Capitolo 15
⛔️ Capitolo eccessivamente vm18. Non mi prendo responsabilità per chi legge.
Siete stati informati.
Prima di andare avanti, ricordate gli avvisi iniziali e la storia della sindrome di Stoccolma.
Non stiamo qui ad allacciare scarpe ai millepiedi, quindi non ripeterò il tutto: tornate lì per il disclaimer intero.
A ogni modo "no, non racconto la storia d'amore zucchero e miele con la sindrome di Stoccolma e l'happy ending". ⛔️
1555, Stackpole.
Il sorriso si dipinge sulle labbra di Elliot, mentre muove qualche passo spensierato lungo il corridoio del piano signorile. Continua a pensare a Deanna, al suo temperamento materno, alla sua dolcezza. Poi barcolla. Qualche metro più avanti, perde l'equilibrio a causa del ginocchio sinistro e sposta subito il peso sul destro; ma quest'ultimo brucia, struscia contro le calze e gli fa emettere un mugolio di dolore. La gamba si flette e le labbra si lasciano scappare un gemito, forse un grugnito - chissà, non riesce a definirlo, sa solo che non è un suono rispettabile. E l'unica cosa che può fare è trattenere le dita a debita distanza mentre divaga con lo sguardo lontano da quello di due serve; non vuole nemmeno guardarle in faccia, non vuole sapere chi sono. Arrossisce, si vergogna, poi serra i denti e, ritrovata una postura dignitosa, s'incammina verso la propria stanza. Ha intenzione di cambiarsi, non fa che ripeterselo, e si dice: Indosserò dei calzoni, coprirò le ginocchia. Non posso presentarmi di nuovo in questo stato davanti a Charlotte, potrebbe iniziare a preoccuparsi... Solo allora si rende conto di essere arrivato a destinazione. Perciò sospira, abbassa la maniglia, cerca rifugio in un posto, che, suo malgrado, non gli appartiene. E se ne accorge subito, non appena vi mette piede.
«Voi...» accenna, ma non riesce a dire altro, perché Louis solleva una mano e, con l'indice, gli fa segno di restare in silenzio. Gela sul posto, si ammutolisce e deglutisce a vuoto, dinanzi al suo sguardo freddo. Nelle orecchie, il frusciare della stoffa: sono le maniche della sua camicia, e ancora dopo i calzoni. Trattiene il fiato quando lo vede alzarsi dal letto.
E lui, con la testa lievemente inclinata e l'avambraccio posato sugl'intagli del baldacchino, si limita a osservarlo. Era ora, pensa. Chissà come trattiene le parole in fondo alla gola. Poi, con la mano libera, fa solo un cenno nella direzione del mobile vicino.
Elliot segue il suo sguardo e vede un mazzo di chiavi. Trema. Dovrei prenderle? si chiede. Socchiude le labbra, non riesce neppure a pensare decentemente. Reagisce d'istinto e, dopo aver accostato la porta, zoppica fino al mobile.
«Hai capito bene» soffia non appena lo vede indugiare con le mani a mezz'aria. Vuole dargli un incentivo, un motivo per chiudersi nella tana del lupo; ma pare non sia abbastanza, perché più lo guarda e più lo vede perplesso. Così aggrotta le sopracciglia e, mentre l'emicrania incalza, muove un passo nella sua direzione. Gli vede afferrare le chiavi con impaccio e solleva un sopracciglio con fare incredulo. Oh, ha capito davvero! Ghigna. Il tremolio dei gomiti di Elliot lo affascina.
Le chiavi tintinnano tra le sue dita, ed Elliot le guarda. Sente quasi il metallo bruciare sotto i polpastrelli, perciò scatta e prova a infilarne una nella serratura. Ha le lacrime agli occhi, quando si rende conto di aver optato per quella sbagliata, e ha come l'impressione che la presenza di Louis si sia fatta più impaziente. Allora si umetta le labbra, continua a dargli le spalle, tenta di nuovo per un paio di volte e annaspa. Infine ci riesce, fa scattare la serratura.
«Fino in fondo» ordina.
La sua voce gli riecheggia nella testa, lo fa tremare sul posto. Rabbrividisce e annuisce, ma non risponde. Gira la chiave fino alla terza mandata, poi, si stringe nelle spalle e rimane fermo, immobile, come una statua di ghiaccio. La mano ancora stretta attorno al mazzo di chiavi, gli occhi socchiusi e il respiro pressoché inesistente. Lo trattiene, forse, o forse ricomincia a contare le pause giuste. Non vorrà farlo davvero, spero... si dice. Non ha il coraggio di voltarsi, di guardarlo in faccia, di fronteggiarlo. E, se in un primo momento si è sentito forte, coraggioso, perfino infallibile, adesso ha come l'impressione di essere una nullità - polvere in un angolo.
I passi di Louis si avvicinano, infine di fermano. Poi è il turno delle mani: si muovono, raggiungono il nastro intrecciato del mantello di Elliot e lo sciolgono.
Il suono del velluto sul pavimento di marmo lo fa rabbrividire, gli fa mancare un battito. «Non vi aspettavo, Sir» soffia, balbetta. Poi batte le palpebre, sente un polpastrello di Louis sulle labbra e quasi spera di essere in un brutto sogno. Gira la chiave e vattene, mormora l'inconscio; eppure non gli dà ascolto. Ritira la mano, la sposta dal mazzo di chiavi e la fa cadere lungo il fianco. S'irrigidisce, tende i muscoli della schiena fino a farsi male, mentre Louis raggiunge i suoi incisivi e vi preme contro quasi con insistenza.
Un suono caldo, un mormorio sul collo: «Bruce ti ha riferito il mio messaggio... Presumo che questa sia la tua risposta.» E sprona il viso in avanti, carezza i capelli di Elliot con la punta del naso. Le ciglia basse, lo sguardo vacuo. Si perde nelle onde pallide e inspira il profumo dei fiori cui l'ha visto capitolare - gli stessi dove lo ha costretto, spogliato, assaggiato - mentre una scossa d'eccitazione gli attraversa i lombi.
Un borbottio incerto: «Non è ancora notte, Sir...» Sente l'altra mano di Louis, che scivola lungo il farsetto e ne percepisce il daffare per slacciarlo. Allora schiude i denti, serra le palpebre e riesce soltanto ad assecondare i suoi capricci. Si fa carezzare la lingua con le dita, ma solo per un attimo, perché corruga la fronte e volta il capo di lato. Rabbioso, si nega. «Sapete bene perché sono qui, Sir: dovevo portare i fiori a vostra madre...» Sente il suo fiato sul collo e rabbrividisce. «Non sono venuto fin qui per sottostare a un capriccio perverso di Barbablù.» Usa la nomea di Louis per fare appello al suo timore, ma sembra non riuscirci, perché questi gli sfila il farsetto con la stessa sensualità cui si è liberato del mantello.
Ed è velluto su velluto, mentre il tocco freddo di Louis preme sulla pelle accaldata che spunta dal colletto slacciato di Elliot. «Sei stato fuori troppo a lungo» dice. Lo rimprovera sommessamente, spostandogli una ciocca di capelli con il naso. Poi stringe le dita, quasi lo fa boccheggiare. «Troppo a lungo» ripete. «Mi stavo spazientendo...» Un commento lieve sulla nuca, infine il palmo, che inizia a frusciare lungo la camicia, sull'addome, facendolo rabbrividire. Ghigna: più lo tocca e più è certo di essere desiderato.
Elliot ha lo sguardo vacuo, il mento sollevato e la voce mozzata in gola. Sa che Louis non ha intenzione di strozzarlo, di ucciderlo, e forse è per questo che va in fibrillazione. Non devo! si rimprovera mentalmente, mordendosi le labbra. E annaspa, perché le carezze scivolano con lentezza, con circolari movimenti, che, d'un tratto, saettano, scattano, si fanno impazienti. «Non sono tornato per voi» dice. Tuttavia non può fare altro che serrare le palpebre e lasciarsi sfilare la camicia.
«Però sei tornato, e questo basta.» Vorrebbe aggiungere altro, ammonirlo, magari imporgli il silenzio con un ordine, ma non lo fa e, anzi, si limita a spostargli il viso, a fargli oscillare i capelli, a scorgere i nei che ha dietro il collo. E, quando si avvicina per baciargli la nuca, in un mormorio dice: «Sono Quattro.»
Quattro cosa? si chiede. Ma non ha il tempo di replicare, perché il palmo di Louis si ancora al suo addome e gli fa mancare il fiato, gli fa echeggiare quel numero nella testa. Quattro cosa?
«Hai quattro nei sulla nuca» dice, soffia. Sembra leggergli nel pensiero e lo allontana dalla porta con uno strattone.
Barcolla all'indietro e trattiene il respiro. «Sir...» balbetta. Lo sente vicino, terribilmente vicino. Con il suo fiato nelle orecchie, chiude ancora gli occhi. E per un attimo si lascia andare, pensa alle parole di Deanna, cancella l'imposizione, la minaccia, il capriccio espresso a chiare lettere sulla collina. Cede, ma solo per un istante, perché un brivido gli percorre la schiena e gli accappona la pelle delle braccia.
«Cosa c'è?» Lo fa voltare e ne cerca lo sguardo. Ha gli occhi velati, appannati dall'eccitazione, per questo non riesce a vederlo davvero. Scorge a malapena il suo cipiglio crucciato, le labbra che tremano e che si schiudono alla ricerca di una risposta. Poi umetta le proprie e resta in silenzio, con il rombo del sangue nelle orecchie. Gli carezza i fianchi, percorrendo ogni brivido, ogni costola, e raggiungere le sue mani con un ordine: «Spogliami.» Gli vede battere le palpebre, serrare i denti e deglutire, ma non ritratta; al contrario, fa in modo di condurlo sulla propria camicia slacciata.
«Perché dovrei?» Una domanda pungente, quasi provocatoria, che accompagna lo sguardo pressoché inquisitorio di Elliot e il corrugarsi delle sopracciglia di Louis.
«Perché hai accettato la mia proposta.» Inflessibile, questi stringe le proprie dita sulle sue.
«Non avete proposto alcunché, Sir.»
E Louis affina lo sguardo, s'imbrunisce. Slaccia gli ultimi tre nodi della camicia assieme alle dita di Elliot. «Adesso toccami» ordina.
Elliot ha lo sguardo distante e il cuore in gola. «Non voglio!» Alza la voce e abbassa le palpebre. Sente la leggera e cinica risata di Louis nelle orecchie, dopodiché serra le labbra e percepisce la sua presa sul polso, la sua pelle sotto il palmo aperto, il battito frenetico che gli martella contro i polpastrelli. Si chiede: Perché è così agitato? Ma la risposta è palese, talmente ovvia e imbarazzante, che non riesce ad aprire bocca. Agitato, certo...
«Hai paura di me o di te stesso?»
Scuote semplicemente la testa. Con lo sguardo ancora fisso sul pavimento, mentre perde il controllo del proprio respiro, soffia un: «Non è ancora notte.» Ed è una giustificazione inutile, quasi un tentativo che continua a ripetere con gli occhi lucidi: «Non è ancora notte, Sir...» E rimanda, prova a tergiversare, mentre la punta del naso di Louis gli carezza uno zigomo.
«Non è neppure mattina.» Louis si ferma a un passo dalle labbra sue labbra e lo sente sospirare. Allora sorvola, non le sfiora nemmeno: si avventa sulla clavicola vicina e risale lungo il collo. Lì si ferma. Una scia umida, poi il suggere lento che precede un morso.
Elliot grugnisce, aggrotta le sopracciglia e sposta lo sguardo sulla chioma scura di Louis. Serra i denti, ma non si ritrae e neppure lo spinge via. Si limita a serrare le labbra, a cercare di comprendere se stesso. Pieno e vuoto al contempo, assente e presente. S'interroga in silenzio, si chiede: Cosa sto facendo? Perché non me ne sono andato? Allora si dà dell'idiota, si morde la lingua per non azzardare un insulto. «Sir...» lo chiama. Tuttavia sa che Louis è troppo preso, troppo rapito dal suo suggere convulso, per calcolarlo. Ed è per questo che arrossisce, è per questo che alza la voce. «Sir!» esclama. Sente i suoi polpastrelli freddi attorno a un capezzolo, poi annaspa e vede i suoi occhi di laguna farsi più liquidi, appannati dalla libido. Deglutisce a vuoto.
Nel notare le sue gote imporporate, Louis lo provoca con un: «Perché parli ancora?» Ma non gli dà neppure il tempo di rispondere, perché costringe la sua mano a scendere verso il basso, verso i propri calzoni, laddove la trattiene per godere del suo imbarazzo. Gli vede socchiude le labbra e gli sente balbettare un:
«Sir, voi...»
Solo allora, mentre sente il tocco impacciato di Elliot sul cavallo dei propri calzoni, serra le dita sulle sue. E sospira, socchiude le palpebre, l'osserva meglio: ha le guance arrossate, il fiato corto - si può dire che sia paonazzo, e, chissà, forse non se ne rende neppure conto. Delizioso, così lo definisce. Poi coglie l'attimo, lo prende alla sprovvista e gl'infila una mano oltre la cintola.
Elliot strabuzza gli occhi. Se possibile, avvampa ancora di più. Sente la gola arsa, e le gambe stranamente molli. «Lasciatemi» dice. Prova a scandire le parole, tuttavia non ci riesce e fa sorridere Louis di rimando. «Sono venuto qui solo per cambiarmi, non avevo alcuna intenzione di...» E si ferma, non finisce la frase. È così imbarazzante! Si rimprovera mentalmente, poi continua a parlare a ruota libera: «Non pensavo che mi avreste aspettato in camera. Sareste dovuto essere altrove.»
«Dove?» chiede, stranamente divertito dal parlottare convulso di Elliot.
«Ovunque» balbetta. «Ma non qui, non nella mia camera...»
Questa camera è mia, tutto il palazzo è mio, vorrebbe rispondere, eppure non lo fa.
«Tra poco sarà l'ora di cena» prova. Quasi riesce a trovare il tono giusto per sembrare distante, ma il suo volto non riesce a mentire.
«Ho dato ordine di non disporre per nessuno dei due.» Non aggiunge altro, lo sospinge semplicemente verso il letto. «Avanti, stenditi» mormora.
«No!» Le sopracciglia corrugate e il tono poco remissivo.
Louis gli si avvicina di un passo e lo vede retrocedere per poi finire seduto e inerme laddove desiderava che fosse sin dall'inizio. «Stenditi» ripete. La voce bassa, arrochita dall'eccitazione. Lo guarda dall'alto e gli vede scuotere la testa. Allora storce le labbra, fa una strana smorfia. Si lascia scappare uno sbuffo e, infastidito, si piega per togliergli sia i calzoni che le calze con un solo gesto. Ostinato! lo apostrofa mentalmente.
Elliot trasale, poi scatta e allunga una mano per afferrare le coperte. «Voi siete pazzo» dichiara crucciato.
«Non sono io il pazzo» grugnisce. Solleva lo sguardo per incrociare il suo e lo fulmina sul posto. «Nessuno si azzarderebbe a rifiutare le attenzioni di un nobile...»
«Vi sbagliate» lo interrompe.
«Affatto, Flea.»
«Parlate così solo perché non avete mai incontrato nessuno disposto a negarsi.»
Louis serra i denti, incassa il colpo senza dire una parola, tuttavia non demorde e, anzi, si sprona in avanti per provare a sfilargli le coperte dalle mani. Poi, dopo aver posato un ginocchio accanto al suo, lo vede ritirarsi verso i guanciali. Perfetto, pensa. Non si rende neppure conto di ciò che fa... Ghigna, infine gli sfila i vestiti che si sono bloccati all'altezza delle caviglie e riesce addirittura a intrappolargli un polso. «Sei coriaceo» dice.
«A differenza vostra, ho una dignità» sputa. Si mostra restio, colmo di disprezzo, ma ha il respiro corto, e per questo vorrebbe prendersi a schiaffi da solo. Pensa, Elliot, pensa! si rimprovera. Non fare l'idiota e pensa a come uscire da questo guaio!
Lui ringhia, si lascia cogliere dal cipiglio irritato e perde le staffe. «Credi che io non abbia dignità? E su quali basi, Flea?» Arriccia il naso, perde completamente il lume della ragione e lo afferra per un polso. La rabbia negli occhi e le narici larghe come quelle di un toro. D'un tratto, però, batte le palpebre e capisce il gioco di Elliot. È questo che vuole, si dice. Ma certo, vuole distrarmi, vuole farmi arrabbiare... Si lascia scappare un suono divertito e scuote la testa. «Mi stai provocando» constata. «Speri che così facendo non alzerò un dito su di te.»
Elliot si morde le labbra, poi prova a cambiare discorso non appena sente il proprio polso libero dalla posa di Louis, il quale lo lascia di scatto. «E se non fossi tornato?» chiede. Deglutisce a stento; la pressione delle dita lungo il polpaccio, il ginocchio escoriato, la coscia. Trema e sa di non poter fare dietrofront, sa che non ha alcuna via d'uscita. «Se non fossi tornato, cosa avreste fatto?» Ha il respiro corto e il cuore che batte ferocemente nel petto.
«Ti avrei cercato, e ti avrei trovato, sì... Avrei messo a ferro e fuoco l'intero villaggio per riuscirci.» Ormai è fuori controllo, e non riesce a tenere a freno la lingua, non riesce a calibrare le frasi. I pensieri si accavallano, le dita continuano a scorrere con veemenza.
«La vostra brama è tanto grande?» Mormora confuso. Non riesce a togliergli gli occhi di dosso, non riesce a sfuggire al suo sguardo. Si sente improvvisamente privo di forze e allenta la presa sulle coperte, che Louis manda all'aria. «Mettereste sottosopra un intero villaggio solo per me?»
«L'intero paese, se necessario.» Si scosta appena, si sfila la camicia aperta e finisce di spogliarsi sotto lo sguardo attento e sconcertato di Elliot. Non fiata, continua a guardarlo, a vederlo arrossire. E più l'osserva più si sente andare in fiamme.
Ma Elliot prova a ridimensionarne la foga con un filo di voce, dice: «Vi prego, Sir, non dite assurdità...» I suoi occhi cercano riparo altrove, lontano dall'imbarazzante vista della nudità di Louis. Osserva le proprie dita e si chiede il motivo di tanto imbarazzo, di tanta eccitazione - perché sì, pur non sapendo spiegarsene la ragione, è davvero coinvolto. Allora, senza quasi rendersene conto, inizia a stringere convulsamente le lenzuola.
«Ti voglio, Elliot» dichiara a bassa voce.
E questi rimane immobile al suo tocco dietro il ginocchio, rimane immobile anche quando percepisce le sue labbra sull'interno coscia. Lo sguardo fisso, appannato, e il respiro corto.
La voce di Louis sembra un richiamo lontano, e gli rimbomba nelle orecchie, nella testa, perfino nel petto. Dice: «Ti voglio.»
Per questo, stranamente, non può fare a meno di pensare a quanto sia bella, a quanto quelle parole suonino bene. Così, mentre sente scivolare via le lenzuola dalle proprie dita, mentre percepisce la mano di Louis volgere la sua con il palmo all'insù, rimane in silenzio. La bocca socchiusa, la testa su di giri. Lo guarda e lo trova così, terribilmente eccitante, con la testa china e le labbra posate sul polso. Rabbrividisce, infine sente scorrere la sua lingua sulla linea della vita e mugola. È paonazzo, impacciato e affannato, sotto lo sguardo che gli lancia di sguincio. «Perché?» chiede. Una domanda sciocca, forse, perfino infantile. Conosce la risposta, infatti non ne prevede una e si sorprende di udirla.
«Perché ne ho bisogno...»
Anch'io ne ho bisogno, si dice, ma non lo ammette, perlomeno non a voce. Forse a se stesso, eppure non riesce a crederci. «Pensate di volermi, ma non mi volete davvero» borbotta. «È impensabile che possiate desiderare me piuttosto che vostra moglie.»
«Al Diavolo mia moglie, Flea...» Lo guarda negli occhi, poi si allontana dal suo palmo e lo sormonta in un batter d'occhio. «Non parlare.» Posa le mani su entrambe le sue cosce, osserva le sue sopracciglia corrugate, la sua postura scomposta che lo rende pressoché inerme. È in visibilio, perciò lo solleva per i fianchi e se lo avvicina. Infiammato, animato, lo sente mugolare appena e sogghigna.
Dal canto suo, Elliot non muove un muscolo. Non riesce ancora a capacitarsi di tanta ostinazione, di tanto interesse. Ansima e si considera indecente quando il calore gl'infiamma i lombi. Allora sospira, farfuglia qualcosa come: «Non ho mai fatto nulla di simile, Sir...»
«Io sì.» Una risposta breve e stranamente sincera, forse addirittura la prima che fa arrossire le guance di Louis con quella che lui stesso definirebbe vergogna.
Nella testa di Elliot iniziano ad accavallarsi una moltitudine di domande - altre, troppe. Con chi? Quando? Quante volte? Rabbrividisce e si morde la lingua. Con chi? Sa che non gli è permesso saperlo, ma è improvvisamente curioso. Mugola, si tappa la bocca e lascia che Louis gli carezzi le gambe con malizia. Allora le ginocchia riprendono a bruciare, a sanguinare. Perché lo desidero tanto? «Non possiamo» dice d'un tratto, con affanno.
«Sì che possiamo.» Mentre lo contraddice, Louis è in ginocchio, tra le sue gambe, con la schiena appena curva in avanti. Socchiude gli occhi e si avvicina al suo sesso turgido. Un gesto automatico, che subito fa scattare Elliot con un:
«Io non posso.»
«Stai temporeggiando, Flea.» Ghigna. «La verità è che temi possa piacerti.» S'insinua nella sua testa come un tarlo e lo provoca, lo tenta, prova ad abbattere le sue difese una volta per tutte.
Eppure lui scuote la testa, la solleva a qualche centimetro dal guanciale, si oppone. Dice: «Non è vero.» Poi spalanca gli occhi, lo vede spostarsi, farsi vicino, e sente il calore della sua erezione sulla propria. Le cosce fremono appena, cedono di lato, infine s'irrigidiscono.
La mano di Louis gli carezza l'inguine, poi il pube. Non sempre il corpo è d'accordo con la bocca, si dice. E lo vede muoversi, spronarsi in avanti. È teso, perfino arrossato, perciò lo afferra alla base, lo sente pulsare sotto le dita e se ne compiace.
Elliot deglutisce a occhi chiusi. La gola sempre più secca, le labbra tormentate dai morsi. Ha le orecchie ovattate di un silenzio fittizio. Lo voglio davvero, dannazione. Si lamenta, annaspa, lascia a Louis il compito di condurre il gioco. Lo guarda oltre le ciglia e, nel mentre, lo sente vicino, sempre più duro e più caldo. «Sir» lo chiama. Ha come l'impressione di essere avvolto dalle fiamme dell'inferno; ma non sono fatte di fuoco, no: sono carezze proibite, perverse. Lo sa, lo sapeva sin dall'inizio. E maledice se stesso per aver chiuso a chiave la porta, per aver assecondato i capricci di Louis. Serra i denti, sente la fronte sudata e la pelle che si scalda. Ogni suo movimento è inconscio, irrazionale, e segue un rimprovero mentale, un ansito malcelato, un ghigno di soddisfazione sul viso di Louis. Tuttavia non riesce a controllarsi, a contenersi, e arranca con le mani sulle lenzuola. «Vostra moglie lo sa?» chiede. Non ottiene risposta e non sa più dove guardare, perché la vergogna è ovunque: nell'espressione concentrata di Louis, sulle coperte sfatte, tra le sue gambe. «Lo sa?» Alza la voce, prova a farsi sentire.
E la risposta è breve, concisa, prettamente ironica: «Perché mai dovrebbe?»
«Perché siete sposato!» Le sopracciglia aggrottate, freme. Sente le dita di Louis serrarsi con più vigore e percepisce il frusciare della stoffa nelle orecchie, l'eccitazione che sale fino ad annebbiargli la vista. Ho caldo, si dice.
«Non farmi la morale, Flea» grugnisce. Poi restringe lo sguardo, solleva il mento, cerca d'ignorare le sue proteste.
«Ma pensate a lei, Sir» balbetta. «Se il mio essere uomo come voi non riesce a fermarvi, pensate a vostra moglie...» Poi si zittisce, si morde le labbra e serra gli occhi con forza. Prova a non muovere un muscolo, a smettere di assecondare la stretta sensuale di Louis. Tuttavia continua a sentirlo, a bruciare. E attecchisce alle lenzuola sudate, sente la sua voce che dice:
«Voglio pensare a te.»
Rabbrividisce a contatto con le sue labbra. Baciami, pensa. Ti prego, baciami. Non riesce a pensare tanto quanto non riesce frenare l'emozione, il coinvolgimento. Apre la bocca, non lo morde, sente scivolare la lingua di Louis oltre i denti e non fa che cercarla a sua volta. Poi freme, si agita, sposta una mano sulla sua spalla e si sprona in avanti. Infine si trova ad annaspare a vuoto, con le sopracciglia corrugate e gli occhi socchiusi. Desidera le labbra di Louis, ma non ha il coraggio di dirlo. E spalanca gli occhi, viene ancor prima di rendersene conto. Fa scattare i piedi sulle lenzuola, perde la cognizione del tempo e dello spazio. Il dolore alle ginocchia sembra secondario, ma più i suoi polmoni cercano aria e più le costole continuano a lanciargli stilettate. Non ragiona, ma per istinto si tappa la bocca. Dietro le sue dita, un singulto.
«E voglio pensare a me...» Louis continua a parlare con affanno, scostandosi solo per guardarlo meglio. Poi osserva la propria mano, il sesso ancora teso, eccitato, che è sporco del piacere di Elliot. Inspira a fondo, sente il profumo della cera d'api, si muove nel tremore delle fiammelle accese. «Ne ho bisogno» soffia.
«Sir, io...» La voce di Elliot è un sibilo, pare inesistente. Lui stesso stenta a sentirla, ma, d'altro canto, percepisce a malapena il parlottare di Louis. «Io non posso, Padre Aubyn si arrabbierà...» Sospira, ma non oppone resistenza. Permette a Louis di divaricargli le gambe, di contemplarlo. Fa una strana espressione, poi punta lo sguardo sulle coltri pesanti del baldacchino. È ancora scombussolato, spossato, e non comprende esattamente di cosa abbia bisogno Louis fin quando non sente le sue dita premergli tra le natiche. Allora impallidisce, spalanca gli occhi e balbetta: «No, Sir, questo è troppo.» Cerca perfino d'imporsi, di afferrargli il braccio, ma viene scrollato bruscamente e può solo rabbrividire sulle lenzuola sudate.
«Non dire assurdità» lo ammonisce piano. Inclina appena la testa da un lato e non si fa remore a penetrarlo con le dita. Quando lo sente gemere, però, storce le labbra in una smorfia di disapprovazione. «Non tendere i muscoli» ordina.
Elliot annaspa, poi sigilla sia le labbra che le palpebre. Sente le proprie ciglia solleticare le guance, mentre il cuore continua a pulsare così veloce da far girare la testa. È assurdo! si dice. Cosa sto facendo? Ma la risposta è semplice: lo sta assecondando, e lo sa. Perché? Rilassa le gambe, i glutei, e cerca perfino di essere paziente, ma non può fare a meno di aprire gli occhi per guardarlo in viso, perché spera di trovare in lui una risposta. Ne studia gli occhi, l'espressione, eppure non arriva ad alcuna conclusione. Vede il piacere, lo sente in ogni suo piccolo movimento e ansito. Poi percepisce le sue dita che sgusciano con un suono strano, imbarazzante, e arrossisce. Per un attimo tende i muscoli e lo sente grugnire qualcosa come:
«Rilassati, dannazione!» Ma chissà perché non sembra un ordine.
Me lo sta chiedendo, si dice. Deglutisce, si umetta le labbra e socchiude le palpebre. Con il respiro corto, lo lascia fare. Poi serra i denti, perché sente una pressione maggiore. E non sono più le dita di Louis, ma la sua erezione. «È proprio necessario?» balbetta, ma non riesce a dire altro.
Louis si spinge contro di lui, affonda nel suo corpo con uno scatto di reni. «Sì» grugnisce. Si sente mancare il fiato, si sente avvolgere dalle stesse fiamme che poco prima hanno fatto impazzire Elliot. Ed è su di giri, intrappolato per metà nel corpo che tanto desidera. «Elliot...» lo chiama, lo fa sussultare. Attraverso lo sguardo appannato vede le sue lacrime, nota il modo in cui si artiglia alle lenzuola, e dice: «Rilassati, Elliot.» La voce bassa, la gola secca.
Sentendo il proprio nome, Elliot tentenna e, per la prima volta, capisce di essere considerato una persona, non una pulce fastidiosa. I denti serrati dal dolore, le lacrime agli occhi. Vede l'espressione di Louis, che è sofferente e non sa se assecondarlo ancora, non sa se sia o meno un'idiozia. Si sente stupido e vulnerabile, soggiogato, infettato. Eppure lo desidera, desidera ancora quella stilla di piacere che ha intravisto. Respira piano, cerca di calmarsi, poi sente scivolare Louis ancora un po' e non può fare a meno di emettere un urlo strozzato.
«Da bravo, Elliot...»
E sembra quasi una supplica alle sue orecchie, un modo come un altro per farlo sentire al sicuro. Eppure lui è un mostro, si dice. Io lo so, so che è Barbablù... Deglutisce e si spinge nella sua direzione, conscio del fatto che, se solo si fosse ritratto, avrebbe sicuramente sofferto il doppio. Stringe i denti, le lenzuola, e cerca di rilassare le gambe il più possibile. Voglio smettere di pensare.
«Così, Elliot» geme. S'inarca, reclina appena la testa all'indietro, continua a guardarlo al di là delle ciglia. Si lascia percorrere da un brivido, una scarica d'adrenalina che gl'infiamma i sensi. Ansima e affonda senza quasi rendersene conto.
Lui freme, si sente mancare un battito. È confuso, spaesato, con la testa annebbiata. La vista si sdoppia, il calore torna ad avvolgerlo. Quando vede calare Louis in avanti, allora, socchiude le labbra. Sente il tonfo dei suoi avambracci ai margini della testa, mugola per il movimento lento e voluttuoso. Fallo ancora, grida internamente. Divorami!
Ma non ha bisogno d'implorare, non ha bisogno di chiedere attenzioni, perché Louis si avventa su di lui in un batter d'occhio. E retrocede con il bacino, lo sente annaspare, affonda di nuovo. Morde il suo labbro superiore, poi lo vezzeggia, lo assaggia. Torna a baciarlo con veemenza, con passione: le dita tra i capelli, gli occhi chiusi, il respiro accelerato. «Elliot...» lo chiama ancora, a fior di labbra, e lo sente ansimare. Ed è l'unico suono che vuole sentire, l'unico che è degno della sua attenzione.
Lungo il corridoio, si affrettano dei passi.
Louis lo sa, ma l'ignora. Non vuole sapere cosa sta succedendo, vuole concentrarsi, arrivare fino in fondo, continuare a spingere e a sentirlo crescere contro l'addome. Spinta dopo spinta, respiro dopo respiro, fin quando le voci al di là della porta non diventino solo fastidiose mosche e l'aria cominci a bruciargli nel petto. «Muoviti, Elliot» ordina piano, con le tempie che gli scoppiano.
E lui lo fa: non sa come o perché, ma lo fa. Spinge il bacino nella sua direzione, gli si avvinghia alle spalle, tiene gli occhi chiusi e reclina il capo. Mostra il collo, la giugulare, e poi sente di nuovo preda. Un morso, un bacio, la scia umida della lingua che raggiunge le clavicole. Tutto questo lo fa impazzire. «Sir!» Alza la voce, neppure se ne rende conto.
Louis ghigna, gli passa una mano dietro la schiena e lo tira a sé, lo solleva. Sente il battito del suo cuore più vicino, il respiro accaldato sul collo. «Non alzare la voce» dice vicino al suo orecchio - un ordine che, ancora una volta, sembra più una richiesta. Continua ad abbracciarlo, a cullarsi contro di lui, a spronarlo.
Elliot si morde le labbra e annuisce. Si lascia prendere in braccio e finisce sopra di lui. Le lacrime agli occhi, batte con le ginocchia sulle lenzuola - più e più volte, più e più volte. Trattiene un mugolio di fastidio, ma poi si concentra sul movimento della mano di Louis, che, rapida, inizia a masturbarlo, e sposta lo sguardo verso il basso. Vede le sue dita sulla propria erezione, ne percepisce i movimenti spasmodici e li asseconda. Si muove, soffre. Ogni suo affondo è una lancia che lo immobilizza. E non riesce a fermarsi: ansima, sporca le lenzuola di sangue, tende i muscoli delle gambe e della schiena. Le dita strette sulle sue spalle, i denti che stridono tra loro. Un ronzio nella testa, il calore liquido, che accompagna l'ultimo grugnito di Louis, infine l'orgasmo. «Sir!» annaspa contro la sua spalla.
Una voce diversa, esterna alla stanza, lo chiama lungo il corridoio: «Sir Holland.» È bassa e greve, e fa palpitare il cuore di Elliot.
Questi ha la vista ancora annebbiata quando capisce che è Bruce a cercarlo. Perciò sgrana gli occhi, chiude istintivamente la bocca. Inspira ed espira con il naso, mentre le narici si allargano e si restringono velocemente. Lui sa che è qui... si dice. Sa cosa abbiamo fatto. Impallidisce e cerca lo sguardo di Louis, il quale non sembra altrettanto preoccupato. Così aggrotta le sopracciglia e si chiede: Perché è così tranquillo?
«Dannazione» grugnisce lui. La sua espressione è indispettita, sembra quella di un bambino appena sgridato dal padre. Non aggiunge altro, ma sprona Elliot ad alzarsi, a premere sulle proprie ginocchia per sollevarsi. Lo sente mugolare di dolore, eppure non se ne cura.
Perché fa così? Elliot non ha il coraggio di chiederglielo direttamente, perciò socchiude le labbra e si lascia cadere sul letto con un enorme groppo in gola. Gli occhi pieni di lacrime, si morde le labbra e s'impone il silenzio. Gli fa male ovunque, ormai, ma non si lamenta e, anzi, deglutisce, cerca di coprirsi con le lenzuola. Continua a osservare Louis, che, sceso dal letto, raccoglie i propri vestiti dal pavimento.
Dietro la porta, Bruce alza il tono. «Sir Holland!» Batte un pugno sulla porta e lo fa freneticamente.
L'interpellato s'infila i calzoni e ruggisce un: «Cosa vuoi?» Allora si avvicina all'uscio e gira la chiave con rabbia.
«Vostra moglie, Sir...» inizia a dire. «Vostra moglie è svenuta.»
«Alene?» Batte le palpebre, sembra incredulo. Quando Bruce annuisce, non ha più alcun dubbio. Così s'infila la camicia e, senza guardarsi indietro, esce dalla camera di Elliot. «Manda Bastian dai de Rivière» dice in corridoio. «Sbrigati!»
Note:
Ciao a tutti!
So che questo capitolo è decisamente più lungo degli altri, ma non ho potuto tagliarlo. Come potevo tagliare la scena d'amore con Louis ed Elliot?
Mi chiedo se vi sia piaciuta, piuttosto, perché non l'ho praticamente ritoccata e perché penso che quella con Oliver sia venuta decisamente meglio. Fatemelo sapere in un commento e grazie mille di avermi seguita fin qui.
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina!
Scusate ancora per la lunghezza, sappiate che mi sto flagellando...
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