Capitolo 3

1555, Stackpole.

Louis Holland non avrebbe mai pensato di fare ritorno a palazzo con la sola soddisfazione di aver cacciato la selvaggina per pranzo. Eppure, mentre affonda i denti nella faraona arrostita, non può che constatare la propria disfatta. È irritato, frustrato, e continua a pensare al Cerbiatto.

Dall'altro lato della tavola imbandita, sua moglie, Alene, non tocca cibo. Di tanto in tanto osserva i commensali, poi torna a puntare gli occhi su di lui e resta immobile: la schiena dritta, le mani giunte all'altezza del grembo e il mento alto, fiero.

Oliver schiocca la lingua. «Non fate quella faccia, mon ami» dice. Fa ondeggiare il bicchiere di vino, poi lo scola tutto d'un fiato e aggiunge: «Il Cerbiatto tornerà presto a casa...»

Louis lo fulmina con la coda dell'occhio. Deglutisce il boccone di carne e si chiede che fine abbia fatto Delphina, se sia riuscita a raggiungere il borgo o se abbia optato per la fuga verso Pembroke. E se anche fosse? si chiede. Chi mai crederebbe a una povera pazza? Non risponde, anzi, e si rivolge ad Alene con uno sterile: «Non mangiate, darling

«Non ho fame.» Alene batte le palpebre una sola volta e segue l'arco della mollica di pane che Oliver de Rivière lancia a Theobald Bailey. «È da questa mattina che mi sento poco bene...» gli ricorda.

Oliver ridacchia dietro il proprio fazzoletto, subito fulminato dall'occhiataccia di Louis. Allora solleva il bicchiere, si fa versare altro vino dalla domestica e tamburella con le dita sulla tovaglia. Gli occhi fissi su Theobald e il ghigno stampato in faccia.

Louis scuote la testa, fa cadere la faraona nel piatto, infine dice: «E starete ancora male, darling, se continuerete a ignorare i malesseri per andarvene in giro nella tenuta.» Sorseggia un po' di vino e la vede deglutire a vuoto.

Lei è pallida, emaciata. Gli occhi vitrei, spenti. Sa di non aver mentito sulla propria salute, perciò balbetta un: «Come?»

«Mi è stato riferito che siete stata fuori con il calesse per tutta la durata della messa di Padre Emmanuel.» La vede irrigidirsi, ma non nota il fremito delle sue dita giunte, sbiancate. «Non avete neppure messo piede nella cappella, meno che mai mi avete raggiunto sulla collina.» La fulmina con lo sguardo, lasciandole intendere quanto sia forte la voglia di schiaffeggiarla dinanzi ai commensali. Poi aggiunge: «Devo forse pensare che abbiate d'improvviso rifiutato la religione di Nostro Signore per abbracciare quella degli eretici?»

«Come osate!»

«Sempre ammesso che non nascondiate un amante...» continua con noncuranza. «In tal caso sarò costretto a prendere gli adeguati provvedimenti.»

Oliver solleva un sopracciglio e posa il bicchiere di vino sul tavolo. Vede Theobald deglutire e si chiede a quale tipo di provvedimenti stia facendo riferimento Louis. Certo è che non possa divorziare, si dice. Ghigna e scuote la testa.

«Proprio voi fate la morale a me?» domanda Alene. Un cipiglio irritato le increspa la fronte, mentre le dita si serrano automaticamente sulla stoffa della gonna. «Vi ricordo che è stato vostro padre ad abbracciare la Chiesa Protestante, non il mio!»

«È vero...» sibila. Arriccia il naso con una punta di disgusto, poi dice: «Il vostro ha soltanto finto di fare la riverenza al Re Enrico.» La vede indurire lo sguardo, poi sbattere entrambi i pugni sul tavolo. Allora scuote la testa e borbotta un: «Che temperamento, darling...»

«Non tollero simili bassezze da parte vostra» dichiara. «Certe parole dovreste usarle con altri, non con me.» A questo punto, fulminata dallo sguardo di Louis, Alene si alza di scatto e abbandona la tavola a passo svelto.

Oliver ridacchia. Sente i tacchi di Alene allontanarsi nel corridoio e subito si finge indignato. «Mon ami, risparmiate certe bassezze per altre persone!» esclama. Poi storce le labbra, assume un'espressione quasi buffa, al limite del verosimile. E ride di nuovo, echeggiando nel suo sbuffo seccato. «Avete venticinque anni, per Dio!» Impreca divertito, nominando il nome di Dio invano e lanciando a Louis un grosso pezzo di pane.

«Anche voi avete venticinque anni» schiocca Louis, arricciando le labbra in una smorfia complice.

Theobald si schiarisce la voce per attirare l'attenzione e, chissà come, ci riesce. «Avete fatto seguire vostra moglie, Sir Holland?» chiede. «Perché mai?» Solleva le sopracciglia per mostrarsi perplesso. «Dubitate, forse, della sua fedeltà?»

Louis schiocca la lingua. Dice: «Il malessere di Alene perdura da mesi, ormai.» Con fare annoiato, dunque, lancia una mollica a Oliver. «Ha sempre chiesto di Padre Aubyn per raccogliersi in preghiera nella cappella di palazzo - fatta eccezione, naturalmente, per quando ha avuto quella grossa ricaduta qualche tempo fa.» Indurisce i muscoli del viso e osserva la faraona che riposa scompostamente nel piatto. «Da quando è incinta si comporta in modo strano» mormora. «Non è mai accaduto prima, sapete? Neanche durante la seconda gravidanza...»

«Non crucciatevi, mon ami» fa Oliver con tono cantilenante, divertito. «Magari è davvero come dite voi, magari ha un amante...»

«Il cocchiere l'ha accompagnata al borgo» dice. «Da Padre Aubyn...» E non aggiunge altro, puntella semplicemente la faraona con la forchetta.

«E se fosse proprio lui l'amante?» ridacchia Oliver, venendo bruscamente interrotto dalla domanda spaesata di Theobald:

«Chi, il cocchiere?»

Oliver nega, poi dice: «No, intendo Padre Aubyn.»

«Se così fosse, ci sarebbe da ridere. Ma dubito fortemente che un uomo di Chiesa come lui possa arrivare a tanto» borbotta Louis. «Non è mai stato di fede protestante, non ha mai preteso di stringersi a un corpo caldo nella propria celletta.»

«Non dovreste mai sminuire le prodezze che potrebbe compiere un prete nella propria celletta, mon ami!» Oliver fa sfoggio del suo classico cinismo e trattiene a stento una risata. «Dopotutto è risaputo che, durante l'apprendistato, alcuni seminaristi hanno modo di tenersi a freno a vicenda...» Lancia un'occhiata eloquente a Louis, ignorando totalmente lo sconcerto di Theobald. Infine sospira, torna serio e dice: «Ma vostra moglie è una donna, e fino a prova contraria i figli che ha partorito non somigliano a Padre Aubyn.»

Louis annuisce, conviene con lui e sospira. D'altro canto, Theobald corruga le sopracciglia e azzarda una domanda:

«Che cosa vi preoccupa, dunque?»

«Lo sgomento di padre Aubyn» dice. «Il cocchiere giura di averlo visto bianco come un cencio...»

«Ma vostra moglie non ha mai sospettato niente...» obbietta. Ha il fiato corto e la testa su di giri, mentre il silenzio cala nella sala da pranzo e si accompagna al deglutire di Oliver.

Quest'ultimo osserva il proprio bicchiere di vino, poi Louis. Si schiarisce la voce e fa un cenno alla domestica che subito si avvicina per versargli da bere.

Allora Louis si guarda attorno e comprende il motivo di tanto silenzio. «Lasciaci soli» borbotta. «E lascia qui il vino.» La vede annuire e uscire alla svelta, dopodiché grugnisce.

Oliver si appropria della brocca con naturalezza e china appena la testa in segno di gratitudine. «Devo correggervi, Sir Bailey...» inizia a dire. «La Marchesa non ha mai sospettato nulla fin quando non è stata poco bene - quand'è stato, mon ami? Tre o quattro settimane fa?»

«Quattro.»

Oliver solleva la mano e con fare pensieroso si arriccia una ciocca bionda. «Quattro...» mormora. «Questo significa che era il giorno della caccia alla Volpe.» E si umetta le labbra, sorseggia un po' di vino. La Volpe, già... Me la ricordo, si dice. Ghigna, focalizzando la memoria su quel ragazzino appena quattordicenne, quello minuto e pallido, che aveva la chioma color ciliegia. «L'avevo trovata al borgo» dice. «Stava caricando della legna su un carretto, mentre tornavo dalla locanda...»

«Oliver!» Louis aggrotta le sopracciglia, lo sente ridacchiare e ricorda subito le parole di quella volta: Questa sarà una stagione fantastica. Deglutisce. Ha detto così, poi lo ha lasciato cadere nelle scuderie e mi ha chiesto di mettergli al collo la campanella...

E Theobald, quasi come se gli abbia letto nel pensiero, esclama: «La campanella! Dobbiamo cercare la campanella!»

Oliver serra i denti e si lascia scappare un suono seccato. Rivolge un'occhiata veloce a Louis, che automaticamente chiude gli occhi e grida:

«Bruce!»

«Dovevamo cercarla prima di pranzo» borbotta Oliver.

Louis fa gracchiare le gambe della sedia sul pavimento e grugnisce. Lo chiama ancora: «Bruce!» E continua, alza la voce, s'incammina lungo il corridoio fino a dimenticare i propri commensali. Quando lo incontra, sospira. Ha la gola secca e lo sguardo torvo, inflessibile.

Bruce china la testa in segno di rispetto, fa la riverenza. «Ditemi, Sir» mormora. Gli occhi bassi, il tono servizievole. Attende gli ordini senza battere ciglio, da bravo sgherro.

«Vai al borgo, subito!» tuona. Si umetta le labbra, cerca la calma perduta e abbassa la voce fino a ridurla a un sussurro sibilino: «Devi trovare la campanella e quella maledetta puttana che se l'è portata via. Non voglio errori, capito? Perciò vedi di mitigare la tua presenza, di farti notare il meno possibile... E agisci nell'ombra, sii tu stesso un'ombra.» Deglutisce, lo vede annuire e poi continua: «Non m'interessa come, ma voglio che quella sgualdrina rossa finisca con il collo tirato come una dannata gallina.» Ecco cos'è, si dice, una dannata Gallina! Altro che Cerbiatto! Schiocca la lingua, si guarda attorno e conclude il discorso con un po' più di enfasi: «Portami quella maledetta campanella, chiunque ce l'abbia o sappia che esiste. E se è ancora lei ad averla... Non la voglio.»

Bruce annuisce, ben consapevole del significato delle parole di Louis Holland. «Sarà fatto.»


Il cavallo di Bruce si arresta lontano dal borgo, a pochi passi dall'abitazione di Nicolas, detto "il Rosso". Non emette un fiato, perché anche lui è come un'ombra. E muove appena gli zoccoli per tastare il suolo, per sollevare una nube di terriccio. Poi, soddisfatto della propria postazione, si ferma. La coda bruna ondeggia, le palpebre si alzano e abbassano un paio di volte. Sbuffa per allontanare una mosca, infine guarda altrove.

Bruce assicura le briglie a una staccionata vicina e si guarda attorno. Gli occhi scuri, torvi, e le labbra serrate. Gira attorno al cavallo e batte violentemente un pugno sulla porta del Rosso. Niente, solo il vociare lontano di un povero pazzo. Allora schiocca la lingua, digrigna i denti e bussa ancora, con più veemenza.

«Quanto vale?»

Sentendo questa domanda, Bruce si blocca. È certo che qualcuno stia parlando con il Rosso, perciò abbassa il braccio, tende le orecchie e lancia un'occhiata a sinistra, verso il vicolo. È strano che contratti all'esterno, si dice.

Il Rosso grugnisce, dice: «Vediamo, allora...» E tende la mano in avanti, guarda Elliot negli occhi. Lo vede tentennare, perfino mordersi le labbra con fare dubbioso. «Ce l'hai o no questa benedetta campanella?» Alza gli occhi al cielo e sbuffa per l'ennesima volta.

Bruce aggrotta le sopracciglia. Sir Holland aveva ragione, si dice. Ma non posso dargli torto, perché perfino io cercherei di rivendere un simile oggetto. Si avvicina all'angolo e mantiene le spalle ben posate contro la parete della casa del Rosso.

«Certo che ce l'ho» borbotta Elliot. Sfila la campanella dal risvolto dei calzoni e deglutisce. In un gesto seccato, infine, la posa sul palmo del Rosso.

Questi l'afferra al volo, la osserva con attenzione e ghigna. «Una campanella d'oro massiccio...» commenta. La morde, poi scuote la testa e ridacchia sotto i baffi; quasi non riesce a crederci. «Dove l'hai rubata, ragazzino?»

Elliot, spazientito, restringe lo sguardo. Si puntella su una sola gamba e con l'altra inizia a battere il piede in terra. «Non l'ho rubata, l'ho trovata.»

«E dove l'hai trovata?» riformula. Solleva un sopracciglio e si avvicina al suo viso per cercare di metterlo in soggezione. Tuttavia viene liquidato con un:

«Non sono affari tuoi.»

«Ah, sì?» mugola. Il fastidio nelle vene e le sopracciglia aggrottate.

Elliot solleva il mento con aria di sfida e annuisce. «Dimmi solo quanto vale e se sei disposto a fare lo scambio.»

Il Rosso è dubbioso. Si rigira la campanella tra le dita e soppesa l'idea di chiudere la trattativa. Guarda Elliot, arriccia le labbra, poi sospira. Fa per dire qualcosa, ma si blocca di colpo, con le labbra socchiuse. Vede Bruce e deglutisce. Subito comprende la gravità della situazione e si dice: L'ha rubata al Marchese di Stackpole, dannazione! Arriccia il naso, scuote la testa e solleva una mano per grattarsi la nuca in un moto di frustrazione. «Non saprei dirti» borbotta, prende tempo. «Perché non mi dici dove l'hai trovata, piuttosto?»

Uno sbuffo infastidito, poi la mano che si tende automaticamente verso il Rosso. «Se sei interessato alla sua storia, ridammela» scandisce Elliot. Poi ci ripensa, affina lo sguardo e indurisce i muscoli del viso. Sono tempi difficili, mormora l'inconscio. Deglutisce, infine sbotta con un: «Diavolo!» E stringe i pugni lungo i fianchi, trema di rabbia. Chiede: «Che importa dove l'ho trovata? L'ho trovata e basta! La gente viene qui per darti qualcosa in cambio di qualcosa, no? Io non sono da meno... La vuoi o no?» Cerca di essere minaccioso, ma non ci riesce - non del tutto.

Il Rosso solleva un sopracciglio e continua a tergiversare nel mentre che Bruce si avvicina con passo felpato. E anche questa volta non ho guadagnato niente, si dice. Poi fa spallucce e borbotta qualcosa come: «Si tratta di una campanella d'oro massiccio, perfino un orafo mi chiederebbe della sua provenienza...»

«Bugiardo» lo apostrofa Elliot con fare stizzito. «A chi vuoi che importi una cosa simile?»

«A chiunque sappia guardare bene» soffia. Allora stringe la campanella tra indice e pollice, l'avvicina al viso di Elliot e domanda: «Vedi niente?»

«Qualcosa» ammette a mezza bocca. Non riesce a capire esattamente cosa sia quel simbolo in rilievo, perciò storce le labbra in un'espressione confusa.

Il Rosso ritira l'oggetto, si concentra su di lui e inizia a parlare a ruota libera: «È un fiore, un iris stilizzato. E sai cosa significa, ragazzino? Oh, certo che no... Te lo dirò io, allora: questa campanella appartiene a un nobile.» Lo vede deglutire a vuoto e ghigna di soddisfazione. «In Francia lo confondo con il giglio per colpa della pronuncia, o perlomeno così dicono - io non conosco il francese. La leggenda narra che Luigi VII, Re di Francia, combatté una guerra e ne uscì vittorioso in un campo di iris...»

Elliot balbetta: «Non è detto che appartenga a un Francese.» E aggrotta le sopracciglia, serra le labbra, sente ridacchiare il Rosso.

«Chissà, ma per rendere la campanella irriconoscibile dovrei sbalzare via questo simbolo e perderei del materiale...»

Un ringhio: «Stai cercando di abbassare il prezzo, forse?» Elliot muove un passo nella direzione del Rosso, cerca di essere minaccioso e inquisitorio. Non mi farò fregare da un ricettatore, si dice. Ed è convinto, sprezzante, mentre aggrotta le sopracciglia e digrigna i denti. D'un tratto, però, la sua espressione cambia: gli occhi sgranati, il fiato corto e le labbra schiuse. Si sente afferrare per la camicia e perde un battito. L'aria che brucia nei polmoni, la testa che si volta automaticamente e la voce che, fievole, gli esce di bocca in un soffio. «Cosa...»

Lo sguardo torvo di Bruce lo zittisce. E questi, a un palmo dal suo naso, sibila: «Dove l'hai trovata, moccioso?»

Elliot annaspa, batte le palpebre e prova a fuggire. Sente il suono della stoffa che si lacera, poi percepisce la presa salda di Bruce su una spalla e in un attimo finisce contro il petto del Rosso. «Nel bosco» balbetta.

«E perché eri lì?» Bruce lo scruta da vicino. Gli occhi taglienti, neri come la notte. Muove appena le labbra e vede tremare quelle di Elliot. «C'era una battuta di caccia, se non vado errando...» inizia. «Non sai che è pericoloso addentrarsi nel bosco quando i nobili sono a caccia?»

«Ero andato in chiesa» dice. La voce ridotta a un soffio e il sangue che gli romba nelle orecchie. «Mi sono appisolato sul muretto e padre Aubyn mi ha rimproverato... Allora sono scappato via, volevo nascondermi.» Deglutisce a vuoto, aggrotta le sopracciglia e poi s'impone il silenzio. Ho già parlato troppo, si dice. Con le labbra serrate, dunque, tenta la fuga una seconda volta e viene strattonato da Bruce. «Non ho rubato niente! Non so nemmeno a chi appartiene! Io l'ho trovata in terra...»

Bruce solleva un sopracciglio e ghigna. Un'espressione inquietante, perlomeno a detta di Elliot. «Vieni con me» dice. Lo tira per il braccio e lo sente grugnire piano.

«Non ci penso proprio!» sbotta. Punta i piedi in terra e, divincolandosi, cerca di frenare l'avanzata di Bruce. «Non so niente di quella campanella, volevo solo rivenderla!» ringhia.

«Non faresti paura a una mosca, moccioso.» ridacchia, poi schiocca la lingua sul palato e lancia un'occhiata al Rosso. Lo fulmina in silenzio, intercettandolo prima ancora che possa far sparire la campanella in una delle sue tasche.

«È un bell'oggetto» borbotta questi. «Sarebbe un peccato non ricavarci nulla...»

Uno sbuffo, poi il tintinnio delle monete d'argento che Bruce lancia in terra. «Dammi la campanella» sillaba e tende la mano libera nella sua direzione. «Adesso!»

Il Rosso deglutisce, poi annuisce e si affretta a lasciare la campanella sul palmo aperto di Bruce. Infine, giusto per non smentirsi, si affanna nella fanghiglia per raccogliere le monete.

Elliot si morde le labbra, vede Bruce infilare la campanella nella tasca del farsetto e coglie l'occasione per dargli un calcio sullo stinco. Riesce a sfuggirgli, a muovere qualche passo lungo il vicolo. Per un attimo pensa di poter raggiungere il borgo, Padre Aubyn, Delphina. Ma è un'illusione che va subito in pezzi, perché si sente afferrare e sollevare da terra in men che non si dica. «Lasciami!» grida. Nessuna risposta, solo il suono del proprio sangue nelle orecchie e il battito impazzito del cuore. «Ti ho detto di lasciarmi, maledetto!» grugnisce e inizia a scalciare, a dimenarsi.

Bruce ringhia - ed è un ringhio diverso da quello di Elliot: più cattivo, gutturale. «Zitto, moccioso!»

«Mettimi giù!» Annaspa. Sente la spalla di Bruce contro lo sterno e trattiene a stento un conato. Poi spalanca gli occhi, vede il muro avvicinarsi a una velocità impressionante e serra i denti. Un dolore intenso lo coglie all'altezza della tempia sinistra, mentre il suono del colpo gli rimbomba nel cervello. Nelle narici, l'odore del sangue.

«Addirittura?» commenta il Rosso. È chinato in terra, con le ginocchia che quasi affogano in una pozzanghera e tre o quattro monete in mano. Lo sguardo fisso su Bruce e l'ormai inerme Elliot. Solleva un sopracciglio, ma non aggiunge altro e, al contrario deglutisce in silenzio.

Glaciale e imperturbabile, Bruce dice: «Faceva troppo rumore.»


Note:

Ciao a tutti!

Devo ammettere che ridurre i capitoli a una lunghezza normale è quasi emozionante. Non posso tagliarli per renderli inferiori alle 3000 parole - cosa a cui tengo particolarmente e per cui mi batto durante la stesura delle nuove storie - ma ci giro intorno e prometto che li renderò tali quando avrò finito le frecce al mio arco e dovrò continuare a scrivere per portare avanti la riscrittura.

Che ne dite di Bruce? Ammetto che, malgrado sia appena apparso e non abbia fatto proprio una bellissima impressione, sia uno dei miei personaggi preferiti. Sì, io non sono una fan della barba, né degli sgherri, e di solito amo di più i protagonisti; eppure lui è il mio orsetto! Andando avanti, capirete. Cioè, lui è membro eterno della mia ship het del cuore. E io che tifo sempre slash sono nettamente perplessa ogni volta che leggo/rileggo di lui. Mi piace troppo, mi piace la coppia, lo adoro. Non sto cercando d'influenzarvi, eh. Metto via il pendolino dell'ipnosi...

E del trio di nobilotti, che ne pensate? Ho potuto approfondire un po' qualche loro aspetto mentre erano a tavola, presentando anche Alene, pezzo di cuore. L'olivercentrismo di Olly è abbastanza cinico?

Ah, ringraziamo AlexielDubois per essersi tanto impegnata a trovare la campanella! Io non riuscivo a trovarla ed ero disperata... Che angelo.

Se la storia vi sta piacendo, lasciate un commento o una stellina, ve ne sarò grata!

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