8. A PARIGI
Quando ci fu il nuovo avvicinamento tra me e Kyle? E chi dei due lo iniziò? Tutt'oggi non saprei rispondere a questa domanda. Più cerco di riflettere, meno i pensieri hanno senso. Sono solo nebbia che mi sfugge tra le dita.
Accadde forse durante il periodo a Parigi, dove seguimmo nostro padre. Ci convocò nel grande salotto una sera tardi.
Tania mi trascinò sul divano, gli occhi che le brillavano come diamanti. –Vedrai che ci vorrà consegnare dei regali-
La sua vita era fatta di complimenti, regali, sogni. Ogni tanto avrei voluto essere come lei. Capace di vivere l'attimo senza soffermarsi troppo sul resto. Sfortunatamente non ero fatta così. Ero altra carne, altro sangue, altra pelle.
-Speriamo che siamo dei nuovi vestiti, sono proprio stufa delle sciocchezze che dobbiamo indossare- allungò le gambe e fece scivolare i piedi fuori dalle scarpette per affondarli nel tappeto. –Oh, vorrei anche delle scarpe nuove, queste sono così scomode-
-Io vorrei dei libri- mormorai. La biblioteca del paese non aveva nuovi romanzi da mesi e quella della casa, frutto di generazioni e generazioni, l'avevo ormai depredata più e più volte. Volevo qualcosa di nuovo, pagine che potessero stuzzicare la mia fantasia.
-Libri? Ma se abbiamo la casa piena di libri!-
-Libri che ormai ho letto-
-Colpa tua, dovresti andare più piano con la lettura- raccolse le gambe sotto di sé, in una posa scomposta che nostra madre non avrebbe mai approvato.
-Voglio portarvi a Parigi- mio padre sorrise. –Che ne pensate?-
Tania lanciò un gridolino. –Parigi? Ma è la madre di tutte le mode- si lanciò giù dal divano. –Sì, sì, sì- cominciò a saltare, i capelli che le ricadevano sugli occhi.
-Tania- la riprese nostra madre, le braccia conserte, muovendo la testa come a dire che era rassegnata.
Mio padre preparò l'automobile e una settimana dopo partimmo per Parigi. Arrivammo di notte, le luci che facevano splendere il buio. Non avevo mai immaginato che in un posto ci potesse essere tanta vita, tanta gente, tanta promessa di realizzare ogni sogno. Tania fissava ogni cosa con il naso premuto contro il finestrino.
-Non posso crederci-
Era la realizzazione di ogni suo sogno più oscuro. Un mondo lontano dalla provincia in cui lei avrebbe potuto essere una regina e non l'esclusa.
Kyle invece se ne stava affondato nel sedile, le mani chiuse in pugni, l'espressione imbronciata. Era vicino a me, il suo braccio che accarezzava il mio a ogni movimento, ma m'ignorava. Come sempre.
Il giorno seguente visitammo la città. Tania camminava per le strade come se tutta Parigi dovesse inchinarsi al suo passaggio. A scuola cominciò ad attirare ragazze che volevano essere sue amiche. Mi sentivo a disagio. Non ero più Naila, ma la sorella di Tania. Presto cominciai a passare il tempo al mio banco, una bugia sulle labbra quando Tania mi chiedeva se volevo unirmi al suo gruppo. Dovevo ripassare, avevo mal di testa, mi ero fatta male a una caviglia. Bugie, bugie, bugie. Sempre meglio che essere trascinata nel gruppo, dove sarei stata oggetto di scherno. Tania avrebbe iniziato a svelare i miei difetti, un mago che mostra un trucco, le altre avrebbero riso e si sarebbero accodate. Mi mancava la vecchia scuola. Quei banchi messi nel retro della chiesa, quelle compagne che evitavano Tania perché troppo esuberante, troppo eccentrica, troppo rumorosa. A Parigi invece sembrava che la personalità di Tania fosse la più corteggiata.
Mi ritrovavo a tornare a casa senza mia sorella, lei sempre persa in qualche occasione sociale con le sue nuove amiche. Fu così che ricominciò il legame con Kyle. All'inizio facevamo insieme la strada per casa. Fianco a fianco. In silenzio. Mi dava conforto il fatto di non essere sola in una città così grande. Nonostante i miei sforzi per parlare Kyle sembrava preferire il silenzio e così lo assecondavo.
Mi aspettava fuori da scuola nonostante lui avesse orari diversi e finisse in anticipo. Mi sentivo tesa ogni volta che scendevo le scale che portavano all'ingresso, la segreta paura che un giorno Kyle non sarebbe stato lì, con i suoi capelli neri e la muta presenza, ad aspettarmi per scortarmi fino a casa.
Un pomeriggio una pioggia torrenziale si abbatté su Parigi. Non eravamo nemmeno a metà strada.
-Credo che sia meglio trovare un riparo- sollevai la cartella nel tentativo di ripararmi, ma avevo già l'abito grigio, rubato dal guardaroba di mia madre per sembrare più donna, zuppo di pioggia.
-C'è un locale, non dista molto, ho qualche soldo, potremmo prenderci da bere-
Lo fissai, sorpresa. Non parlava così tanto da parecchio. Non con me. A essere onesta non mi aspettavo nemmeno una risposta.
La pioggia gli aveva appiccicato i capelli al viso e le gocce gli scivolavano sulle guance come lacrime. -Potremmo stare lì fino a quando non smetterà di piovere-
Annuii. Pioveva così tanto da farmi mancare il fiato. –Ti seguo-
E fu allora che Kyle fece una cosa che non aveva mai fatto. Avanzò di un passo, sollevò una mano, la pioggia tra le dita, mi toccò la spalla. Non compresi subito. Kyle non toccava mai nessuno volontariamente. Erano al più urti casuali, seguiti da un allontanamento tanto repentino da infastidire l'altra persona. Quella volta però non si ritrasse e i suoi occhi si agganciarono ai miei. Non mi aveva mai guardata così. Nessuno mi aveva mai guardata così. La pioggia, il traffico, la sgradevole sensazione degli abiti bagnati. Ogni cosa scomparve sotto quello sguardo. Era come se ci fossimo noi due. Noi due e basta.
Kyle interruppe un contatto dopo un tempo che parve enorme. Guardai il suo braccio che gli ricadeva lungo il fianco. Non aggiunse una sola parola, come se avesse parlato, come se si fosse pentito di quel singolo gesto, come se il mondo stesse per esplodere e lui non sapesse cosa fare. Mi diede le spalle e svoltò l'angolo. Lo seguii, il cuore che impazziva, una sensazione di estraneità, come se stessi vivendo un sogno e non la realtà.
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