Capitolo 2

1555, Stackpole.

Lo stallone nero di Louis Holland è imperioso, un vero e proprio destriero della morte. Muove qualche passo, trotta sul posto, infine punta le zampe tra le foglie crepitanti delle conifere. E lo scalpitio degli zoccoli si arresta di colpo. A seguire, solo uno sbuffo.

Louis tira le briglie, le stringe nel pugno fino a sbiancarsi le nocche con frustrazione. Poi serra i denti, perché non riesce a capacitarsi di aver perso di vista il Cerbiatto. E si guarda attorno, arriccia le labbra in una smorfia inequivocabile. «Dannazione!» sputa. I denti stretti, un ringhio gutturale. Tende le orecchie e sente solo il suono di altri zoccoli che battono il terreno alle sue spalle.

«Quante storie, mon ami...» Oliver de Rivière emette una risatina debole, scanzonata, e poi tira le briglie per frenare l'avanzata di Cupidòn. A qualche passo di distanza da Louis, allora, ghigna e dice: «Dovreste imparare a contenere la rabbia.»

«Voi parlate bene, ma questa non è la vostra tenuta!» Socchiude gli occhi e lo fulmina. Quando lo sente ridacchiare una seconda volta, aggiunge: «Sia chiaro che non mi sto lamentando... È che non riesco a capire dove diavolo sia finita!»

«Vi preoccupate troppo» minimizza Oliver. Scuote la testa e solleva un angolo delle labbra per sfoggiare il tipico ghigno perfetto. «Dove volete che sia, mon ami? Sarà tra un albero e l'altro, come tutti...» Si sistema il fucile sulle spalle e lancia uno sguardo nella sua direzione.

«Tra un albero e l'altro...» echeggia. Sembra pensarci su, poi sbuffa con una punta di fastidio. «Le campagne francesi devono avervi dato alla testa.»

Oliver solleva un sopracciglio. È confuso, certo, ma anche divertito dalle strane insinuazioni di Louis. «E come, di grazia?» chiede. «A voi non hanno certo dato alla testa, non fintanto che siete stato mio ospite.» Sprona Cupidòn con i talloni e lo fa avanzare di qualche passo.

«Deve essere stata un'epidemia...» borbotta aspramente. «Un'epidemia francese che colpisce solo voi Francesi.» Guarda verso destra e fa avanzare Efesto.

«Sono Inglese tanto quanto voi, Louis» gli ricorda.

«Ma parlate francese meglio di vostro padre» conclude. La mano sinistra che carezza l'elsa della spada appesa alla cintura, che sistema meglio il fucile sulle spalle. Louis batte le palpebre e cambia discorso - torna sulla sua principale fonte di preoccupazione: il Cerbiatto, la ragazza senza nome. «Deve essersi fermata da qualche parte, non sento il suono della campanella...»

«E dunque? Sapete meglio di me che gli animali selvatici amano nascondersi. Vi sorprende?»

«No» fa lapidario. Si lascia scappare un piccolo sospiro frustrato e mantiene lo sguardo vigile. «Tuttavia siamo nelle mie terre e gradirei un po' più di attenzione da parte vostra.»

«Cosa mai potrebbe capitare a un cerbiatto?» ridacchia.

«Quel Cerbiatto è veloce, dannazione!» sbotta. «Potrebbe aver raggiunto il borgo, potrebbe aver cercato aiuto...» inizia a dire, venendo subito frenato dalle parole di Oliver:

«Il bosco di Stackpole è una vostra proprietà. Nessuno si addentrerebbe qui durante una battuta di caccia, perché nessuno vorrebbe mai rischiare d'indispettire Monsieur le Marquise.» E sorride, inclina la testa verso Louis in un finto cenno di riverenza. Quando lo sente sospirare, poi, continua: «Vedrete voi stesso, mon ami: il vostro bocconcino si farà vivo prima del previsto.»

Louis grugnisce, storce il naso e serra i denti. Non risponde, ma, in compenso, percepisce il trotto di un terzo stallone e sposta lo sguardo verso destra.

«Avete trovato niente?» Sir Theobald Bailey, Conte di Warren, si presenta poco prima Bruce e del respiro affannato dei cani da seguita che questi tiene al guinzaglio - due esemplari di Anglo Francese Tricolore, quattro Ariegéois e un Harrier.

«Niente» lo liquida Louis. E serra i denti, scuote il capo, distoglie subito lo sguardo per tornare su Oliver.

Quest'ultimo smonta da cavallo, si avvicina a un cespuglio puntato dall'Harrier di Louis e aggrotta le sopracciglia. Si china, si puntella su un ginocchio, infine carezza bonariamente il capo dell'Harrier. «Bon...» soffia. Con le dita tra le foglie secche, poi, si lascia scappare una risatina. «Non ci credo!» esclama.

«Cosa c'è lì in terra?» Louis lo fissa dall'alto della groppa di Efesto, ma non si azzarda a scendere e stringe semplicemente le briglie con stizza.

Oliver sfila qualcosa dalle fauci dell'Harrier e ripete: «Bon, bon...» Allora torna in piedi, prende un bel respiro e porge il nastro di velluto a Louis. «Questo» dice. E arriccia il naso in una smorfia di sdegno. «Avevate detto che non sarebbe riuscita a toglierselo...» gli ricorda. Lo sguardo ironico, un rimprovero cinico. «Come mai è qui?»

Louis strofina il velluto blu con i polpastrelli e pare ammutolirsi. Poi sbotta all'improvviso con un ennesimo: «Dannazione!» E lo ripete: «Dannazione! Dannazione!» La voce inizia a tremare di rabbia, a innalzarsi verso le fronde delle conifere e a rimbombare sia nelle orecchie di Theobald che in quelle di Oliver. «Quella maledetta sgualdrina...» dice. «Quella sudicia e piccola ragazzina senza cervello!» Ringhia, stringe il nastro, si morde perfino le labbra e chiude gli occhi per placare la rabbia, per non colpire Efesto in un moto d'ira.

«Mantenete la calma, Sir Holland» azzarda Theobald, facendo sollevare un sopracciglio a Oliver. La tensione dipinta con pennellate grezze sul volto e la voce tremante, mentre dice: «Se perdete la calma sarà difficile ritrovarla...»

E Louis non ascolta, continua a grugnire qualcosa come: «Non sa stare ferma, non sa fare niente! Incapace a lavare i pavimenti e incapace anche a farsi ammazzare, dannazione!»

«Suvvia, mon ami, non siate tanto negativo!» Oliver prova a sorridere. Un'occhiata complice, un cenno del capo e un ampio gesto del braccio sinistro per accompagnare il resto: «È ancora mattino, non pomeriggio. Abbiamo tempo fino all'ora di pranzo...» Fa spallucce e, mantenendo la propria fama da goliardico nobile dal sangue misto, agita una mano con nonchalance. «Anche questa volta avrete legato male il collare» minimizza. Sente grugnire Louis, così aggiunge un: «Male che vada sarà più difficile cacciarla...»

E lui scuote il capo, dice: «Dobbiamo trovarla subito!» Schiocca la lingua, poi rivolge un'occhiata fulminea a Bruce, il quale, annuendo, sprona i cani da seguita verso sinistra. «Non lì!» Alza la voce e lo gela sul posto. «Lungo il perimetro, dannazione! Se raggiungesse il borgo...»

«Calmatevi, mon ami» mormora Oliver. Guarda in direzione di Bruce e lo vede annuire prima ancora di procedere verso destra. Allora torna su Louis, sul suo frenetico daffare con la polvere da sparo e il fucile. «La pazienza è la virtù dei forti...» dice. Sale in groppa a Cupidòn e cerca sostegno nello sguardo spaesato di Theobald.

Superato l'attimo di perplessità, questi annuisce e conferma: «Certo. Ha ragione il Conte, Sir Holland.»

Avrebbe ragione solo se al nastro fosse rimasta attaccata la campanella d'oro, si dice Louis. Deve essere scappata verso il borgo, maledizione! Si morde la lingua per imporsi il silenzio, poi indurisce i muscoli del viso in un moto di rabbia. Aggancia la sacca della polvere da sparo accanto alla spada e inspira a fondo. «Non parlereste così se questa fosse la vostra tenuta» dice in direzione di Theobald, echeggiando lo stesso rimprovero rivolto a Oliver. Irritato, dunque, si concentra sul movimento frenetico dello stantuffo e preme bene il bossolo in fondo alla canna del fucile. «Andiamo!»

Padre Auben è abituato al silenzio: lo trova confortante, quasi indispensabile. Quando è solo, quando sistema l'altare per la messa e perfino quando ripone il calice del vino nel tabernacolo, è certo di poter raggiungere l'Altissimo per rispondere dei propri peccati. Perché sì, anche lui è un peccatore. E lo sa, se lo ripete perfino adesso, mentre china il capo e fa scorrere i polpastrelli sulle perle del rosario appeso alla cintura.

«Padre Aubyn!» A chiamarlo è Elliot. La voce alta, affannata e preoccupata. «Padre Aubyn! Aprite, presto!» continua. Batte con entrambi i pugni fuori dal portone di legno e non smette fin quando non ode il cigolio dei cardini arrugginiti. Allora si umetta le labbra, deglutisce e fissa prima Delphina, poi Aubyn.

Questi è torvo, crucciato. Le sopracciglia folte che quasi si scontrano sulla sommità del naso e le labbra piegate in una smorfia strana, indecifrabile. «Per l'amor del cielo, Elliot, che succede?» domanda subito. «A cosa devo tutto questo fervore?» Batte le palpebre, adotta un tono severo e infine nota la figura infreddolita di Delphina, la quale, stretta nel farsetto di lana di Elliot, continua a tremare come una foglia. È sgomento, in procinto di urlare qualcosa, mentre si fa frettolosamente il segno della croce.

Ed Elliot lo sa, perciò dice: «Non è come pensate, Padre, davvero...» Lo fissa negli occhi, si mostra il più sincero possibile e a stento riesce a parlare, perché gli manca il fiato nel petto. «Era nel bosco, stava fuggendo. Non l'ho toccata, giuro!»

Delphina china la testa, si stringe ancora di più nel farsetto e cerca di nascondere le proprie vergogne. Tace, spossata a sua volta, e annuisce soltanto. È ancora spaventata, ancora sconvolta. Sente la voce di Aubyn obbiettare con un:

«Ragazzo mio, cos'hai fatto?» E nessun altro parla, perché Aubyn retrocede con una smorfia di orrore ben stampata in viso. Domanda: «Cos'hai fatto? Cos'hai fatto?» Le mani tra i capelli e le labbra tese, tirate quasi quanto le palpebre.

Elliot tentenna, poi trova la voce e risponde con enfasi: «Nulla, ve lo giuro!»

Aubyn chiude gli occhi, sospira. Dà le spalle a Elliot e Delphina, infine s'indirizza verso il fondo della navata e fa cenno a entrambi per essere seguito.

La prima a entrare in chiesa è Delphina. Lo sguardo basso, le dita tremanti e strette attorno ai lembi di lana del farsetto. Si sente a disagio, perché mai avrebbe pensato di presentarsi nuda nella Casa del Signore. Tuttavia procede: muove passi veloci sul pavimento freddo della navata e raggiunge la sagrestia, che collega alla celletta di Aubyn; dietro di lei, Elliot.

«Devi coprirti, figliola...» balbetta Aubyn. Entra nella propria celletta - una piccola stanza spoglia, adornata solo da un crocifisso, un letto povero e un armadio altrettanto datato - e cerca qualcosa da farle indossare. Una veste da notte maschile sarà senz'altro più adatta di un paio di braghe, si dice. Tiene lo sguardo basso, posa la suddetta veste sul proprio giaciglio, infine esce. In silenzio, accanto a Elliot, attende furi dalla porta chiusa. E sospira, si tormenta le mani giunte, borbotta ancora un: «Cos'hai fatto?»

Ma Elliot non risponde, deglutisce e basta. Ricorda la conversazione di Aubyn con la Marchesa di Stackpole e suda freddo. Si stringe nelle spalle: gli occhi fissi sulla punta delle scarpe e la vergogna, che, in ritardo, lo assale. «La donna di questa mattina...» dice d'un tratto. Sente su di sé lo sguardo di Aubyn, tuttavia non fa nulla per incrociarlo e continua a voce bassa: «Ha parlato del Marchese di Stackpole, ricordate? Voi non avete creduto alle sue parole, eppure...»

Aubyn lo interrompe subito con un grugnito. «Impudente» lo apostrofa. «Hai origliato una conversazione privata e hai detto una bugia dietro l'altra...» Si ferma, attende di essere guardato in faccia, poi aggiunge: «Questa mattina la moglie di Sir Holland era fuori di sé.»

«Al contrario» obietta. «Ha detto la verità.»

«Perché mai dovrei crederti?»

«Se non credete alle mie parole, almeno credete a quelle di Delphina: lei può testimoniare per me...»

Aubyn scuote la testa. «E sia» dice. Attende in silenzio e, con le mani giunte dietro la schiena, osserva la porta chiusa. Quando la sente cigolare sui cardini, poi, accenna un sorriso. Guarda Delphina la quale, abbigliata soltanto della veste da notte e del farsetto di lana, tiene gli occhi bassi. Ed è a lei che si rivolge: «Mi dispiace, figliola... Non ho potuto darti vestiti migliori.»

«Non importa, Padre» soffia. «Siete stato molto gentile ad accogliermi.»

«Dovere» minimizza. «Ma dimmi: cosa è successo?» La vede tentennare e tormentarsi le dita dei piedi contro il pavimento, così non insiste e serra le labbra.

Dopo qualche istante, però, trovate le parole giuste, Delphina inizia a raccontare: «Questa mattina ho avuto modo di parlare con la Marchesa.» Si ferma, si umetta le labbra e congiunge le mani di fronte al ventre, stringendo le dita tra loro fino a sbiancarsi le nocche. «Mi ha detto che suo marito, Louis Holland, non visita le sue stanze da più di una settimana. Ha parlato del Conte Oliver de Rivière, degli allenamenti di scherma del Marchese e delle battute di caccia che questi organizza tutte le settimane. Mi ha detto che avrei dovuto fare attenzione, che avrei dovuto tenere gli occhi aperti, ma io non sono riuscita a darle ascolto nel modo giusto, temo...»

«Cosa intendi dire, figliola?»

«Quando sono stata presa a servizio presso i Marchesi di Stackpole mi è stato donato un ciondolo da Sir Louis Holland in persona» dice. «Era una campanella d'oro, un oggetto molto prezioso. Mi sono ritenuta fortunata, perché mai avrei pensato d'indossare qualcosa di simile...» Si blocca di nuovo, sembra titubante, ma poi scuote la testa. Che sciocca, si dice. E ricomincia: «Il nastro a cui era appesa la campanella continuava a slacciarsi, e io ho rischiato di perderla ben più di una volta mentre ero in servizio nelle cucine, perciò il Marchese lo ha sostituito - è successo ieri sera. Ne ha preso uno di velluto e lo ha stretto tanto forte da strozzarmi.» Guarda Elliot, memore di come questi l'abbia liberata dal fastidioso nodo, e accenna un sorriso.

Lui non riesce a ricambiare, è troppo soprappensiero, troppo attento al racconto per poter anche solo pensare di sorridere. Istintivamente, però, si porta una mano all'altezza della cintura e sfiora il piccolo rigonfiamento di stoffa che nasconde la campanella. Deglutisce. Neanche lei deve aver mai visto qualcosa di tanto prezioso, si dice.

«Questa mattina sono stata richiamata dal Marchese» mormora Delphina. «Voleva controllare di persona il nodo della campanella... Ho subito pensato che fosse un capriccio, un vezzo incomprensibile, ma non ho obiettato. Poi l'ho visto montare a cavallo per dirigersi verso la vecchia chiesa protestante, quella di Padre Emmanuel.»

«Padre Emmanuel...» ripete Aubyn. Sembra soppesare il nome del prete e, chissà perché, storce le labbra in una smorfia di disapprovazione. Poi sospira, annuisce e dice: «Capisco, figliola.» Annuendo, la sprona ad avanzare nel suo racconto senza porre domande, così lei continua:

«Sono rimasta in compagnia del Conte Oliver de Rivière...» E si ferma subito. Solleva una mano dalle dita ossute, si copre il volto per vergogna e morde le labbra, inducendosi al silenzio.

«Cos'altro è successo?» domanda Aubyn.

Delphina trattiene le lacrime, trema. Perfino la sua voce tentenna, mentre dice: «Al ritorno del Marchese sono stata spogliata e gettata in mezzo al bosco. Mi hanno detto di contare fino a cento, perché poi avrebbero iniziato a cercarmi con i cani...»

Aubyn scuote la testa. Sospira e si copre il viso a sua volta. E poi ha incontrato Elliot, conclude mentalmente. Solleva una mano per fermare il racconto di Delphina e riesce addirittura a sentirsi in colpa per averla costretta a vuotare il sacco. La sente singhiozzare, la vede piangere, perciò serra i denti.

«Io ero nel bosco, ho sentito uno sparo...» A intromettersi nel silenzio è Elliot.

«Basta!» Aubyn scatta, lo fulmina con lo sguardo e poi osserva Delphina. Vorrebbe abbracciarla, confortarla, ma teme ad avvicinarsi. Trema troppo, è sconvolta, si dice. «Se tutto questo è vero, allora siete entrambi in pericolo» aggiunge.

Elliot aggrotta le sopracciglia. «Non mi ha visto nessuno, Padre, soltanto Delphina. Siamo fuggiti prima che arrivassero, siamo subito venuti qui da voi...»

«Ne sei certo?» domanda, insiste, instilla il tarlo del dubbio in Elliot. «Mettersi contro il Marchese di Stackpole è pari a una condanna a morte» dice. «Chiunque la pensa così.» Vede Elliot deglutire a vuoto e Delphina stringersi nelle spalle a testa bassa. «Nessuno ha mai fermato suo padre quando s'intratteneva nelle taverne del borgo o con le nobildonne della Capitale...» commenta. Scuote la testa al solo ricordo e si fa subito il segno della croce. «Ti ha fatto qualcosa di male?» chiede, rivolgendosi direttamente a Delphina.

Lei nega. Il viso nascosto da entrambe le mani e le lacrime che le bagnano i palmi. Singhiozza un: «Null'altro che questo, Padre.»

E Aubyn sospira, chiude gli occhi. Sa che è tardi per tirarsi indietro e che la situazione è decisamente critica. «Per il momento non potrai lasciare la chiesa» dice. «Parlerò con tua madre appena dopo la messa, le chiederò di donare qualche vecchio vestito all'orfanotrofio...» Deglutisce. È incerto, perché il più piccolo errore di calcolo potrebbe compromettere l'intero piano. «Così facendo non rischieremo di metterla in pericolo e potrai coprirti ugualmente» conclude.

Delphina annuisce, poi mormora un: «Va bene.»

Aubyn si schiarisce la voce e si massaggia la sommità del naso per lenire un po' il mal di testa appena sopraggiunto. «Tuttavia stiamo agendo alle spalle del Marchese di Stackpole» aggiunge piano. «È un uomo potente, un nobile con terreni e conoscenze inimmaginabili.»

Elliot storce il naso con disappunto. «E allora?»

«Allora?» Aubyn scuote la testa. «Siamo in pericolo - tutti quanti» rimarca.

Delphina trema e non ribatte. Cerca di frenare i singhiozzi, di prestare maggiore attenzione alle parole di Aubyn. Sa che ha ragione, dopotutto è la prima ad averne avuto prova. Così s'impone il silenzio e ascolta l'obiezione infantile di Elliot:

«Io non ho paura!»

«Dovresti averne» borbotta laconico Aubyn. «Tutti noi dovremmo.»

«È solo un uomo» minimizza lui. «Non potrebbe mai farmi paura, Padre.» Schiocca la lingua e solleva il mento in un eccesso di zelo. «Non ho paura di Jonathan il manesco, figuriamoci!» Fa spallucce, poi continua con un lieve ghigno beffardo: «Io l'ho visto: il Marchese è un uomo comune, un uomo che frequenta le locande e il bordello. Perché mai dovrei avere paura di uno come lui?» E cerca di ricordarselo al meglio, tuttavia riesce soltanto a delineare un'immagine sfocata, artefatta.

Aubyn sospira, incrocia le braccia al petto e scuote la testa. «Neppure io sarei in grado di proteggervi da un uomo come lui» dice. «L'unica cosa che posso fare è nascondervi prima ancora che inizi a cercarvi.»

«Nasconderci?» Delphina balbetta questa domanda e si porta via le lacrime dal viso con il dorso di entrambe le mani. «E dove?»

«Se è vero che il Marchese non ha visto Elliot, allora lui dovrà soltanto tenersi alla larga dal bosco e dai guai...» inizia. Prende una piccola pausa, abbassa lo sguardo con rammarico, infine conclude: «Ma tu, Delphina, dovrai trasferirti in un convento il prima possibile.»

«Un convento?» A echeggiare le parole di Aubyn non è Delphina, bensì Elliot. Lo sguardo sconvolto, dubbioso, perfino irritato. «Non è giusto, Padre!» Obietta. Aggrotta le sopracciglia e parla al posto di Delphina con la convinzione di essere portatore di verità assoluta: «Lei è giovane, ha un'intera vita davanti a sé. Non potete davvero pensare di farla chiudere in un convento, non potete...»

Aubyn lo interrompe: «Preferisco saperla viva in un convento, piuttosto che morta per mano di un folle!»

«La Marchesa ha detto che quell'uomo si è macchiato del sangue di tante persone, ma...» inizia a dire Elliot, venendo di nuovo interrotto da Aubyn:

«Vorresti farlo rinsavire? Vorresti parlarci? Così facendo si macchierà anche del nostro.» Sente il grugnito live di Elliot e lo vede corrugare le sopracciglia. Prima ancora che possa aprire bocca, dunque, aggiunge: «Non è di un uomo che stiamo parlando; ricordi cos'ha detto la Marchesa?»

Louis Holland è un mostro, sì... Lo ricorda bene, perciò deglutisce e quasi si pente di essere stato tanto impavido.

«Starai bene in convento» mormora Aubyn, rivolgendosi direttamente a Delphina.

Elliot storce il naso, non sembra sicuro che Aubyn abbia ragione. Come potrebbe stare bene in convento? Come potrebbe stare bene lontana da casa? inizia a chiedersi. E si morde la lingua per non parlare, per non replicare. Infine si arrende, vede annuire Delphina e annuisce a sua volta. Distoglie lo sguardo da lei, poi mormora: «Sì, starà bene.» Allora serra i denti, punta gli occhi in terra. Forse andrà in sposa al Signore, si dice, e non è giusto, ma almeno sarà viva. Fa una piccola smorfia, dopodiché borbotta uno: «Scusatemi.» E non attende risposta, si congeda semplicemente. Retrocede fino a raggiungere la navata della chiesa e una volta raggiunta si ferma. Guarda l'altare, il Cristo sulla croce, il tabernacolo. Una chiesa protestante, eh? Ricorda le parole di Delphina, pensa alla chiesa di Padre Emmanuel e storce le labbra. Non l'ho mai vista, ma deve essere davvero triste una chiesa senza icone. Ripercorre tutto il racconto di Delphina nel mentre che esce dalla chiesa di Aubyn, poi se ne ricorda: Già, la campanella... La tira fuori dal risvolto dei calzoni e la osserva meglio. «Quanto può valere un oggetto simile?» Arriccia il naso con una punta di disgusto, pensando a Sir Holland, e soppesa l'idea di portare a casa un sacco di soldi. In un moto di soddisfazione, si lascia andare a un piccolo sorriso. Non riesce a pensare neppure per un attimo a gettarla via, perciò la ripone con cura all'altezza della cintura e sospira. Delphina andrà via da Stackpole, si dice. Serra i pugni lungo i fianchi maledice mentalmente il Marchese, perfino il Sir de Rivière - e poco importa se sua madre, Danielle, ha potuto lavorare come balia per i Conti: anche loro sono colpevoli della partenza di Delphina.



Note:

Ciao, ragazzi!

Quando ho ricominciato a pubblicare questa storia su Wattpad mi sono promessa che avrei fatto una sola cosa: accorciare i capitoli; quindi sì, sappiate che in origine erano lunghi il doppio. Perché quando scrissi la prima versione, purtroppo, ero terribilmente prolissa e perché quando scrissi questa seconda versione desideravo mantenere lo stesso numero di capitoli con la stessa successione di eventi. Una sciocchezza, lo so, anche perché si trattava di una riscrittura - che, per inciso, non è neppure terminata e che m'impegnerò a continuare man mano che pubblicherò questi capitoli divisi.

Che dire, avete appena conosciuto i tre nobili che vanno a caccia di persone a Stackpole, il mio "trio monnezza", dove presenzia il caro Olly, preferito da AlexielDubois. Spero che la prima impressione vi abbia colpito e che continuerete a seguire questa storia.

Commenti e stelline sono bene accetti.

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