non sapendo come replicare, Freydar tacque, ma dalla sua espressione torva era chiaro che la spiegazione non lo soddisfaceva.

Veldhris si sollevò su di un gomito, stando attenta che il lenzuolo che la copriva non scivolasse via. "Che posto è questo?"

"Vi trovate nel Regno Sotterraneo", rispose subito Acrobata. "Precisamente nella zona riservata a noi Sudditi. Vi siete giunti attraverso una delle Porte Luminose che ci è proibito attraversare, altrimenti finiremmo nella zona di Krutu."

"Regno Sotterraneo?" fece Veldhris, senza capire. Il nome non era molto fantasioso, pensò in un guizzo d'ironia.

"Sì", confermò Gaia. "È un regno assai antico, poiché le Signore l'hanno fondato subito dopo la Guerra dei Poteri."

Allora questa è una Contrada Libera, saettò per la mente di Veldhris. Prudentemente però non pose la domanda, attendendo di saperne di più.

"Non vuoi intanto qualcosa da mangiare?" le chiese Acrobata. "Hai dormito per molto tempo e immagino che avrai fame."

Solo allora Veldhris s'accorse della spiacevole sensazione di vuoto allo stomaco. "Sì, è vero, sto morendo di fame", ammise.

Come aveva fatto Gaia, il giovane andò a tirare un cordone dorato e poco dopo comparve un altro uomo, alto, castano e dal fisico ben definito; reggeva un vassoio che consegnò ad Acrobata.

Freydar considerò che non aveva mai visto tante persone di bellezza tanto perfetta tutte insieme.

Veldhris si alzò a sedere, pinzando il lenzuolo sotto le ascelle per evitare che, cadendo, le scoprisse il seno; mangiò con appetito mentre gli altri proseguivano la conversazione, che lei si limitò ad ascoltare.

"Gaia, hai nominato le Signore", disse Freydar. "Chi sono?"

Lei gli lanciò un'occhiata sorpresa. "Non hai mai sentito parlare delle Signore?" parve riflettere un momento. "Ah, ma forse tu le conosci sotto un altro nome: anticamente, erano chiamate Arpie."

Il principe si sentì raggelare, ma riuscì a nascondere il suo turbamento. Gettò un'occhiata di avvertimento a Veldhris, ma la cantante era concentrata sul cibo e non aveva reagito a quel nome: evidentemente, per lei non significava nulla.

"Oh, capisco", riuscì a dire Freydar dopo qualche istante, in quello che sperò suonasse come un tono normale. "In effetti, ne ho sentito parlare."

"Bene", annuì Gaia, compiaciuta. "Esse governano questo regno in nome della Regina, che è immortale, e ci procurano il cibo e le vesti affinché noi possiamo vivere con agio e onorare la sovrana."

"Molto interessante", commentò il principe, sforzandosi di mantenere il tono disinvolto. "E... non vengono mai stranieri, qui?" indagò.

"Molto raramente", rispose Acrobata. "Voi siete i primi che vedo in vita mia."

"Vero", confermò Gaia. "L'ultima volta è stato parecchi anni fa e solo i più vecchi tra noi ricordano quei forestieri."

Il capitano drizzò le orecchie. "Che fine hanno fatto?"

"Se ne sono andati", rispose Gaia. "Naturalmente dopo aver goduto della nostra ospitalità e aver partecipato alla Cerimonia dell'Ascesa."

Frattanto, Veldhris aveva finito di mangiare; era stata meno vorace di Freydar ed aveva lasciato qualche avanzo.

Acrobata le tolse il vassoio con fare premuroso ed il principe si sentì nuovamente urtato. "Credo che Veldhris sia ancora molto stanca", disse fermamente, e non solo perché aveva bisogno di una scusa per parlarle da solo. "Suggerisco di lasciarla riposare ancora un po'."

La cantante fece per protestare, giacché si sentiva invece benissimo, ma intercettò l'occhiata ammonitrice di Freydar e capì che lui aveva qualcosa da dirle in privato.

"Sì, grazie", disse pertanto. "Schiaccerò volentieri un altro pisolino. Vuoi farmi compagnia, Freydar?"

"Ci sono io per questo", si offrì subito Acrobata, con naturalezza.

Freydar fece per ribattere seccamente, ma Veldhris fu pronta a precederlo. "No, ti ringrazio: hai già fatto molto per me, è giusto che ora ti riposi anche tu."

Il suo tono era di una gentilezza ineccepibile, ma non ammetteva repliche.

"Come vuoi", disse il giovane, visibilmente deluso. "Se tu o il tuo compagno avete bisogno di qualcosa, suonate."

Lui e Gaia si ritirarono e Veldhris guardò Freydar, in attesa di una spiegazione. "Allora?" lo sollecitò.

Freydar, ancora seduto sul letto accanto a lei, si alzò ed andò ad aprire la porta per sincerarsi che non ci fosse nessuno in corridoio ad origliare, poi la richiuse e tornò indietro. "La parola Arpie non ti dice niente?" la interrogò.

Veldhris scosse il capo in segno negativo, e Freydar tornò a sedersi sul letto, stavolta leggermente più discosto. "Allora ti dirò io chi sono. I Maghi di Corte dell'antico Impero di Shyte, e quindi immagino anche quelli del Regno del Vespro, possedevano grandi poteri sulla Magia Bianca, quella della Luce; le Arpie possiedono analoghi poteri, ma sulla Magia Nera, quella dell'Oscurità."

Veldhris corrugò la fronte: non le era mai venuto il sospetto che la magia potesse avere due facce, come tutte le cose. Impallidì. "E noi siamo finiti nelle loro mani!"

"A quanto pare sì. E se quello che ho sentito è vero, siamo in grossi guai."

"Spiegati. "

Per un momento, Freydar considerò la possibilità di mentirle per non spaventarla, ma ricordandosi come si era comportata con gli Spettri delle Paludi e anche con Krutu, decise di dirle la verità. "Ecco", cominciò, cercando le parole migliori. "Si racconta che la Regina delle Arpie mantenga la propria immortalità grazie a un filtro magico. Quando il suo effetto cessa, si addormenta di un sonno simile alla morte, che la conserva tal quale finché non le viene procurata un'altra dose della pozione."

Veldhris aggrottò la fronte senza capire. "E quindi?"

Freydar si morse un labbro, pentito d'aver parlato, ma ormai era troppo tardi per tacerle il resto. "Il filtro viene ricavato dal sangue mescolato di un uomo e di una donna", spiegò a bassa voce.

Rammentando le parole di Acrobata relative agli stranieri che se n'erano andati dopo aver partecipato alla Cerimonia dell'Ascesa, Veldhris si sentì agghiacciare. Inghiottì a vuoto. "Pensi che..." sussurrò, sgomenta. "Pensi che potrebbero..."

Il principe guardò altrove, non sopportando di vederla così spaventata. "Temo che sia possibile, addirittura probabile", confermò. "Acrobata ha detto che Krutu, il mostro che ci ha aggredito, vigila sul sonno della Regina, il che significa che sta dormendo e che le Arpie, o Signore, stanno cercando le vittime da sacrificare per fabbricare la pozione."

"Ma perché proprio noi? Non sarebbe più semplice prendere due sudditi come Gaia e Acrobata?" domandò Veldhris, ragionevolmente.

"Non ne ho idea", ammise Freydar. "Ma se si sono date tanto la pena per catturarci, è evidente che non possono utilizzare i loro sudditi, anche se non saprei proprio per quale motivo."

"Ma...", balbettò Veldhris, costernata. "Ma le visioni? Come facevano a sapere di Tamya e di Zarcon?"

"Avranno usato un incantesimo per farci rievocare persone e luoghi a noi cari, per indurci a buttarci nello Stagnospecchio... che, considerando che ci siamo risvegliati perfettamente asciutti, sto cominciando a pensare che non fosse affatto reale, bensì un miraggio, un'illusione."

Veldhris si guardò attorno, cercando i propri vestiti. Avrebbe sudato, con i pesanti abiti invernali, dato che temperatura di quel luogo era decisamente elevata. Doveva esserlo per forza, pensò, sbirciando il torace muscoloso e coperto dalla giusta quantità di peluria di Freydar. Poi rammentò l'abbigliamento succinto di Gaia e si sentì indispettita.

Tuttavia, non c'era tempo per quelle futili considerazioni, non con la loro vita in pericolo.

"Dobbiamo andarcene di qui", disse. "Dove sono i miei vestiti?"

Come per quelli di Freydar, erano stati impilati su una sedia; il principe andò a prenderli e li posò sul letto, poi con discrezione si voltò, attendendo che Veldhris si rivestisse. Essendo veramente troppo caldo per il mantello, la cantante lo ripiegò a fagotto e se lo infilò sotto il braccio.

Cercarono la sua sacca, ma non la trovarono; allora uscirono dalla camera, trovando il corridoio sempre deserto, e sgusciarono nella stanza di Freydar, dove recuperarono i suoi abiti. Stavolta fu Veldhris a girarsi mentre lui si rivestiva.

"Peccato per la spada", si rammaricò il principe, allacciandosi malinconicamente il fodero vuoto sopra la cotta di maglia. "Era un regalo di Oolimar."

Il pugnale, però, era ancora al suo posto, come quello di Veldhris, cosa che per entrambi era fonte di sollievo: essere completamente disarmati in un luogo che sapevano ostile non piaceva a nessuno dei due.

Cercarono anche la borsa di Freydar, ma non ne trovarono traccia, come per quella di Veldhris. Risolsero quindi di avviarsi senza di esse, anche se il cibo che contenevano avrebbe potuto tornar loro utile. Nel corridoio, ancora vuoto, si fermarono un istante.

"Da che parte?" bisbigliò Veldhris, sbirciando nelle due direzioni.

Il passaggio era identico da entrambi i lati, e Freydar fece una smorfia di dispetto. "Di qua", decise a caso, incamminandosi verso sinistra. Veldhris lo affiancò prontamente; furtivi, percorsero il corridoio per un tempo che parve loro interminabile, tesi com'erano. Innumerevoli diramazioni, tutte identiche al passaggio che stavano percorrendo, formavano un vero labirinto di cunicoli che si intersecavano nelle viscere della terra. Trovarono alcune scale che scendevano a livelli inferiori, ma le ignorarono: a loro, semmai, interessava salire.

Finalmente, s'imbatterono in una rampa di gradini che saliva alla loro destra e, senza esitare, la imboccarono. Sbucarono in un altro androne, anche questo illuminato dalle lanterne stranamente vivide che avevano caratterizzato tutti gli altri passaggi.

"Strano che finora non abbiamo incontrato nessuno", commentò sottovoce Freydar. Non aveva ancora finito di parlare che un rumore di passi in corsa li raggiunse, echeggiando lungo le pareti del corridoio. Il capitano imprecò vivacemente e considerò la possibilità di tornare indietro, ma s'accorse che i passi provenivano proprio dal fondo della scala che avevano appena salito. Afferrò la mano di Veldhris. "Di qua, svelta!"

Aveva visto una porta sulla loro destra e, trascinando la compagna, si precipitò verso di essa, la spalancò, piombò all'interno con Veldhris e la richiuse in fretta, spingendo il chiavistello senza far rumore. Uno strillo femminile lo indusse a voltarsi di scatto, la mano sull'impugnatura del coltello da caccia: due donne e un uomo, completamente svestiti e adagiati su di un letto enorme, erano evidentemente in interessanti faccende affaccendati. Una delle donne teneva una mano sulla bocca, ancora spalancata sul grido emesso, e l'altra stava per imitarla quando Veldhris ringhiò:

"Zitti tutti! Il primo che fiata si troverà la gola tagliata!"

Impressionato dalla ferocia della sua voce, Freydar le lanciò un'occhiata e la vide avanzare verso il letto brandendo minacciosamente il suo pugnale. L'avvertimento però era stato sufficiente, tanto che l'uomo, un giovane biondo e ben fatto come Acrobata, rimase a fissarla imbambolato, mentre le due donne, entrambe rosse e bellissime, si scambiavano sguardi spaventati.

Anche Freydar estrasse il pugnale, ma rimase presso l'uscio, con l'orecchio incollato al pannello di legno. Udì lo scalpiccio di almeno tre paia di piedi, poi delle voci maschili.

"Non si vedono più!"

"Da che parte saranno andati?"

"Dividiamoci, voi a destra, io a sinistra. E ricordatevi che dobbiamo catturarli vivi!"

"Aspetta..."

Dovevano aver visto la porta, pensò Freydar. Infatti, un attimo dopo la maniglia si abbassò, ma il chiavistello impedì che si aprisse.

Freydar pensò in fretta: se nessuno rispondeva, potevano decidere di sfondare la porta per vedere se si erano rifugiati in quella stanza. Non sapendo in che modo esprimersi per non suscitar sospetti, si avvicinò rapidamente al letto.

"Digli di non disturbare la tua... attività", disse con voce bassa e minacciosa al biondo, puntandogli il coltello alla gola.

L'altro lo guardò atterrito. "Ehi.... Ehi!" gridò. "Chi è?"

"Guardia Rossa", fu la risposta. "Aprite!"

"Ah... No, sono impegnato in un trio! Lasciateci in pace!"

Veldhris agitò il suo pugnale verso le due donne.

"Sì, lasciateci in pace!" strillò una delle due, cogliendo il silenzioso ordine della cantante.

"Non rovinateci il divertimento!" rincarò la dose l'altra sulla sua scia.

Ci fu un attimo di silenzio, poi una risata.

"Va bene, va bene", disse la voce di prima, in tono divertito. "Un trio non capita tanto spesso. Divertitevi!"

Mentre Veldhris teneva il terzetto sotto la minaccia del suo pugnale, Freydar tornò ad ascoltare attraverso la porta e colse il rumore di passi che si allontanavano. Si girò verso la compagna. "Se ne sono andati", annunciò.

"Continueranno a cercarci", considerò Veldhris. "Cosa facciamo?"

Il principe osservò i tre che, nudi come il giorno in cui erano nati, giacevano ammucchiati sul letto. "Dobbiamo vestirci come loro", decise. "Sarà più facile confondere gli inseguitori."

Veldhris guardò gli abiti dei loro prigionieri, disordinatamente sparsi sul pavimento.

"Vuoi dire svestirci", disse, torva. Rinfoderò il pugnale ed andò a raccogliere la veste di una delle donne, di colore verde acqua, considerandone con diffidenza la trasparenza, poi scosse la testa. "No, io quest'affare non lo metto."

"Non credere che per me sia molto più divertente", disse Freydar, osservando lo striminzito perizoma dell'uomo, a terra accanto ai vestiti delle donne, consistente in due pannelli triangolari per coprire il pube e i glutei, legati insieme da un grande anello ovale d'oro sui fianchi, un paio di calzari in cuoio simili a quelli che Gaia gli aveva procurato e che aveva cambiato a favore dei propri stivali, e pochi gioielli, parte dei quali ancora indosso al biondo. "Mettitelo."

"Scordatelo", protestò lei vivacemente. "È indecente!"

Freydar perse la pazienza: poteva comprendere l'imbarazzo di Veldhris, ma non avevano tempo da perdere in simili sciocchezze. "Non abbiamo tempo per il pudore!" scattò. "Se vuoi uscire da qui viva, fai come ti ho detto!

Veldhris sobbalzò al suo tono secco ed autoritario, ma non ribatté; riconoscendo che il compagno aveva ragione, strinse le labbra, annuì e si chinò a prendere entrambe le paia di sandali delle donne, tra cui scegliere quello che si adattava meglio ai suoi piccoli piedi, poi si ritirò dietro ad un tendaggio per cambiarsi. Quando si fece di nuovo vedere, indossava la lunga veste ed i sandali che aveva scelto; in vita portava la propria cintura, cui aveva prudentemente tolto il fodero per il pugnale, che ora teneva in mano, lasciandovi soltanto la custodia per lo yord.

Freydar però non la guardò, occupato a tener d'occhio i prigionieri, che dal canto loro non accennavano minimamente a ribellarsi. "Sciogliti i capelli", le disse. "Ho notato che qui le donne li portano così."

Si accorse che lei eseguiva dallo sguardo del biondo, che lo scostò da lui e lo appuntò alla sua destra, gli occhi chiari accesi da un'espressione d'inequivocabile apprezzamento. Il principe si arrischiò a commettere l'imprudenza di lanciare un'occhiata alla sua compagna e per poco il respiro non gli si strozzò in gola: Veldhris teneva le braccia alzate, intenta a sciogliere il laccio che trattenevano la pratica treccia in cui aveva tenuto pettinati i suoi capelli fin dalla partenza da Zarcon, e nel movimento la stoffa trasparente dell'abito si era tesa sui suoi seni, svelandone la rotondità sottolineate dalle dolci ombre delle areole attorno ai capezzoli. Quell'atteggiamento, pieno di un'inconsapevole grazia conturbante, la rendeva mille volte più desiderabile delle due bellezze nude distese sul letto.

Veldhris sciolse il laccio e scrollò la testa; la chioma scura le spiovve sulle spalle e sulla schiena, lunga fin quasi alla vita, avvolgendola come un mantello. Sollevando infine gli occhi, la cantante s'accorse dello sguardo di Freydar, ancora incollato su di lei, ed arrossì imbarazzata.

Sentendosi a sua volta imbarazzato per la propria sfacciataggine, indegna della propria educazione, il principe si affrettò a distogliere gli occhi, ringraziando la sua buona stella per aver indosso la cotta di maglia che lo copriva fino a metà coscia, che nascondeva il suo subitaneo turbamento.

Lasciando a Veldhris il compito di sorvegliare i tre prigionieri, Freydar arraffò da terra lo scarno abbigliamento del biondo e si ritirò dietro al tendaggio per cambiarsi a sua volta.

Quando il capitano uscì, pochi minuti dopo, Veldhris si sentì rimescolare il sangue nelle vene: niente celava il fisico statuario del principe, a parte il succinto perizoma che copriva a malapena le parti intime, col risultato di mettere in risalto la sua struttura muscolare poderosa ma agile. L'unica cosa che lo differenziava dagli uomini di perfetta bellezza di quel luogo era la cicatrice, impallidita dal tempo, che partiva in verticale sotto il suo occhio destro per formare un angolo acuto sullo zigomo verso la tempia, ricordo di qualche scontro di molti anni prima.

"Adesso li lego", disse Freydar, evitando di guardarla. "Tu intanto fa' un fagotto della nostra roba."

La stoffa delle vesti femminili, nonostante la finezza, era sorprendentemente resistente, così Freydar tagliò l'abito rimasto e ne fece delle strisce, con cui legò i polsi e le caviglie dei tre prigionieri, assicurandoli ai mobili più pesanti e facendo in modo che non potessero toccarsi tra loro, né muoversi, ed inoltre li imbavagliò accuratamente. Nel frattempo, Veldhris aveva steso i loro mantelli sul pavimento, vi aveva gettato dentro i loro abiti e gli stivali e li aveva affagottati, nascondendovi i pugnali ma lasciandone le impugnature a portata di mano in caso di bisogno.

"Bene", disse infine Freydar, soddisfatto. "Filiamocela."

Dopo essersi sincerati che non c'era nessuno in vista, sgusciarono nel corridoio e scelsero la direzione in cui era andato quello che era sembrato il capo del terzetto di guardie: se lo avessero incontrato, avrebbero avuto a che fare soltanto con un avversario invece che con due. A meno che non ce ne fossero degli altri, cosa sicuramente probabile; ma non potevano farci niente.

A intervalli regolari, nelle pareti o nel soffitto si aprivano fori protetti da grate, sbocchi di condotti d'areazione che permettevano il ricambio d'aria nel Regno Sotterraneo. Spesso i due fuggitivi incontravano diramazioni del corridoio che stavano percorrendo, ma anche a quel livello preferirono seguire il passaggio principale per non rischiare di perdersi, continuando a cercare scale che li conducessero a un piano superiore.

La loro fuga fu comunque di breve durata: svoltando un angolo che piegava a gomito, si trovarono di fronte ad una massiccia grata di metallo che sbarrava loro il cammino.

"Maledizione!" sputò Freydar. "Torniamo indietro."

Non fecero nemmeno in tempo a girarsi che alle loro spalle una seconda grata cominciò a scendere dal soffitto.

"Svelta, corri!" gridò il capitano, spiccando un salto per precipitarsi al sicuro.

Veldhris, leggermente più indietro rispetto a lui, scattò con uguale rapidità, ma un tacco dei suoi delicati sandali si ruppe, facendola cadere. Involontariamente le sfuggì un grido, ma non perse tempo e tornò a balzare in piedi, fortunatamente illesa.

Freydar, dall'altra parte, udendo il grido di Veldhris si fermò di botto e si girò, ma era troppo tardi: con un tonfo, l'inferriata toccò il pavimento. "Veldhris!" urlò.

La cantante si aggrappò alle sbarre e le scosse, nel vano tentativo di smuoverle. Freydar fece lo stesso, ma i loro sforzi si rivelarono subito inutili.

"Niente da fare, dannazione!" imprecò il principe, furibondo.

Nello stesso istante, da alcuni fori a livello del pavimento cominciarono a scaturire sbuffi di fumo bianco, che subito ricoprì il pavimento ed iniziò a riempire lo spazio tra le sue grate di ferro, fuoriuscendo anche ai lati. Veldhris cominciò a tossire, e così Freydar.

"Va' via!" gli gridò la donna. "Mettiti in salvo!"

"Non senza di te!" esclamò il capitano, ripetendo senza notarlo le stessa parole che Veldhris gli aveva rivolto quando l'aveva esortata a scappare di fronte a Krutu, e tornò a scuotere vanamente le sbarre.

"Non serve a niente, Freydar", ansimò Veldhris, tossendo convulsamente. "Vattene! Se sei libero, potrai liberare anche me..."

Il fumo aveva ormai raggiunto l'altezza delle sue ginocchia e le sue esalazioni erano sempre più forti; un odore acre riempiva l'aria, stordendoli e facendo lacrimare i loro occhi, oltre a squassare i loro petti con una tosse sempre più forte. Un gran torpore invase Veldhris; cadde sulle ginocchia, e poi scivolò a terra, quasi scomparendo nel fumo. Freydar, poco lontano da lei, tossendo e barcollando si allontanò: aveva ragione lei, se rimaneva libero poteva salvarla, cosa che non sarebbe riuscito a fare se rimaneva e si faceva catturare assieme a lei.

Udendo il rumore di passi in corsa, il capitano si guardò attorno alla ricerca di un nascondiglio: poco più indietro c'era una porta e lui l'infilò in fretta, il pugnale stretto nella mano. Si ritrovò in un magazzino di grano, malamente illuminato da un'unica lanterna; guardò i mucchi di cereali, dentro cui poteva nascondersi facilmente. Prima però doveva scoprire dove avrebbero portato Veldhris e perciò rimase presso l'uscio socchiuso, a sbirciare nel corridoio.

Pochi secondi dopo, sopraggiunsero tre uomini, il cui aspetto differiva dai giovani finora incontrati da Freydar e Veldhris per il fatto che portavano lunghe lance, scudi ed elmi di cuoio. Con loro c'era una donna, che però non era affatto una donna. Il suo viso, incorniciato da capelli di un incredibile colore rame scuro, era di una bellezza suprema, e il suo busto esibiva un seno perfetto a malapena coperto da una strana stoffa a scaglie che lasciava intravedere i capezzoli, ma lunghe penne si dipartivano dalle sue braccia nude, formando due ali, mentre al posto delle gambe aveva zampe d'uccello che terminavano con tre dita artigliate.

Era un'Arpia, proprio come la dipingevano le leggende che Freydar aveva udito, seducente quanto letale.

Il quartetto superò la porta del magazzino, ma l'Arpia si fermò pochi massi più in là, mentre gli armigeri proseguivano. Poco dopo uno di loro tornò e si profuse in un inchino.

"Allora?" lo sollecitò lei, in tono gelido. "Sono stati catturati?"

"C'è solo la ragazza, mia Signora", rispose l'armigero, nervosamente. "Il suo compagno dev'essere riuscito a sfuggire alla trappola."

L'Arpia, non si scompose. "Non lo abbiamo incontrato venendo qui, pertanto non può essere andato lontano. Cercatelo!"

L'uomo richiamò i compagni e con loro di dispose ad esplorare i possibili nascondigli.

Freydar li vide appressarsi al magazzino e si ritrasse in fretta.

Quando il quartetto entrò, la stanza era deserta.

"Frugate nei mucchi", ordinò l'Arpia.

I tre armigeri trafissero i cumuli di grano uno per uno, usando le loro lunghe lance, ma nulla si mosse.

"Andiamo, cerchiamo ancora", ordinò quello che sicuramente era il capo.

"Senza la ragazza, non andrà lontano", commentò l'Arpia mentre uscivano.

Da dietro il graticcio che proteggeva il condotto d'areazione del deposito, Freydar li osservò andarsene, il cuore stretto all'angoscia: quale sorte attendeva Veldhris? E che speranze aveva lui di liberarla?

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