22. KYLE TORNA A CASA
Kyle uscì di prigione una mattina. Luci dorate gli scivolavano sul volto olivastro e gli davano un'aria spettrale. Avanzava con passo deciso. Lo avrei voluto abbracciare, stringere forte, baciarlo, ma mi costrinsi a rimanere dietro i miei genitori, le mani raccolte in grembo, il cuore che mi batteva all'impazzata. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere cos'avevo fatto. Il mio lato oscuro nasceva e finiva lì, in quell'evento.
-Sono felice che tu sia tornato- mia madre fece un passo avanti e gli appoggiò una mano sulla spalla.
-Grazie- Kyle fece un cenno con la testa.
Mio padre gli sorrise. -Sapevo che non potevi essere stato tu
Io e Kyle non ci parlammo. Sebbene bruciassi dalla voglia di scambiare qualche parola con lui sapevo che era più prudente non farlo. In nessun caso.
Tania non mi perse di vista per tutta la cena. -So che hai fatto qualcosa- mi sussurrò.
Lo attesi sveglia in camera mia, appoggiata a una catasta di cuscini, il cuore che mi pulsava ovunque, in mano un libro che non riuscivo a leggere. Sapevo che durante il periodo in prigione era stata tracciata una linea tra noi due. Non tra, ma l'uno verso l'altra. Era il momento di capire quanto fosse spessa.
Kyle arrivò dopo mezzanotte. Aveva atteso che tutti fossero a dormire e che nessuno lo vedesse. Aprì la porta, mi fece cenno di fare silenzio, entrò. Posai il libro sul comodino e diedi dei colpetti al letto. Mi si accomodò vicino. Il braccio sfiorò il mio e mi trasmise un brivido.
-Sarei venuto prima, ma tuo padre ha voluto che giocassi con lui a scacchi- si lasciò ricadere contro i cuscini.
-Ha il sapore di un tentativo di farsi perdonare
-Sì, potrebbe esserlo- socchiuse gli occhi. Adesso che era vicino, nonostante il buio, potevo vedere quanto fosse provato. Aveva gli zigomi più affilati, occhiaie scure, piccole rughe sulla fronte. Gli spinsi indietro i capelli, assaporandone la consistenza setosa. –Non voglio il suo perdono, non me ne frega niente di quello che pensa... non mi ha creduto, se non ci fossi stata tu sarei stato abbandonato
Quelle parole mi riempirono d'orgoglio. Mi lasciai scivolare vicino a lui, la testa sui cuscini, le labbra vicine. I ricordi dei suoi baci mi esplosero nella mente. Ce ne sarebbero stati altri?
-Lo hai fatto tu?- le parole erano un soffio talmente leggero che avrei potuto credere di essermele immaginate. –Sono libero grazie a te?
-Non ho fatto nulla d'importante
-Hai fatto quello che serviva, hai creduto in me, hai rischiato per me, cosa posso fare per sdebitarmi?
-Non c'è bisogno di sdebitarsi- il cuore aveva cominciato a battere più veloce. Era bello stargli vicino. Mi faceva sentire viva, completa, vera. Se solo ci avessi pensato avrei compreso quanto quel nostro rapporto fosse impossibile. Non eravamo destinati a stare insieme. Non avremmo potuto essere altro che amanti. Di nuovo la parola amante con tutte le connotazioni che portava con sé. Pesanti come macigni.
-Non me ne dimenticherò- chiuse gli occhi, le labbra tese nel tentativo di soffocare uno sbadiglio.
-Dovresti dormire
-Vale lo stesso per te
-Sì, forse hai ragione- mi avvicinai a lui e gli scivolai tra le braccia, la fronte contro la sua spalla. –Dovremmo ricordarci che domani i miei genitori non possono trovarci qua insieme
Kyle mi strinse a sé. L'abbraccio che non aveva potuto darmi uscito di prigione e che mi dava ora, nella mia camera buia. Perché noi appartenevamo al buio. –Beh, spero che ci sveglieremo presto, altrimenti verrò sbattuto fuori di casa per un altro motivo- una risatina. –Dovrei esserci abituato ormai
-Non te ne dovrai mai più andare-
Dormimmo abbracciati.
Nei giorni seguenti non riuscimmo a passare molto tempo insieme. Mio padre sembrava aver riscoperto Kyle, lo conduceva ovunque. Io facevo finta che la vita andasse avanti.
Ritagliammo attimi per stare insieme. Soprattutto la notte. Kyle aspettava che fosse passata mezzanotte per venirmi a trovare. La prudenza non era mai troppa. Mi portava dei racconti. Lovecraft. Ce ne stavamo vicini, una candela tra le mani tremanti, unica fonte di luce. Temevamo di usare la corrente elettrica, sarebbe stato rischioso se qualcuno l'avesse vista.
Leggevamo, le gambe intrecciate sotto le lenzuola, la sua bocca che mi sussurrava la traduzione delle parole che non comprendevo. Erano momenti di pura intimità, più di quelli in cui dormivamo fianco a fianco. Condividevamo gli stessi pensieri, corpo accanto a corpo. Passavamo ore e ore così, dopo le quali crollavamo, le teste sui cuscini, vicinissime.
Dormivamo poche ore e al mattino ero esausta. La mia stanchezza attirò l'attenzione di mia madre, terrorizzata al pensiero che potessi essere malata. Fui costretta a sottopormi a visite mediche e a bere strani intrugli. Si parlò di tisi, tifo, scarlattina.
-Penso che mia madre inizi a credere che uno degli spiriti della casa si stia impossessando di me- confessai una notte a Kyle.
-Sembra una storia di Lovecraft- la sua mano risalì la mia schiena riuscendo a provocarmi un brivido che mi sforzai di soffocare.
-Il mistero è come riesci tu a essere così pieno di energie nonostante dorma ancora meno di me
Kyle doveva sempre uscire dalla mia stanza prima dell'alba per non essere scoperto. –Credo che sia perché sono contento- la sua mano premette di più.
-Mmm, solo contento?
-Felice come mai in vita mia?- spinse indietro la testa per potermi guardare negli occhi.
-Sì, così può andare... ma la mia felicità non mi riempie di energia, al contrario, si direbbe che me la toglie- soffocai appena uno sbadiglio. –Dormirei tutto il giorno
-Avrai una felicità vampira
Scoppiai a ridere e dovetti premere la bocca contro il suo petto perché quella mia felicità non rimbombasse nella stanza e poi nel corridoio per risvegliare tutta la casa. Quando finalmente la risata si calmò lo abbracciai. –Una felicità vampira... questo è degno di un romanzo di Lovecraft
-O di Allan Poe
Altre risate. Le mie, le sue, semplicemente le nostre. Perché ogni cosa smetteva di essere di proprietà dell'una o dell'altro, ma diventava di entrambi. Noi.
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