Capitolo IV: Il peso delle profezie

Capitolo IV: Il peso delle profezie

I quattro giovani raccolsero le loro cose e si inoltrarono fra le rovine della città. Veldhris, il cagnolino ferito in braccio, li guidava, cercando di individuare la fonte di quel misterioso richiamo che sentiva nella mente.

Vagarono a lungo per quel paesaggio disastrato, e dopo qualche tempo Veldhris si accorse che si stavano avvicinando all'Albero Albino, che giaceva abbattuto all'estremità orientale della radura. Le immense radici divelte s'alzavano verso il cielo, contorte e deformi, simili a braccia levate in cerca d'aiuto. L'involontario paragone fece scorrere un brivido di raccapriccio lungo la schiena di Veldhris. Inconsapevolmente strinse più forte il cagnolino, ma così facendo gli toccò la zampa ferita. La bestiola mandò un guaito breve quanto acuto, che fece sobbalzare la giovane donna.

"Scusami, piccolo", sussurrò, dispiaciuta, accarezzandogli la testolina. Poi, qualcosa di simile ad un sorriso le sfiorò le labbra. "Ti chiamerò Rollie", decise, rivolgendosi al cagnetto come se la potesse comprendere parola per parola. "Rollie, hai capito? Ora ti chiami Rollie."

Poiché gli stava accarezzando il musetto, Rollie tirò fuori la linguetta e le leccò il palmo della mano, facendole il solletico. Veldhris rise piano, un riso dolce e pieno di tristezza. "Sì, piccolo Rollie, hai trovato un'amica", mormorò.

Di tutto questo i suoi compagni, che si tenevano indietro, non avevano visto o udito nulla, e solo più tardi avrebbero appreso il nome che Veldhris aveva scelto per il suo nuovo amico.

Poco dopo, ormai nelle vicinanze dell'Albero Albino, una figura sbucò all'improvviso sulla sommità di un ennesimo cumulo di macerie. Veldhris mandò un grido d'impaurita sorpresa prima di riconoscere la figura. "Sekor!" esclamò, sgranando gli occhi verdi.

Il principe la fissò a bocca aperta, incredulo, poi in pochi balzi scese dal mucchio di rovine e le fu di fronte. "Veldhris!" proruppe. "Speravo che ti fossi salvata, sapendoti alla Radura del Lago..."

"Sekor, non hai idea di quanto sono contenta di vederti..."

Le loro voci si sovrapposero, concitate, poi Veldhris, accorgendosi dell'eccessiva famigliarità con cui aveva apostrofato il principe, arrossì. "Chiedo perdono, Altezza", si scusò, imbarazzata. "Non intendevo mancarvi di rispetto."

Sekor rimase interdetto ed aprì bocca per protestare, ma un rumore alle sue spalle lo indusse a voltarsi: in cima al cumulo si stagliava un'altra sagoma, che riconobbe subito. "Mikor, fratello mio, a quanto pare non siamo gli unici esseri viventi rimasti a Tamya", disse ad alta voce, invitando l'altro a raggiungerlo con un gesto del braccio.

Mikor si avvicinò rapidamente, muovendosi con l'agilità di un felino, e Veldhris si ritrovò a sostenere lo sguardo di un paio di occhi azzurri, assai simili a quelli di Sekor ma del tutto privi di calore. Alto e longilineo come il fratello minore, per il resto gli assomigliava poco, avendo i capelli scuri e ondulati, tenuti lunghi sul collo; inoltre, i lineamenti irregolari e la bocca troppo larga dalle labbra carnose gli conferivano un'aria di sensualità animalesca che fece accapponare la pelle a Veldhris. Subito la donna seppe che il nuovo Signore della Foresta non le sarebbe mai andato a genio, al contrario di suo fratello.

"Sono lieto di rivederti, Teewadil", dichiarò Mikor, con tono cortese che però non smentiva il gelo degli occhi. Fissò poi i compagni della cantante, che si erano tenuti un po' in disparte.

Sekor notò la direzione dello sguardo del fratello. "Sono veramente contento che anche voi vi siate salvati", disse, rivolgendosi a Roden e alle gemelle. "Mikor, questi sono i parenti di Veldhris Teewadil: Kareth e Kejah Lyaradil, sue cugine, e Roden Baroden, suo fratello."

I tre si esibirono in inchini di circostanza, ricambiati appena da Mikor.

"Altezza, ditemi", Veldhris riprese a parlare, rivolta a Sekor. "I vostri genitori sono salvi?"

Il principe abbassò gli occhi a terra, ma la giovane donna poté ugualmente vedere il dolore che si rifletteva sul suo bel volto.

"Purtroppo no", rispose Sekor a bassa voce. "Si trovavano nel Verde Palazzo quando siamo stati attaccati e sono morti assieme a tutti gli altri. Mikor e io ci siamo salvati solo grazie a Rova."

"Rova Korayadil, la Maga di Corte?"

"Sì, lei. Ha protetto mio fratello e me grazie ai suoi poteri, ma ora giace in fin di vita..."

"Vi prego, portatemi da lei!" esclamò Veldhris, interrompendolo senza rendersi conto della sgarberia. "È di vitale importanza che le parli!"

Non sapeva cosa l'avesse indotta a dirlo, ma sentiva che era così: Rova rappresentava la chiave di qualcosa che doveva radicalmente cambiare la sua vita, anzi la concezione stessa che lei aveva della vita.

Si accorse di aver posato una mano sul braccio di Sekor e di stringerlo forte. Imbarazzata, la ritirò di scatto e guardò altrove.

Il principe la guardò, sbalordito dall'urgenza che aveva avvertito nelle sue parole. "Va bene", disse, senza celare la propria perplessità. "Seguimi", si girò verso gli altri. "Anche voi, vi prego."

Roden e le gemelle non se lo fecero ripetere due volte ed accompagnarono Sekor e Veldhris verso il punto in cui si elevavano le contorte radici dell'Albero Albino, seguiti da Mikor.

OOO

Rova Koryadil era la Maga di Corte da innumerevoli anni. Come tutti coloro che l'avevano preceduta, possedeva un'estrema longevità, arrivando anche a tre volte quella del più longevo dei membri della Famiglia Reale, Rossar il Vecchio, che era vissuto centoquarant'anni. Prima di Rova, in effetti, c'erano stati soltanto altri tre Maghi di Corte al Verde Palazzo, vissuti tutti ben oltre i trecento anni. Rova non aveva ancora raggiunto i due secoli di vita, ma poiché prima di diventare Maga di Corte aveva dovuto imparare tutti i segreti dei suoi predecessori, le sue capacità e la sua saggezza non erano da meno.

Quando la vide, stesa sul giaciglio improvvisato, mortalmente pallida sotto la pelle cotta dal sole, i lunghi capelli canuti sparsi disordinatamente tutt'intorno, Veldhris capì immediatamente che il richiamo proveniva da lei. Depose Rollie a terra e s'inginocchiò accanto alla vegliarda.

"Sono qui, Maestra Rova", disse a bassa voce. "Mi hai chiamata e sono venuta."

Al suono della sua voce, la Maga di Corte girò il viso verso di lei ed aprì lentamente gli occhi, neri come pezzi di giaietto, fissandoli in quelli della giovane donna. "Sei venuta", confermò, con sollievo. La sua voce era ferma, anche se indebolita dalle ferite riportate. "Ora posso riposare, ma dopo parleremo." Tornò a chiudere gli occhi. "Non andartene", mormorò, prima di scivolare nel sonno.

Stupita e delusa. Veldhris rimase a fissare il volto grinzoso della maga, chiedendosi cosa mai avesse da dirle.

Sekor si avvicinò. "È da ieri che non dorme", disse.

La cantante assentì. "Mi chiamava. Voleva che la raggiungessi."

Il principe non nascose il proprio stupore: conosceva i poteri di Rova, ma sapeva che, come tutti i suoi predecessori, poteva usarli soltanto con i membri della Famiglia Reale. Il motivo di questa limitazione non gli era mai stato spiegato, e del resto lui, come tutti, l'aveva accettata come un fatto naturale, per cui non gli era nemmeno mai passato per la testa di indagare.

Veldhris si alzò in piedi, riprendendo Rollie in braccio; facendo quel movimento, la giovane donna si accorse del vuoto che avvertiva allo stomaco. Non mangiava da ventiquattro ore, dato che la sera prima, divorata dall'ansia, non era riuscita ad inghiottire che un paio di bocconi, ed all'alba si era limitato a bere un po' d'acqua, avendo la gola inaridita dalla preoccupazione. Ora, però, il suo stomaco reclamava e Veldhris quasi si vergognò di star pensando al cibo in un simile frangente. Poi capì che si trattava semplicemente di istinto di conservazione: certo, aveva perduto i suoi genitori, tanto più cari perché non erano quelli veri, e la sua città era stata rasa al suolo, i suoi abitanti sterminati, tuttavia lei aveva qualcosa da fare, un compito che non conosceva ma che presto le sarebbe stato palesato.

Sekor parve leggerle nella mente. "Mezzogiorno è passato da un pezzo. Sarà meglio mangiare qualcosa, per rimanere in forze."

"Non abbiamo niente", osservò Mikor con una certa acidità. "Dovremo cacciare qualcosa nella foresta, ammesso che la selvaggina non sia tutta scappata a causa dell'attacco."

"Non è necessario", interloquì Roden, rapidamente. "Noi abbiamo ancora qualche provvista dal viaggio."

I sei sopravvissuti di Tamya, dopo essersi allontanati da Rova per non disturbarla, consumarono quindi un pasto silenzioso, riscaldando le vivande al fuoco rapidamente acceso da Sekor. Veldhris divise qualcosa con Rollie, che divorò tutto avidamente: era evidente che il cagnolino non mangiava da parecchio tempo.

Fu Kejah a interrompere il silenzio. "Cos'è accaduto, qui a Tamya?"

La domanda, formulata all'improvviso, sembrò quasi brusca agli orecchi degli altri.

"Già", disse Roden. "Avete parlato di un attacco, se non sbaglio."

"Esatto, Baroden", sospirò Sekor. "Anche se non saprei dire con certezza chi o che cosa lo abbia sferrato."

Veldhris notò la cortesia che il principe cadetto faceva a Roden chiamandolo col solo patronimico, e ne fu favorevolmente impressionata: davvero, Sekor suscitava la sua simpatia più spontanea.

"Già", confermò Mikor, gli occhi incupiti. "Io e Sekor eravamo alle scuderie, a preparare i nostri cavalli per il torneo del pomeriggio, quando la gente nelle strade ha cominciato a urlare. C'è stato un fuggi fuggi generale e anche i nostri cavalli sono scappati. Tutto è diventato buio in pochi attimi..."

Il principe, o meglio, il nuovo Signore della Foresta del Vespro, scosse la testa bruna; un'espressione corrucciata apparve sul suo volto, ma Veldhris non avrebbe saputo dire se fosse per afflizione o per rabbia.

"Era più buio di una notte senza luna né stelle, ma siamo riusciti a intravedere qualcosa", intervenne Sekor, proseguendo il racconto interrotto del fratello. "Forme enormi, nere come la pece, che oscuravano il cielo portandosi dietro una tenebra impenetrabile. Non li abbiamo visti bene però, perché subito dopo hanno cominciato a piovere raggi di energia sconosciuta, come lampi, ma non luminosi, semmai ancora più neri del nero. Non lasciavano segni di bruciature, ma distruggevano tutto quello che toccavano, abbattendosi su cose e persone. Noi siamo corsi verso casa, poi è arrivata Rova... Ci ha spinti nella sua abitazione, sotto le radici dell'Albero Albino. Io volevo ribellarmi, correre in aiuto dei miei, anche se sarebbe stato inutile, e penso che anche mio fratello volesse farlo, ma Rova deve aver usato i suoi poteri mentali per convincerci a obbedirle... Così ci ha salvato la vita, ma lei non è sfuggita al crollo di parte della sua casa, quando l'Albero è caduto." Anche Sekor scosse la testa con fare rassegnato. "Temo che non ce la farà. Lei stessa ce l'ha detto, e questo significa che sente la propria fine vicina."

Veldhris lanciò un'occhiata alla vegliarda che giaceva abbandonata al sonno, i sentimenti in subbuglio. Sentiva che la maga rappresentava qualcosa di estremamente importante per lei, e non solo per lei, qualcosa che doveva completamente sconvolgere tutto il suo mondo, addirittura più di quanto non avesse già fatto l'immane tragedia che aveva colpito tutti loro e il Regno del Vespro. Questa sensazione la intimoriva molto, ma in lei si agitava anche una curiosità irrefrenabile, perché intuiva, misteriosamente, che tutto ciò aveva a che fare con le sue origini, così oscure. Cosa sapeva Rova di lei? Perché l'aveva chiamata? E come c'era riuscita? Era noto che il potere mistico dei Maghi di Corte era riservato soltanto ai membri della Famiglia Reale...

"Ma che fine hanno fatto le persone? Gli animali?" indagò Roden. "Non c'è traccia di nessun cadavere, né di essere umano né di bestia..."

"Quelli che non sono stati sepolti dalle macerie dei crolli", rispose Mikor, "sono stati colpiti da quei terribili raggi di tenebra e si sono... dissolti. Letteralmente. Come nebbia al sole."

Un brivido di raccapriccio fece fremere tutti e sei mentre ricordavano o si raffiguravano la scena. Doveva essere stato qualcosa di così terrificante che non riscrivano nemmeno ad immaginarlo, ad afferrarlo completamente.

"Ma perché?" sbottò infine Kareth. "Perché un annientamento così feroce, improvviso, totale?"

Veldhris non aveva distolto lo sguardo da Rova. "Sarà lei a dircelo", rispose sottovoce.

OOO

Dovettero però aspettare ancora, perché la vegliarda si svegliò solo dopo la metà del pomeriggio, quando il sole, come il giorno prima velato da una fine coltre di nubi, cominciava già a declinare.

Tutti e sei i giovani stavano seduti in cerchio attorno ai resti del fuoco, senza parlare, ognuno immerso in pensieri cupi. Veldhris sedeva con Rollie sulle ginocchia, e poco prima Sekor l'aveva aiutata a cambiare la fasciatura della zampa lesa. Kareth costatò che la ferita si stava rimarginando bene e disse che in pochi giorni il cagnolino avrebbe potuto riprendere a correre e a saltare.

La sensazione quasi fisica di essere osservata ad un certo punto indusse la giovane donna a voltarsi verso la maga. Incontrando il suo sguardo, Rova le fece cenno di avvicinarsi e Veldhris obbedì prontamente.

"Chiama anche gli altri", disse la vegliarda quando la cantante si fu inginocchiata accanto al giaciglio. "Quello che devo rivelare riguarda sia te che loro."

Veldhris, perplessa, si girò verso i compagni e con un cenno richiamò la loro attenzione. "Venite qui tutti, Rova deve parlarci."

Lanciandosi brevi occhiate inquiete, gli altri cinque si fecero attorno all'anziana donna morente, sedendosi a terra in modo che non si sentisse soffocare dalle loro figure incombenti.

Quando si furono tutti seduti, Rova li guardò ad uno ad uno, come per accertarsi della loro identità.

"Conoscete la storia della Corona di Luce?"

La domanda giunse inaspettata a tutti. Di nuovo, i giovani si scambiarono occhiate perplesse, ed infine Mikor rispose. "Io e Sekor sì, naturalmente. Tutti i membri della Famiglia Reale conoscono quella leggenda."

Sekor annuì, confermando, quando Rova lo guardò per avere una risposta.

Roden si strinse nelle spalle. "Io ho studiato molto i miti antichi e quindi la conosco anch'io."

Le gemelle scossero il capo in segno di diniego, imitate da Veldhris.

Rova inspirò profondamente e si mosse, ma si immobilizzò subito con una smorfia di dolore. "Allora vi racconterò io come si svolse la storia", disse. "Badate bene: la storia, non la leggenda. Il mito nacque in seguito."

Un improvviso attacco di tosse la interruppe. Veldhris, allarmata, si chinò sulla maga, che le afferrò una mano. "Un po' d'acqua", ansimò.

La cantante annuì e corse a prendere la propria borraccia, dalla quale le diede da bere.

Rova inghiottì due piccoli sorsi, aiutata da Veldhris, poi tornò ad abbandonarsi sul giaciglio. "Devo affrettarmi, raccontarvi tutto e avvertirvi prima che sia troppo tardi", borbottò la maga. Rimase tuttavia in silenzio per un paio di minuti, cercando di racimolare le forze, poi riprese a parlare, la voce leggermente più fievole di prima. "Quasi esattamente mille anni, fa, il Potere Oscuro era in procinto di avere la meglio sul Potere Luminoso: Rakau, Signora dei Draghi Neri, era riuscita mediante la magia nera a strappare alle forze che governano il mondo il segreto del dominio sulle Tenebre e sulle sue malvagie creature. Nella viscere della terra aveva trovato le Quattro Pietre del Potere Oscuro, laddove erano state confinate dalla Luce all'alba del mondo, e ne aveva risvegliato la nera energia, riuscendo ad asservirla. Le Quattro Pietre rappresentano ciascuna una parte della materia – il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra – per cui Rakau, una volta assoggettato il potere che in esse risiede, poté dominare tutto il mondo materiale, distruggendo o modificando a suo piacimento le strutture e le creature di questo mondo. Fu così che creò i Draghi Neri, partendo da un'innocua razza di piccoli draghi volanti che allora vivevano nelle regioni fredde dello Shyte. Fu sempre così che trovò grandi giacimenti d'oro e pietre preziose per conquistarsi l'alleanza di molti popoli ostili all'Impero, e quando alcuni rifiutarono o si ribellarono, li costrinse con l'uso delle Quattro Pietre, che portava sempre attorno al collo fissate a una striscia di cuoio..."

Rova s'interruppe per riprendere fiato. Lo sforzo che faceva per parlare e ricordare era considerevole, e nelle sue condizioni la stava fiaccando rapidamente. Vedendo goccioline di sudore formarsi sulla sua fronte, Veldhris gliela deterse con un fazzoletto bagnato, e Rova le sorrise debolmente, con gratitudine.

Kareth approfittò della pausa per porre una domanda. "Perdonami, Maestra Rova... Hai parlato di un impero, e di un luogo chiamo Shyte. Che cosa intendi?"

La vegliarda sospirò stancamente, con rassegnazione. "Dimenticavo che non sapete niente del mondo esterno... Troverete delle mappe nel mio laboratorio che vi chiariranno molte cose. Comunque, l'Impero di Shyte comprendeva anche la Foresta del Vespro ed era così vasto che non riuscireste a capire neppure se vi facessi un paragone. Ma verrà il tempo in cui comprenderete anche questo", fece un attimo di pausa per ritrovare il filo del discorso interrotto, poi proseguì. "L'ambizione di Rakau non conosceva limiti: mirava a prendere il posto dell'Imperatore, Arcolen il Saggio, che odiava con tutte le sue forze perché era l'unico in grado di fermarla: Arcolen infatti era il Portatore della Corona di Luce, le cui bianche Gemme Gemelle contengono l'essenza del Potere Luminoso. Esse simboleggiano la duplice natura dell'animo umano, in cui possono risiedere contemporaneamente bontà e cattiveria, saggezza e stoltezza, coraggio e viltà, e così via tutte le cose, che non esistono senza il proprio opposto, le due facce della stessa medaglia. Le Gemme Gemelle furono date a un uomo di grande statura morale, capostipite della Famiglia Imperiale di Shyte, da Nirvor, incarnazione delle Forze della Luce che, dall'alba del Tempo, si contendono con quelle delle Tenebre il predominio sul mondo. La Corona di Luce sulla quale le due gemme sono montate era quindi l'unico strumento in grado di consentire a Arcolen di difendere il suo Impero."

Rova sospese nuovamente il racconto e chiuse gli occhi.

Mikor, che aveva ascoltato con incredulità crescente, sbottò. "Ma sono solo favole per bambini! Nessuno ci crede più..."

La Maga di Corte aprì di colpo gli occhi e glieli piantò in faccia. L'impatto della forza di quello sguardo bruciante ebbe il potere di troncare a metà la frase del principe ereditario. "Quello che hai visto ieri era forse una favola?!" ruggì la vegliarda con inaspettata energia. "È stata quindi una favola a distruggere la capitale del tuo regno e a uccidere migliaia di innocenti, inclusi i tuoi genitori?"

Mikor, ammutolito, non seppe cosa ribattere e guardò altrove.

Rova faticò ad acquietare l'affanno che quello scoppio d'ira le aveva provocato, e Veldhris si preoccupò. "Ti prego, Maestra Rova, calmati", mormorò in tono tranquillizzante. "Non è colpa di nessuno se la storia viene a volte trasformata in leggenda, o se la realtà supera la fantasia. Devi ammettere che quello che ci hai raccontato è molto lontano dalla concretezza di tutti i giorni..."

"Dei giorni che aveva finora conosciuto", la interruppe pacatamente la maga. "Nei giorni e nei mesi a venire, Veldhris, ti accorgerai di quanto invece la vita che conoscevi pare favola a molti, nel mondo esterno, al di là della Foresta del Vespro."

Veldhris sbatté le palpebre, incapace di afferrare il senso di quella frase, ma Rova non le diede il tempo di porre domande e proseguì il suo racconto. "Accadde così che, nello scontro finale, il Portatore della Corona e la Detentrice della Pietre si trovassero l'uno di fronte all'altra. Il duello fu assai duro, e Rakau alla fine riuscì a sconfiggere Arcolen soltanto ricorrendo a un trucco sleale: lo sfidò a spogliarsi della Corona, mentre lei si toglieva le Pietre, per affrontarsi con le loro sole forze. La Signora dei Draghi Neri però fece solamente finta di deporre il collare con le Pietre, e così Arcolen, privo della protezione della Corona, venne ucciso. Prima di morire, egli pronunciò una profezia: prima che si compisse il Millennio di Tirannide del Potere Oscuro, disse, dalla sua stirpe sarebbe nato un erede in grado di sconfiggere lei e i suoi maledetti draghi. Spaventata, Rakau fece uccidere Rossar, l'unico figlio di Arcolen e dell'Imperatrice Kyala, da Xos il Lupo, il suo più feroce e pericoloso alleato, mezzo uomo e mezzo lupo, sul quale neppure le Pietre hanno potere perché egli è antico quanto il mondo, essendo scaturito dalla Tenebra Primordiale come Nirvor è scaturita dalla Luce Primordiale. L'Imperatrice Kyala però, che Rakau concupiva, le sfuggì con l'aiuto dello scudiero Zarcon; Kyala non lo sapeva, ma portava in grembo un altro figlio di Arcolen, dal quale sarebbe disceso l'erede profetizzato. Il nome di questo figlio, una femmina, era Nidal, ed il figlio di lei fu Deegor."

Sekor, che stava ascoltando con lo sguardo fisso a terra, sollevò bruscamente la testa. "Ma...! Deegor fu il primo Signore della Foresta, e sua madre si chiamava Nidal!"

Mikor scoccò un'occhiata cupa al fratello e tornò a guardare la maga.

Rova assentì. "Infatti. La Famiglia Reale della Foresta del Vespro discende in linea diretta da Arcolen e Kyala, ultimi Imperatori di Shyte."

Rimasero tutti silenziosi, tentando di assimilare quell'incredibile rivelazione. Poi Mikor scosse il capo, una, due volte. "Che assurdità! Se ci fosse davvero da credere a questa leggenda..."

"Sei davvero ostinato, Mikor Samonden!" esclamò Rova, furibonda. "Non ti è bastato assistere alla distruzione della tua città e della tua famiglia per credere alla veridicità delle antiche storie? Non ti è bastato vedere all'opera lo spaventoso potere dei Draghi Neri?"

Tutti sbiancarono.

"Quindi... quelle enormi forme nere che volteggiavano nel cielo erano... Draghi Neri?"

L'esitante domanda fu posta dal principe Sekor. Rova annuì stancamente per confermare.

Nuovamente ci fu una pausa di assorto silenzio. Veldhris trovava difficile accettare per verità storica quello che aveva sempre pensato essere un mito di altre epoche... eppure Tamya non poteva essere stata rasa al suolo da un mito! Se si ammetteva l'esistenza dei Draghi Neri, si doveva ammettere anche tutto il resto.

"E perciò", considerò Kareth sottovoce, "Tamya è stata distrutta per colpire l'Erede di Arcolen?"

Rova annuì di nuovo. "Sì, figliola, è così. Il Millennio di Tirannide sta per scadere e Rakau è stata ripresa dall'antico timore della Profezia di Arcolen. Per lungo tempo ha creduto di aver debellato il pericolo con l'uccisione di Rossar, ma negli ultimi anni le è sorto il dubbio che non fosse così. Ha condotto ricerche accurate, e anche se non ha probabilmente scoperto l'identità dell'Erede, che è già nato, ha saputo dell'esistenza delle Contrade Libere – otto luoghi inaccessibili in cui si sono rifugiati coloro che sono sfuggiti al genocidio seguito alla Guerra dei Poteri. È però improbabile che le abbia localizzate tutte, dato che l'ubicazione di ognuna è nota a malapena agli stessi abitanti e quella delle altre a pochissimi iniziati. Qui a Tamya, per esempio, soltanto il Mago di Corte sapeva della loro esistenza: isole, caverne, oasi nel deserto, valli o altipiani nascosti, o, come il Regno del Vespro, una foresta impenetrabile, circondata da terre desolate e inospitali."

Rova s'interruppe ed attese la reazione degli ascoltatori. Veldhris combatteva ancora contro l'incredulità, ma il suo rispetto per la vecchia Maga di Corte era tale che ben presto decise di crederle incondizionatamente. Roden, che aveva sempre sostenuto che tutte le leggende hanno almeno un fondo di verità, trovava ora conferma alle sue teorie e non ebbe molte difficoltà ad accettare il racconto di Rova. Kejah era più disorientata che scettica, e Kareth si sentiva un po' a disagio nello scoprire che quelle che aveva tanto deriso perché le riteneva fole per bambini si stavano invece rivelando realtà. Sekor oscillava ancora tra la sua razionalità e il desiderio di credere alla maga, che fin da bambino aveva sempre tenuto nella più alta stima. Mikor invece, diffidente per natura, non riusciva a prendere per vera e plausibile una storia che aveva sempre ritenuto un mito, nato dalla superstizione e buono solo per spaventare i babbei. Eppure, l'ascendente che Rova aveva su tutti quanti gli istillava il dubbio, e la sua granitica convinzione vacillava.

Quando fu sicura che tutti fossero giunti alle loro conclusioni, quali che fossero, la vecchia maga riprese a parlare. "Grandi cose attendono l'Erede di Arcolen, grandi pericoli e grandi onori. Suo destino è combattere l'Oscurità, sconfiggendo Rakau, e così il grande Impero di Shyte potrà essere restaurato. L'Erede sarà il nuovo Imperatore, signore di un regno così vasto che forse non potrà mai visitarlo tutto, e i popoli suoi sudditi lo acclameranno per tutti i tempi a venire come l'Eroe che li ha liberati dalla Tirannide del Potere Oscuro. Il suo nome verrà venerato e la sua storia immortalata dai menestrelli quale monito ai malvagi e incoraggiamento ai meritevoli..."

Un pensiero attraversò la mente di Mikor, un pensiero che gli illuminò gli occhi di uno strano sguardo febbrile alle cose prospettate dalla Maga di Corte. "Secondo questa storia, quindi, io sarei l'Erede di Arcolen!" esclamò, facendo sobbalzare tutti. "Quale primogenito della Famiglia Reale, che come dici discende in linea diretta dall'ultimo Imperatore di Shyte, sono io colui che dovrà restaurare l'Impero e diventare il nuovo Portatore della Corona di Luce! Sono io l'erede profetizzato!"

Era così infervorato dalle immagini che gli balenavano nella mente, immagini di gloria ed onori che gli sarebbero stati tributati quale nuovo Imperatore e salvatore dello Shyte, che non si accorse dell'espressione di Rova.

La maga scosse la testa canuta. "No, Mikor Samonden, non sei tu l'Erede di Arcolen."

L'affermazione, quieta ma decisa, strappò Mikor dal suo sogno ad occhi aperti, facendolo bruscamente tornare alla realtà presente. "Come?" sbottò, aggrottando le sopracciglia in un'espressione fosca che non prometteva niente di buono. "Non sono io? E allora chi? Io e mio fratello siamo gli ultimi eredi della Famiglia Reale, e io, in quanto primogenito, sono il solo che possa rivendicare il retaggio di Arcolen. L'hai detto tu stessa!"

Rova scosse nuovamente la testa di capelli candidi. Sentiva che le forze la stavano abbandonando rapidamente, ma aveva ancora molte cose da dire. Strinse i denti e riprese. "Sì, all'apparenza sei tu quello che, per diritto di nascita, dovrà cercare la Corona e usarla contro Rakau, ma non è così."

"Non è possibile!" esclamò Sekor, difendendo prontamente il fratello maggiore. "La Famiglia Reale avrà certamente avuto molte diramazioni nel corso delle generazioni, ma il trono è sempre passato di primogenito in primogenito, maschio o femmina che fosse..."

"Proprio sempre?" domandò Rova, interrompendolo. Il principe la fissò con aria interrogativa, senza rispondere, e la maga annuì. "Certo, hai ragione dicendo che il trono è andato sempre al primogenito della Coppia Regnante; ma circa centocinquant'anni fa, al tempo di Re Daron, accadde che l'erede al trono, il giovane Fortad, scomparisse senza lasciar traccia durante una battuta di caccia in solitaria nel nord della Foresta. Le mie arti furono inutili: non riuscivo a contattare la mente del principe, e questo significava che era morto. Ciò nonostante, lo cercarono a lungo, lo attesero per dieci lunghi anni, ma di lui non si seppe più nulla. Ricordo la disperazione della regina, ed il re che non voleva rassegnarsi, ma non c'era niente da fare: Fortad era perduto per sempre. Fu così che il trono andò al secondogenito, Loder, cui successe un'altra Nidal... la nonna di tua madre, principe Mikor."

"E allora?" domandò Mikor a denti stretti, infuriato perché gli si stava contestando la sua eredità. "Questo dimostra solo che, a un certo punto dell'albero genealogico, c'è stata una deviazione da un un primogenito a un secondogenito. Ma visto che Fortad è morto senza lasciare figli..."

"È qui che ti sbagli", lo interruppe Rova, spazientita per il fatto che il principe non aveva aspettato la fine della spiegazione. "Fortad non morì contemporaneamente alla sua scomparsa. Durante la sua battuta di caccia, venne assalito da un cinghiale che lo lasciò a terra come morto. Fu poi trovato da una donna, una guaritrice di nome Ordana, che lo curò e gli salvò così la vita. Fortad aveva però ricevuto un forte colpo in testa che in qualche modo gli aveva leso la memoria: non ricordava nulla di se stesso, neppure il proprio nome, e così la guaritrice lo chiamò Aldal, che significa senza passato. Una volta guarito, Aldal sposò la sua salvatrice, ma morì pochi mesi dopo per un sanguinamento del cervello, sicuramente conseguenza del colpo in testa ricevuto. Ordana aveva però concepito un figlio, che venne chiamato Prodill. Tutto ciò accadde nelle profondità settentrionali della Foresta del Vespro, molto lontano da Tamya, in un villaggio minuscolo e molto chiuso; per questo non se ne seppe nulla, qui. Ad ogni modo, Prodill, ignaro del proprio retaggio, visse la sua vita come un comune cittadino, si sposò ed ebbe Elethia, che ebbe Yunia... che era la vera madre di Veldhris Teewadil."

Tutti si voltarono di scatto verso la giovane donna. Per un lungo istante, Veldhris rimase completamente immobile; poi, man mano che il significato dell'ultima rivelazione di Rova penetrava nella sua mente, i suoi occhi si dilatarono mentre stringeva spasmodicamente le mani fino a far sbiancare le nocche. "Non... non ci credo", balbettò con un filo di voce. "Non è possibile!"

"Comprendo il tuo smarrimento, figliola", disse Rova in tono gentile. "Ma è la verità: il tuo trisnonno ed il trisnonno di Mikor e Sekor erano fratelli, e voi siete cugini di quarto grado. Però sei tu l'erede diretta, per diritto di primogenitura. Sei tu l'Erede di Arcolen, poiché appartieni alla Stirpe Eccelsa."

Veldhris si posò le mani sulle gote, che bruciavano come se avvampassero, ma in realtà era estremamente pallida.

Con fare protettivo, Roden le passò un braccio attorno alle spalle e sentì che tremava. "Non preoccuparti, sorellina", mormorò. "Io sarò sempre al tuo fianco."

Mikor la fissava con occhi fiammeggianti. "No, non lo accetto!" gridò all'improvviso. "L'Erede di Arcolen non può essere una... una volgare cantante!"

Roden s'infiammò subito. "Attento a come parli, Mikor! Principe o non principe, niente di dà il diritto di insultare mia sorella, soprattutto sapendo che in realtà è una tua pari, anzi di più, viste le sue origini! Tanto per cominciare, è lei la vera Signora della Foresta del Vespro!"

Nel sentirsi apostrofare così da un umile boscaiolo, Mikor balzò in piedi stringendo i pugni, cercando istintivamente la spada che però in quel momento non portava.

Sekor si frappose. "Piano, piano! Non possiamo azzuffarci tra di noi, noi che siamo gli unici superstiti di un'intera città! Cerchiamo di ragionare con calma e di stabilire se quanto abbiamo appreso corrisponde a verità..."

"Metti in dubbio la parola di una Maga di Corte?" scattò Kareth. "Se Rova ha detto che Veldhris è l'Erede di Arcolen, significa che è proprio così!"

"No, no, Sekor ha ragione", intervenne stancamente Rova. "La mia parola dovrebbe bastare, ma se volete delle prove oggettive, non ve le posso fornire. Posso solo dirvi come ho scoperto tutto questo", fece una pausa, cercando di raccogliere le forze che ormai stavano abbandonandola. "Non ho più molto tempo", mormorò, più a se stessa che agli altri. Inspirò profondamente, poi riprese. "Come sapete, i poteri mentali dei Maghi di Corte funzionano soltanto con i membri della Famiglia Reale. Un giorno, però, mi portarono una bimba per la cerimonia di Benvenuto alla Vita: era un'orfana adottata dalla famiglia di un boscaiolo, e mi accorsi che potevo comunicare mentalmente con lei..."

Tutti capirono subito che stava parlando di Veldhris. La cantante corrugò la fronte. "E perché non hai parlato allora?" domandò, approfittando della pausa che la maga stava facendo.

"Perché non capivo come potesse essere possibile", rispose Rova. "Non potevi essere una figlia illegittima della regina Juvia, una sua gravidanza non sarebbe potuta passare inosservata; né avevi l'età adatta per essere figlia di suo padre, re Wardion, morto tre anni prima della sua nascita. Così, preferii tacere. Provai a indagare sulle tue origini, ma non c'era niente da scoprire, oltre al fatto che eri stata trovata in fasce nel bosco, abbandonata forse di proposito vicino a dove la famiglia di Roden Baroden stava facendo una scampagnata. Eri un enigma. L'unica spiegazione era che tu discendessi da un membro della Famiglia Reale che aveva illegittimamente messo al mondo una prole, ma la capacità di comunicare mentalmente col Mago di Corte si perde alla terza generazione, quindi da dove arrivavi? Finché non avessi saputo rispondere a questa domanda, era inutile rivelare questa stranezza inaudita, anche perché non avevo idea di quali ripercussioni potesse avere sulla Famiglia Reale e sul diritto di governare della Coppia Reale attuale."

"Ma allora", insistette Veldhris, volendo disperatamente capire, "com'è che sapevi tutti i particolari della reale fine di Fortad? E quando l'hai scoperto?"

"Solo oggi. Sekor mi aveva raccontato di averti incontrata mentre partivi coi tuoi parenti per la Radura del Lago; avevo pertanto una tenue speranza che tu fossi ancora lontana quando siamo stati attaccati e quindi fossi ancora viva, così ho provato a contattarti. E stavolta è accaduta una cosa diversa da quella prima volta quand'eri bambina. Avvicinati..."

Veldhris esitò, non per diffidenza, ma perché si sentiva molto confusa; ma l'autorevolezza della Maga di Corte era tale che l'accontentò, chinandosi verso di lei e tuffando gli occhi in quelli della vegliarda... dove si perse. I grandi occhi blu la sondavano, la esploravano fino in fondo all'anima, al cuore, alla mente, rovistando fra i suoi ricordi ed i suoi sentimenti, e lei si sentiva in preda alla vertigine, incapace di sottrarsi a quell'esame...

...ed improvvisamente non fu più lei. Divenne una giovane donna molto malata, con i giorni contati ed una figlia appena nata cui badare. Cosa poteva fare? Era vedova da meno di un mese, suo marito non le aveva lasciato soldi né parenti cui rivolgersi, e nemmeno lei ne aveva, né degli uni né degli altri. Come poteva assicurare un futuro alla sua creatura? Disperata, vagava senza meta per la foresta, la vista velata dalle lacrime. Nessun posto dove andare, nessuno cui volgersi... Infine, la giovane donna scorse una famiglia, composta di madre, padre e un figlio di circa cinque anni. Nascosta nel sottobosco, la giovane vedova malata osservò la famigliola, che stava evidentemente facendo una gita perché c'era una coperta stesa sull'erba della radura e un paniere ancora colmo di vivande; dalle espressioni dei tre e dai loro atteggiamenti, era palese che si volevano molto bene, che l'amore non sarebbe mai venuto meno tra di loro. E d'improvviso, la giovane madre disperata seppe cosa doveva fare, anche se le avrebbe spezzato il cuore. Guardò il fagottino che portava tra le braccia e vide il visetto della sua bambina che dormiva, un ditino infilato in bocca. La strinse a sé e poi, costringendosi a viva forza, la depose a terra, tra le radici di un albero; si allontanò rapidamente, infilandosi in un fitto cespuglio in modo da poter vedere senza essere vista. Dopo un po', la bambina si svegliò e, vedendosi abbandonata, si mise a strillare. Pianse così forte che i componenti della famigliola l'udirono ed accorsero, trovandola laddove era stata deposta. La madre la prese in braccio, cullandola, ed il padre chiamò, cercando i genitori della bimba. Per non cedere, la giovane vedova nascosta nel cespuglio si tappò le orecchie e fuggì via, lontano da quella voce, lontano dalla figlia, lontano dalla vita...

Quella giovane donna si chiamava Yunia, e sua madre era stata Elethia, il cui padre era stato Prodil figlio di Fortrad.

Veldhris tornò di colpo in sé, gli occhi ancora incatenati a quelli di Rova, che subito la lasciarono libera. Coperta di un velo di sudore gelido, il cuore impazzito, la vista annebbiata, Veldhris ondeggiò all'indietro e, se non fosse stato per Roden che la sostenne prontamente, sarebbe caduta supina.

"Che le hai fatto, maga della malora?!" ruggì il giovane, talmente preoccupato per la sorella da dimenticare il rispetto dovuto al rango e alle condizioni della vegliarda.

"Calmati, giovanotto", lo esortò Rova in tono stanco. "Le passerà subito."

Difatti Veldhris stava già aprendo gli occhi, fissandoli smarrita sul volto del fratello adottivo. "Sto bene, Roden, non preoccuparti", gli disse con voce fievole ma decisa. Si rivolse quindi alla maga. "Ho visto tutto, Maestra Rova. Ora non posso più dubitare delle mie vere origini."

"Io invece non ho visto un bel niente", insistette Roden. "Che cosa le hai fatto? Cosa volevi dimostrare?"

"In ognuno di noi dimorano i ricordi dei nostri antenati", spiegò Rova con pazienza. "Non tutti, naturalmente, sarebbero troppi, ma si può risalire con precisione per almeno cinque o sei generazioni, dopodiché le immagini mentali si fanno via via più rare, fino a scomparire del tutto attorno alla ventesima generazione. Solo un addestrato Mago di Corte può vedere tali ricordi, e a volte può vedere quelli di un membro della Famiglia Reale, ma non di tutti, né sempre. I miei predecessori non hanno mai scoperto il motivo di questa limitazione. Avevo già provato il procedimento su di te, Veldhris, ma non aveva funzionato. Se lo avesse fatto, ti avrei chiesto il permesso di guardare nei tuoi ricordi, con la scusa di farti conoscere la tua provenienza. Oggi invece, quando sono riuscita a raggiungere la tua mente, è stato come se quei ricordi emergessero apposta per farsi vedere da me. Ora li ho richiamati alla mia mente e te li ho trasmessi, così che tu potessi vederli come li ho visti io", Rova girò lo sguardo verso i principi. "Non posso passare quei ricordi anche a voi per convincervi della veridicità di quello che dico, perché la trasmissione funziona solo con i possessori originali. Dovete accontentarvi della mia parola."

Mikor aveva ancora un'espressione chiusa sul volto, contratto in una smorfia sgradevole. Sekor gli lanciò un'occhiata e capì che il fratello era molto deluso e amareggiato; il suo sguardo rifletteva un freddo e cupo rancore, cosa che impensierì Sekor. "Non dubito della tua parola, Maestra Rova", disse lentamente. "Non c'è alcun motivo per cui dovresti mentire. Devo accettare il fatto che Veldhris sia la vera Erede di Arcolen."

Mikor non guardò il fratello minore, ma i suoi pugni si chiusero e si aprirono a più riprese mentre cercava di dominare la propria collera. "Ma bene!" sbottò infine con malcelato astio. "Inchiniamoci dunque alla nuova, vera Signora della Foresta!"

Veldhris scattò in piedi come spinta da una molla e si piazzò di fronte al principe, furente, ergendosi in tutta la sua figura. Anche così, arrivava appena all'altezza della bocca di Mikor, ma l'improvvisa aura di fierezza e dignità che emanò ebbe l'effetto quasi visivo di farla crescere in statura. "Non rivendico il titolo di Regina del Vespro!" esclamò a denti stretti. "Anche se, a quanto pare, ne avrei il pieno diritto. Non ho chiesto io di nascere dalla linea primogenita della Stirpe Eccelsa! La vostra amarezza, Altezza, è più che comprensibile, ma non credo di meritare la vostra ostilità. Credete forse che per me non sia un trauma venire a conoscenza delle mie vere origini in questo modo, in un simile frangente? Credete forse che il compito che mi aspetta, che ci aspetta tutti, mi alletti? No, Altezza, io ne sono terrorizzata! Non l'ho cercato e ve lo cederei più che volentieri, se solo fosse possibile, ma non posso rinnegare il sangue che mi scorre nelle vene!"

A Sekor non era sfuggito il lampo di stupore che aveva attraversato lo sguardo del fratello, anche se ora era ritornato freddo come prima. Favorevolmente impressionato dalla reazione di Veldhris, per cui provava comunque una grande attrazione, ne prese le parti senza troppo riflettere. "Mikor, fratello mio, Veldhris ha ragione: non puoi farle una colpa di ciò che non ha voluto né cercato. Non si deve odiare l'innocenza."

Meravigliata dall'inaspettato sostegno del principe cadetto, Veldhris si girò a guardarlo.

Sekor le si avvicinò. "Per conto mio", dichiarò in tono solenne, guardandola negli occhi, "ho deciso di seguirti, mia principessa, ovunque deciderai di andare. Non dovrai affrontare i pericoli del mondo da sola."

Veldhris trattenne il fiato per la sorpresa di sentirsi apostrofare principessa, anche se in definitiva il titolo le era dovuto, e rimase senza parole quando Sekor fletté un ginocchio a terra e le prese una mano tra le sue, portandosela alla fronte nell'omaggio che si riservava soltanto alla regina o al re. "No, no, Sekor, vi prego!" esclamò. "Non dovete inginocchiavi davanti a me", lo fece rialzare, rossa per l'imbarazzo e la confusione, ma ben decisa a mettere le cose in chiaro. "Poiché non ho scelto io di appartenere alla Stirpe Eccelsa, ho chiesto a vostro fratello di non essermi ostile, e ora chiedo a voi, Sekor, di non trattarmi diversamente dal solito."

Sekor era stupito. "Ma, Veldhris, mi par giusto trattarti secondo il tuo vero rango, come una mia pari, anzi superiore..."

Veldhris scosse il capo e stava per replicare, quando Rova richiamò la loro attenzione. "La cosa importante è che rimaniate uniti", disse con voce chiara, ma sempre più debole. "Siete gli unici sopravvissuti della nostra città e ne dovete mantenere la memoria. Per questo vi chiedo di accantonare ogni rancore o rivalità e di pensare solo al bene di tutti i popoli di Shyte, compreso il nostro, il Popolo della Foresta. La missione che vi attende va molto al di là delle aspirazioni e dei desideri personali di ciascuno di voi..."

Lentamente, ad uno ad uno, i sei giovani annuirono. La maga aveva ragione: malanimo, antagonismo e ambizioni personali avrebbero loro soltanto nuociuto, ed erano perciò da bandire.

OOO

Venne la notte. Le emozioni di quel giorno avevano sconvolto tutti, chi più chi meno, lasciandoli in uno stato di spossatezza fisica e mentale, ma ciononostante organizzarono turni di veglia al capezzale della morente Rova. A Veldhris, che era senz'altro la più provata di tutti, venne assegnato il primo turno, il meno faticoso.

La vecchia maga teneva gli occhi chiusi, immersa in un sonno irrequieto, e Veldhris le accarezzava spesso la mano, quasi a rassicurarla che non l'avrebbe lasciata. Allo stesso modo, accarezzava Rollie, che si era accucciato accanto a lei e le teneva compagnia.

Quando, due ore dopo, Roden venne a darle il cambio, la giovane donna si staccò a malincuore da Rova e si recò al giaciglio che aveva preparato; Rollie, ancora zoppicante ma in grado di camminare, la seguì e si accomodò di fianco. Non appena si stese, avvolta in una coperta, Veldhris cadde in un profondo sonno di sfinimento.

Era l'alba quando Kejah la svegliò, scuotendola leggermente. Lo sguardo ancora velato dal sonno, Veldhris vide il viso preoccupato della cugina chino su di lei ed un presentimento la svegliò di colpo. "Che succede?"

"Rova ti vuole", disse Kejah a bassa voce. "Deve parlarti. Penso che stia per andarsene."

Col cuore in gola, Veldhris si liberò della coperta e balzò in piedi. L'aria pungente del primo mattino la colpì in viso, cancellando gli ultimi residui di sonno mentre si precipitava al giaciglio della vegliarda, seguita dall'immancabile cagnolino, che non si staccava mai da lei.

Sentendola approssimarsi, Rova aprì gli occhi e la guardò mentre Veldhris s'inginocchiava accanto a lei. "Figliola..." mormorò.

Con una stretta al cuore, Veldhris notò quanto fosse fievole la sua voce. "Sì, Maestra Rova, sono qui", disse piano, stringendole le dita.

"Vai a Zarcon, Veldhris", sussurrò la vegliarda. "Troverete il modo di uscire dalla Foresta del Vespro... evitando le trappole mortali delle Maleterre... consultando le antiche mappe. Poi dirigetevi verso nordovest e incontrerete qualcuno di Zarcon. Il Regno del Fiordo vi accorderà aiuto..."

Veldhris ricordò improvvisamente che Rova aveva già nominato Zarcon, ma come persona, lo scudiero dell'Imperatore per la precisione, non come luogo. Ora cosa significava...?

"Poi dovrete cercare... la Corona di Luce", proseguì Rova, parlando con fatica crescente. Alle spalle di Veldhris, a Kejah si erano aggiunti Sekor e Roden, che rimasero in silenzio, ascoltando la maga morente.

"Stanotte Nirvor l'Argentea... la Custode della Corona... mi è apparsa in sogno. Mi ha parlato. Mi ha rivelato che la Corona giace... nella grotta centrale delle Cento Caverne di Xos il Lupo... nel Monte Ghiacceterni, nell'estremo nord dello Shyte, oltre le Montagne Senzanome..."

La voce di Rova si spense mentre chiudeva gli occhi, spossata.

Veldhris scrutò ansiosamente quel volto grinzoso, udendo il respiro della vegliarda farsi sempre più debole.

Poi la maga riaprì improvvisamente gli occhi, tornati vivi e presenti, e li fissò sulla giovane. "Dovete trovare la Corona", ripeté, riuscendo a dare alla voce debolissima un'impronta della consueta autorevolezza. "Ti attende un compito assai pericoloso, Veldhris Yuniadil. Imparerai molte cose della vita e di te stessa che non ti piaceranno... che ti spaventeranno, anche, e ti faranno... desiderare di non essere mai nata, forse... Ma questo è il tuo compito... nessun altro può farlo... Il Millennio di Tirannide del Potere Oscuro... sta per giungere al termine: è venuto il tempo... che l'Erede di Arcolen si metta in cammino... e trovi la Corona di Luce..."

Le ultime parole si spensero in un sospiro. La vecchia Maga di Corte tornò a chiudere gli occhi e non si mosse più.

OOO

Rova Koryadil, Maga di Corte, spirò nella tarda mattinata, quietamente, scivolando dal sonno alla morte. Veldhris, che non si era mossa dal suo fianco dall'alba, se ne accorse immediatamente e si sentì riempire gli occhi di lacrime: sebbene non avesse mai avuto rapporti stretti con lei fino al giorno prima, la Maga di Corte aveva sempre rappresentato una figura distante ma rassicurante e stabile, e adesso, la sua morte l'addolorava molto.

Come percependo il suo cordoglio, Rollie le leccò il dorso di una mano. Veldhris lo prese in braccio e lo strinse delicatamente, grata del conforto che il piccolo cane le offriva.

Roden, Kareth e Mikor usarono i rami dell'abbattuto Albero Albino per erigere la pira funebre al centro della devastata piazza principale di Tamya. Veldhris, Kejah e Sekor si occuparono invece della salma, acconciandola per la cerimonia meglio che poterono. Essendo impossibile procurarle la veste sontuosa che il suo rango avrebbe richiesto, si limitarono a comporre il corpo su una barella. Pettinarono la lunga chioma nivea di Rova in modo che incorniciasse il volto rugoso e sereno, poi la trasportarono sulla catasta. Le resero omaggio secondo il cerimoniale ed infine Mikor, in quanto Re del Vespro, accese il rogo. Non avendo a disposizione gli unguenti ed i profumi solitamente usati per i riti funerari, ben preso il lezzo della carne che bruciava ammorbò l'aria e i sei giovani furono costretti ad allontanarsi dalla pira.

Il rogo arse fino a consumarsi. In tempi normali, le ceneri di Rova sarebbero state raccolte in un'urna funeraria riccamente decorata e deposte nella tomba della Famiglia Reale, accanto a quelle dei Maghi di Corte che l'avevano preceduta e di tutti i Signori della Foresta del passato, ma poiché adesso la cosa non era possibile, Mikor decise di seguire un'usanza più antica e di disperdere nelle acque del Dôl i resti mortali dell'ultima Maga di Corte.

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