Capitolo 19
1555, Stackpole.
Lo stendardo si muove appena, sospinto dagli aliti di un vento malinconico, mentre il salone del palazzo di Stackpole si riempie di abiti lugubri. Volti più o meno familiari, maschere di compassione e tristezza, figuranti nobili e ingioiellati che si rifiutano di sfigurare di fronte alla morte. Il suono dei passi confusi nelle orecchie sorde di Sir Holland e i suoi occhi gonfi, cerchiati di rosso, che non riescono a distogliersi dalla salma velata della defunta Marchesa.
Alcuni tengono la testa china, altri le mani giunte in preghiera. Si raccolgono in gruppetti di tre o quattro, respirano l'incenso bruciato. Di tanto in tanto si accostano l'un l'altro per mormorare qualcosa. Scuotono la testa, tornano a guardare il corpo di Deanna, ascoltano la funzione con un groppo in gola. Immaginano di essere al suo posto, si sentono improvvisamente mortali.
Elliot è in disparte, lontano dalla nobiltà, e osserva il salone gremito. Si sente come svuotato, privo di forze. Non fa che rabbrividire. Le braccia tese lungo i fianchi e lo sguardo puntato su Louis. Chissà come riesce a condividere il suo dolore. Lo comprende, lo fa suo, e neppure se ne accorge. Tutto per Deanna, per la sua gentilezza quasi materna e per quell'affetto genuino di cui già sente la mancanza.
«Réquiem ætérnam dona eis, Dómine, et lux perpétua lúceat eis. Requiéscant in pace. Amen.»
Sentendo il Vescovo pronunciare l'Eterno Riposo, Elliot si morde il labbro inferiore. Percepisce la carne lacerarsi sotto gl'incisivi e gli occhi riempirsi di lacrime. Non riesce neppure a tirare su col naso, a deglutire. Vorrebbe singhiozzare forte, lamentarsi, gridare che la morte è ingiusta e che porta via con sé solo le persone più buone. Se succedesse a mia madre, ne morirei, si dice. Preferisco andarmene prima di lei, non voglio assistere a qualcosa di simile... Non voglio perderla, no.
«Povera Madame» soffia Charlotte.
Elliot si volta nella sua direzione e la guarda appena. Non ha voglia di parlare, non ha voglia di compatire nessuno. È troppo agitato, troppo teso e depresso. «Sì» mormora. «Povera Madame Deanna.» Vorrebbe aggiungere altro, tuttavia non lo fa. Abbassa lo sguardo, inspira a fondo e torna a guardare Louis.
Oliver de Rivière gli è accanto. Una mano stretta sulla sua spalla e lo sguardo fisso sull'oscillazione dell'incensiere. Non proferisce parola, ma cerca di confortarlo con la sua sola presenza.
«Grazie» soffia d'un tratto Louis.
«Non ringraziatemi» dice. Stringe le dita sul velluto nero, poi allenta la presa e scivola via, sul mantello, prima di chiudere la mano in un pugno malfermo. «Non dovete ringraziarmi.»
La voce ridotta a un soffio, dice: «Devo, eccome.»
«Siete mio amico, Louis.» Si giustifica Oliver. «E gli amici sono nati per sostenere gli amici.»
«Non vi contraddirò» mormora l'interpellato. «Ma sappiate che se non lo faccio è solo per evitare d'intavolare una discussione filosofica durante il funerale di mia madre.» Sospira, rabbrividisce, si sente terribilmente vulnerabile. È assente pur essendo presente fisicamente. Sembra un vero e proprio pesce fuor d'acqua. Ed è strano, perché sa di non aver mai provato nulla di simile - già, neppure alla morte di suo padre! Le ero così legato da detestare perfino l'idea che qualcuno si avvicinasse, constata. Serra i denti, si sente in colpa. Sa di aver sbagliato più volte nei suoi confronti e sa di non poter più rimediare. È tardi per i pentimenti, è tardi per farle abbracciare i miei figli, è troppo tardi...
Elliot deglutisce, continua a osservare Louis da lontano. Poi vede lo sguardo di Oliver spostarsi dalla salma e se lo ritrova addosso. Impallidisce, quasi boccheggia. Non sa spiegarsi la ragione di tanta angoscia, sa solo che vorrebbe fuggire. Non mi piace, si dice. Non mi piace affatto. Batte le palpebre una sola volta e inspira a fondo. È intossicato dai fumi dell'incenso e ha le orecchie piene dei cori funebri. Non ce la faccio, rischio d'impazzire restando qui! Allora si volta e, senza dire una parola, si avvia verso il corridoio.
Charlotte aggrotta le sopracciglia l'osserva e si stringe nelle spalle. «È davvero scosso» constata tra sé e sé.
«È normale, lo saresti anche tu se avessi perso il lavoro» borbotta cinicamente Bastien.
«Non credo che sia per questo» mormora lei. «Elliot non è certo un tipo così venale.»
«Credi davvero di conoscerlo?» Schiocca con una punta di divertimento.
«Perché me lo chiedi?» Batte le palpebre, lo guarda perplessa, poi aggiunge: «Pensi di conoscerlo meglio di me?»
«Penso di sì» dice, poi annuisce e storce le labbra in una smorfia. «Quantomeno non ho gli occhi foderati di prosciutto come te.»
Charlotte serra i denti e ingoia un amaro boccone. Vorrebbe continuare la discussione, ma si sente in colpa per aver anche solo iniziato a battibeccare con Bastien di fronte alla defunta Marchesa. Imperdonabile, si dice. E distoglie lo sguardo, tiene le braccia conserte, cerca di respirare lentamente per calmare i nervi.
Elliot è distante, totalmente all'oscuro del parlottare di Charlotte e Bastien. Continua a chiedersi: Madame, cosa dovrei fare adesso? E ancora: Chi si occuperà di me? Chi mi terrà lontano da Sir Holland? Svicola tra la servitù, riesce a raggiungere le porte che conducono al corridoio. Allora si ferma. Occhi negli occhi con Bruce, deglutisce. Sente il cuore in gola, il sangue gelato nelle vene.
«Vuoi svignartela, moccioso?» domanda con scherno. Poi schiocca la lingua, si fa beffe di lui, giunge alle proprie conclusioni senza attendere una reale risposta. «Non dubitare del fatto che molti presenti farebbero lo stesso, qualora fosse loro concesso. Ma Sir Holland è stato categorico: nessuno può abbandonare la funzione, in special modo chi auspica in un momento di distrazione per tentare la fuga.»
Elliot sgrana gli occhi, aggrotta perfino le sopracciglia. Dice: «Non ho intenzione di lasciare il palazzo, volevo soltanto prendere una boccata d'aria fresca...»
«Una boccata d'aria fresca, certo» echeggia Bruce con fare contrariato.
Elliot annuisce. «I fumi dell'incenso iniziano a farmi girare la testa» ammette a bassa voce. Prova ad allontanarsi, a superarlo sulla sinistra, ma si sente subito stringere un braccio e restringe le palpebre. Allora solleva lo sguardo, lo guarda e nota il suo disappunto. Deglutisce a vuoto.
«Sai, non so proprio cosa ti sia saltato in testa ieri mattina» dice. «Accusare Sir Holland di aver ucciso Madame Deanna è stata un'azione spregevole.»
L'interpellato rabbrividisce, non sa cosa rispondere. Se qualcuno l'avesse detto a me, come avrei reagito? si chiede, mordendosi le labbra.Si sente colpevole, disgustosamente subdolo. Come ho potuto dubitare dell'affetto di un figlio? Come? Serra i denti e s'impone il silenzio. Non mi stupirei se fosse proprio Sir Holland a rimproverarmi, me lo merito davvero questa volta.
Bruce lo guarda con sdegno, solleva appena un angolo delle labbra e sibila: «Adesso che Madame Deanna è morta, probabilmente Sir Holland non si farà alcuna remore nell'ordinarmi di uccidere anche te.»
Al suono di queste parole, Elliot sospira. «Se così fosse, avrai qualcosa da fare» dice. Un'ironia incolore, un soffio reo e leggero. China il capo per sfuggire al suo sguardo inquisitorio, poi continua: «In caso contrario suppongo che dovrò ritenermi fortunato...» Sembra davvero che la cosa non lo tocchi, tuttavia è esattamente è il contrario. Il suo inconscio trema alla sola idea di stare accanto a Bruce per più di qualche istante, di passare sotto la famigerata frusta di Louis o perfino il filo della sua spada.
«A volte sembri così remissivo» commenta divertito. «È strano che tu abbia una lingua del genere...» L'osserva, lo strattona, cerca di guardarlo ancora negli occhi. Quando ci riesce, sibila: «Sai essere molto fastidioso, per di più in diversi modi.» Vorrebbe schiacciarlo come un moscerino, farlo sparire dalla faccia della terra, sfogare la sua frustrazione su di lui, tuttavia non muove un muscolo.
Elliot inspira a fondo, cerca di trattenere il fiato il più possibile. Sente il proprio battito cardiaco rimbombare nelle orecchie e quasi fa stridere i denti tra loro. Allora lo vede ghignare e sente i muscoli della propria schiena irrigidirsi. Perché mi sta fissando così? si chiede. Non riesce a comprendere tanto accanimento, tanto astio.
«Sanguini» soffia Bruce, facendogli battere le palpebre. «È osceno, disgustoso.» Lo indica con un cenno del capo e storce le labbra. «Pulisciti le labbra, moccioso.» Allora lo lascia di scatto, sospingendolo verso il corridoio con un ultimo avvertimento: «Ricordati che so come trovare ciò che cerco. Non andartene, prendi solo una boccata d'aria.»
«Sì» balbetta in tutta risposta, portandosi il dorso della mano alle labbra.
Aaren Brown è un uomo di legge, un tale baffuto e silenzioso che si occupa spesso e volentieri di pratiche testamentarie. È abbastanza rinomato, per questo Louis non sembra sorpreso di vederlo con in mano delle scartoffie. È in piedi, ritto sulla sua modesta statura, e si confonde con il resto della nobiltà intenta a gettare fiori nella fossa cui riposa la bara di Deanna. Potrebbe avvicinarsi, ma preferisce mantenere un basso profilo, una certa discrezione, che, tuttavia, lo porta sbuffare a braccia conserte.
A Louis non piace il suo comportamento, ma non ha voglia d'inscenare una lite nel giorno del funerale di sua madre, perciò lo tiene a distanza, lo ignora il più possibile, cerca di concentrarsi sulla terra che viene spalata lentamente per coprire la fossa. Deglutisce, sente la gola arsa, i brividi lungo la schiena, la solitudine nelle ossa. Neppure la presenza di Oliver riesce a rincuorarlo, tantomeno quella di Alene. Sa di aver perso l'unica persona cara che gli era rimasta, l'unica in grado di farlo sentire ancora giovane e immortale. Allora inspira a fondo, distoglie appena lo sguardo e lo posa sul piccolo Timothy, il maggiore dei suoi due figli. Si chiede: A lui mancherei? Soffrirebbe come sto soffrendo io, se morissi? Chiude gli occhi, inspira a fondo, sente le parole del Vescovo risuonargli nelle orecchie. Lontano da tutto e da tutti, si dice: Io sono solo suo padre e lui è ancora un bambino. Non ne soffrirebbe.
«Sir Holland...»
Sentendosi chiamare da Aaren Brown, questi annuisce appena. Lo sguardo nuovamente fisso sulla terra morbida che lo separa dal corpo di Deanna. «Immagino che siate venuto per il testamento di mia madre» soffia. Ha la voce bassa, arrochita dall'interminabile silenzio cui si è sottoposto.
«Esattamente» conferma. «Ma, come immaginerete, non mi è possibile parlarne qui.»
«Sì, lo immagino.» Dopo aver detto ciò, Louis solleva il capo. Vede Elliot stringersi nel mantello scuro e posare un iris accanto alla lapide di Deanna. Rabbrividisce e serra i denti. Non sa spiegarsi il perché, ma non riesce a guardarlo per più di qualche istante. Così si volta a fronteggiare Aaren, si umetta le labbra secche e dice: «Vogliate seguirmi a palazzo, Sir Brown.» Non emette un fiato, resta in silenzio per tutto il tragitto, precedendolo lungo la strada dopo essere montato in groppa a Efesto.
Aaren non dice niente e anzi, si limita a guardare la campagna con aria interessata. Sale sul calesse condotto da Bastien e ammira gli apprezzamenti di terra che appartengono a Louis dal giorno in cui è morto il suo predecessore; poi, arrivato a destinazione, sposta lo sguardo su di lui e, mentre posa i piedi in terra, domanda: «Siete preoccupato, forse?» Tende appena le labbra, dicendolo.
«Preoccupato per cosa?»
«Per le volontà di vostra madre.»
«Sono addolorato per la mia perdita, piuttosto» scandisce stizzito. «Vi sembra così assurdo, Sir Brown?»
L'interpellato scuote la testa. A dirla tutta, però, è chiaro quanto sia sorpreso: non è certamente abituato a tanta affezione. «Posso immaginare cosa stiate provando» mente. «Anch'io ho perso mia madre qualche anno fa.»
Il disgusto di Louis è talmente evidente da costringerlo a distogliere lo sguardo. «Capisco» soffia, ingoiando un'insulto. «Vogliate seguirmi.» Non aggiunge altro, scendendo da Efesto per poi incamminarsi verso le scale dell'ingresso. Allora, passando accanto a Charlotte, ordina: «Fa' in modo di radunare tutti in biblioteca.»
«Anche la servitù?» domanda confusa.
«Certo, anche la servitù» conferma. Con la coda dell'occhio le vede fare la riverenza e torna a salire le scale. «Presumo che mia madre abbia disposto una ricompensa per ciascun membro della servitù» mormora, rivolgendosi ad Aaren.
«Presumete bene, Sir Holland.»
Louis non aggiunge altro. Cammina a testa alta verso la biblioteca e poi si ferma. Siede sulla panca a dossale, si massaggia la sommità del naso e sospira. Vorrei che la giornata fosse già finita, si dice. Socchiude gli occhi, osserva le porte schiuse, la servitù che entra un paso alla volta con gli occhi bassi e le mani giunte.
«Se ci siamo tutti...» inizia a dire Aaren. «Posso procedere.»
Louis lancia un'occhiata veloce nella direzione di Elliot, poi torna a osservare Aaren e sente la mano di Alene stringersi sul suo braccio. «Siamo tutti» conferma piano, monocorde. Ma non riesce a concentrarsi, non riesce a seguire il discorso di Aaren. Le uniche parole che percepisce sono quelle che Deanna gli ha rivolto direttamente nel testamento:
«A mio figlio, Louis Edmund Holland, voglio lasciare il mio ricordo più dolce. Possa accompagnarlo nella vita, giorno dopo giorno, affinché non commetta errori: che sia tanto nobile quanto lo è stato suo padre.»
Sentendo quelle parole, Alene serra i denti e trema sul posto. È una speranza impossibile, si dice. Così, inconsciamente, ritira la mano dal braccio di Louis e se la posa in grembo. Guarda Aaren, gli vede sollevare gli occhi dalle carte e ripiegarle su loro stesse. Infine si alza dalla panca a dossale e, dopo aver atteso il suo saluto, si congeda.
Anche la servitù ha il permesso di ritirarsi, ovviamente. Ognuno deve tornare alle proprie mansioni, perciò Elliot inspira a fondo ed esce dalla biblioteca con un groppo in gola. Lancia un ultimo sguardo nella direzione di Louis, poi si confonde nel susseguirsi dei passi lungo il corridoio. Continua a chiedersi: Cosa farò adesso? E torna a mordicchiarsi il labbro inferiore con aria assorta, preoccupata. Poi deglutisce: le spalle a pochi centimetri dalla parete, rimane fermo, immobile, come una statua di sale. Quando vede Louis uscire dalla biblioteca in compagnia di Aaren, impallidisce. Si affretta verso le scale, ignora il fastidio tra le natiche, prova letteralmente a fuggire verso il piano signorile. Il cuore che batte velocemente e una strana sensazione di colpevolezza nelle vene. Potrò lavorare ancora qui? Oppure Sir Holland mi ucciderà davvero? E se mi chiedesse di nuovo di... I suoi pensieri s'interrompono, mentre le guance si colorano appena d'imbarazzo. Devo andarmene di qui prima che possa chiedermi qualche altra assurdità. Ma, prima ancora di poter fare dietrofront, si sente chiamare da Bruce:
«Stavo cercando proprio te, moccioso.»
L'interpellato restringe lo sguardo e si volta per fronteggiarlo a un paio di metri di distanza dalla scalinata. «Cosa c'è?» domanda. «Hai ancora intenzione di minacciarmi?» sibila, solleva perfino il mento. Cerca di dimostrarsi intoccabile e spavaldo, ma sa bene quanto la sua vita sia appesa a un filo.
«Sono venuto ad avvisarti» dice questi, ignorando la sua provocazione.
«Avvisarmi? Di cosa?»
«Del fatto che Sir Holland ha chiesto di te: è in salone.» Storce il naso, si mostra stizzito. Ciononostante non si avvicina. Tiene le braccia distese lungo i fianchi e gli occhi puntati su Elliot, mentre dice: «Se solo ti fossi trattenuto un po' di più a origliare in corridoio, probabilmente non avresti dovuto tremare di paura di fronte a me.»
«Non sto tremando di paura!» obietta con le sopracciglia aggrottate.
«No?» Bruce sale un altro paio di gradini, lo vede retrocedere di un passo e accenna a un ghigno di scherno. «Eppure a me sembra proprio che sia così, piccolo bastardo.»
Elliot respira a fondo, cerca di calmarsi. Tuttavia non ci riesce neppure quando serra i denti e china lo sguardo per sfuggire a quello di Bruce. «Pensa ciò che vuoi» scandisce. «Ma non chiamarmi in questo modo.»
«Quale modo?» chiede ironicamente. Lo raggiunge, l'osserva dall'alto e per poco non gli ride in faccia. «Intendi dire "bastardo"?» E non ha neppure il tempo di aggiungere altro, che subito vede Elliot scattare nella sua direzione; sembra una furia, un gatto a cui è stata appena pestata la coda: cerca di colpire Bruce con un pugno, ma non ci riesce e, al contrario, sente le sue dita serrarsi attorno alle proprie.
«Lasciami» grugnisce.
«Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere, moccioso» schiocca con una punta di fastidio. «Altrimenti non potrò assicurare a Sir Holland la tua incolumità.»
Elliot serra i denti, costretto a ingoiare qualsivoglia protesta. Poi si sente lasciare di scatto e respira con affanno. Gli occhi sgranati, puntati su Bruce. Deglutisce, infine lo sorpassa e scende le scale il più velocemente possibile. Ma ogni passo, così come i precedenti, è una fastidiosa fitta che lo percuote dal basso verso l'alto. Respira, Elliot, respira, mormora l'inconscio. Passerà prima ancora che tu te ne renda conto. Si affretta a raggiungere il salone. «Mi cercavate, Sir?» chiede sull'uscio.
Note:
Ciao ragazzi!
Anche la revisione di questo capitolo è andata in porto. E devo ammettere che sono anche riuscita a farla più velocemente del previsto. Lo stile è leggermente diverso dai precedenti: ci sono leggermente meno punti ed è un po' meno Pulp. Chissà. Però mi piace lo stesso e credo che mixerò i due per il seguito della riscrittura.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, in caso lasciate un commento e una stellina!
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