Capitolo III: Un funesto ritorno

Capitolo III: Un funesto ritorno

Gli ultimi giorni della gita alla Radura del Lago passarono velocemente e serenamente, tra giochi e divertimenti che Kejah era bravissima a inventare su due piedi. Jada guardava compiaciuta i suoi quattro nipoti, belli, sani e forti, e si sentiva inorgoglire per il fatto di essere la loro nonna, la madre dei loro padri. Sentiva, con la saggezza della donna che ha molto vissuto e molto visto, che quei giovani avrebbero fatto grandi cose nella loro vita: Veldhris con la sua voce incantevole e la sua tranquilla resilienza, Roden con la sua straordinaria forza e grande bontà, Kareth e Kejah con la loro eccezionale bellezza e simpatica esuberanza, a cui, per tutti, si aggiungeva una notevole intelligenza.

Dovendo ora navigare seguendo la corrente, per tornare a Tamya sarebbe loro occorsa una sola giornata di viaggio: partendo all'alba, sarebbero arrivati prima del tramonto. Per questo, Veldhris, Roden, Kejah e Kareth decisero di partire il giorno prima dell'inizio della Festa di Fine Estate, che sarebbe durata tre giorni con festeggiamenti ininterrotti. Veldhris comunque avrebbe dovuto esibirsi soltanto il terzo giorno, per cui, se anche avessero dovuto ritardare per qualche motivo, sarebbero in ogni caso arrivati in tempo.

L'ultima notte che trascorsero alla fattoria di nonna Jada ci fu un temporale con violenti rovesci di pioggia e fulmini spettacolari. Il Dôl s'ingrossò, ma non tanto da diventare pericoloso, ed il mattino dopo il sole sorse in un cielo già sgombro e nuovamente azzurro, preannunciando una bella giornata.

Jada, sorda alle proteste dei nipoti, riempì le loro sacche con viveri per almeno quattro giorni, poi li salutò affettuosamente, baciandoli ed abbracciandoli.

"Siate prudenti! E tornate presto a trovarmi!" raccomandò loro quand'erano ormai staccati dal molo.

Veldhris la salutò ancora agitando il braccio. "Sta' tranquilla, nonna! Lo faremo!"

Non si sarebbero rivisti mai più.

OOO

Il sole era ormai prossimo allo zenit e il caldo era intenso, ma fortunatamente Kejah e Veldhris, ai remi, non avevano molto da fare, dato che la corrente li sospingeva con decisione. Fra poco si sarebbero fermati per il pranzo e per un riposino, per cui quel caldo non pesava troppo a nessuno di loro.

Veldhris canticchiava sottovoce la melodia della sua canzone, Incantesimo, ripetendo mentalmente le parole, attenta a non lasciarsele sfuggire dalla bocca: doveva essere una vera sorpresa, una cosa inaspettata per tutti quanti, che doveva gettare un incantesimo su ogni ascoltatore e coinvolgerlo totalmente nelle parole, rapirlo nella melodia. Questa almeno era la sua intenzione e lei avrebbe fatto di tutto per tradurla in realtà. Essendo modesta per natura, Veldhris non osava pensarlo ma, con la sua voce straordinaria, sarebbe sicuramente riuscita nel suo intento.

Le chiare acque del Dôl si erano intorbidite per la melma sollevata dalla corrente, più forte del solito ed agitata a causa dell'acquazzone notturno. Veldhris e Kejah quindi non faticavano molto ai remi, e Roden, al timone, non faceva altro che correggere la direzione ogniqualvolta ce ne fosse bisogno. Kareth, a prua, era intenta a rovistare nella sua sacca alla ricerca di una mela e fu per questo che non vide in tempo il pericolo. Alzando per caso gli occhi, notò una massa nera ed informe a pelo d'acqua, che sbarrava il cammino della loro imbarcazione.

"Attenti, un tronco!" gridò. Il suo avvertimento giunse troppo tardi: Roden spinse il timone di lato per deviare sulla sinistra, lontano dalla riva, ma la manovra non fu abbastanza rapida e la prua della barca finì addosso al tronco con uno schianto. Il contraccolpo quasi sbalzò Kareth fuori bordo e fece rotolare Veldhris e Kejah dai sedili sul fondo, mentre dallo squarcio prodotto dallo scontro, sul lato destro della prora, entrava l'acqua a fiotti.

Con presenza di spirito, Kareth afferrò le quattro sacche da viaggio, ormai zuppe, e si allontanò dalla falla. Kejah intanto, rialzatasi per prima, stava aiutando Veldhris a fare altrettanto, e Roden, che si era preso il manico del timone nello stomaco, tentava di alleviare il dolore del colpo massaggiandosi la parte offesa.

"Stiamo affondando, temo", disse Kareth, mantenendo la calma. Tutti e quattro erano ottimi nuotatori e non era il caso di preoccuparsi che qualcuno rischiasse di affogare, nonostante la corrente.

"Maledizione", imprecò Roden, alzandosi finalmente in piedi; gli bastò uno sguardo per valutare il danno. "Niente da fare, non possiamo tamponare la falla."

Senza che ci fosse bisogno di dire niente, Kareth consegnò a ciascuno una sacca, poi si calarono in acqua uno dopo l'altro per raggiungere la riva a nuoto. Roden tentò di trainare la barca, ma la prua si era incastrata nel tronco e non ci fu verso di smuoverla, per cui dovette rinunciare. Sbuffando, seguì le donne in direzione della sponda destra, che raggiunse poco dopo grazie alla corrente favorevole.

Grondanti, i quattro si trascinarono sul terreno e si lasciarono cadere sull'erba, senza fiato più per l'ansia che per la fatica, poiché il tragitto a nuoto era stato brevissimo.

"Accidenti che paura!" commentò Veldhris. "Guardate un po'..."

Sollevò una mano con le dita aperte e la mostrò agli altri: tremava. Roden, che non condivideva la diffusa e sciocca convinzione che non aver paura significhi per forza essere coraggiosi, gliela prese tra le sue. "Non ti preoccupare, sorellina, è tutto finito."

Veldhris tirò un grosso respiro per calmarsi, poi ritrovò l'abituale umorismo. "Con quest'avventura, ci faccio una canzone da brivido!"

Gli altri risero debolmente.

"E adesso, cosa facciamo?" domandò Kareth.

"Intanto ci asciughiamo e ci cambiamo", decise Kejah. "Poi mangeremo qualcosa, visto che è mezzodì, e dopo ci incammineremo lungo lo riva: prima o poi passerà un'imbarcazione che va verso Tamya e ci faremo dare un passaggio, oppure arriveremo al primo traghetto e affitteremo una barca."

"Speriamo di trovare qualcuno che discenda il fiume", considerò Roden. "Il traghetto più vicino, se non erro, è a una giornata di cammino da qui, e domani a mezzogiorno potremmo non trovare nessuno, visto che la Festa comincia proprio allora."

"Uffa!" sbuffò Kareth. "Ci mancava solo questa. Se non troviamo nessuno al traghetto, temo che dovremo farcela tutta a piedi fino a Tamya, dato che durante la Festa non si lavora e quindi non ci saranno né mercanti né pescatori sul fiume."

Veldhris cominciò a preoccuparsi. "Se andiamo a piedi, quanto ci mettiamo?"

"Circa due giorni", rispose prontamente Kejah, con l'esperienza della cacciatrice. "Non essere in pensiero, arriveremo comunque in tempo per il concorso dei Cantanti della Foresta."

"Lo spero", mormorò Veldhris, mordicchiandosi un labbro con aria corrucciata.

Un paio d'ore più tardi, dopo che si furono asciugati alla meno peggio e cambiati, ed ebbero mangiato qualcosa, prima di mettersi in marcia Roden esaminò da lontano il tronco che aveva provocato l'incidente, lasciando che fossero le ragazze a spegnere il fuoco e a disperderne le ceneri. Quando tornò, rispondendo agli sguardi interrogativi delle compagne, disse loro di esser giunto alla conclusione che l'albero era stato abbattuto da un fulmine la notte precedente, perché alla base aveva visto tracce di bruciature recentissime.

Ricordando la spettacolarità delle folgori ramificate che avevano squarciato il cielo notturno, Veldhris rabbrividì. "Sembrava l'espressione della collera divina", mormorò. "Che sia un segno?"

Kejah la fissò, leggermente spaventata, ma Kareth, meno impressionabile della gemella, scollò la chioma d'oro rosso. "Andiamo, ci mancano solo le superstizioni! Non ci crederai davvero, no, Vel?"

Veldhris si limitò a stringersi nella spalle, ma il suo sguardo era serissimo. "Ci sono molti, moltissimi misteri al mondo..."

Poco dopo, caricate le sacche ancora umide sulle spalle, i quattro si misero in marcia. Seguirono il corso del Dôl lungo i suoi meandri, senza inoltrarsi nel fitto per tentare di accorciare la strada, col rischio di perdersi. Il cammino era reso difficoltoso dall'assenza, su quel lato del fiume, di una pista: il Dôl fungeva infatti da unica via di comunicazione tra Tamya e la Radura del Lago, eccetto un sentiero di terra battuta che correva lungo l'altra sponda, deviando però ben presto di molto per passare dalla Radura Cavapietra, a nordest della capitale. Il traghetto che dovevano incontrare lungo la via era situato sulla riva opposta, al passaggio della strada che portava a Steena, un prosperoso villaggio nell'ovest della Foresta. Chi, dal traghetto, voleva proseguire per Tamya o per la Radura del Lago, non faceva altro che noleggiare un'imbarcazione, oppure ritirava la propria dalla piccola darsena custodita dai barcaioli.

A Veldhris, che, diversamente dai compagni, non era abituata alle lunghe marce, quella prima mezza giornata di cammino parve non finire mai. Kareth e Kejah, le cacciatrici, e Roden, il boscaiolo, non ebbero invece difficoltà, poiché le loro professioni li portavano ogni giorni a fare interminabili escursioni nella Foresta, ma per Veldhris fu alquanto duro riuscire a non lamentarsi e a non rallentare troppo il passo dei suoi più allenati compagni. Nonostante la stanchezza, rifiutò la sosta supplementare che Roden suggerì nella seconda metà del pomeriggio per permetterle di riposare. Dimostrò così uno stoicismo finora insospettato nella sua personalità, cosa che indusse Kejah a pensare che, nella giovane donna dall'apparenza così malleabile, si celasse in realtà un nucleo duro come la roccia. Sbagliava di poco, perché quel nucleo si sarebbe in seguito rivelato duro come il diamante.

OOO

Il sole era tramontato da poco oltre il lontano orizzonte della Maleterre e già l'oscurità calava veloce sotto le scure fronde degli alberi.

Roden si fermò. "Stanotte possiamo accamparci qui", disse.

Con un sospiro di sollievo, Veldhris si lasciò cadere seduta sull'erba, ma gli altri, posate le sacche, si diedero da fare a raccoglier legna per il fuoco. Quando se ne rese conto, Veldhris fece per imitarli, ma Kejah, già di ritorno, la risospinse a sedere.

"Non ti muovere, Veldy", disse. "Sei troppo stanca, mentre noi ci siamo abituati. Se vuoi renderti utile, comincia con l'accendere il fuoco, poi prepara la cena."

La giovane donna non protestò, essendo veramente stanchissima. Accatastò i rami secchi che Kejah aveva appena portato, aggiunse quelli procurati da Roden, poi frugò nella sua sacca alla ricerca di acciarino e pietra focaia, con i quali diede fuoco all'esca – del muschio molto secco contenuto in un sacchetto a parte – che poi pose sotto la piccola catasta di ramoscelli che aveva preparato. Kareth, sopraggiunta con la sua parte di legna da ardere, l'aiutò a disporre un cerchio di sassi attorno al fuoco, per evitare che le scintille rischiassero di incendiare l'erba.

Usando le provviste ricevute da Jada – che fortuna che la nonna gliene avesse fornite con così tanta profusione! – Veldhris riscaldò un intero pollo arrostito e già fatto a pezzi e mise a bollire in una gavetta il contorno di spinaci, poi collocò alcune patate sotto le braci affinché si cucinassero. Mangiarono quindi in abbondanza, innaffiando il tutto con il mosto dei vigneti di nonna Jada.

Dopo cena, quand'ebbero risciacquato piatte, posate e tegami nel Dôl, i quattro si accomodarono attorno al fuoco, riattizzandone le braci con l'aggiunta di nuova legna, e fecero un po' di conversazione. Veldhris trasse dalla sua custodia lo yord e lo provò, per assicurarsi che, dopo l'involontario bagno di mezzogiorno, funzionasse ancora. Fortunatamente, il legno ben stagionato e verniciato con cui era stato costruito lo metteva al riparo dagli strapazzi di quel genere, ed in effetti lo strumento, ancora un po' umido, era solo lievemente stonato, ma in ogni caso il difetto sarebbe scomparso non appena si fosse asciugato completamente.

Accorgendosi della manovra della cugina, Kejah chiese: "Veldy, sei l'unica partecipante del concorso che usa lo yord?"

Lo yord era infatti uno strumento molto difficile da suonare, nonostante il suo funzionamento fosse fondamentalmente semplice. Non c'erano corde da pizzicare, o fori da aprire e chiudere in sequenza, o parti da percuotere; l'unico fattore che interveniva era la voce, anzi le vibrazioni sonore della voce di chi lo usava. Tuttavia, controllare il suono a quel modo non era affatto semplice. Nonostante la difficoltà, però, fin dall'inizio Veldhris aveva optato per quello strumento e, a giudicare dai risultati, era stata una scelta felice, perché la sua voce straordinaria si sposava meravigliosamente con esso.

"No, ce ne sono altri due o tre", Veldhris rispose a Kejah. "Compresa Talla Uryadil" aggiunse, pensierosa.

"E con questo?" Roden si strinse le spalle. "Tu sai usare lo yord molto meglio di chiunque altro."

"Quanto agli altri partecipanti", Kareth rincarò la dose, "con cetre, liuti e arpe non possono certo competere con te, per quanto bravi possano essere."

Veldhris sorrise, grata dei loro incoraggiamenti. "Beh, fra qualche giorno si vedrà", si stiracchiò, sbadigliando. "Ah, che sonno! Buonanotte, io vado a dormire."

"Meglio nanna tutti, se domattina vogliamo alzarci all'alba", suggerì Roden. "Buonanotte."

Poco dopo, riattizzato il fuoco per l'ultima volta, i quattro giovani giacevano avvolti nelle loro coperte in attesa del sonno. Veldhris, nel silenzio profondo che li circondava, tardò un poco ad addormentarsi, turbata da una strana, improvvisa sensazione, come un oscuro presentimento. Sentiva che stava per succedere qualcosa, ma non riusciva a immaginare che cosa. Senz'altro un che di funesto, pensò sbirciando timorosa la fitta oscurità attorno a lei. Chissà cosa celava l'ombra oltre il cerchio di luce delle fiamme, un pericolo ignoto, un mostro in agguato, una minaccia dalle viscere della terra o dalle profondità del cielo tenebroso...

Poi la natura ottimista di Veldhris ebbe il sopravvento e, scrollandosi da quella spiacevole sensazione, la giovane donna la respinse in fondo alla mente, giudicandola irrazionale e infantile.

L'attimo dopo dormiva.

OOO

All'alba, dopo una rapida colazione fredda, i quattro giovani ripresero il cammino. Sul fiume non navigava alcuna imbarcazione, segno evidente che, dopo il traffico intenso dei giorni precedenti, tutti avevano già raggiunto la loro meta: chi voleva partecipare ai divertimenti di Tamya, che erano i più spettacolari del Regno del Vespro, e chi invece aveva preferito tornare a casa per festeggiare con i famigliari.

Quel mattino, il cielo era ingombro di banchi nuvolosi che velavano il sole, bagnando tutto di un lucore perlaceo e squallido. Non soffiava alcun alito di vento e l'afa, via via che il giorno avanzava, si fece soffocante.

Veldhris procedeva in silenzio, lo sguardo fisso a terra. Vederla tanto taciturna, lei che di solito era invece così ciarliera, finì con l'impensierire gli altri. Dopo uno scambio di occhiate con Roden e la gemella, Kareth si decise a dar voce alla loro preoccupazione. "Veldy, c'è qualcosa che non va?"

L'interpellata parve non udire e proseguì imperterrita. Con due balzi, Kareth l'affiancò e le posò una mano sul braccio. "Vel, cos'hai?"

Stavolta, Veldhris si riscosse, trasalì e si fermò di botto, fissando la cugina con un'aria smarrita. "Eh? Cosa? Che succede?" domandò in tono quasi spaventato.

"A noi niente", rispose Kejah, avvicinandosi. "Sei tu che ci sembri... strana. Cosa c'è che non va?"

Veldhris sembrò confusa. "Ma... niente, credo. Perché?"

"Hai un'aria così assente..." disse Roden. "Vuoi spiegarci cos'hai?"

La cantante scrollò le spalle. "Andiamo, qual è il problema? Io mio sento benissimo!"

Roden e le gemelle si scambiarono un'occhiata incerta.

Veldhris passò lo sguardo dall'uno alle altre. "Allora? Si può sapere cos'avete?" domandò, corrugando la fronte. "Sembrate tutti stralunati!"

La sua perplessità era autentica: non le pareva proprio di essersi comportata stranamente, né d'aver detto qualche sproposito.

Di nuovo, i suoi compagni si scambiarono uno sguardo pieno di dubbiosa sorpresa.

"Oh, beh..." bofonchiò Roden alla fine. "Lasciamo perdere. Credo che... uhm... siamo tutti stanchi e possiamo aver le traveggole!" concluse, sogghignando per rassicurare la sorella, ma anche per dissuaderla dall'insistere su quell'argomento.

Veldhris fece spallucce. "Va bene, può capitare... Ci fermiamo un attimo a riposare?"

Sostarono dunque una mezz'oretta, più che altro per non smentire quanto Roden aveva detto a Veldhris, poi ripresero il cammino.

Poco dopo mezzogiorno, avvistarono dall'altra parte del fiume il capannone del traghetto, con la darsena poco lontana e, un po' discosta dalla riva, la casa dei barcaioli. Dai comignoli non saliva alcun filo di fumo, cosa anomala a quell'ora del giorno, quando solitamente si cucinava.

"Accidenti, non c'è nessuno!" sbottò Veldhris, delusa.

Roden sospirò. "Questo significa che dovremo arrivare a Tamya a piedi."

"E attraversare il fiume a nuoto, anche", aggiunse Kareth con una smorfia di stizza.

Veldhris pensò con preoccupazione al suo yord, di nuovo sottoposto a un indesiderato bagno.

"Stavolta però", disse Kejah con decisione, "non bagneremo tutto quanto: costruiremo una piccola zattera e ci metteremo sopra sacche e vestiti."

"Eccellente idea!" approvò Roden. "Mettiamoci subito al lavoro tu e io, mentre Kareth e Veldy preparano qualcosa da mangiare."

Lui e Kejah, dunque, trassero dai loro involti le accette e si allontanarono; poco dopo si udirono i primi colpi di scure mentre cominciavano a tagliare i rami adatti.

Nel frattempo, Veldhris e Kareth accesero un fuoco e prepararono il pranzo, stavolta a base di coniglio, anche questo già arrostito e tagliato a pezzi. Come contorno, scaldarono i funghi cucinati secondo la ricetta segreta di nonna Jada e conservati in un vaso di terracotta sigillato.

Quando fu tutto pronto, le due giovani donne chiamarono Roden e Kejah, che arrivarono subito portando ciascuno un fascio di rami abbastanza grossi e dritti, accuratamente sfrondati e tagliati in lunghezze più o meno uguali.

Dopo il pranzo, che tutti apprezzarono molto, Kejah e Roden presero le loro corde e legarono assieme i rami, usando i più piccoli come traversine. Ne risultò una piccola piattaforma alquanto irregolare ma che, alla prova, dimostrò di galleggiare bene.

"Magnifico", commentò Veldhris. "Almeno il mio povero yord non si bagnerà di nuovo."

Si spogliarono e caricarono sacche ed abiti sulla piccola zattera, dopodiché si calarono in acqua; legato un pezzo di corda alle due estremità di una delle traverse, Roden formò un cappio e se lo mise a tracolla, poi cominciò a trascinare l'imbarcazione improvvisata, mentre le tre donne la sospingevano da dietro a forza di gambe.

A causa della corrente, raggiunsero l'altra riva diverse decine di metri più a valle del punto in cui s'erano immersi, in un punto dove gli alberi arretravano a formare un'ampia radura; ansanti a causa dello sforzo, uscirono dall'acqua e tirarono la zattera in secca.

Veldhris alzò gli occhi al cielo in direzione di Tamya, oltre le punte degli alberi, e la sua espressione cambiò di colpo.

Vedendola impallidire, Roden si allarmò e guardò a sua volta nella direzione dello sguardo della sorella. La sua esclamazione soffocata indusse le gemelle a sospendere quanto stavano facendo e a girare gli occhi dov'erano rivolti quelli degli altri due.

Una grande oscurità sovrastava il luogo dove si trovava la Radura di Tamya, come se un'immensa cappa di tenebra fosse discesa dal cielo. Il sole, che splendeva in un punto diverso della volta azzurra, parve impallidire, come se la sua forza venisse risucchiata da quell'oscurità; un vento gelido percorse la Foresta, agitando e scompigliando le chiome degli immensi alberi.

"Che... che cos'è?" balbettò Kejah con un filo di voce.

Veldhris, senza voltarsi, rispose in un sussurro. "Il Potere Oscuro."

La sua stessa voce le parve estranea. Come al mattino, gli altri notarono sul suo viso l'espressione assente che li aveva preoccupati e di cui lei non era sembrata accorgersi. Tuttavia, stavolta Veldhris era cosciente di quello che le stava succedendo: era come se una voce riecheggiasse dentro di lei spiegandole cose arcane e misteriose che la riempivano di sgomento e che, allo stesso tempo, l'affascinavano. Era come una falena attirata dalla fiamma, che pure potrebbe bruciarla.

I quattro giovani, ricolmi di un'angoscia senza nome, continuavano a fissare quel muro di oscurità che catturava i loro sguardi, e più lo fissavano, più pareva loro di perdere il senso della vista. Era come diventare ciechi e non poterci fare nulla, nulla. La tenebra li ipnotizzava, li plagiava, li chiamava eppure li respingeva.

La sensazione durò finché, di colpo, la terrificante cappa di nera notte in pieno giorno scomparve. Il sole però non tornò a brillare vivace come prima, né il vento gelido di attenuò, continuando a frustare gli alberi.

Roden, Kejah e Kareth distolsero contemporaneamente gli occhi dal punto in cui si era trovata l'oscurità e li fissarono su Veldhris, quasi altrettanto irresistibilmente attratti come prima dalla tenebra.

Veldhris, ancora nuda dalla nuotata, era in piedi, irrigidita, i capezzoli ritti per il freddo e i capelli bagnati che svolazzavano nel vento. Ora teneva gli occhi serrati e la bocca morbida era ridotta a una linea pallida e sottile. Pareva in trance.

"Veldhris!" la chiamò Kareth, preoccupatissima.

Sentendo il proprio nome, la giovane donna aprì lentamente gli occhi e la sua espressione mutò, rimanendo però sempre profondamente angosciata. "Sento un pericolo", mormorò, e nel frastuono delle fronde agitare dal vento i suoi compagni stentarono a udirla. "Il Potere Oscuro è penetrato nella Foresta del Vespro, l'ha contaminata e ne ha preso possesso. Una delle ultime roccaforti della Luce è caduta..."

Di dove le venisse quella conoscenza, non aveva idea, ma le cose stavano esattamente come aveva detto, anche se lo avrebbe appreso soltanto qualche tempo dopo.

"Il Regno è perduto, ma non la speranza", proseguì, come parlando a se stessa. "Essa rinascerà dalle ceneri e sarà accompagnata dalla volontà di un mondo intero", s'interruppe ed il suo sguardo, prima perso nel vuoto, tornò vigile e presente mentre si volgeva agli altri; era ancora molto pallida e negli occhi le danzavano strani bagliori, che però tosto si spensero per lasciar posto allo sgomento. "Dobbiamo correre a casa!" gridò. "Presto, presto!"

Quell'improvviso scoppio di voce fece sobbalzare Roden e le gemelle. Il vento si placò quasi di colpo ed il sole riprese finalmente a brillare come prima. Nulla sembrava denunciare la presenza, poco prima, di quella spaventosa cappa di tenebra.

"Perché, Veldhris?" indagò Roden. "Cos'è successo?"

La giovane si era già precipitata verso la zattera e ne aveva prelevato gli abiti, che ora si stava infilando in tutta fretta, ignorando la chioma sgocciolante.

"Sento che è accaduto qualcosa di terribile", ansimò. "Dobbiamo muoverci, subito!"

L'incitamento non era più necessario: contagiati dalla sua ansia colma d'angoscia, i suoi compagni l'imitarono in fretta, vestendosi e caricandosi le sacche in spalla. Poi si avviarono sulla strada per Tamya con tutta la velocità possibile.

OOO

Camminarono per tutto il pomeriggio e si fermarono solo quando l'oscurità della notte li costrinse a farlo. Tutt'intorno al loro piccolo accampamento regnava un silenzio innaturale, che pareva appiccicarsi alla pelle e li riempiva di timore, al punto che Roden, stendendosi accanto al fuoco, lo tenne acceso tutta la notte, svegliandosi in continuazione per aggiungere legna.

Quando il cielo cominciò a ingrigirsi ad oriente, annunciando il nuovo giorno, e le ombre tra gli scuri tronchi degli alberi si furono sufficientemente diradate, i quattro giovani si rimisero in marcia. A mano a mano che si avvicinavano alla Radura di Tamya, la loro ansia cresceva a dismisura.

La visione che si presentò loro un paio d'ore dopo giustificava in pieno i loro timori.

"Oh sacri dei!"

L'esclamazione di Veldhris espresse tutto l'orrore che provavano. Come un albero schiantato, la cantante cadde in ginocchio, fissando gli occhi dilatati sulla scena che si stava loro impietosamente rivelando.

Laddove era sorta la capitale del Regno del Vespro, adesso non c'era più niente. Non una casa, non un albero, non una strada o una piazza. Tutto era ridotto a cumuli di informi macerie. Le immense piante giacevano a terra, divelte dalle loro gigantesche radici da una forza inimmaginabile. Persino il colossale Albero Albino, sede del Verde Palazzo ed orgoglio di tutto il Popolo della Foresta, era caduto, come un condottiero con i suoi soldati.

Tamya era stata rasa al suolo.

OOO

Occorse qualche tempo prima che Veldhris, Roden, Kareth e Kejah, annichiliti, si riprendessero abbastanza da distogliere gli occhi dalla devastazione e guardarsi in faccia l'un l'altro, smarriti. Poi, Veldhris si rialzò e, con movimenti meccanici, si inoltrò fra le rovine. Gli altri la seguirono istintivamente, come istintivamente lei si stava dirigendo verso un punto preciso della città distrutta.

Per arrivarci, furono costretti a numerose deviazioni, la via essendo in più punti sbarrata da alberi abbattuti ed ammassi di macerie. Veldhris procedeva con gli occhi sbarrati, come allucinata, attraversando quell'incubo fattosi realtà, incapace di formulare pensieri concreti, i sentimenti ridotti a un groviglio di sensazioni confuse.

Giunsero infine davanti ad un cumulo di rovine, ai piedi di un grande albero sradicato: tutto quello che rimaneva della bella abitazione di Barod Unkorden.

Veldhris si immobilizzò di colpo, tanto che Kareth, che la seguiva dappresso, quasi cozzò contro di lei. Impietriti, i quattro giovani fissarono i resti della loro casa, sentendosi sommergere dalla disperazione, sbigottiti, smarriti, sconvolti.

Con un'esclamazione rauca, Roden lasciò cadere la sua sacca e si slanciò sulle macerie, avventandosi contro di esse con le mani possenti, scavando freneticamente. Ed intanto piangeva, piangeva, in preda alla disperazione.

Kejah, annientata, si afflosciò a terra, incapace di reggersi in piedi, e Kareth si lasciò cadere accanto a lei per abbracciarla. Anche loro piangevano, lacerate dai singhiozzi.

Solo Veldhris non pianse. Corse dal fratello adottivo e si aggrappò alle sue braccia, tentando con le sue esili forze di fermarlo, di bloccargli le mani già ferite e sanguinanti.

"Fermo! Fermo, Roden!" lo implorò, accorata. "Cosa speri di fare?!"

"Devo trovarli! Devo salvarli!" strillò lui, come impazzito, cercando di respingerla, ma lei gli rimase ostinatamente aggrappata.

"È troppo tardi, Roden", gli disse. "Sono morti! Non serve a nulla, fratello mio... è troppo tardi..."

Per un lungo momento, Roden si rifiutò di capire; poi le parole della sorella penetrarono oltre la nebbia di dolore che avvolgeva il suo cervello e un urlo di sofferenza infinita gli eruppe dalla gola. Cadde sulle mani e sulle ginocchia, fissando le rovine.

"Se è così, devo trovarli per seppellirli..." mormorò.

Veldhris lo strinse a sé in un abbraccio, tentando di confortarlo. "Sono già sepolti, qui sotto, e qual miglior tomba della casa che ha conosciuto la loro felicità...?"

Finalmente Roden distolse gli occhi dalle macerie ed incontrò lo sguardo supplichevole della sorella.

"Credimi, Roden", disse lei sottovoce. "Non serve a nulla. Così ti fai solo del male."

Lentamente, i muscoli del giovane si decontrassero. Si mise a sedere sui talloni, mentre sul suo viso forte scorrevano le lacrime. Quella vista lacerò il cuore di Veldhris, che gli cinse il collo con le braccia, tornando a stringerlo a sé. Roden la ricambiò, cercando ed offrendo consolazione.

Rimasero così per qualche minuto, poi Roden si sciolse dall'abbraccio e si alzò, aiutando la sorella a fare altrettanto. Assieme, si avvicinarono a Kareth e Kejah, che erano ancora inginocchiate a terra, l'una tra le braccia dell'altra, i volti nascosti e le spalle scosse da singhiozzi silenziosi. Roden si sedette accanto a loro e le abbracciò

Veldhris stava per fare la stessa cosa, quando un suono attrasse la sua attenzione. Sorpresa, la giovane donna si guardò attorno alla ricerca della fonte, e quando il suono si ripeté, si diresse verso il tronco dell'albero che aveva sostenuto e ospitato la sua casa.

Di nuovo il suono si ripeté e stavolta Veldhris lo riconobbe: era il guaito di un cane. Frugando attentamente con lo sguardo sotto l'albero abbattuto, scoprì una piccola forma che si agitava. Avvicinandosi ulteriormente, la cantante vide che si trattava effettivamente di un cagnolino; una delle zampette posteriori era incastrata sotto un ramo.

La bestiola la sentì arrivare ed alzò il musetto verso di lei. I suoi grandi occhi marroni erano pieni di dolore e Veldhris si sentì sommergere dalla compassione. "Povero piccolo", mormorò, inginocchiandosi accanto al cagnolino. "Non temere, ora ti aiuto io."

Afferrò il ramo con entrambe le mani e lo sollevò con tutte le sue forze. Il legno leggermente elastico cedette quel tanto che bastava per permettere al cagnetto di sgusciar via, ma evidentemente era indebolito dalla perdita di sangue e non riuscì a muoversi. Veldhris non poteva abbandonare la presa con una mano per aiutarlo, altrimenti il ramo sarebbe nuovamente caduto. "Roden!" chiamò quindi. "Vieni qui, presto!"

Allarmato dal grido della sorella, Roden balzò in piedi e corse da lei.

"Svelto, tiralo fuori da lì!" lo esortò Veldhris, indicando la bestiola intrappolata con un cenno della testa.

Rapidamente, Roden afferrò il cagnolino e lo tirò fuori con delicatezza, permettendo a Veldhris di mollare il ramo.

"Povero piccolo", disse Roden, ripetendo senza saperlo le parole della sorella adottiva.

Kareth, che si era avvicinata assieme a Kejah, si inginocchiò e tastò con precauzione la zampetta ferita.

Veldhris si accorse di trattenere il fiato in attesa della diagnosi.

"Niente di rotto", annunciò la cacciatrice, e Veldhris si sentì sollevata.

Kareth usò un po' dell'acqua della sua borraccia per lavare la ferita della bestiola, poi la fasciò con una striscia di stoffa che Veldhris strappò all'orlo della sua tunica.

A tutti e quattro i giovani pareva di trovarsi di fronte a un miracolo: avevano trovato una scintilla di vita in una città dove la vita era stata spenta con incredibile brutalità.

OOO

Passò più di un'ora, durante la quale Roden e Kejah andarono un po' in esplorazione per le strade distrutte di Tamya, mentre Veldhris e Kareth rimasero davanti ai resti della loro casa, intente a curare il cagnolino. Nessuno di loro sapeva cosa fare o dove andare, o quale poteva essere lo scopo della loro vita da quel momento. Non solo i loro cuori erano stati feriti a morte dalla perdita di tutte le persone più care, ma il cuore stesso del Regno era stato colpito a morte: con la distruzione di Tamya e della Famiglia Reale, la Foresta del Vespro si ritrovava improvvisamente priva di guida e di sostegno.

Kejah e Roden tornarono, affranti.

"È tutto molto strano", disse il boscaiolo, lasciandosi stancamente cader seduto vicino alla sorella e alla cugina. "Non si riesce a capire che cosa abbia provocato questa catastrofe. Evidentemente non è stato un terremoto, altrimenti l'avremmo sentito anche noi; ma avremmo visto o sentito anche un incendio, un'alluvione o un uragano, che comunque avrebbero lasciato delle tracce."

"E un'altra cosa", aggiunse Kejah, accovacciandosi accanto al cugino. "Non è possibile che tutti si trovassero dentro casa, qualcuno era certamente in giro per le strade. Anzi, data l'occasione doveva esserci una gran folla, e invece non c'è nemmeno un cadavere, né di persone né di animali. È come se tutti gli esseri viventi che c'erano in città si siano... dissolti. Tranne questo botolo", concluse, facendo una piccola carezza al cagnetto.

Veldhris, che a sua volta stava accarezzando la bestiolina, sollevò gli occhi verso di lei. "C'è ancora qualcuno di vivo, in città", disse con voce atona. La sua non era una domanda, bensì un'affermazione, così convinta che Roden e le gemelle, d'istinto, si guardarono intorno, aspettandosi di vedere qualcuno sbucar fuori tra le macerie.

"Veldy, ma che dici?" domandò Kejah, stupita e preoccupata. "Nessuno può essere sopravvissuto a questa sciagura: Tamya è stata letteralmente rasa al suolo, spazzata via!"

Il suo tono era ragionevole, ma Veldhris scosse la testa. "Eppure, c'è ancora qualcuno in vita, vi dico. Lo sento. È... è come un richiamo, anche se non ha parole."

Il suo sguardo vagò da un viso all'altro, cercando di persuadere i suoi interlocutori.

Infine, Kareth sospirò. "Se le cose stanno veramente come dici, allora dobbiamo cercare la fonte di questo... richiamo. D'altronde, non abbiamo niente da perdere."

Indeciso, Roden considerò la cosa. "Va bene", disse infine. "Mettiamoci alla ricerca di questi fantomatici sopravvissuti."

"Non sono fantomatici!" scattò Veldhris, infastidita dal tono condiscendente del fratello. "Ti ricrederai non appena li troveremo!"

Roden si morse un labbro: non era stata sua intenzione mettere in dubbio la parola della sorella. "Scusami", disse, contrito.

Veldhris fece un mezzo sorriso e scosse il capo, come a dire non fa niente: poiché era una persona dalle emozioni subitanee, pronta tanto alla risata quanto all'ira, aveva già dimenticato l'involontario torto che Roden le aveva fatto.

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