Capitolo 17
1555, Stackpole.
Il cuore continua a pulsare veloce nel petto. Batte freneticamente, sembra un tamburo. Elliot ha come l'impressione che non sarà più in grado di controllarlo. Perfino il respiro è accelerato: il petto si alza e si abbassa velocemente, mentre le costole lo pungono prima a destra e poi a sinistra. Perciò annaspa e si guarda attorno con gli occhi sbarrati. Le sopracciglia corrugate, lo sguardo velato di lacrime. La paura lo sta divorando. Ha voglia di urlare, di punirsi, di mettersi a piangere. Vuole sfogare la propria frustrazione, darsi dello sciocco, magari anche fuggire. Devi andartene! grida la sua coscienza. E lui, quantomeno, prova ad assecondarla: cerca di scendere dal letto, però una fitta lo attraversa da capo a piedi. A seguire, un tonfo. Finisce carponi in terra, con le guance umide e le spalle scosse dai singhiozzi. Si morde le labbra per non gridare, rantola sul pavimento, raggiunge il muro e si alza a fatica. Zoppica, trattiene i singhiozzi, respira solo con il naso. Le narici allargate, il sibilo dei propri polmoni. Non vuole lamentarsi, non vuole destare l'attenzione di nessuno, eppure non ci riesce. Si muove lentamente, trascinandosi verso la porta, e una volta raggiunta vi posa contro un orecchio. Ascolta in silenzio, ma ciò che sente è solo un ronzio sordo. Hanno smesso di fare avanti e indietro, si dice. Trema, scivola un po' verso il basso e poi cerca un appiglio contro la superficie di legno. La Marchesa deve essersi addormentata e il Conte de Rivière... Ci pensa, si blocca, deglutisce a vuoto. Sarà tornato al proprio palazzo, sì. Vuole rassicurarsi, forse, perché l'idea che Oliver sia nei paraggi lo fa rabbrividire. Tuttavia si fa coraggio e posa una mano sulla maniglia. È ancora nudo, ammaccato e sanguinante. Ma non ci fa caso, perché non ha intenzione di andarsene in queste pietose condizioni. Vuole semplicemente guardare, essere certo che il corridoio sia libero.
«Torna dentro.» A parlare è Bruce. Lo sguardo di ghiaccio e la rabbia palesemente incisa sul viso.
Elliot annuisce, tentenna e chiude la porta. Non riesce neppure a retrocedere fino al letto che cade di nuovo in terra. E questa volta non si trattiene: geme di dolore, mentre le ginocchia tornano a sanguinare e la testa a vorticare. Singhiozza forte, si lascia sfuggire un paio di lacrime, che cadono e gli rigano le guance, infine prende un bel respiro e raggiunge la sua postazione iniziale. Ha la mente completamente sgombra, talmente piena di pensieri da sembrare distante. Mi ucciderà? si chiede. Adesso che ha avuto ciò che voleva, Sir Holland mi farà uccidere davvero? E le labbra iniziano a tremargli, a contrarsi in una smorfia di dolore misto a disperazione. Cerca di soffocare i lamenti tra i guanciali e poi, chissà come, si addormenta. È sfinito, impaurito, coperto a malapena dalle lenzuola sfatte. Continua ad agitarsi nel sonno, a svegliarsi per poi riaddormentarsi qualche istante dopo. E, prima ancora che se ne renda conto, arriva il mattino. A destarlo è il suono della maniglia che si abbassa, accompagnato da un:
«Oh, ti sei svegliato?» Una domanda che gli fa battere le palpebre ancora velate di stanchezza.
Ha gli occhi gonfi, arrossati, e non può fare a meno di guardarsi attorno per essere certo della propria incolumità. Sono ancora vivo, constata. Ma non dice niente, annuisce e basta.
Ancora una volta, a parlare è Louis Holland: «Non avrei voluto andarmene con tanta fretta...»
Alle orecchie di Elliot, questa sembra una frase senza senso. Perciò distoglie lo sguardo, lo punta sul riverbero del sole e spera che Louis se ne vada alla svelta. Non parlarmi! grida interiormente. Non guardarmi! Sente i suoi passi farsi vicini, così serra i denti e s'impone il silenzio. Ha ancora in mente le immagini della sera prima, quei momenti d'intimità proibita che Louis gli ha strappato tra una moina e un ordine. E si sente oltraggiato, oltre che sciocco e dolorante.
«Perché non parli?» Il tono lievemente piccato e le braccia conserte. Solleva un sopracciglio e osserva Elliot, che, aggrovigliato tra le lenzuola sporche, sembra aver trascorso una nottata orribile. «Da che io ricordi, ce l'hai la lingua.» E ghigna, si fa beffe di lui, assapora ancora il gusto dei baci non troppo lontani. Poi, pungolato dal suo sguardo incattivito, resta in silenzio.
«Vostra moglie si è sentita male dopo che voi...» Si blocca subito, troncando la frase e comprendendo anche la propria parte di colpa. Dovrei dire "Dopo che noi", probabilmente... Inspira a fondo, con la testa ancora frastornata, e inizia a dire: «È stata colpa mia, non è vero? L'ho nominata e lei ha sofferto a causa di quello che stavamo facendo!»
Louis sospira, lo ritiene un caso senza speranze: cocciuto e paradossalmente superstizioso. «Mia moglie sta bene.» Vuota il sacco con nonchalance, sedendosi sul letto e facendo sussultare Elliot. Lo vede inspirare a fondo, puntellarsi su un gomito, perfino spostarsi per non stargli troppo vicino. Stupida Flea, lo apostrofa mentalmente. Poi fa una smorfia contrariata, inclina le labbra in una sorta di sorriso tirato. Allunga una mano nella sua direzione e gli scosta una ciocca di capelli dal viso. Lo sente fremere, ma non ritrarsi, così continua: «Il padre di Oliver de Rivière è un dottore, un medico - il più in gamba che io conosca, a dirla tutta...» commenta. «Capisci cosa voglio dire? È stato lui a visitarla ed è stato ancora lui a rassicurarmi sul suo stato di salute.»
«Capisco» mormora. Si sente un po' a disagio per aver osato una teoria tanto assurda, perché alle sue orecchie non sembrava così fuori luogo in un primo momento. Poi deglutisce e non aggiunge altro, riscosso dal parlottare di Louis:
«Mia moglie si lamenta spesso, starnazza come un'oca e, per giunta, senza motivo. È soltanto gravida!» Sbuffa, ritira la mano e vede le sopracciglia di Elliot aggrottarsi di colpo.
«Perché parlate così di vostra moglie?» chiede. «Dovreste esserle affezionato, Sir.»
«Dovrei» soffia. Distoglie lo sguardo da quello di Elliot e lo sposta sull'arazzo che copre la parete. «Ma lei no, lei non mi è affezionata.»
«E questo vi autorizza a mancarle di rispetto?»
«Non le manco di rispetto» grugnisce e torna a guardare Elliot, ma prima che questi possa aprire bocca per contraddirlo, continua a dire: «È lei che mi manca di rispetto quando cerca dei sotterfugi per non darmi ascolto. È ancora lei che mi manca di rispetto quando s'interessa a cose che non la competono. È sempre lei che mi manca di rispetto quando va a raccontare queste cose a Padre Aubyn.» E restringe lo sguardo, quasi lo minaccia in silenzio. Lo vede deglutire a vuoto e subito si accorge di come il terrore sia tornato a lampeggiargli negli occhi.
«Anche io ho parlato con Padre Aubyn» si lascia sfuggire in un rantolo. «L'ho fatto per proteggere Delphina, ma non è servito a niente.»
«Già, non è servito a niente» scandisce. Lo vede tremare sul posto, così distoglie lo sguardo. Mi fa sentire in colpa, dannazione!
«Quindi la state punendo?»
«Come?» Louis batte le palpebre, poi solleva le sopracciglia e fissa Elliot di sguincio. «Che intendi dire?»
«Dopo aver punito me...» La voce gli muore in gola, perché Louis si lascia scappare un suono divertito e lo interrompe con un:
«Non ti ho punito.»
«Voi dite?» Tentenna con questa domanda. È incredulo, totalmente in disaccordo. Se la dannazione eterna non è una punizione, allora non so proprio cosa significhi essere punito, si dice.
«Hai cercato di proteggerti» dice Louis d'un tratto, sorprendendolo. «È per questo che mi hai mentito con tanta ostinazione.»
Sì, perlomeno su questo ha ragione, constata, battendo le palpebre. Ma non ha il coraggio di parlare, perciò resta in silenzio, con lo sguardo basso e le costole ancora indolenzite. Deglutisce. Il sangue torna a rombargli nelle orecchie, mentre le parole di Louis continuano a scivolargli addosso:
«E non eri qui, non eri né il mio sguattero né il valletto di mia madre - meno che mai il mio amante.» Abbassa la voce, quasi si vergogna di aver pronunciato la parola "amante". Allora si umetta le labbra, improvvisamente puntato dallo sguardo perplesso di Elliot, e aggiunge: «Ciò che è successo non si ripeterà più.»
Elliot si chiede: Cosa significa? Cosa intende dire? Non sa se il tuffo al cuore che sente è causa delle parole di Louis almeno quanto non sa se si tratti di sollievo o timore. Cosa non si ripeterà? Con le labbra tremanti, infine, domanda: «Non tornerete più nella mia stanza?»
«Non parlavo di questo» mormora l'interpellato, facendo un gesto veloce con la mano. Lo guarda dritto negli occhi e giura di vederlo arrossire.
Un brivido percorre la schiena di Elliot. Allora tornerà, si dice. E non riesce a capire se la cosa lo tormenti o meno, se lo imbarazzi o lo faccia vergognare. Ma poi ricollega il discorso e quasi sobbalza. «Parlate di Barbablù!» Lo vede annuire, perciò socchiude le labbra in un muto sgomento. Gli sembra quasi impossibile che Deanna ci abbia visto giusto, eppure lo sguardo di Louis non tradisce alcun tentennamento. Non sta mentendo, pensa. «Volete davvero redimervi?» chiede sottovoce.
Louis aggrotta le sopracciglia e sbruffa infastidito. «Non ho bisogno di alcuna redenzione» dice. Scuote la testa, conscio di non aver mentito; sa di non essere il Barbablù di cui parla Elliot o il mostro che crede Alene, ma ammetterlo non servirebbe a niente - no, potrebbe solo distruggerlo, renderlo terribilmente umano, e lui non ha alcuna voglia di essere guardato dall'alto in basso da un chicchessia.
Arricciando il naso, Elliot esplode con un: «Questa notte avete giaciuto con me, non con vostra moglie.» È in imbarazzo, ma sa anche quanto sia inutile soffermarsi a balbettare se in gioco c'è la propria dignità. «Lei è stata poco bene, ve ne eravate anche accorto, probabilmente, tuttavia avete preferito continuare a tormentarmi, a prendervi ciò che volevate, prima di occuparvene.» Il tono di rimprovero, lo sguardo fisso. È crucciato, continua a puntare Louis e a sindacare sulle sue responsabilità mancate: «Se non fosse stato per Bruce non vi sareste mosso.»
«E con questo?»
«Dite di non aver bisogno di redenzione solo perché siete fatto di perversione» sputa.
«In che quantità?» Louis solleva il mento, si fa beffe di Elliot e lo fronteggia a viso aperto. Posa un palmo sul letto, gli si avvicina con fare minaccioso. «Pensi che io sia perverso, Flea?» E trattiene una risata asciutta, mostra semplicemente i denti in quello che dovrebbe essere un ghigno malevolo. «Non hai idea di cosa sia la perversione» dice. «Quello che ho fatto con te non è affatto perverso.»
«Le Sacre Scritture dicono altro sulla sodomia...» soffia. Poi s'interrompe. Il fiato mozzato in gola e le dita di Louis strette attorno ai capelli. Si sente strattonare all'indietro, ma non smette di osservarlo attraverso le ciglia. Per poco non cade supino sul letto, tuttavia resiste, non cede, e sente solo una fitta all'altezza dei reni.
«Sodimia» sillaba. La voce ridotta a un sibilo e lo sguardo di ghiaccio. «Odio questa parola, Flea» dice. «È soltanto un pretesto della Chiesa per accusare l'uomo di eresia.»
«Non è un pretesto» mugola di fastidio sentendosi strattonare ancora. Poi sente il fiato di Louis sul viso e sgrana gli occhi.
«Conosco diverse persone che sono in grado di affermare l'esatto contrario» dichiara. «Ma tu sei un sempliciotto, sei il figlio di un contadino: cosa vuoi saperne?» Seccato, schiocca la lingua sul palato, poi lo allontana con un gesto rapido e dice: «Se davvero fosse così abominevole, se davvero avessi ragione tu, forse anche Oliver sarebbe convinto della sua colpevolezza.»
«Il Conte Oliver de Rivière?» balbetta. Batte le palpebre e sembra sorpreso, sconcertato. Socchiude le labbra, ma non osa dire altro, perché i pensieri retrocedono e tornano a ingarbugliarsi. Si morde le labbra, ricorda il momento della sua fuga dalla collina e quello in cui ha rischiato di finire addosso al cavallo di Oliver. All'improvviso inizia a perdere le sue certezze.
«Hai forse paura di essere diventato sordo?» lo schernisce.
«Affatto, Sir...» Ma preferirei esserlo, si dice. Chissà perché serra i denti e sigilla le labbra. Non parla più, si ammutolisce, fa perfino ghignare Louis di soddisfazione, mentre guarda in basso, verso le lenzuola sfatte.
«Stai per chiedermi qualcosa?»
«No» sillaba.
«Ne sei sicuro?» Louis inclina la testa di lato. L'osserva, e quasi ne è affascinato. Non pensavo che una mia mossa avrebbe sortito certi effetti, si dice. Riesco quasi a sentire la voce di Oliver che fa "Ti sottovaluti troppo, mon ami".
«È con lui che...»
Louis lo interrompe intenzionalmente: «T'interessa davvero?»
«No» mente.
«Né io né lui siamo mai stati fulminati o condannati da quel tuo Dio che ami tanto, Flea» lo provoca.
«Smettetela!» Elliot alza la voce, stringe perfino le lenzuola tra le dita. Si morde le labbra, ma poi solleva lo sguardo e, chissà come, diventa un fiume in piena. «Cosa succederà quando uscirete da questa stanza, Sir?» Gli vede sollevare le sopracciglia, tuttavia continua: «Quanto accaduto sarà solo un ricordo o assumerà per me il ruolo di una condanna?»
E la risposta è pronta: «Non sarà né un ricordo né una condanna.» Louis si avvicina, si china verso di lui e, compiaciuto del fatto che questi non si sia ritratto, sfiora le sue labbra.
«Per voi, forse.» Le guance di Elliot si tingono appena di rosso, mentre dice: «Se anche volessi credere che per tutto questo non c'è inferno, Sir, voi sarete l'unico a poter stare in piedi e a camminare come se nulla fosse.»
L'interpellato non replica, riesce soltanto a ghignare. Vede Elliot, ma con il pensiero è altrove. Pensa, rimugina, ricorda le sensazioni provate la notte passata, e per poco non cede all'istinto di saltargli addosso. Non adesso, si dice.
Dal canto suo, Elliot sembra inquieto. Aggrotta le sopracciglia, lo rimprovera con uno sguardo. «A cosa state pensando?» chiede. E non ha il tempo di aggiungere altro, non ha neppure il tempo per ragionare, perché sente le labbra di Louis premere famelicamente sulle sue. Vorrebbe resistergli, in realtà, o quantomeno avere il tempo per farsene una ragione. Tuttavia cede, lo lascia fare. Assapora il peccato fino a cadere steso sui guanciali. Una seconda volta, inconsciamente, si sprona nella sua direzione per non interrompere il contatto. Ha il cuore in gola, quando gli sente dire:
«Al sapore delle tue labbra, al profumo della tua pelle, alla morbidezza delle tue cosce...»
«Oh, smettetela!» sbotta. È paonazzo, mentre lo allontana con una mano. «Vi sembra questo il momento?»
«E quando sarà il momento?» grugnisce. «Verrà mai, Elliot?» Domande legittime, perlomeno a suo dire. Lo vede deglutire, distogliere lo sguardo, arrossire vistosamente. «Non vorrai rinnegare ciò che è successo, mi auguro.»
«Vorrei» ammette in un soffio. «Non avrei dovuto cedere così facilmente alle vostre provocazioni.» Lo vede scostarsi bruscamente e, chissà perché, non riesce a tirare un sospiro di sollievo. Ne è attratto, e saperlo gli duole non poco. «Mentre commettevamo quell'abominio davanti agli occhi di Dio, vostra moglie ne ha pagato le conseguenze.» Torna alla sua tesi originaria, insiste. Si puntella sui gomiti, cerca di sedersi più o meno dignitosamente senza provare vergogna per il proprio corpo. E ci riesce, ma solo quando Louis tuona uno:
«Sciocchezze!»
Allora Elliot deglutisce a vuoto. Non sono sciocchezze, si dice. Padre Aubyn mi punirebbe a dovere per una cosa del genere! E avrebbe ragione a farlo, sì... Questa volta avrebbe ragione.
«Mia moglie è gravida, aspetta un bambino» ripete con fare laconico, quasi scocciato. «Possibile che non riesca a entrarti in testa?»
«Ma è stata poco bene lo stesso» obietta.
«Perché ha mangiato poco ed è uscita con il calesse troppo spesso» minimizza. «Ormai sono settimane che sta in questo stato, dovresti saperlo...»
Ma Elliot non demorde. Scuote la testa, insiste: «E se vi sbagliaste?» Lo guarda negli occhi e, da bravo spirito della contraddizione, ripensa al calore delle sue labbra. Non basterà nemmeno il cilicio con te, lo rimprovera la coscienza. «Se fosse stato un avvertimento del Signore?»
«Qualche ora fa ero io l'unico Signore che invocavi» sibila Louis, schernendolo. «E sono anche l'unico Signore a cui dovrai fare conto per il resto dei tuoi giorni.»
Gli occhi arrossati e lucidi, dice: «Questo è impossibile, Sir.» E scuote il capo, vistosamente agitato e confuso.
«Non lo è affatto.»
«Vi sbagliate!»
«Non posso sbagliarmi» lo corregge in un ghigno.
«Voi non avete potere sulla mia anima...»
Prima ancora che possa continuare il suo ostinato discorso, Elliot viene interrotto con un: «Al contrario, dopotutto sei legato a me.»
Servo e padrone, padrone e servo, si dice. Serra i denti, si sente quasi mancare. Più osserva Louis e più ha l'impressione che questi si allontani dalla magnanimità professata. Il nostro legame si basa solo su questo. «Ma ieri mi detto che tutto dipendeva da me, che avrei potuto scegliere di tornare o non tornare...» obbietta.
«L'ho detto.» Annuisce, continua a ghignare e dice: «Tuttavia ho detto anche che, se non fossi tornato, sarei venuto a cercarti.» Lo guarda negli occhi, lo vede crucciato, spaesato, forse irritato. «Sei comunque legato a me...» sibila. Non lo vede annuire, non lo sente neppure rispondere, perciò continua: «Ti avrei preso lo stesso, Elliot - ovunque fossi, qualsiasi cosa stessi cercando di fare.»
«Devo alzarmi» balbetta questi, cercando di sfuggire sia allo sguardo che alle parole di Louis. «Devo portare la colazione a vostra madre.»
Breve, conciso, quasi lapidario, se ne esce con un: «Ci penserà Charlotte.» Si alza e lo guarda dall'alto in basso con un'espressione perentoria, mentre dice: «Devi riposare per me.»
«Per voi?» echeggia. Deglutisce a vuoto, sente la gola secca. Spera davvero che Louis stia scherzando, ma sul suo viso non c'è neppure l'ombra del divertimento. «Sono il valletto di vostra madre...»
«Ma devi obbedire anche ai miei ordini» gli ricorda. «Devi farlo oggi - adesso - e domani, sì... Tutte le volte che voglio.» Prende una piccola pausa, poi continua: «Se vuoi tenere compagnia a mia madre, Flea, dovrai dedicarti a me in egual misura.»
«Vostra madre non esige lo stesso tipo di attenzioni che pretendete voi.»
«Lo spero bene» commenta l'interpellato. Una punta di sarcasmo nella voce, nello sguardo, poi il rumore dei passi che si avvicinano alla porta. Dà le spalle a Elliot e, come niente, tronca il discorso - in fondo, per lui è già finito da un pezzo.
«Non potete trattarmi così!» sbotta, frenandone l'avanzata. «Vi comportate come se fossi una puttana!» Alza la voce, lo vede voltarsi di scatto e sgrana automaticamente gli occhi. È infuriato, si dice. Ma non smette di parlare e, anzi, dice: «Promettete cambiamenti, rivoluzioni, eppure restate lo stesso di sempre. Siete uguale a ieri, siete lo stesso che non mi ha dato scelta... Voi siete Barbablù, non smetterete mai di uccidere in cambio della dannazione di una sola anima!»
«Taci!» tuona. «Parli sempre troppo, Flea.» Ed è chiaro che Louis non voglia sentir parlare Elliot della caccia all'uomo, glielo si legge in faccia, tuttavia questi insiste:
«Volete farmi credere che la vita delle persone sia nelle mie mani, ma non è vero. Siete diabolico.»
«Smettila!» Louis aggrotta le sopracciglia, quasi ruggisce.
«Vi farete odiare, prima o poi» soffia. Stringe le dita sulle lenzuola e serra la mandibola. Lo sguardo fisso sull'espressione incattivita di Louis e il cuore in gola. Sente il peso di una responsabilità che non gli appartiene, di un compito che non gli compete. Vorrebbe sprofondare nel nulla e risvegliarsi al borgo, in casa sua, con la consapevolezza di aver fatto solo un brutto incubo.
Il tono canzonatorio e una risata trattenuta a stento, chiede: «Perché, ancora non mi odi?»
Elliot aggrotta le sopracciglia, tuttavia non risponde. Non sa cosa dire, non sa se la verità possa ledergli più della menzogna. Ma, soprattutto, cosa che lo preoccupa, è che non sa quale sia la verità e quale la menzogna. Deglutisce. Pensa a Delphina, alle minacce di Louis e al pericoloso Bruce. Sì, lo odio, si dice.
«Questo silenzio è disarmante.» Sospira, accenna perfino un sorriso. Non conosce la risposta, ma pensa d'intravederla oltre lo sguardo testardo di Elliot. «E, ricorda...» inizia a dire. Gli dà le spalle una volta per tutte, poi si avvicina alla porta. Sull'uscio, dice: «Io sono il tuo Signore.» Non aggiunge altro, non ammette repliche. Esce dalla sua stanza e si chiude la porta alle spalle.
Note:
Ciao a tutti!
Più revisiono questa storia e più penso che la relazione di questi due sia davvero qualcosa di malsano. Davvero, mi chiedo da dove sia nata in me l'idea di creare una coppia come questa nel lontano 2014... Anzi, vi dirò, nella seconda versione ho dato a Elliot un po' di mordente, cosa per la quale AlexielDubois mi ha anche ringraziato - e mi sono ringraziata da sola, giuro.
Insomma, fatemi sapere cosa ve ne pare di questi due disagiati.
In tutto questo, sappiate che non vedo l'ora di presentarvi il mio bubino di Poison&Wine: Luke. So che lo avete visto nei prestavolto, ma ancora non si è fatto vivo. Damn, non resisto. Con la divisione dei capitoli per Wattpad arriverà l'anno del mai! Cry all candy.
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina, mi raccomando!
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