6. IL MURO

Il muro scivolava tra la nostra casa e quel mondo misterioso, dove doveva esserci un'altra dimora, spettro della nostra. Se non ci fosse stato un muro quello che c'era dall'altra parte non ci avrebbe interessate. Ma metti un divieto, un ostacolo, un no e subito le persone cominciano a farsi domande.

-Cosa c'è là dietro?- Tania saliva sugli alberi per guardare, se ne stava in bilico sui rami, i capelli mossi dal vento, una mano aggrappata al tronco, l'altra sugli occhi a schermare la luce. Sembrava uno scoiattolo. –Vedo solo alberi-

-Credo che ci sia un bosco- le rispondevo, seduta sotto di lei, un libro che descriveva i dintorni aperto sulle gambe. Erano le memorie di un mio prozio che, in un attimo in cui si era creduto onnipotente, aveva scritto della sua vita, con la certezza che il mondo intero ne volesse venire a conoscenza. Aveva venduto poche copie e aveva passato il resto della vita a inveire contro chi non aveva letto quello che credeva essere un capolavoro. –Ho messo a soqquadro la biblioteca, ma non ho trovato molte cose- e fissavo i disegni fatti a mano del mio antenato, che come il barone di Munchausen aveva narrato storie che avevano ben poco di reale.

-Mmm... per esempio?-

-Secondo questa storia dovrebbe esserci un mostro tanto per cominciare... ma dubito che un muro come questo possa allontanare un mostro-

Tania diventava silenziosa dopo queste conversazioni. Non sapevo mai cosa stava pensando... fino a quando non mise in pratica un piano che progettava da tempo, sviscerando ogni parte.

L'idea era quella di scoprire cosa ci fosse oltre il muro. Fu così che riempì una borsa di tutto quello che sarebbe potuto servire per la partenza e uscì di notte senza dirmi nulla. Mi svegliò un senso di gelida solitudine, come se all'improvviso fossi stata presa e buttata nel ghiaccio. Mi misi seduta nel letto, gli occhi annebbiati, il cuore che batteva forte contro le costole, una cupa melodia. Avevo la certezza che ci fosse qualcosa di sbagliato. Una crepa che percorreva la realtà. Scivolai giù, i piedi contro il pavimento di pietra. Sapevo dove doveva andare. Sapevo chi non avrei trovato nel suo letto.

Mi bastò sbirciare oltre la soglia della sua stanza. Tania se n'era andata a inseguire una chimera.

Corsi. Le peggiori immagini mi rimbombavano nella testa. La vidi in giardino.

Una sagoma che avanzava, la schiena dritta, una borsa tra le mani.

-Tania- urlai.

La sagoma sussultò, ma non si voltò. Continuò a camminare, rapida. Non si sarebbe fermata. Quando Tania si metteva in testa qualcosa non si fermava mai.

Mi lanciai su di lei. Tania barcollò.

-Lasciami, lasciami-

-Non posso lasciarti- gemetti. –Non ti lascerò andare oltre al muro- non potevo immaginare un mondo senza Tania. -Non voglio perderti-

Mia sorella protestò, urlò, si divincolò. Alla fine cedette. Tornammo quando il cielo si colorava d'arancio. Non parlammo più del muro e di quello che avrebbe dovuto esserci dietro di esso.





Tania si concentrò così sulla creazione dei propri abiti. Li faceva nascere da qualsiasi pezzo di stoffa che riusciva a trovare. Cuciva, tagliava, decorava. Mi faceva prendere dalla sua euforia e l'aiutavo, entusiasta di poterlo fare. Non fui mai brava come lei. Non m'impegnai nemmeno troppo. Era una di quelle cose per cui non ero abbastanza brava. Una di quelle cose per cui, lo sapevo bene, ero negata. Non me la presi mai. Era bello vedere il genio di Tania. Assisterla era un po' come stare vicino a Michelangelo e Caravaggio. Potevo godere della sua bravura riflessa. Tania non fu mai egoista. Ricordo molti abiti che creò per me, per nostra madre, perfino per la zia. Ci metteva molta energia ed era capace di stare chiusa un giorno intero in camera sua.

Non fece invece mai abiti per le nostre compagne di scuola, per la maestra, per le donne del paese. Tania non voleva che avessero qualcosa di suo.

-Non mi apprezzano per davvero- mormorò una sera, gli occhi rossi per la fatica. Aveva cucito tutto il giorno e ancora non smetteva. Io le tenevo sollevate le stoffe rosse.

-Non apprezzano nemmeno me- le risposi. Avevo notato come l'insegnante evitasse di affidarmi compiti importanti, quasi fosse sicura che non sarei riuscita a portargli a termine. E poi c'erano le compagne che mi parlavano, sì, ma non cercavano mai di creare un'amicizia. Scoprii un giorno, ascoltando una loro conversazione, che mi consideravano tanto insignificante da non dare importanza alla mia presenza. Per loro ero indifferente. Tania aveva il problema opposto. Era troppo per loro. Troppo entusiasta, troppo appariscente, troppo bella. Ne avevano paura e spesso le persone quando hanno paura di qualcosa lo attaccano o lo evitano. Questo spiega i loro comportamenti nei confronti di mia sorella.

-Con te è diverso, tu puoi essere accettata- ricordo lo sguardo di Tania, quel velo di tristezza che le annebbiava le pupille. –Io no e mi taglierei una mano pur di esserla-

Ed ecco la grande differenza tra me e Tania, quel fil rouge che percorse il nostro rapporto. Il desiderio e l'incapacità di Tania di farsi accettare, il mio desiderio e la mia incapacità di farmi amare. –Per l'accettazione? Non sarebbe meglio l'amore?-

Tania rise, una risata che la scosse e le fece cadere i capelli in viso. –Perché vuoi l'amore? È una cosa così stupida... così da romanzo- scorse il naso –non è meglio che tutti ti vogliano? Che t'invidino? Essere la regina del mondo?-

La regina del mondo. Quello che Tania voleva essere. Non amata, ma voluta. Non penso che lei comprese mai la differenza. Confondeva l'essere voluta con l'essere amata. Fu questo il suo più grande errore.

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