Capitolo 4
1555, Stackpole.
Louis Holland è teso. Ascolta distrattamente il discorso di Oliver e non ha la benché minima idea di cosa stia parlando. Di tanto in tanto accenna un sorriso di circostanza, ma solo perché Theobald ridacchia. E si guarda attorno, punta gli occhi sulla porta del salotto, storce le labbra in una smorfia, deglutisce. Più di una volta si alza dalla panca a dossale, raggiunge la finestra e guarda fuori, verso il giardino, nella speranza di vedere Bruce in groppa a Charon.
«Siete straziante, mon ami...» commenta Oliver in uno sbuffo.
Louis batte le palpebre, infine aggrotta le sopracciglia e si rende conto di essere il soggetto in questione. «Perché mai sarei straziante?» chiede, sottolineando quel fastidiosissimo "straziante". Gli rivolge un'occhiata torva e sposta la mano dalle tende. Nella penombra, allora, gli vede scuotere la testa.
Questi dice: «Fate avanti e indietro, continuate a muovervi per la stanza come un'anima in pena!» E ghigna, sorseggia altro vino, chiede: «Avete così poca fiducia nel vostro fidato?» Un gioco di parole che lo diverte e che subito lo fa ridacchiare.
Louis sorvola sullo strano umorismo di Oliver con una scrollata di spalle. «Affatto. Se così fosse non gli avrei chiesto di tenere d'occhio Alene» mormora. Incrocia le braccia al petto, poi posa le spalle contro il muro vicino. «L'ha seguita per mesi ed è sempre stato molto discreto, molto dettagliato...» spiega brevemente.
Oliver borbotta: «Ma questa mattina era impegnato...» E arriccia subito il naso. «Mi chiedo come vi sia venuta l'idea di portarlo a caccia.»
«Aveva detto di sentirsi poco bene» taglia corto, riferendosi ad Alene. «L'avete vista anche voi, no?» Scatta, facendo un ampio gesto con la mano. «È pallida, emaciata: sembra che la gravidanza la stia distruggendo...» Restringe lo sguardo e scuote la testa. «Tuttavia ho fatto un errore a credere che sarebbe rimasta chiusa in casa.»
Oliver concorda con lui, annuisce addirittura. Poi apre la bocca e dice: «Decisamente.»
Louis si scosta dal muro e ricomincia a camminare avanti e indietro per tutto il salotto. Nelle orecchie, il rumore dei passi e lo sbuffo frustrato di Oliver. D'un tratto, un altro suono. Allora si blocca, osserva la porta chiusa e deglutisce. Cala il silenzio fin quando la maniglia non si abbassa. «Bruce!» Il fiato improvvisamente corto e l'apprensione negli occhi. «L'hai trovata?» Annaspa, gli si avvicina e lo vede chinare il capo in segno di rispetto.
«Sì» conferma sottovoce. Tira fuori la campanella e la porge a Louis. Poi dice: «Se volete seguirmi, Sir...»
L'interpellato lancia un'occhiata ai propri ospiti e si congeda con un: «Vogliate scusarmi.»
A seguire, la nonchalance di Oliver. «Va' pure, mon ami» mormora. Distoglie subito lo sguardo e aggiunge: «Sia mai che vi si placasse lo spirito!» Ed è un'ultima frecciatina, il rumore della porta che si chiude, il ricominciare a parlare del niente assieme a Theobald.
«Che succede, Bruce?» Louis accelera il passo fino a fiancheggiarlo. Lo guarda torvo e gli sente dire:
«Un moccioso ha tentato di vendere la vostra campanella al Rosso.»
«E la Gallina?» indaga.
«Vado a occuparmene immediatamente, Sir.» Non aggiunge altro e resta in silenzio per tutto il tragitto, fin quando entrambi non raggiungono il piano superiore. Poi si ferma davanti alla porta della propria stanza - quella antistante a quella di Louis - e la indica con un cenno del capo. «Il moccioso è svenuto» dice.
Allora Louis arriccia il naso e lo congeda bruscamente con un: «Puoi andare.» Dopo averlo visto annuire, prende un bel respiro per scaricare parte della tensione accumulata e si guarda attorno, si accerta di non essere seguito da nessuno, prima di entrare. Che disordine... Si porta una mano di fronte alla bocca in un moto di fastidio, osservando i vestiti ammucchiati a destra e sinistra - quelli sporchi di sangue e terriccio, quelli che una volta erano stati suoi. Infine sorvola, scuote la testa e subito si concentra sul vero problema: il ragazzo svenuto che riposa scompostamente sul letto di Bruce. Piacerebbe a Oliver, si dice. L'osserva bene: ha capelli lunghi, chiari e scomposti, e il volto ovale, con le palpebre tremanti e le labbra carnose, socchiuse, forse un po' secche. «Chi sei?» Domanda. Nessuna risposta, solo il lieve tremore delle palpebre e l'aggrottarsi repentino delle sopracciglia. Louis digrigna i denti, serra i pugni lungo i fianchi e tiene a freno la rabbia. Si schiarisce la voce e ritenta: «Chi diavolo sei?» Alza la voce, ruggisce e lo vede sussultare. Adesso è certo che sia sveglio, perciò può permettersi di schioccare la lingua con fare seccato. Lo afferra per una spalla e lo scuote fin quando non apre gli occhi e si guarda attorno spaesato.
«Io...» biascica. Si ferma subito e deglutisce. Trattiene un conato, morde le proprie labbra e abbassa lo sguardo. In un attimo ricorda le parole di Aubyn: Se è vero che il Marchese non ha visto Elliot, allora lui dovrà soltanto tenersi alla larga dal bosco e dai guai... E subito comprende di non esserci riuscito.
«Tu cosa?» grugnisce Louis. Gli occhi fissi su di lui, le pupille ristrette e minacciose. Lo vede stremare, ma non sente alcuna risposta. «Sei muto, forse?» Incrocia le braccia al petto con fare ironico e solleva un sopracciglio.
«No» mormora. Punta i gomiti sulle lenzuola sfatte e cerca di sollevarsi. A fatica ci riesce, ma la testa inizia a vorticare velocemente e subito lo costringe a chiudere gli occhi. «Non sono muto» ripete. E cerca di fermare l'ondeggiare del mondo senza riuscirci.
«Allora dimmi: qual è il tuo nome, ragazzino?» Lo vede tentennare: le dita tra i capelli, il sangue rattrappito sui polpastrelli, sulla guancia, sul collo. Storce le labbra e lo avverte: «Devi sapere che non sono conosciuto per la mia grande pazienza - e credo che con te io ne abbia già sprecata abbastanza.»
«Elliot» risponde di getto. «Mi chiamo Elliot, Sir.» Deglutisce, ricaccia indietro un conato di vomito e si dà mentalmente dello sciocco per aver mostrato tanto sprezzo del pericolo dinanzi a Padre Aubyn.
«Di chi sei figlio?» indaga.
Elliot tentenna. «Di Jonathan» dice. «Jonathan il manesco...» E ingenuamente crede che il soprannome di Jonathan sia conosciuto perfino dal Marchese di Stackpole.
Quest'ultimo solleva un sopracciglio e, con irritazione, borbotta un: «Non ripetere le cose, m'infastidisce.»
«Va bene, Sir.» La voce si mozza laddove è nata e la nausea lo assale con più prepotenza; allora stringe i denti, solleva gli occhi verso il soffitto. Il respiro pesante, il sudore freddo sulla fronte, addirittura l'acido sapore dei succhi gastrici in fondo alla lingua. Chiude gli occhi e non riesce a trattenersi: si affloscia a sinistra, preme le mani sul bordo del letto e vomita.
Louis storce il naso in un moto di disgusto e riesce a stento a distogliere lo sguardo. «Diamine!» Si passa una mano sul viso e copre gli occhi. Pondera l'idea di trasferire Elliot da qualche altra parte per far pulire il pavimento. «Non credo di aver mai visto tuo padre...» inizia, ma poi si blocca di colpo. Sei impazzito? Vuoi forse fare conversazione con questo ragazzino? Scuote la testa e si dice: Una situazione ai limiti dell'assurdo. Lo sente gemere tra un conato e l'altro, infine gli lancia un'occhiata veloce e lo vede sorreggersi al comodino di Bruce. «Non frequento molto il borgo» borbotta per tagliare il discorso.
Elliot aggomitola la manica della camicia e, con il fiato corto, si pulisce le labbra sporche. Ma di cosa sta parlando? si chiede. Gli occhi arrossati, pieni di lacrime, e la bocca che sa di acido. Tentenna, trema sul posto e infine si accascia contro la spalliera del letto.
Un ordine imperioso, tonante: «Alzati.» Louis aggrotta le sopracciglia e decide d'infischiarsene del malessere di Elliot. Non ho intenzione di restare in qui un secondo di più! «Sbrigati a seguirmi - e bada bene che non voglio ti veda nessuno.»
Elliot si morde le labbra e annuisce lentamente. Adesso ha paura, ha davvero tanta paura. Sono uno stupido, si dice. Come ho potuto credere di farla franca? Finirò a correre nudo nei boschi, finirò come Delphina... E serra i denti, percepisce una fitta alla tempia, scende a fatica dal letto. Vede la stanza ondeggiare e si sente come nel centro dell'oceano - ah, ma lui non l'ha neppure mai visto il mare! «Devo tornare a casa» biascica. Prova a guardare fuori dalla finestra, a muovere qualche passo in quella direzione, ma viene subito intercettato da Louis e perde il contatto con il pavimento. Non di nuovo, per favore... Mugola qualcosa d'incomprensibile, forse le stesse parole che mormora l'inconscio, mentre si preme una mano sulla bocca e ricaccia indietro un conato. Prega di non vomitare di nuovo e si dice: Non adesso, non sulle spalle del Marchese di Stackpole!
«Affatto, tu devi fare solo e soltanto quello che dico io.»
«Sir, vi prego...» obbietta in un mugolio lieve.
«Sta' zitto!» lo liquida così, senza ammettere repliche.
Ed Elliot tace. Serra le labbra, le morde, vede fluttuare il corridoio e cerca di mettere a fuoco le immagini che gli balenano davanti. Tuttavia non ci riesce. E le mura dipinte, i preziosi vasi ai margini del corridoio, perfino le porte chiare, smaltate e decorate con gli arabeschi, iniziano a roteargli attorno alla velocità della luce. Allora chiude gli occhi, deglutisce, preme maggiormente la mano contro le labbra. S'impone di stare bene con un: Non vomitare, dannazione! Poi sente il rumore di una chiave, quello di una maniglia che si abbassa, addirittura il vibrare del legno contro qualcosa - la porta contro il muro, forse. «Non ho fatto niente» balbetta a occhi chiusi.
«Zitto, ho detto» sibila. Se lo scrolla di dosso e lo lascia cadere sul letto con ben poca grazia.
Elliot trattiene il fiato, s'irrigidisce. Cade nel vuoto e rimbalza sul fresco copriletto ricamato di Louis. Poi, a fatica, socchiude le palpebre. «Giuro che non so niente di quella campanella: l'ho soltanto trovata nel bosco questa mattina e ho cercato di rivenderla... Non sapevo che vi appartenesse, Sir» soffia.
Louis si avvicina alla porta e la chiude in uno sbuffo seccato. «Dove l'hai trovata?» È ridotto a uno straccio, si dice, non riuscirà a mentire ancora a lungo.
Elliot non risponde. Fissa i ricami del copriletto, cerca di regolare il proprio battito cardiaco, ma non risponde. Lo stomaco sottosopra e il respiro corto, spezzato. È spaventato, tuttavia non ha alcuna intenzione di vuotare il sacco. «Io...» inizia e si ferma. Poi si copre gli occhi con le mani, cerca di nascondersi dal vorticare della stanza.
«Dov'è quella ragazzina?» scandisce Louis.
«Quale ragazzina?» balbetta. Pensa subito a Delphina e s'irrigidisce. Preme i polpastrelli sul viso sudato e prega di farla franca. In un modo o nell'altro ce la farò, si dice.
Sibila: «Guardami.» E lo ordina, lo pretende, ma vede Elliot restare fermo, immobile, come una statua di sale; così scatta: lo afferra per i polsi, lo sprona a togliersi le mani dal viso. «Non urlare» dice. «Non costringermi a farti tagliare la lingua.» E lo sente deglutire, tremare. Si convince di averlo spaventato abbastanza, perciò riformula: «Dimmi dov'è e non ti sarà torto un capello.»
«Non capisco, Sir...»
«La mocciosa con i capelli rossi, quella che portava al collo la campanella!» Stringe le dita attorno a i polsi di Elliot fin quando quest'ultimo non si lascia sfuggire un gemito basso. «Dov'è?»
Occhi negli occhi con Louis Holland, mente spudoratamente: «Non ho visto nessuno, non ricordo nulla...» E si blocca, percepisce le sue unghie premere a fondo nella carne. Trattiene il fiato, balbetta di nuovo un: «Io non ricordo.»
«Moccioso bugiardo» lo apostrofa a denti stretti.
E questi si lamenta: «Mi fate male.» Non riesce a trattenere la voce spezzata.
«Pensi di prendermi per il naso, ragazzino?»
«No!» Alza la voce, poi l'abbassa di colpo. Dice: «La campanella era in terra, ai piedi di un albero.» L'ansia che sale, che gli annebbia la vista assieme alle lacrime.
Louis emette un ringhio basso e lo libera in uno scatto. «Non hai visto la ragazzina?» chiede. Muove qualche passo nella stanza e gli fa girare ancora di più la testa.
«No, nessuna ragazzina» soffia. Si trattiene dal battere le palpebre e prega di poter mantenere la propria dignità ancora a lungo. Non piangere davanti a lui, Elliot! si rimprovera mentalmente, pizzicando la coscia vicina per darsi un contegno.
E Louis sbotta con un: «Dannazione!» Aggrotta le sopracciglia, lo punta con l'indice destro e infine dice: «Non muoverti di qui.» È un ordine, più che un consiglio, ed Elliot lo sa.
Vorrebbe trasgredire, alzarsi dal letto, fuggire fino al borgo, ma non si muove. A dirla tutta non ci riesce e gela sul posto. Annuisce lentamente, poi, e si morde le labbra quando lo vede uscire di corsa dalla stanza. Sente la chiave girare più volte nella serratura, infine solo il proprio sangue nelle orecchie e una vocina che, dentro la sua testa, dice: Maledizione, sono fregato!
Note:
Ciao, ragazzi!
Questo capitolo è un po' più corto degli altri, ma non avrei avuto modo di staccare il paragrafo successivo, perciò ho preferito affidarmi alla vostra clemenza e non addossarvi un lungo papiro che poi mi avreste lanciato dietro assieme a frutta e verdura - le pietre no, per favore!
Che ne dite, Elliot è nei guai? Aubyn lo diceva di non fare idiozie, eppure è stato più forte di lui. Certo, di quei tempi era difficile lasciarsi scappare una così ghiotta occasione, però...
Ho cercato un'immagine decente per rappresentare la stanza di Louis, ma non sono riuscita a trovare di meglio, perciò perdonatemi se nella foto sono presenti lampadine & Co. e, per favore, fate finta che non ci siano!
Commenti e stelline sono bene accetti, come sempre!
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