Capitolo 20
1555, Stackpole.
Louis si volta nella direzione della porta aperta, fissa Elliot con fare leggermente contrariato e si chiede per quale oscura ragione non abbia deciso di bussare sul montante. Tuttavia non dice niente, storce appena il naso e annuisce.
«Vieni pure avanti» borbotta, facendogli un cenno con la mano sinistra.
Questi si guarda attorno con fare stranito. Allora, improvvisamente gelato, impallidisce. Non è solo, constata. Cosa ci fanno qui queste persone? Perché mi ha chiamato, mentre è in loro compagnia? Rabbrividisce inconsciamente, teso come una corda di violino, ma esegue l'ordine e si muove lentamente verso il centro della stanza. Tiene lo sguardo basso, troppo preoccupato del fatto che il Conte de Rivière possa riconoscerlo.
«Era ora, mon ami!» esclama costui. «Possiamo parlare, dunque?»
L'interpellato annuisce appena, poi guarda Elliot con la coda dell'occhio e si occupa delle presentazioni. Dice: «Loro sono il Conte Oliver de Rivière e il Conte Theobald Bailey.» Ha il tono basso e stanco, troppo provato dal lutto.
Elliot li guarda entrambi, poi fa un lieve inchino nella loro direzione. Non riesce a sostenere lo sguardo di Oliver, però, perché continua a ricordare il loro primo incontro e l'olezzo di vino che questi emanava. Non lo sopporto, si dice. M'infastidisce anche solo condividere con lui la stessa aria, la stessa stanza!
«Noi ci conosciamo già» soffia Oliver con naturale malizia. Si picchietta uno zigomo con l'indice e si avvicina di un passo a Elliot. Gli vede indurire i muscoli del volto, così sorride e incrocia le braccia al petto. «Ci siamo visti al borgo» continua, cogliendo consecutivamente l'occhiata irritata di Louis.
«Non è questo il punto...» interviene quest'ultimo. Poi sospira, ignora l'espressione contrariata di Oliver e si rivolge direttamente a Elliot con un: «Ti ho chiamato per parlare di una faccenda importante, e credo che tu sappia a cosa mi stia riferendo.» Fa un cenno in direzione della porta, facendo intendere che questa debba essere chiusa. Poi, vedendolo affannarsi verso di essa, aggiunge: «Dovresti spiegare la tua implicazione in merito, e dovresti farlo davanti ai miei due amici.»
Ah, la caccia all'uomo! si dice Elliot. Deglutisce a fatica e china la testa. Non ha voglia di parlarne, tantomeno di rammentare la tragica fine che ha fatto Delphina, perciò si stringe nelle spalle e resta in silenzio. I palmi posati sulla superficie lignea e i denti stretti sul labbro inferiore.
A parlare, però, è Oliver. Il tono serio, vagamente concitato, dice: «So che Bruce ti ha trovato nei bassifondi e so che è proprio lì che stavi cercando di vendere al Rosso la campanella del collare.» Vuole metterlo con le spalle al muro, non c'è dubbio. Perciò, non appena Elliot si volta nella sua direzione, i suoi occhi scuri e penetranti si puntano su di lui, cercando quasi di attraversarlo come lance acuminate.
E questi lo ammette, dice: «Sì.» Annuisce, poi torna a osservare Louis con fare svogliato. Vorrei tanto che questo discorso finisse adesso. «Ma ne ho già parlato con Sir Holland, Sir de Rivière, e non ho altro da dirvi.» Inspira a fondo, cercando di placare il proprio nervosismo. «Credo che lo sappiate, comunque. Vedo che Sir Holland vi ha messo al corrente di tutto...» soffia.
«Conte» precisa piccato, dopodiché continua: «È vero, non a caso siamo qui per un altro motivo.» Gesticola in modo fastidioso, facendo in modo che tutte le parole di Elliot sembrino fuori luogo.
«Allora ditemi, vi prego: cosa posso fare per voi e i vostri crucci?»
L'interpellato si nasconde le labbra con una mano, ghigna in modo mellifluo e fa restringere lo sguardo a Elliot. «I nostri crucci...» echeggia. E non dice altro, inclina appena il capo senza staccargli gli occhi di dosso. Sa che Theobald prenderà la parola al suo posto e non si fa problemi a lasciargliela.
«Assicurarci che non hai messo piede nel bosco» dice, per l'appunto, Theobald Bailey.
«Come?» balbetta Elliot. Guarda Theobald, poi Oliver e infine Louis. Non riesce a comprendere cosa abbiano in testa e batte le palpebre con aria stranita, quasi sconvolta. «Ho cercato di vendere la campanella, lo sapete» obietta. «A che serve mentire? È così palese che io sia stato nel bosco...»
«Non tutte le bugie sono davvero bugie. Dipende da chi le ascolta e da chi le dice, dalla convinzione che conservano e dalla struttura che le caratterizza come verità» spiega candidamente Oliver.
Elliot scuote la testa. È confuso e agitato. Non sa se si stanno o meno prendendo gioco di lui. «Io non capisco» soffia. «Conoscete quanto accaduto, avete parlato con Sir Holland. Come mai mi chiedete di negarlo? Vi divertite, forse?»
«Non ti chiediamo di negare» lo corregge Theobald. «Ma di ricreare la verità.»
«Non posso ricreare la verità, Sir Bailey, perché non si può cambiare il passato. Se fosse stato possibile, lo avrei già fatto - tante, troppe volte, fino a oggi.»
Theobald solleva un sopracciglio, socchiude perfino le labbra per replicare e dire qualcosa, ma viene interrotto dalle parole ciniche di Oliver:
«Non ne dubito.»
Allora vorrebbe chiedere spiegazioni, essere messo al corrente del suo palese divertimento, ma non lo fa. Sa che Oliver è troppo subdolo quando sente di avere in pugno qualche verità.
«Suvvia, Flea!» Sbuffa d'un tratto, richiamando l'attenzione dei presenti. «Non essere tanto sciocco, il mio amico qui presente sta cercando di farti intendere che, volendo, puoi mentire non solo con noi, ma anche con il resto del mondo.» Gesticola ancora, poi fa spallucce e posa un pugno sul fianco con fare noncurante. «Con il bel faccino, che ti ritrovi, in fondo, non sarà poi così difficile. Vedrai, ti crederanno subito.» E sospira, prega che Louis non si offenda per la battuta, dice: «Questa storia non dovrà uscire di qui - e non lo farà, puoi starne certo. Ma data la nostra implicazione e l'ostinazione di Sir Holland nel tenerti in vita, temo che bisognerà trattare i termini.»
«Sir Holland sa bene che non ho motivo di parlarne con chicchessia» replica Elliot indignato. Anche il Conte de Rivière pensa di potermi trattare come meglio crede, ma si sbaglia.
«Può anche darsi che lo sappia, ma io e Sir Bailey non ne eravamo a conoscenza fino a qualche momento fa» mormora. «Suppongo che capirai la nostra ritrosia a crederti sulla parola, Flea.»
Detesto questo soprannome, si dice. Serra i denti, ingoia l'amaro boccone, infine scandisce: «Posso supporre, certo, ma non ho modo, se non con le mie parole, di darvi prova del mio silenzio.» Ed è un paradosso, perché, per l'ennesima volta, si ritrova a pregare qualcuno di essere creduto pur infischiandosi di chi sia questo qualcuno. Odioso, detestabile, disgustoso, lo apostrofa mentalmente. Non sopporto come mi guarda, mi fa venire i brividi. Restringe lo sguardo, cerca di sostenere quello di Oliver per orgoglio. «Perché mai avete bisogno di guardarmi in faccia per stabilire se le parole di Sir Holland sono verità o menzogna?» domanda d'un tratto. «Immagino che lui vi abbia già assicurato il mio silenzio.»
«Preferisco sempre toccare con mano» soffia Oliver, lasciando che la malizia aleggi nella frase ancora una volta. «Non mi fido di niente e di nessuno, se c'è in ballo la mia reputazione o la mia vita, spiacente.»
Elliot deglutisce e serra i denti. Cerca di trovare una risposta pertinente, un modo per fronteggiare ancora Oliver sotto lo sguardo assente di Louis e quello interessato di Theobald. Così domanda: «Sir Holland vi ha definito suo amico. Voi non vi ritenete suo amico?»
«Cosa intendi dire, Flea?»
«Dovreste fidarvi di un amico.»
«Interessante...» commenta Theobald divertito, intervenendo prima ancora che Oliver possa aprire bocca. «Credo che potremmo fidarci di lui.»
Tuttavia Oliver ringhia un: «No.» E poi continua, ruggisce: «Su quale base? Deve giurare, piuttosto.»
Elliot socchiude le labbra allibito. Non riesce nemmeno a dire una parola, sa solo che giurare sarebbe sbagliato. Qualcuno dica qualcosa, pensa. Per favore, qualcuno dica qualcosa! Serra gli occhi, china la testa, sente l'eco di Oliver nelle orecchie fin quando la voce di Louis non la sostituisce.
«Non c'è bisogno che giuri alcunché» dice. «Ha già spiegato cos'è accaduto quel giorno e al momento è sotto la mia sorveglianza qui a palazzo.»
«Ma è uscito, mon ami, ricordate?» scandisce, cercando di abbassare il tono per non offendere Louis nel suo giorno di lutto. «Non sarete sempre accanto a lui, potrebbe parlarne con chiunque al borgo. Potrebbe parlarne perfino con vostra moglie e...»
La pazienza ormai al limite, esplode. «Dannazione!» Un'imprecazione simile, in un giorno simile, è inaccettabile. Lo sa, eppure gli sfugge di bocca prima che possa rendersene conto. «Vi ho già detto che non ho intenzione di far giurare alcunché a nessuno» scandisce. «Lo avete visto, proprio come volevate, e avete avuto la sua parola. Questa, assieme alla mia, vi basterà. Non ho intenzione di spenderne altre per parlare di qualcosa che non si ripeterà più nelle mie terre.» Risoluto, Louis restringe lo sguardo e vede Oliver socchiudere le labbra come per dire qualcosa. Allora, prendendolo in contropiede, continua: «Non vorrei essere proprio io l'artefice di una testimonianza scomoda, pertanto siete pregati entrambi di non portare avanti una simile scempiaggine - o, perlomeno, se proprio dovete farlo, che non sia qui, nelle mie terre, e che io non lo sappia.»
Elliot batte le palpebre. È esterrefatto. Non sa dire con certezza se, a dissuaderlo, sia stata la dipartita di Deanna o le sue parole nel testamento, ma ciò di cui è certo è che Louis stia cercando di chiudere i ponti con il proprio passato. È impossibile, si dice. Non ci credo, sta fingendo...
«Non eravate rinsavito, mon ami?» chiede Oliver con una strana e inquietante irritazione dipinta sul viso. Le sopracciglia aggrottate, il naso arricciato e le labbra tese in una smorfia.
«Sì, decisamente rinsavito» conferma. Assottiglia lo sguardo bordato di rosso, poi si rivolge a Theobald e dice: «E voi, Theobald, dovreste comprendere quanto io abbia ragione nel voler chiudere con questa faccenda.» Prende una piccola pausa, conscio del fatto che lui lo stia ascoltando. «Nessun nobile si sognerebbe di sporcarsi tanto le mani con un'assurdità simile.»
Eppure lo avete fatto, constata Elliot tra sé e sé. Lo avete fatto tutti.
«Siete impazzito, non rinsavito!» sbotta Oliver indignato.
«Magari sono sempre stato pazzo, ci avete mai pensato?» incalza l'interpellato con una vena di cinismo. «O forse eravamo tutti e tre dei pazzi a fare quello che abbiamo fatto fino a qualche tempo fa.»
«E assurdo, da quand'è che la pensate così?»
«Chissà.»
Theobald si umetta le labbra e si porta una mano al volto. Carezza il mento squadrato e soppesa la situazione. Non sarebbe male metterci una pietra sopra, pensa. È una situazione scomoda. E io sono l'ultimo arrivato, non so neppure come tutto questo sia iniziato. Allora si schiarisce la voce, dice: «Forse ha ragione Sir Holland: il tempo per certi giochi, come li chiamate voi, è finito. Le persone che volete cacciare, benché popolani, hanno una famiglia, dei cari...»
«Sciocchezze! Assurdità!» grugnisce Oliver. «Avete mai pensato alla famiglia di un coniglio? Avete mai creduto che il manzo a tavola avesse una madre o un padre?» Oliver pare fuori di sé, non fa che fulminare Theobald e digrignare i denti. Si sente tradito, incompreso, e non ha la benché minima voglia di spiegarsi ad alta voce. Lui non capirebbe di certo, si dice.
«Le persone che voi ritenete animali, benché membri di un popolo che neppure è il vostro, non sono pietanze. Hanno una famiglia, degli affetti e degli amici.» A parlare è Elliot, improvvisamente riscosso dal fervore di Theobald.
Oliver si lascia andare a u'esclamazione divertita, quasi sconvolta. «No, è assolutamente incredibile...» Trattiene a stento una risata, fin troppo esasperato per contenersi del tutto, e si porta una mano alle labbra. «Siete qui a guardare un ragazzino, un plebeo come un altro, e a credere alle sue parole?» domanda. «Vi ricordo, amici miei, che siete stati i primi a puntare il fucile per sparare senza pietà.» Sono parole forti, parole di fuoco, intrise di una cattiveria fatta solo di delusione. E continuano, si susseguono: «Vi guardavano, alcuni imploravano pietà e altri piangevano, singhiozzavano, si pisciavano addosso! Voi li guardavate e premevate il grilletto senza pensare che fossero persone. Non vi siete mai posti questo problema, no. Avete sempre visto in loro una natura selvatica, animale. E sì: sono degli animali, continueranno a essere degli animali - se non in queste terre, perlomeno nelle mie.» Punta gli occhi su Elliot, lo trapassa con un'occhiata algida e funesta. Poi, ignorando gli altri due, si avvia a grandi falcate verso l'esterno del salone.
«Perdonatemi» mormora Theobald, chinando la testa per congedarsi a sua volta. «I miei effetti si trovano a palazzo de Rivière, e prima di tornare nella capitale dovrò andare a organizzare i bagagli...» Queste parole, mormorate con un filo di rammarico e senso di colpa, raggiungono Louis, il quale, annuendo, si umetta le labbra per dire:
«Vi accompagno, Sir Bailey.»
Ed Elliot rimane immobile, solo nel salone. I brividi che gli percorrono la schiena, le gambe e le braccia. Ho paura, si dice. Perché? Dovrebbe essere tutto risolto, no? Dovrei essere tranquillo, eppure ho paura.
Note:
Ciao a tutti!
Eh, sì, quante cose ci sono dietro questa caccia all'uomo. In realtà gira tutto un po' dietro a Olly, ma lo scopriremo andando avanti, non di certo indietro, perché non mi piace tornare indietro... Oddio, sarebbe molto più facile se tornassi indietro, per carità, ma credo che per farlo dovrei trovare un espediente narrativo, perché i flashback non mi piacciono.
Che dite, pensate davvero che la situazione sia risolta? O Elliot ha ragione a pensare che i guai sono appena iniziati?
Se il capitolo vi è piaciuto, aggiungete una stellina, che mi fate tanto felice!
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