Capitolo 6

1555, Stackpole.

La legna è ancora accesa, ardente. Scoppietta nel camino del salone e solleva fiamme puntiformi. Lungo il pavimento di marmo, tra le ombre che danzano, risuonano i passi di Louis Holland.

«Moccioso impertinente» borbotta. Restringe lo sguardo e serra i denti. Continua a camminare avanti e indietro, a calpestare per metà il tappeto. Con il viso scottato dal calore e la vestaglia bollente, cita: «Non ho fatto niente. Non ho detto questo. Vi chiedo scusa, Sir...» E schiocca la lingua, si dice: Detesto i suoi occhi. Arriva addirittura a rimpiangere di non aver invitato Oliver a restare, perché sa che lui sarebbe riuscito a metterlo sotto torchio, o, perché no, a proporlo come preda. «Dannazione, sono stato umiliato da un ragazzino!» Alza la voce e dà le spalle al camino. Trema di rabbia, poi sospira e, con il dorso di una mano, si rinfresca le guance accaldate. Che animale potrebbe essere? si chiede. Titubante, codardo... Un Coniglio, forse. O forse no. Un Cerbiatto? Un Cervo? «No davvero» commenta a mezza bocca. Poi si passa le dita tra i capelli, sbuffa e continua a pensare: Qualcosa di diverso, magari un Usignolo! Non sembra convinto, perciò scuote la testa. Ma la sua voce non è né candida né pulita.

«Sir...» Il sussurro di Bruce lo riscuote.

Louis solleva lo sguardo, lo cerca nella penombra. Poi lo vede: è in piedi, ritto sulla soglia della porta schiusa. Finalmente, si dice. Aggrotta le sopracciglia e borbotta un: «Entra.» Allora muove un paio di passi di fronte al camino e, in fibrillazione, chiede: «Hai trovato la Gallina?»

Questi annuisce. Lo sguardo gelido, impenetrabile. «Sì» dice. «Era appena uscita dalla chiesa del borgo in compagnia del prete.»

«Padre Aubyn, immagino.»

Bruce annuisce una seconda volta. «Credo che sia stato lui ad averla aiutata nell'organizzazione della fuga...» Vede Louis agitarsi per la stanza e poi bloccarsi di colpo, con gli occhi rivolti alle fiamme.

«Ma cosa stai dicendo?» Ringhia, le mani giunte dietro la schiena. «Di quale fuga parli?» E il dubbio lo assale: Possibile che sia riuscita a sfuggirgli?

«Non so dove volesse andare, ma di certo non al borgo: se fosse voluta tornare a casa, lo avrebbe già fatto.»

Un ghigno frustrato, le dita che si tormentano con rabbia. «Indubbiamente» borbotta. «E ci è riuscita? Ha abbandonato Stackpole?» Si volta di scatto, con le sopracciglia aggrottate e le labbra tese.

«No, Sir.»

Sentendo questa risposta, Louis si lascia sfuggire un suono divertito. Ma certo, come avrebbe potuto?

«L'ho fermata in tempo, non temete.»

«C'è dell'altro?» domanda. Solleva un sopracciglio e lo scruta attentamente.

«Il prete...» azzarda. Ma non aggiunge altro, non subito almeno. Vede Louis indurire i muscoli del viso e muovere qualche passo nella sua direzione.

«Cosa?» incalza.

«Potrebbe sapere qualcosa.»

E solleva il mento, restringe perfino lo sguardo e dice: «Non ne dubito.» Incrocia le braccia al petto, poi abbassa la voce e quasi parla tra sé e sé: «Ha parlato anche con mia moglie, dopotutto.»

Bruce deglutisce, china lo sguardo. Sente ancora i passi di Louis nelle orecchie e poi lo sbuffo lieve della stoffa che incontra altra stoffa. Con la coda dell'occhio, lo guarda: è seduto sulla panca a dossale, le spalle rilassate contro lo schienale. «E il ragazzo, Sir?» domanda. «Si è svegliato?»

«Sì è svegliato, sì» conferma in un grugnito basso.

«Capisco...» inizia a dire. Prende una piccola pausa, poi aggiunge: «La Gallina continua a negarlo, ma sono certo che anche lui sappia qualcosa.»

«Come hai detto?» Louis aggrotta le sopracciglia, si ancora al bracciolo della panca e lo fulmina con lo sguardo. Infine scatta, si alza e in un balzo gli è subito di fronte. «Ti avevo detto di ucciderla, non di rapirla» sibila. Trattiene a stento la voglia di urlare, perciò digrigna i denti e sputa un: «Maledetto idiota!»

Bruce batte le palpebre, trattiene il fiato. «Perdonatemi, Sir» soffia. «Ma, veramente, pensavo che avreste voluto sapere chi fosse quel ragazzo...»

«Hai pensato?» echeggia, sottolinea, quasi sembra ridere di lui. Ma non lo fa, no davvero, perché è troppo frustrato, troppo irritato, per arrivare a tanto. «Non devi pensare, devi agire.» Gli punta un dito contro con fare inquisitorio.

«Perdonatemi» ripete.

«È a questo che servi, Bruce» gli ricorda. Serra i denti, gli gira attorno e lo guarda dall'alto in basso. «Devi eseguire gli ordini, devi fare quello che ti dico.» Storce il naso, poi si avvicina al suo orecchio e ringhia: «Totale lealtà...»

«Vi sono fedele, Sir» obbietta sottovoce. «Nessuno potrebbe esservi più fedele.»

«Ma dovresti servirmi meglio, farmi stare tranquillo...» lo rimprovera. Fermo di fronte a lui, infine, sibila: «Dove hai portato quella sudicia sgualdrina?»

«Nelle stalle.» E pare ammutolirsi, quasi vergognarsi.

Louis lo nota e se ne compiace. «Allora portami da lei» dice. «Avanti, Bruce. Mi auguro che, dopo tanto pensare, non vorrai rendere vani i tuoi sforzi.»

L'interpellato solleva la testa, si umetta le labbra e mormora un: «Seguitemi.»



Delphina è in terra, imbavagliata e legata contro una trave di legno. Nelle narici, l'odore fastidioso del letame. Socchiude gli occhi per scacciare le lacrime, e ci riesce a malapena, mentre uno spiffero muove la fiamma della candela accanto alla porta. Quando sente cigolare i cardini, infine, solleva lo sguardo. E vorrebbe deglutire, forse anche urlare, ma s'irrigidisce soltanto. Serra i denti sulla stoffa che le sega le guance, mugola e ricomincia a singhiozzare.

«Detesto le stalle» si lascia scappare Louis. Uno schiocco di lingua frustrato e poi uno sbuffo. Arriccia il naso con fastidio, dopodiché scruta nella penombra. «Eccoti!» esclama all'indirizzo di Delphina. Dapprima sembra quasi divertito, tuttavia cambia completamente atteggiamento: la voce dura, lo sguardo fiero e il mento alto, stizzito. «Ti ho fatta cercare per due giorni, maledetta sgualdrina...» sputa. Digrigna i denti come una bestia e subito sorpassa Bruce per raggiungerla. «Il perimetro di caccia era quello del bosco» le ricorda rabbioso, quasi come se lei possa concepire il suo strazio. «Non avresti dovuto raggiungere il borgo, tantomeno cercare aiuto in una chiesa.» Il profilo illuminato dal vibrare della fiamma, le labbra contratte in una smorfia di sdegno. La vede tremare, tentare la fuga con il solo risultato di farsi calare il farsetto da una spalla. Allora ridacchia, l'afferra per il collo e scandisce un: «Dove pensi di andare?»

Delphina sbatte la schiena contro la trave e geme di dolore. Ma non risponde, no davvero; e come potrebbe? Singhiozza, prega in silenzio. Non voglio morire, si dice.

Louis stringe le dita, sogghigna, la osserva meglio. Poi muta ancora espressione. «Di chi è il farsetto?» chiede, le sopracciglia aggrottate. Guarda Bruce di sfuggita e gli fa un cenno veloce per essere raggiunto.

Allora questi sfodera il pugnale dalla cintura e fa sobbalzare Delphina. «Buona» sillaba. Si avvicina lentamente, si china accanto a lei e le carezza uno zigomo con il retro della lama. «Un solo fiato e ti taglio la gola» l'avvisa. Non aggiunge altro, si limita a guardarla negli occhi.

«Dimmi a chi appartiene questo farsetto» riformula Louis, mentre Bruce le abbassa il bavaglio. Non ottiene risposta, perciò la sprona con un ringhio: «Dimmelo!»

«Non lo so» balbetta. Non pensa neanche a una scusa decente, perché sente la lama del pugnale di Bruce carezzarle distrattamente la giugulare.

«Non lo sai...» pondera Louis. Poi si lascia scappare un'esclamazione frustrata e si alza in piedi con uno scatto. «Da quando in qua le mie terre si sono popolate di bugiardi?» Vede la lama di Bruce premere sul suo collo di Delphina con più veemenza e le sente dire:

«Per favore, Sir...»

Allora solleva il mento e si convince di avere in mano la vittoria. «Di chi è?» insiste. Nessuna risposta, solo il silenzio interrotto dai lamenti di Delphina. «Inutile sgualdrina» l'apostrofa con disprezzo.

«Nossignore!» geme lei all'improvviso.

Louis aggrotta le sopracciglia, la fissa negli occhi e la sfida a ripetere. «Come?»

«Non sono una sgualdrina» lo corregge.

«Sfacciata!» tuona. Solleva una mano e vede Bruce premere la propria sulla bocca di Delphina. Allora la osserva: occhi pieni di lacrime, membra scosse dal terrore. Attende qualche attimo, poi sente l'odore del sangue e socchiude le palpebre. La guarda come guarderebbe un animale allo spiedo, mentre Bruce le taglia l'orecchio sinistro. «Quel farsetto è così piccolo e rozzo...» inizia a dire. «Per caso appartiene a un ragazzino di nome Elliot?»

Delphina urla di dolore, singhiozza forte e per poco non sviene. Sente quel nome e impallidisce. Oh, Dio... Elliot ha cercato di salvarmi, non permettere che gli facciano del male!

«Pensavi che una stupida come lei mi fosse utile, Bruce?» sputa d'un tratto, guardando l'interpellato con una punta di disprezzo. «Non pensare la prossima volta...» Gli vede indurire i muscoli del viso, così sposta lo sguardo su Delphina e dice: «Non mi servi.»

«Aspettate» balbetta. «Vi prego, Sir!»

«Tu preghi me nel momento della tua morte? Davvero encomiabile per qualcuno che ha cercato rifugio nella Casa di Dio.» E ghigna, solleva un sopracciglio, scuote perfino la testa. Torna a guardare Bruce, poi gli dà le spalle e dice: «Toglila di mezzo.» Non aggiunge altro, s'incammina semplicemente verso l'uscita delle stalle. Non un grido, non una parola. Un solo suono lo raggiunge: il sibilo della lama sulla carne.



Quando Louis bussa alla sua porta, è quasi mattino. I capelli scompigliati e la fronte imperlata di sudore. Alene lo guarda, corruga le sopracciglia e trattiene a stento un'esclamazione preoccupata. Per un attimo teme di essere stata scoperta. Sente il cuore galoppare all'impazzata, l'aria bruciare nei polmoni e le vene gelarsi di colpo. Così fa un passo indietro, sfugge dalle sue dita tese e serra le labbra, perché non ha la benché minima voglia d'incontrare quelle di Louis.

«Siete ancora sveglia, darling?» domanda. Accenna un sorriso e ritira la mano in un gesto rapido, seccato. Anche la voce, a dirla tutta, non è poi tanto tranquilla.

Alene guarda altrove e si stringe nella vestaglia che ha indossato in fretta e furia. «Siete voi ad avermi svegliata» ammette in un soffio, poco prima di dargli le spalle.

«Giusto» dice. «Avete ragione, è colpa mia...» Ma più che una constatazione, questa, sembra uno sbuffo; ecco perché restringe lo sguardo e fa un sorriso tirato. Le si avvicina in un batter d'occhio e ripete: «È colpa mia.» La stringe tra le braccia, le bacia il collo. Non si cura di spostarle i capelli, tantomeno di badare a una sua replica. «È sempre colpa mia» borbotta.

«Lasciatemi, Louis.» La voce ferma e le palpebre serrate. Deglutisce a vuoto, si sente improvvisamente in gabbia. «Se volete dormire qui, dormite e basta...»

«E perché mai dovrei dormire qui?» sussurra. Le labbra vicino al suo orecchio e le dita che, lentamente, le sfilano la vestaglia dalle spalle. «Ho una stanza anch'io, non credete?» Si lascia sfuggire un suono divertito. Mi piacerebbe che fosse libera, in effetti...

«Non mi sento bene, Louis» balbetta.

«Dite?» Ode il frusciare della vestaglia che cade in terra e non se ne cura, anzi. Fa un passo in avanti, la calpesta. «Se non mi sbaglio lo avete detto anche l'altra mattina, ma poi siete andata in giro con il calesse...» E la sospinge contro una colonna del baldacchino, la sente mugolare piano. «Non gradite le mie attenzioni, darling

«Non è questo il punto...» inizia a dire. Poi si blocca, tentenna, stringe le dita attorno al legno intagliato e sente quelle di Louis sollevarle la veste.

«Qual è, allora?» incalza. «Ditemi: qual è il punto?» Le carezza una coscia nuda, poi il ventre. Dovrebbe calmarsi, tuttavia è la pelle che si accappona sotto il suo tocco a farlo imbestialire.

Alene non risponde. Il punto è che ho sposato un mostro, si dice. E morde le proprie labbra, s'impone il silenzio. Lo sente grugnire sul collo, così si affretta a cercare le sue mani e se le fa scorrere lungo i fianchi. Se non lo avessi saputo, forse, sarebbe stato diverso. Trema ancora, inconsciamente, mentre pensa alla sparizione di Delphina, agli abiti da caccia di Louis e allo sguardo incredulo di Padre Aubyn.

Un mormorio sul collo: «Darling...» Poi le labbra che si schiudono e che, voraci, suggono una spalla. «Darling...» Sente l'eco di Padre Emmanuel nelle orecchie e mentalmente si ripete il versetto della genesi: Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Inconsciamente, addenta. La sente mugolare e subito stringe: morde, azzanna. Sono io il lupo, padre? Un gemito, un sussulto, poi un altro gemito.

«Piano, Luois» dice. La voce bassa, il tono quasi supplicante. E si scosta dalla colonna del baldacchino, aderisce con la schiena contro il suo petto. Il pensiero rivolto al figlio che porta in grembo e ai crampi che non l'abbandonano mai. Tiene gli occhi chiusi, le mani lontane dal ventre, strette sui seni, assieme alle sue.

«Piano» ripete automaticamente. «Certo, darling...» E non aggiunge altro, si limita a morderle di nuovo la spalla. A stento si accorge dei suoi ansiti, del suo affanno, delle coperte che gli si aggrovigliano alle gambe. Mentre affonda dentro di lei, riesce soltanto a pensare agli occhi di Elliot. Sembrano una coda di pavone, si dice. Li detesto.



Note:

Ciao, ragazzi!

Anche questo è un altro die quei capitoli un po' più corti, ma ormai avete capito il perché, se avete letto le mie note. Spero che vi sia piaciuto e che siate dispiaciuti tanto quanto me per la povera Delphina, nonché per la vinaccia che fa Alene. Perché sì, questa donna non si merita di avere un marito terribile come Louis, lo dirò sempre e per sempre: ho creato un personaggio orribile.

Se lascerete un commento o una stellina, io sarò molto felice.

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