Capitolo 7

1555, Stackpole.

Louis non ama dormire lontano dal proprio letto, in special modo se è Alene a giacergli accanto. Lo rende nervoso, agitato, a tratti perfino insonne. Ed è per questo che aspetta il sorgere del sole con gli occhi cerchiati di rosso, che si crogiola su un fianco senza il coraggio di voltarsi. Le dà le spalle: un braccio sotto la testa e le labbra serrate, contratte. Continua a pensare agli occhi di Elliot, al farsetto indossato da Delphina e al ferroso odore del sangue. Poi scivola fuori dalle coperte, guarda Alene e si ammonisce in silenzio. Sa di aver esagerato almeno quanto sa che i segni sulla sua spalla nuda sono il marchio di un lupo affamato - ed è lui il lupo affamato. Perciò si riveste alla svelta, la sente mugolare nel sonno e trattiene il fiato a ogni suo respiro. I denti serrati e i muscoli tesi. Esce prima ancora del lontano canto del gallo, si passa una mano tra i capelli, sospira, e raggiunge la propria stanza. Il passo svelto, la testa annebbiata dalla stanchezza. Apre la porta ed entra come una furia.

«Elliot!» lo chiama ad alta voce, ma non ottiene risposta. Per un attimo crede che si sia dato alla fuga. «Dannazione» sibila. E sente un grugnito, un suono basso che si confonde nel frusciare della stoffa. «Ma che diavolo...» borbotta e si zittisce. Subito aggrotta le sopracciglia, muove qualche passo nella penombra e, spazientito, si avvicina alla finestra per tirare le tende. Le sopracciglia aggrottate e le labbra schiuse. «Non è possibile» soffia. Lo guarda: è ancora addormentato, arrotolato tra le lenzuola. Il copriletto che pende scompostamente da un lato, che quasi tocca il pavimento. Come ha potuto anche solo pensare di avere il diritto di dormire nel mio letto? si chiede. E arriccia il naso, gli si avvicina. Aspramente, dice: «Svegliati, Flea

Un secondo grugnito, questa volta più forte: «Non sono una pulce.»

«Maledetto ragazzino...» ringhia. «Scendi immediatamente dal mio letto!»

Questi sobbalza e, improvvisamente conscio del luogo in cui si trova, spalanca gli occhi. «Sir...» balbetta.

Lo sguardo di ghiaccio, la voce alterata. «Ho detto: scendi immediatamente» scandisce. E lo vede scattare, spostare le lenzuola, mettersi in piedi alla svelta. Solo allora schiocca la lingua. Solleva il mento, lo guarda con disprezzo e digrigna i denti come un animale. «Chi ti ha dato il permesso di dormire lì?» E non vuole una risposta, no davvero; Elliot lo sa, per questo tace.

Ho già dormito sul suo letto, si dice. Deglutisce a vuoto e quasi prova l'impulso di farglielo notare. Chissà come, però, si trattiene. Mordicchia l'interno delle guance, abbassa le palpebre e non risponde. La vista ancora offuscata e il sole che, tra le nubi del primo mattino, batte sul marmo del pavimento per accecarlo. Tende i muscoli della schiena e china il capo.

«Impertinente» lo apostrofa. «Dovrò far bruciare le lenzuola... Non basterebbe tutta l'acqua del Tamigi per lavarle.»

Ed Elliot serra i denti, si dice: Non rispondere, non devi rispondere. Tuttavia non ci riesce e borbotta un: «È colpa vostra.»

Louis alza la voce e batte le palpebre. «Sarebbe colpa mia?» Domanda. Sembra incredulo, spazientito, sull'orlo di una crisi di nervi. Lo fissa con astio, poi sillaba un: «Perché?» E muove un passo nella sua direzione, restringe lo sguardo.

«Non volevo dire questo» si giustifica. «Mi sono espresso male, Sir...»

L'interpellato si lascia sfuggire un suono divertito e solleva entrambe le sopracciglia. «E cosa volevi dire? Sentiamo.»

«Voi mi avete detto di restare qui» soffia. «Era notte, pensavo che...»

Subito lo interrompe. La voce ridotta a un sibilo, a un ringhio frustrato. «Pensavi?» Lo afferra per il mento e gli solleva il viso. Cerca il suo sguardo per ammonirlo, ma poi, di colpo, si ammutolisce. Detesto i suoi occhi, li detesto! «Dovete smetterla di pensare» grugnisce tra sé e sé. Prima Bruce e adesso lui... E lo lascia di colpo, quasi gli fa voltare la testa di lato.

«Perdonatemi» sussurra. Si morde le labbra e tiene lo sguardo basso, fisso sul riverbero del mattino.

D'altro canto, Louis non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Perché? Si chiede: un rimprovero ruggente che lo fa reagire d'istinto, che lo sprona a puntare blandamente la finestra. «Credo che tu abbia perso qualcosa...» dice.

«Io?» Elliot batte le palpebre, torna a osservarlo. Il dubbio negli occhi e le sopracciglia appena corrugate. «No, Sir. Vi sbagliate, non ho perso niente» nega. Ed è confuso, curioso, mentre socchiude le labbra.

«Ne sei certo?» Insiste. Con la coda dell'occhio, lo vede annuire. «È buffo che tu non te ne sia ancora accorto.»

«Di cosa state parlando?»

«Non certo dell'educazione - dubito che tu l'abbia mai avuta, Flea.» Sul suo volto si dipinge un sorriso sinistro. «Parlo di qualcos'altro, di qualcosa di tangibile...» Non ottiene neppure un cenno di risposta, così continua: «Non ti senti leggero? Non hai freddo?» Si ferma solo per vederlo deglutire. «Dov'è il tuo farsetto?»

Ed Elliot batte le palpebre, si ricorda di Delphina. Di colpo perde colore sulle guance e mormora: «Sono uscito di casa quando il sole era ancora alto, Sir.» La mandibola che trema e le parole che, troppo calcolate, faticano a uscirgli di bocca. «Non avevo intenzione di restare fuori tanto a lungo.»

«Capisco...» mormora. Poi incrocia le braccia al petto, si lascia sfuggire un suono divertito. Inclina appena la testa di lato e lo fa per guardarlo in viso, per metterlo alle strette. «So che tuo padre lavora al mercato del borgo.»

Elliot si umetta le labbra, sente la gola improvvisamente secca. «Sì.» E, mentre Louis gli gira attorno, mentre lo scruta in silenzio, un brivido gli risale la schiena.

«Lo aiuti tutti i giorni...»

«Sì.» Sente la propria voce strozzarsi, così deglutisce.

Le palpebre calano appena, lo sguardo si fa più minaccioso. Ghigna e lo vede tentennare. «Dunque eri con lui anche la mattina in cui hai trovato la campanella.»

Mi sta interrogando, si dice. Riesce ad annuire, ma non proferisce parola. Lo guarda, lo studia a sua volta: la vestaglia che fruscia a ogni passo, i capelli scuri che gli solleticano il collo. Poi gli sente dire:

«Ed è lo stesso giorno che hai cercato di venderla al Rosso.»

A fatica risponde con un semplice: «Sì.»

Louis si ferma dietro di lui, gli posa una mano sulla spalla e si sprona in avanti per mormorargli direttamente nell'orecchio. «Questo significa che sei uscito di casa quando il sole non era ancora alto.» Allora lo sente fremere, raggelare sul posto. Sa di aver fatto centro e sa che quel dannato farsetto appartiene a lui. Che sciocco, lo apostrofa mentalmente. Non sa nemmeno mentire come si deve! Così schiocca la lingua e lo fa sussultare. «Sembra che tu sappia soltanto dire di sì, eppure adesso non rispondi.» Il tono basso, mellifluo. «Il gatto ti ha mangiato la lingua? O hai paura, forse?»

«No, Sir» balbetta. «Non ho paura di voi.» Sente la presa di Louis farsi più opprimente, le sue dita che si stringono con veemenza e il respiro che gli carezza il collo. «È solo che mi sono appena svegliato e...»

«Dovresti averne» dice. Lo interrompe e, minaccioso, continua: «Potrei ucciderti da un momento all'altro, potrei farti pentire di aver osato tanta insolenza.»

Elliot si morde le labbra. Il respiro corto e il sangue che gli romba nelle orecchie. Serra i denti, chiude perfino gli occhi. Allora vuole uccidermi davvero.

«Ma ho detto che potrei, non che lo farò» aggiunge. «E il motivo è semplice: non è questo ciò che voglio - perlomeno non adesso.» Abbandona la spalla di Elliot e subito lo vede voltarsi.

La fronte corrugata e le labbra schiuse. «Non adesso?» echeggia.

«Ti ho già detto che sei il nuovo acquisto della servitù» spiega brevemente.

«Con il dovuto rispetto, Sir, trovo che tutto questo sia strano.»

«Strano?» Louis solleva un sopracciglio con fare confuso.

«Sì, strano» conferma. Non riesce a trovare parole migliori, così si accontenta di questa e storce appena le labbra in una smorfia dubbiosa.

«Allora dovresti essermi grato per tanta stranezza» lo canzona.

«Fino a poco fa cercavate di confondermi, di farmi dire chissà cosa...» Si ferma, solleva perfino il mento e lo scruta con stizza. «Vi comportate senza una logica, Sir: mi avete fatto rapire, mi avete minacciato!»

E Louis lo fulmina, gli proibisce di dire altro. «Ti ricordo che volevi vendere un mio oggetto personale.»

«Ma vi ho già detto che non ne sapevo nulla» obietta. «Non potevo sapere che appartenesse a voi, altrimenti avrei cercato di restituirvelo!» Mente spudoratamente e gli vede indurire i muscoli del viso.

«Sciocchezze» sibila.

Elliot si zittisce di colpo e trattiene il fiato. Gli occhi ancora velati di stanchezza. In un rantolo, dice: «Se è solo per quell'oggetto che mi tenete in ostaggio, Sir, lo avete già avuto indietro.»

«E con questo?» Restringe lo sguardo, poi scandisce un: «Devi risarcirmi, Flea

«Mi sorprende che vogliate prendermi a servizio pur credendomi in malafede» lo rimbecca.

Questo ragazzino parla troppo, si dice. Più del dovuto! Tuttavia non fiata, solleva semplicemente il mento e incrocia le braccia al petto. È indispettito, irritato, e non ha la benché minima voglia di nasconderlo.

«Inoltre mi avete fatto capire che il mio lavoro a palazzo non sarà retribuito» continua, pare un fiume in piena, tant'è che Louis digrigna i denti e grugnisce un:

«Ovvio che non lo sarà.»

«Allora non prendetemi in giro, Sir» scatta. I pugni lungo i fianchi e lo sguardo incattivito. Si concentra sull'argomento, ma solo per sorvolare sulla contraddizione del farsetto. «Non parlate di lavoro e non parlate di risarcimento!»

«Sfrontato...» commenta a denti stretti. «Potrei frustarti, sai?» O tagliarti la lingua e fartela ingoiare, conclude mentalmente.

«Potreste, ma non lo state facendo.» E, forse, azzarda troppo, perché gli vede aggrottare le sopracciglia. Tuttavia non si rimangia una sola parola e, anzi, mantiene lo sguardo fermo, e le labbra sigillate.

Una sfida silenziosa che fa grugnire Louis. «Questo non ti dà il diritto di rispondermi a tono» dice. Solleva una mano di scatto e lo afferra per il collo. «Non hai alcun diritto, a dirla tutta.» Gli occhi ridotti a due fessure e la voce bassa, sibillina. Lo vede impallidire di colpo, perciò ghigna. «Te l'ho già detto, Flea: dovresti ringraziarmi.» E preme le dita più a fondo, lo fa boccheggiare. Potresti ucciderlo, Louis, si dice. Dovresti solo stringere un po', togliergli il respiro... Allora perché non lo fai?

Elliot ha il fiato corto e la voce spezzata, strozzata, quando dice: «Sono un essere umano, non un insetto da schiacciare.»

E Louis sgrana gli occhi. Ringhia, lo lascia di colpo. Sente il suo respiro farsi più pesante, accelerato. «Sei quello che sei» sillaba. «E mi appartieni tanto quanto mi appartiene l'aria che respiri; tutto quello che c'è dentro il mio palazzo, ogni cosa, appartiene a me.»

«Vi sbagliate...» si lascia sfuggire. Lo sguardo basso e le dita che massaggiano il collo arrossato. Ha il volto paonazzo e le labbra tremanti. «Perché non sono qui di mia volontà e non vi appartengo, Sir.»

«Tu credi?» Muove un passo e lo vede indietreggiare. Inizia a dire: «M'infastidisci, Flea...» Ma non aggiunge altro, non subito. Arriccia semplicemente il naso, cammina nella sua direzione e lo fa finire con le spalle al muro. «Questa tua espressione insolente, questo tuo parlare, ribattere, m'infastidisce.»

Elliot deglutisce, poi sussulta. Sente le mani di Louis sulle proprie spalle e di nuovo i brividi di terrore che gli corrono lungo la schiena. Pensa a Delphina, al farsetto, alle parole sconclusionate del mostro che ha dinanzi. E trema, non riesce a farne a meno. Mi butterà giù dalla finestra, si dice. Allora si affretta a balbettare un: «Perdonatemi.»

«Detesto i tuoi occhi.»

Nelle orecchie, il rombare del sangue. Vede lo sguardo di Louis farsi più intenso, concentrato, così batte le palpebre. «Come?» soffia.

«Detesto i tuoi occhi» ripete. Sono troppo belli, sono indecenti. Non possono essere gli occhi di un simile moccioso.

«I miei occhi, Sir?» E li spalanca subito, inconsciamente, troppo confuso per riuscire anche solo a pensare una qualche replica degna di tale nome. «Perché?» Domanda. Un filo di voce e la testa su di giri. Dovrebbe essere un'offesa? Si chiede. Alle sue orecchie sembra tutt'altro, perciò aggrotta le sopracciglia e deglutisce a fatica.

«Dovrei ucciderti, toglierti di mezzo, farti saltare giù dal collo questa bella testolina che ti ritrovi...» sibila, grugnisce. Poi, di colpo, si blocca. Serra la presa sulle spalle di Elliot e lo vede arrossire. È imbarazzo o indignazione? Digrigna i denti, infine aggiunge: «Ma non lo sto facendo per colpa dei tuoi dannatissimi occhi.»

Cos'hanno i miei occhi? si chiede. E socchiude le labbra, apre la bocca solo per richiuderla, facendo la figura di un vero pesce fuor d'acqua.

«Li odio, li detesto, non mi piacciono neanche un po'» continua. Questa volta è lui il fiume in piena, ma non se ne rende conto. Gli vede mordersi le labbra, imporsi il silenzio, e per un attimo vorrebbe davvero scaraventarlo giù dalla finestra. Trema di rabbia, rinserra la presa sulle sue spalle e grugnisce. «Mi fanno sentire...»

Come? Elliot lo guarda. È sempre più confuso, sempre più agitato. Come? continua a chiedersi.

«Come un completo idiota!» ringhia. «Un indeciso, un uomo qualunque!» risponde alla sua muta domanda, all'interrogativo che riesce a leggergli in faccia, e subito cambia registro: la voce ferma, il tono incalzante. «Eppure non dovrei esserlo, giusto?» No, certo che no, si dice. «Sono il tuo padrone.» Scorge un tentativo di replica, ma subito lo frena e continua a parlare: «Abiti nel mio borgo, vai a zonzo nelle mie terre... Mi appartieni, dannazione!» Lo sente sussultare, irrigidirsi. Nel suo sguardo vede ancora il diniego di poco prima, perciò arriccia il naso. «E non riesci a fartelo entrare in testa, Flea - no: ti credi furbo, intoccabile. Mi guardi e neppure mi noti.»

Un sussurro: «In che modo dovrei notarvi?» Le labbra di Elliot iniziano a tremare tanto quanto le sue mani. «So bene che siete il signore di queste terre: voi avete dominio sul borgo e su tutto ciò che ne concerne.»

Ma a Louis non basta sentirselo dire, no davvero. «Appunto!» La voce bassa, roca.

Sembra il grugnito del demonio, constata. «Non vi capisco, Sir...»

«Neppure io ti capisco, Flea: non so dove trovi il coraggio di mentirmi.» Lo vede deglutire a vuoto, perciò si affretta ad aggiungere: «So che quella ragazza aveva il tuo farsetto, e anche tu lo sai...» Allora si ferma, lo fissa dritto negli occhi. Solleva un angolo delle labbra per mostrare i denti. È frustrato, disgustato. Come può essere così sfacciato? si chiede.

Il cuore che gli batte veloce nel petto, l'aria che torna a mancargli. Di nuovo una domanda: Perché parla al passato? E ancora: Cos'è successo a Delphina? Non è più certo di poterlo prendere per il naso, non mentre lo guarda dritto negli occhi e viene letteralmente fulminato. Tuttavia ci prova, dice: «Vi ho già detto tutto sul perché non indosso un farsetto, Sir. E non è neppure così scontato che ogni abitante del borgo ne abbiano uno...» Ma subito lo sente ringhiare, incalzare:

«Una donna con un farsetto da uomo? Un farsetto da ragazzo, per giunta... Non mentire.»

Allora trema, ricorda le parole di Aubyn e rabbrividisce. Non ha la benché minima voglia di mettersi nei guai, tantomeno di farsi scudo con la vita di un'amica d'infanzia. Come può pretendere la verità? «Non capisco, Sir. Vi ho già risposto che...»

«Dannazione!» tuona. «Come diavolo fai a essere tanto sfacciato?»

«Vi ho dato l'impressione di essere sfacciato?»

«Così accomodante e così bugiardo al contempo...» sibila. «Davvero sfacciato.» Gli vede serrare le labbra, forse anche trattenere il respiro, mentre si ritira nelle spalle tanto da sembrare una tartaruga. Non caverai un ragno dal buco, mormora l'inconscio. Ma potresti riuscirci a colpi di frusta, chissà. E intanto continua, lo rimprovera: «Guardati, saresti da prendere a sberle! Mi sorprende che nessuno ti abbia mai riempito di legnate.»

«Lo hanno fatto» soffia. «Ma non è mai cambiato granché...» E subito storce le labbra, pensa a suo padre. Forse dovrei ringraziarlo, si dice. A quest'ora starei tremando come una foglia se non mi avesse mai picchiato.

«Neanche la tua bella faccia da schiaffi» schiocca. «Il che mi fa pensare che nessuno te le abbia mai suonate come dico io.» Poi grugnisce, scuote appena la testa e torna all'argomento principale: «Eppure le meriteresti - oh, se le meriteresti! Dopotutto stai mentendo a me, Flea

«Ma v'ingannate, vi dico!» obietta. Le mani strette sugli avambracci e la voce che torna ad avere vigore. «Non ho mentito neppure una volta.»

«Forse pensi che io sia stupido, ma ti assicuro che non è così» dice. Il tono fermo, deciso, e lo sguardo fisso. Ne ho abbastanza delle sue prese in giro!

«Mi addossate colpe che non ho e v'imponete come signore e padrone» inizia e subito si blocca. Deglutisce, trema sul posto. Forse ho esagerato, si dice. Vede lo sguardo di Louis farsi più intenso, più duro. Allora tentenna, cerca di rimediare come possibile: «E lo siete, ma dovreste sapere che non è certamente così che otterrete il rispetto e il favore del vostro popolo.» Gli vede sollevare un sopracciglio, perciò frena la lingua.

«No?» incalza. Arriccia il naso in un moto di fastidio e lo vede indugiare, rabbrividire. Infine sente la sua voce - ed è un soffio, un sibilo - che dice:

«Non ho mai conosciuto vostro padre, tuttavia credo che lui non avrebbe voluto sapervi così...»

«Così come?» lo interrompe.

«Con questo carattere, con queste pretese, con questa malafede...» prova a dire. Lo vede ghignare, trattenere a stento una risata amara. E l'aria ricomincia a bruciargli nei polmoni: annaspa.

«È ovvio che tu non lo abbia mai conosciuto, altrimenti non parleresti così liberamente di lui» constata. «Sono certo che ti avrebbe già frustato se fosse stato al mio posto.»

La rassegnazione nello sguardo e le labbra che ricominciano a tremare. Chiede: «È questo che volete fare? Volete frustarmi?»

«Sì» dice. La voce bassa e le sopracciglia improvvisamente aggrottate. «Lo voglio con tutto me stesso, lo voglio talmente tanto che credo di poter impazzire...» E si ferma, vede impallidire Elliot di colpo. Adesso ha paura? si chiede. Sembrava non averne, diceva di non averne. Digrigna i denti e serra la presa sulle sue spalle senza quasi accorgersene. «Credo proprio di doverlo fare, Flea...» mormora. «Sì, lo farò.» Abbassa il mento, smette di guardarlo dall'alto in basso e lo vede trasalire.

La voce rotta, sussurra: «Non ho fatto nulla, Sir.»

Ed è un ringhio, l'ennesimo. Questa volta a un palmo dal naso di Elliot. «Non ho sentito: puoi ripete?»

«Non ho fatto nulla, non merito un simile trattamento.»

«Lo merita la tua lingua biforcuta, piccolo demonio.»

«Se è la mia lingua a meritarlo...» balbetta. «Sono certo che voi capirete la mia innocenza e accuserete soltanto lei.»

Come potrei accusare una lingua? Si chiede. Non è forse lui che pensa certe stupidaggini? Digrigna subito i denti, poi sbotta con un: «Pensi di farmi fesso?»

«Affatto, Sir» nega.

«Che idee hai in quella piccola testolina chiara, Flea?» domanda.

Ed Elliot boccheggia: apre le labbra, poi le richiude. Non si fa scappare neppure un suono. Le parole strozzate in gola, la paura che gli scorre nelle vene e che gli annebbia il cervello. Tentenna, si fa coraggio e abbassa di poco la voce per dire: «Credo che conosciate ciò che è giusto e che comprendiate quanto io sia sincero nel dirvi che non ho colpe.»

Deve essere stata la botta in testa, si dice Louis. Non può essere nato con tanta sfacciataggine. Allora sibila: «La frusta, sì, la frusta andrà bene.» E gli vede battere le palpebre, sgranare gli occhi, implorare pietà pur restando zitto. «Ti rimetterà in riga, t'insegnerà a non trattarmi da scemo!»

«Non vi sto trattando da...» E si blocca, deglutisce, distoglie perfino lo sguardo. Non dirlo nemmeno, Elliot! si ammonisce subito. «Non mi permetterei mai, Sir» aggiunge piano.

Il viso paonazzo, le vene gonfie del collo: Louis Holland è sul punto di esplodere come un colpo di pistola e se ne rende conto da solo. «Al Diavolo!» ringhia. «Con te non basterebbe neppure la frusta, Flea. Dovrei tagliarti la lingua, per esempio... Ma sono certo che poi ti fingeresti sordo.» E arriccia il naso, lo pungola con lo sguardo. «Dico bene?» chiede. Lo vede annuire, perciò spalanca le palpebre e, perplesso, si dice: Inaudito! Osa prendersi gioco di me anche adesso. «Dunque lo ammetti, piccola Flea

E anche questa volta hai sbagliato, Elliot, mormora la coscienza.

«Mio padre ti avrebbe già tagliato la testa» schiocca. «Ringrazia quei maledetti occhi, Flea...» E non aggiunge altro, grugnisce soltanto. Lo allontana di getto, facendolo barcollare contro il muro, per poi puntarlo con l'indice.

«Ringrazio voi, Sir. Siete voi ad aver capito, mi auguro, la mia buonafede» soffia. Neppure ci crede, tuttavia lo dice lo stesso. Sono io quello si finge scemo, ringhia interiormente.

«Non ho capito la buonafede di nessuno» ribatte seccato. «Ho soltanto detto che i tuoi occhi parlano troppo, più del necessario, e non fanno che incolparmi al primo accenno di punizione...» Li vede di nuovo, perciò digrigna i denti e si lascia sfuggire un: «Dio, non li sopporto!»

Ed Elliot vorrebbe rispondere, vorrebbe dirgli: Non posso zittire anche il mio sguardo, non pretendete l'impossibile! Tuttavia tace e continua a osservarlo: le sopracciglia appena corrugate e le labbra schiuse.

«Se sapessi tenere chiusa la bocca...» borbotta Louis. «Ti rimanderei al borgo seduta stante.» Intercetta un suo tentativo di replica, perciò lo fulmina. «Ma non sai farlo, Flea; e risparmia il fiato, non giustificarti nemmeno: non sai farlo e basta.» Gli vede serrare la mandibola, così conclude il discorso - o, quantomeno, pensa di concluderlo - con un'alzata di spalle.

«Ma non ho nulla da dire a nessuno, neppure a voi!» si lamenta.

«Ah, davvero?» sibila e non gli dà modo di rispondere, perché subito si affretta a dire: «Hai incontrato Delphina nel bosco e l'hai portata nella chiesa del borgo, da Padre Aubyn.» Gli vede aprire la bocca per l'ennesima volta, lo sente negare con un balbettio spaventato, affannato. Allora reagisce d'istinto: digrigna i denti, lo afferra per i capelli e lo strattona per la nuca. «Sei solo un bugiardo ficcanaso, ecco cosa!»

La voce strozzata, dice: «Mi fate male.»

«Delphina aveva addosso il tuo farsetto quando Bruce l'ha trovata» continua. «Ma sono sicuro del fatto che non si azzarderà a fiatare con anima viva...» Guarda nei suoi occhi e vi legge solo lo sgomento, il terrore puro.

Anima viva? echeggia mentalmente. Delphina è... Morta? E, mentre Elliot si morde le labbra, mentre trattiene un singhiozzo all'ennesimo strattone di Louis, le lacrime iniziano a premere per uscire.

«Tu dici di essere in buonafede, credi di riuscire a prendermi in giro e continui a raccontare frottole...» ringhia. «Sai tutto, ogni cosa, ma fingi di non sapere nulla. Sei solo un pavido moccioso che si nasconde dietro l'aria di un timorato di Dio.» Lo sente singhiozzare, così incalza e parla a ruota libera: «Batti le ciglia, mi guardi in faccia, ti comporti come un Diavolo tentatore.» Ancora un singhiozzo, poi la ragione di Louis Holland che si perde del tutto. «Vuoi accattivarti le anime degli uomini - oh, lo so bene, cosa credi? Ma io non sono uno sciocco ed è per questo che sono costretto a trattenerti qui.»

«Mi fate male» ripete. Alza la voce, socchiude lo sguardo e geme un: «Lasciatemi!»

In tutta risposta, però, Louis tira di più i suoi capelli. «Resterai qui» stabilisce. «Non ti muoverai se non sarò io a chiedertelo.» La voce bassa, minacciosa. Lo sente mugolare di dolore, tuttavia non allenta la presa. «E se vuoi davvero fingerti ingenuo, se vuoi farti credere innocente, allora non guardarmi.»

È un mostro, si dice. È davvero un mostro! Allora obbietta, singhiozza un: «Io non sono come credete voi...» Ma non aggiunge altro, perché la voce gli muore in gola. E le labbra si zittiscono, vengono letteralmente assaltate da quelle di Louis.

Un bacio vorace, affamato, fatto di morsi prepotenti e mugolii ovattati. Lo stesso bacio che avrebbe voluto strappare ad Alene, quello che non si è concesso e ancora quello che lo incendia, che lo fa incalzare con prepotenza. Che diavolo sto facendo? si chiede. Corruga le sopracciglia, accantona ogni risposta e ignora perfino le mani di Elliot che continuano a premergli su petto per allontanarlo. Infine apre gli occhi, vede i suoi e tentenna. Una spinta più forte lo fa indietreggiare, gli mozza il respiro. «Rimarrai qui» dice. Muove appena le labbra e le sente ancora calde, umide, incattivite.

Le lacrime lungo le guance arrossate, poi un sussurro spaventato: «Sir...» Elliot trema, lo vede retrocedere con una mano alla bocca e a stento solleva la propria. «Sir...» lo chiama ancora, con voce fievole e tremante. Muove un passo nella sua direzione e lo vede armeggiare con le chiavi appese alla cintura.

«Chiudi la bocca, Flea» tuona. Solleva lo sguardo e lo fulmina sul posto. Lo vede tremare, stringersi nelle spalle, retrocedere di un passo. E serra i denti, si volta di scatto, esce di corsa dalla stanza. Tre mandate, infine un sospiro di sollievo. Guarda la porta chiusa e non fa che chiedersi: Cosa mi è saltato in testa?

A riscuoterlo è l'arrivo di Bruce. La camminata intenzionalmente pesante, il tintinnio della spada appesa alla cintura. «Sir» mormora.

«Dimmi.» Neppure si volta, ma è certo che questi abbia appena chinato il capo.

«La colazione.» Non dice altro: stringato tanto a parole quanto nei fatti. Solleva il vassoio preparato da Emma, glielo mostra e nota il suo sguardo spazientito.

«Non ho fame» fa sbrigativamente, gesticolando. Si scosta dalla porta della propria stanza e cerca di schiarirsi la voce. Poi abbassa il tono, grugnisce tra sé e sé e dice: «Dalla al moccioso.»

«Come volete, Sir.» Annuisce, tuttavia non si muove e non prova nemmeno ad avvicinarsi all'uscio. Guarda Louis e, aspettando un suo cenno, batte le palpebre una sola volta. Quando gli vede agitare una mano, dunque, aggiunge: «Vostra moglie si è svegliata e ha subito dato ordine di preparare il calesse.»

«Il calesse?» domanda, poi restringe lo sguardo e percepisce l'arrivo di un fastidioso mal di testa. «Una passeggiata al borgo, presumo...» Vede Bruce annuire, perciò si lascia andare a uno sbuffo.

«Dopo quanto accaduto, Sir, temo che voglia incontrare Padre Aubyn» azzarda.

«Non muoverà un passo» stabilisce lapidario. «Non le do il permesso di lasciare il palazzo!» Gli occhi iniettati di sangue e i denti che quasi si scontrano tra loro nel ringhio finale.

Bruce non si stupisce, anzi. Lo immaginavo, si dice.

«Vai da lei e dille subito che non ho intenzione di farla uscire» ordina. Poi ci ripensa e borbotta un: «Anzi, no...» Tentenna, schiocca le dita per farsi venire un'idea decente senza però trovarne nessuna. Stanzia sotto lo sguardo incolore di Bruce per qualche altro istante, poi grugnisce. «Dammi il vassoio» dice. Quel moccioso saprà aspettare... «Torna nelle stalle e dai l'ordine per mio conto: Alene deve ancora rimettersi in sesto, non ha il permesso di uscire.»

Bruce annuisce, poi porge il vassoio a Louis. Infine, con le mani libere, si concede un inchino più ampio e retrocede. «Come volete, Sir.»



Note:

Ciao a tutti!

Lo so, questo capitolo è più lungo degli altri, ma era letteralmente tutto unito e non sapevo come poterlo dividere a causa della consequenzialità. Nel caso voleste picchiarmi, siete liberi di farlo. Spero proprio che la lettura non vi risulti troppo pesante, anche se Louis è letteralmente una mattonata sulle palle all'inizio...

Eh, me ne rendo conto da sola: la sua insistenza nel voler scoprire chi sia Elliot e cosa ci facesse con la campanella è pari solo ai versetti biblici. Da notare che sto per roteare gli occhi.

Ma, diciamocelo, lui avrebbe tagliato corto. Il fatto è che Olly ha insinuato il tarlo e lui ha pensato d'indagare per quel briciolo d'onore che gli resta. Della serie "Se può riuscirci lui, posso farlo anche io". Santo cielo, che rottura di scatole questo tipo di persone.

Vi prometto che le cose andranno meglio di qui in avanti, anche se Louis sarà ancora un po' noioso su questo fatto della campanella; però sappiate che ci saranno pian piano degli stravolgimenti e spero che i miei personaggi vi stupiranno.

Sentite la mancanza di qualcuno? Io sì!

Beh, se avete sopportato il capitolo, se avete qualcosa da dire o se vi è piaciuto, lasciate un commento o una stellina, che a me fa infinitamente piacere.

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