Capitolo 8
1555, Stackpole.
I passi di Alene si fanno più veloci, più irritati. Uno scalpicciare che rimbomba nelle orecchie di Marcie, che l'ammutolisce e che riesce perfino a farla deglutire a vuoto. Più eloquente di qualsiasi discorso, più inquisitorio di un rimprovero. Ma si ferma di colpo: le suole scivolano sul pavimento, scricchiolano appena. I tacchi che fanno da perno, poi il frusciare della gonna di raso.
«Come lo ha scoperto?» domanda. Guarda Marcie con stizza, riesce addirittura a dubitare della sua buonafede. Nemmeno le lascia il tempo di rispondere che subito si affretta a dire: «Dovevi soltanto avvisare Bastian, non chiacchierare con la servitù.»
«Perdonatemi, Madame.» Non sa cos'altro dire, come giustificarsi. La testa china e gli occhi bassi, mormora: «Emma voleva sapere dove e quando servirvi la colazione, non volevo chiacchierare con nessuno...»
«Eppure lo hai fatto» sbotta. Il tono alto, inquisitorio. «Mi hai fatto perdere tempo, hai permesso a mio marito di avvisare Bruce e fermare Bastian.» Stringe le dita tra loro, cerca di mantenere una postura composta: il mento alto e le spalle dritte. Batte appena le palpebre, poi distoglie lo sguardo. «Andrò io...» mormora.
Marcie trema sul posto, strabuzza gli occhi. Vede Alene muovere un passo verso la porta e prova a raggiungerla. «Madame, non dovreste sfidare così apertamente il Marchese.»
«Non sto sfidano nessuno, Marcie... Meno che mai mio marito» la corregge. O almeno così dovrebbe continuare a sembrare, si dice. Allora si volta a guardarla, cerca di accennare un sorriso. «Louis si preoccupa troppo per la mia salute, ecco tutto. Ma non dovrebbe, nessuno di voi dovrebbe. Il Conte Amauri de Rivière si è già pronunciato in proposito...» aggiunge piano, sbiancandosi le nocche. «Un po' d'aria fresca mi farà bene.»
«Come volete, Madame» soffia l'interpellata. E fa la riverenza, solleva il capo solo per scorgere le sue spalle che si allontanano lungo il corridoio.
Ma, nonostante le premesse, nonostante la traversata fino alle stalle, ciò che Alene si trova di fronte è un muro insormontabile: Bruce. Perciò lo guarda, lo provoca con superiorità. «Mi è stato riferito che il Marchese, mio marito, ha dato ordine di non disporre il calesse» Una sola occhiata, una minaccia silenziosa. Poi punta i piedi fuori la porta e attende una risposta che non tarda ad arrivare:
«Sì, Madame.»
Alene restringe lo sguardo, infine aggiunge: «Ho bisogno di fare una passeggiata, ne vale della mia salute.»
«Vostro marito non la pensa allo stesso modo. Al contrario, crede che troppe passeggiate possano ledere al bambino che portate in grembo.» Una replica esemplare, una degna interpretazione delle blande preoccupazioni di Louis Holland. Bruce lo sa, perciò mantiene lo sguardo fisso su Alene e non accenna neppure a distoglierlo. Devo controllarla, si dice. Non posso permetterle d'indispettire Sir Holland.
«L'aria di campagna non lede affatto, Bruce» dice. «Ho partorito due bambini, e mio marito lo sa.» Scuote la testa, continua a sfidarlo con un sorriso e aggiunge: «Tra l'altro è stato lui stesso, qualche tempo fa, a interpellare il Conte de Rivière per una consulenza.»
«Potete respirare l'aria della campagna anche nei vostri giardini, Madame.» Non dice altro, la osserva e basta.
Le sopracciglia aggrottate, le guance appena colorite dall'indignazione. «Bruce, ti ordino di...» inizia a dire. Ma poi si blocca, si lascia interrompere dal suo sguardo torvo.
«Non posso farvi passare» dice lui. «E non ordinatemi nulla, risparmiatevi questa fatica. Rispondo unicamente agli ordini di Sir Holland.»
Alene digrigna i denti, si scompone appena. Solleva una mano di scatto e fa per colpirlo, tuttavia viene fermata e, per giunta, prima ancora di raggiungere il suo viso. «Lasciatemi» sibila. Sente le dita di Bruce stringerle il polso e subito s'infiamma di rabbia.
«Perdonatemi, Madame» ripete. Allenta la presa e la vede retrocedere di un passo, ritirare la mano, massaggiarsi la zona offesa. Poi serra le labbra, socchiude gli occhi e abbassa di poco il mento. «Mi dispiace» mormora.
Ma Alene non dice nulla, indurisce soltanto i muscoli del viso. Perché mi fai questo? Si chiede. Perché proprio tu? E distoglie lo sguardo, si affretta a costeggiare il margine destro del palazzo. Una fitta al ventre la fa barcollare, la frena a un passo dal muro chiaro. Poi allunga una mano, tentenna, trattiene perfino il fiato. Sente le lacrime premere per uscire e, chissà come, le blocca. Infine solleva la testa, torna a camminare con orgoglio. Sale le scale dell'entrata principale, si morde le labbra. «Proprio tu, Bruce?» Un mormorio che non riesce a trattenere.
Malgrado gli arazzi che ricoprono buona parte delle pareti e il tappeto ai piedi del letto, la stanza è fredda. Forse per via del camino spento o forse ancora per la finestra socchiusa: Elliot non sa dirlo con certezza, tuttavia continua a stringersi nelle spalle. Gli occhi fissi sul vassoio vuoto, le labbra martoriate dai denti e l'ematoma, che, sulla tempia, spicca di un colorito giallognolo, appena tendente al verde. Deglutisce a fatica e, sempre a fatica, riesce a guardare Louis. La tensione palpabile, lo scricchiolio dei cassetti larghi che si chiudono sotto il suo tocco. Resta in silenzio, poi lo vede sedersi sulla sedia: le gambe incrociate e dei vestiti piegati sulle ginocchia.
La sua voce vibra all'improvviso. «Dovrebbero andarti bene» dice. Ha l'aria assorta, persa tra i ricordi, e le dita che sfiorano i ricami argentei del farsetto di velluto.
Elliot si riscuote, batte le palpebre. «Come?»
«I vestiti, dico.» Louis distoglie lo sguardo, lo solleva su di lui. «Non sono nuovi, ovviamente, ma dovrebbero calzarti.» Allora si alza dalla sedia, posa gl'indumenti sul bracciolo e muove un passo in avanti.
«Non ne ho bisogno, Sir» mormora. Dapprima osserva Louis, poi la sedia che questi ha abbandonato. Non ho mai visto una stoffa simile, si dice. È così elegante... E si umetta le labbra, scuote appena la testa.
«Eccome, invece!»
«Ho già dei vestiti...» prova a dire, venendo subito interrotto da uno sbuffo seccato di Louis.
«Ah, sì?» Arriccia il naso, lo squadra da capo a piedi: la camicia sporca, lacera, e i pantaloni leggeri, macchiati d'erba e chissà cos'altro. «Quelli sarebbero dei vestiti?» domanda e continua a fissarlo fin quando non è certo di averlo messo a disagio, fin quando non gli vede serrare le labbra. «Non me ne faccio niente di uno sguattero ammalato» borbotta.
La voce ridotta a un soffio, quasi timorosa di farsi sentire. «Uno sguattero, come dite voi, non ha bisogno di vestiti tanto sfarzosi.»
«E cos'altro credi di essere, Flea?» sbotta sarcasticamente. Non gli dà neppure il tempo di rispondere, perché subito aggiunge: «A ogni modo, sempre ammesso che tu voglia uscire da questa stanza, dovrai indossarli.» Storce le labbra in un moto d'irritazione e incrocia le braccia al petto. «Non ho intenzione di farti girare per il palazzo in queste pietose condizioni.»
«Mi farete uscire?» chiede di getto. Lo vede annuire, così accenna un sorriso tremante. Ma cosa succederà una volta fuori di qui? Tentenna, abbassa di nuovo gli occhi e trattiene un grugnito afflitto. Mi farà lavorare a palazzo con quei vestiti per poi togliermeli da un giorno all'altro e farmi correre nudo nel bosco?
«Cos'hai adesso? Ti sei ammutolito?» domanda, nuovamente esasperato. «Oppure stai pensando di vendere anche i miei vestiti smessi?»
Elliot aggrotta subito le sopracciglia e si volta a fronteggiarlo con un'occhiataccia. «Non sono un ladro» dice.
«È la tua parola contro la mia, Flea» sibila.
L'interpellato restringe lo sguardo, lo sfida. «Se credete che io sia un ladro, Sir, permettetemi di dirvi che voi siete inopportuno.»
«Inopportuno?» echeggia perplesso.
«Inopportuno, sì.»
Lui digrigna i denti, lascia scivolare le mani lungo i fianchi. «Perché mai? Io mi baso su un dato di fatto: sei tu il moccioso che ha cercato di vendere la mia campanella...»
«Anche io mi baso su un dato di fatto» lo rimbecca. «Questa mattina avete agito in modo inopportuno.»
Corruga le sopracciglia e serra i denti con più foga. Mi sta forse dando dell'invertito? si chiede. E prova a trattenersi, tuttavia non ci riesce. «Come osi?» ringhia. Lo vede deglutire, irrigidirsi. Mi offende senza distogliere lo sguardo, inaudito! «Non sono stato affatto inopportuno» scandisce.
Ed Elliot incalza. «Dite?» Solleva un sopracciglio, continua a pungolarlo in silenzio. Poi sbotta, solleva la voce e inizia a sproloquiare: «Vi rendete conto di cosa...»
«So bene cosa ho fatto» tuona. «Ed è di nuovo la mia parola contro la tua, Flea... Quindi no, non sono stato inopportuno.»
«Voi sragionate, Sir» si lascia sfuggire. «Mi avete...» E non riesce a concludere la frase, perché subito si zittisce. Morde le proprie labbra, s'impone il silenzio, sfugge dall'occhiata gelida di Louis fino a puntare gli occhi sul pavimento.
«Sai cosa sarebbe davvero inopportuno?» Non ode alcuna risposta, perciò continua: «Che tu lo andassi a raccontare in giro.»
Se anche lo facessi, in fondo, sarebbe ancora una volta la mia parola contro quella del Marchese di Stackpole, si dice. Nessuno mi crederebbe, lo so. E indurisce i muscoli del viso, serra i pugni lungo i fianchi.
«Non fare quella faccia.» Louis sbuffa, lo vede tremare di rabbia e distoglie lo sguardo con fare scocciato. «Non è successo niente d'irreparabile, niente di riprovevole...» continua. «Senza contare che molti nobili hanno a cuore dei ragazzi come te.» Storce le labbra e, con la coda dell'occhio, lo vede aprire e chiudere la bocca senza proferire parola. Così si affretta a dire: «Non è questo il caso, ovviamente.» E abbassa la voce, sibila: «Ma se anche fosse, certamente non saresti tu a dovertene preoccupare.»
Elliot sgrana gli occhi. «Se anche fosse?» echeggia sconvolto. «Dite che non dovrei preoccuparmene? E chi dovrebbe farlo, Sir?» Le sopracciglia aggrottate e le labbra tese, contratte.
Ma lui non risponde, anzi. Solleva il mento con stizza e divaga con un ordine: «Spogliati.» Poi gli vede scuotere la testa e subito si dice: È davvero uno stupido. «Non farmelo ripetere...»
Il respiro corto e i brividi che gli percorrono le braccia. «Non posso» obietta. «Voi siete in questa stanza e parlate di cose inappropriate, immorali... Non ho alcuna voglia di assecondare le vostre inclinazioni.»
Louis si acciglia. «Le mie inclinazioni?» cita. Allora scatta, muove un passo nella sua direzione e lo vede retrocedere fino a sbattere contro una colonna del baldacchino. «Non ho alcuna inclinazione nei tuoi confronti, Flea» dice. «Nessuna.» Il tono basso, rabbioso. Si muove ancora, lo afferra per la camicia e lo vede scattare verso destra. Poi grugnisce, arriccia il naso e lo lascia solo per farlo cadere seduto sulle coperte sfatte. «Non voglio uno straccione per casa, ecco tutto.»
Elliot trattiene il fiato. Gli occhi sgranati di terrore e l'ansia che, sempre più prepotente, gli si dipinge sul viso. «Aspettate...» balbetta. Non sa cosa pensare, perciò continua a ripetersi frasi come: Deve essere impazzito! Che vuole da me? E tenta di divincolarsi, di allontanare le sue mani, muovendo le proprie. Una sequela di gesti confusi, impacciati e goffi, infine il suono della stoffa che si lacera. Trattiene il respiro e deglutisce a vuoto. Batte le palpebre, cerca di coprirsi con ciò che resta della camicia. I denti serrati e i brividi che gli gelano le spalle. «Siete forse impazzito?» sbotta.
«Affatto» nega. «Sto solo cercando di farti capire che non hai scelte, Flea. Non puoi essere tu a decidere l'abbigliamento da indossare nel mio palazzo.» E ghigna, frena una risatina sarcastica. «Nessun libero arbitrio - no, non esiste. Se vuoi coprirti devi indossare quei vestiti, altrimenti abbi l'animo di girare con niente addosso.»
«Devo cambiarmi adesso?» gracchia. «Con voi in questa stanza?»
Louis annuisce, lo provoca. «E perché non dovresti? Sei pudico, forse? Stento a crederlo...» Incrocia di nuovo le braccia al petto e retrocede fino a raggiungere l'arazzo cui poggia lo schienale della sedia. Non dice altro, ma riesce a spronarlo lo stesso.
Questi tentenna: sente il rombare del sangue nelle orecchie, il battito accelerato che gli martella nel petto. Deglutisce, poi si alza e, titubante, si avvicina alla sedia. Non sono pudico, è vero, ma questa non è casa mia e lui non è né mio padre né mio fratello, si dice. Lui è Barbablù, il mostro che uccide i giovani del borgo, ed è anche il pazzo che mi ha baciato. Prende un bel respiro e abbassa di poco le palpebre. Cerca di calmarsi, di non tremare, infine inizia a spogliarsi.
Lo spiffero d'aria fredda che gli carezza prima la schiena nuda, poi le cosce.
E Louis l'osserva, non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Vede la sua pelle lattea, i piccoli nei che ha dietro al collo e sul petto, perfino i capezzoli tesi dal freddo. Non riesce nemmeno a battere le palpebre: è rapito, calamitato. Lo trova stranamente attraente, forse ancor più di Alene. Non dovrei guardarlo, si dice. Non sono più un ragazzo. Inizia a mordicchiarsi l'interno delle guance e si rimprovera mentalmente: Non guardarlo così, dannazione! Allora solleva una mano, si sfiora le labbra con i polpastrelli. È confuso, agitato. Ricorda il calore della sua bocca e per poco non vacilla. Lui non è Oliver, è solo un moccioso del borgo. Grugnisce, poi lo vede allungare una mano verso i calzoni puliti e trattiene il fiato. Scatta all'improvviso, lo fa senza neanche rendersene conto. E lo ghermisce per un polso, lo fa sussultare.
«Sir...» Elliot balbetta, prova a ritirare il braccio con scarsi risultati. Nessuna risposta, perciò lo chiama di nuovo: «Sir?» E aggrotta le sopracciglia, annaspa, spalanca gli occhi. Poi percepisce il suo fiato sul viso, serra le palpebre, cerca di respingerlo prima dell'inevitabile. Non di nuovo! prega mentalmente. Preme un pugno sulla sua spalla, volta il capo di lato e soffia un: «Che state facendo?»
Ma Louis non risponde. Gli carezza il collo con la punta del naso, ghigna. Davvero uno sciocco, sì: un sempliciotto del borgo, lo apostrofa mentalmente. «Dovresti lavarti» sibila. «Hai un odore terribile, puzzi di stalla.» Parole mormorate nell'orecchio di Elliot poco prima di scostarsi. «Non voglio l'olezzo del borgo sotto il naso...» borbotta. Poi lo guarda negli occhi e abbandona la presa sul suo polso. «Ti farò lavare da capo a piedi.»
«Come pensate di fare, Sir?» lo rimbecca subito, trovando chissà come la voce. «Il torrente non passa di certo nella vostra stanza.»
«Sei così pudico da fare anche il bagno al torrente?» lo canzona, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo. Dice: «Ti farò portare dell'acqua calda.»
«Adesso volete addirittura bollirmi vivo?»
«Chiudi la bocca, Flea...» Sbuffa e arriccia il naso. «Se avessi voluto bollirti vivo non mi sarei preoccupato di trovare dei vestiti della tua misura.»
Teoricamente è un discorso sensato, si dice. E china il capo, si stringe nelle spalle. Gli occhi bassi e le labbra serrate.
«Non vestirti» aggiunge d'un tratto.
Elliot aggrotta le sopracciglia, torna a guardarlo con fare confuso. «Perché no?»
«Sono abiti puliti, sciocco che non sei altro.» Allora calcia sia la camicia che i calzoni di Elliot sotto il letto.
«Perché nascondete le mie cose?»
«Hai riavuto indietro il dono della parola» commenta sarcasticamente. Infine lo guarda, dice: «Bada bene a non tirare fuori da sotto il letto quelle che chiami le tue cose. Non voglio che la servitù pensi che ti ho aggredito o chissà cos'altro...»
«Ma ho freddo» obietta. Guarda Louis, lo vede fare capolino fuori dalla porta e subito serra i denti. Trema sul posto, tuttavia non dice altro. Mi sta ignorando, constata.
«Emma!» Louis alza la voce, richiama l'attenzione della serva e fa arrossire Elliot senza neanche accorgersene. «Fai bollire un po' d'acqua» ordina. La vede annuire con aria interrogativa, così si affretta ad aggiungere: «Portala qui assieme a dell'acqua fredda e alla tinozza per lavare i panni.»
«Subito, Sir.»
Louis chiude la porta, torna a guardare Elliot e storce istintivamente le labbra. «Cosa c'è adesso? Ti sei già lavato al torrente, lo hai detto tu stesso. Hai forse paura di lavarti con dell'acqua tiepida?»
«No» soffia. «Ma non ho mai fatto il bagno con una donna nelle vicinanze... È irrispettoso.»
«Se può consolarti, sappi non ho intenzione di farti servire e riverire per molto» fa acidamente. «Sarò io stesso a controllarti mentre fai il bagno, non Emma - lei deve solo preparare la tinozza.»
«E perché mai dite di volermi controllare?»
«Per accertarmi che tu riesca a toglierti di dosso quest'odore repellente.» Louis sbuffa, poi si massaggia la sommità del naso con fare nervoso.
Ed Elliot tentenna, resta in silenzio per qualche minuto che sembra interminabile. Quando inizia a battere i denti, però, aggrotta le sopracciglia. «Per quanto ancora dovrò stare così?» sussurra.
«Sei davvero una fastidiosissima Flea!» esclama. Si alza dalla sedia cui ha preso posizione e, in uno scatto di nervi, gli getta addosso il copriletto. «Ora sei coperto» dice. «Riscaldati senza fare un fiato.»
Questi annuisce, si stringe nel copriletto di Louis e quasi prega di soffocarci dentro per la vergogna quando vede entrare due serve con la tinozza di legno ancora vuota. Chissà che penseranno, si dice. Abbassa lo sguardo, diventa una statua di sale. Sente l'acqua scrosciare contro il legno, poi l'acqua su altra acqua. E i passi frenetici, l'andirivieni con secchi freddi e pentole bollenti. Deglutisce a vuoto, si chiede: Perché non gl'interessa? A lui dovrebbe importare quello che pensa la sua servitù...
Ma Louis non batte ciglio, si limita a congedare le donne con un paio di frasi di circostanza. Sa che potrebbe benissimo frustarle alla prima parola fuori posto, perciò si dedica esclusivamente alla contemplazione della tinozza piena. E dopo averci fatto cadere dentro qualche goccia di olio profumato, sospira. «Sbrigati a entrare, altrimenti l'acqua si raffredderà e dovrai faticare il doppio per lavarti» borbotta.
A malincuore, Elliot lascia cadere il copriletto e si avvicina alla tinozza. Immerge le dita nell'acqua per sicurezza, poi si convince del fatto che non stia rischiando di essere bollito vivo ed entra senza dire una sola parola. Cerca di lavarsi velocemente, ma i grugniti di Louis lo frenano e lo fanno procedere con più calma. Che fastidioso individuo, si dice. I nervi a fior di pelle, lo sguardo basso. Si sfrega gli stinchi con i palmi delle mani, poi i polpacci e le cosce, le braccia stesse. Arrossisce appena, si morde le labbra e continua a sentirsi sotto tiro. Di tanto in tanto rabbrividisce, prova l'impulso di ammonire Louis - perché sì, è convinto che la colpa sia unicamente sua, non dello spiffero d'aria fredda! Tuttavia non lo guarda, riesce soltanto a serrare le ginocchia nella consapevolezza di essere osservato.
«Basta così» interviene d'un tratto. «Esci e asciugati» ordina sbrigativamente, tirando via le lenzuola dal proprio letto. Vede Elliot battere le palpebre con fare confuso, eppure non gli sente emettere un fiato; allora lo scruta, continua a studiarne i movimenti: le lenzuola che frusciano sulle sue braccia, tra le sue gambe. Quando lo vede rabbrividire, infine, gli dà il premesso di vestirsi con un cenno del capo.
E lui non se lo fa ripetere due volte: si affretta a infilare le calze, i calzoni, la camicia. Poi sospira e si rilassa di colpo. Il sangue che ancora gli romba nelle orecchie e il fiato che cerca di stabilizzarsi. Deglutisce, infine si volta a guardare nella direzione di Louis. «Posso uscire?» domanda. Attende una replica, ma questa non arriva. Dunque si umetta le labbra, china il capo e si affretta a indossare il farsetto, il mantello e le scarpe.
«Asciugati i capelli» borbotta. Gli posa un lembo delle lenzuola sulla testa, preme le dita contro la stoffa e, sgraziatamente, gliela strofina sulla cute. Al primo mugolio di dolore che sente, si lascia scappare un grugnito e retrocede. «Poi sistemali...» aggiunge in uno sbuffo. «Fai in modo che non si veda la ferita.» Incrocia le braccia al petto, distoglie perfino lo sguardo. Sembra seccato, infastidito, e chissà perché Elliot non riesce a credere che sia una farsa.
È così lunatico, si dice. Storce appena le labbra, si nasconde sotto il lenzuolo e azzarda: «Poi potrò uscire?»
«Da questa stanza, non dal palazzo» precisa Louis. «Se metterai piede in giardino senza il mio permesso ti farò acciuffare da Bruce; non riuscirai neppure a raggiungere i cancelli, Flea, perché lui ti taglierà la gola...»
«Ho capito» soffia. Non è neppure certo che Louis lo abbia sentito, ma si morde le labbra e non lo ripete. Dovrei tornare al borgo, magari potrei chiedere aiuto a Padre Aubyn, pensa. Chiude gli occhi, preme le dita sul lenzuolo fino a sbiancarsele per metà. No, non posso farlo, si dice. Se Delphina è stata uccisa dal Marchese, allora chiunque potrebbe fare la sua stessa fine - Padre Aubyn, mia madre, io... Ha detto che mi farà uccidere da Bruce, no? Inspira a fondo e freme di rabbia, di paura. Poi scuote la testa, si demoralizza. Lascia scivolare via il lenzuolo e sente i capelli appena umidi sulle guance. Cosa devo fare adesso? Devo davvero restare qui per servirlo? Devo restare in silenzio ogni qualvolta si avvicina con qualche strana idea per la testa?
«Puoi curiosare in giro» biascica.
«Come dite?»
Louis sbuffa, poi gli si avvicina. Allunga una mano per sistemargli i capelli, ma lo vede tremare e subito storce le labbra in un moto di fastidio. «Vuoi sistemarti o no questi dannati capelli?» sbotta. «Sembri una pecora arruffata, dannazione...» E schiocca la lingua, lo afferra per le spalle fino a porlo dinanzi allo specchio. «Avanti, sistemati» ordina in un sibilo.
«Sì.» Annuisce, non dice altro. Cerca di dividere le ciocche come possibile e, arrendendosi al grugnito di Louis, gli permette di fare altrettanto con il retro della testa. «Posso andare adesso?» domanda piano.
«Sei libero fino a nuovo ordine» conferma. Gli dà le spalle e chiude addirittura gli occhi in un moto di superiorità. Allora lo sente sgambettare veloce verso l'esterno della stanza, si volta a guardarlo e sospira. Moccioso, lo apostrofa mentalmente. Sfrega i polpastrelli umidi contro il palmo della mano e rabbrividisce. Dannato moccioso!
Note:
Ciao, ragazzi!
Non so se conoscete l'usanza secondo la quale i nobili erano soliti dare ai fidati i loro vestiti smessi; ne ho parlato, o meglio, l'ho accennato, quando Louis è entrato nella stanza di Bruce. In questo caso mi sembra il caso di spiegarlo nelle note, anche perché Elliot non è affatto un suo fidato. Dunque, la domanda è lecita: "Perché gli ha dato i suoi vecchi vestiti?"
In realtà lo ha detto nella narrazione, tra le righe, e non c'è davvero un'altra spiegazione sotto. Non vogliate vederci di più, mi raccomando. Non è un segno di gentilezza, non è un regalo, non è un modo per averlo vicino a sé, etc. Sa che dovrà tenere Elliot a palazzo, perciò non vuole che vada in giro con dei vestiti terribili, cenciosi e sgualciti (cit.)
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate un commento e una stellina!
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