Capitolo 10
1555, Stackpole.
A innervosire Louis Holland non è tanto il pensiero della salute di Alene che va via via peggiorando, né quello di essere mancato alla battuta di caccia organizzata da Oliver, bensì Elliot. Lo sa, inutile girarci attorno, inutile rimuginarci: lui lo tormenta con la sua sola presenza, lo destabilizza. E più l'osserva, più se ne rende conto.
Troppo naturale, si dice. Troppo sfacciato!
Ma Elliot continua a parlare, a gesticolare. Mima cose che Deanna non riesce a vedere e accenna alla grandezza di una certa mucca. «Tristen è entrato a cercarmi come una furia, poi è finito addosso a Bernice...» dice. Sorride, sente ridacchiare Deanna e poi continua: «È caduto direttamente nella mangiatoia e ha urlato così forte da far lamentare nostro padre. Quella povera bestia ha iniziato a muggire, così ho colto l'occasione per nascondermi sotto la paglia.»
«Addirittura?» Deanna sembra incredula.
«Giuro!» esclama, annuisce, infine storce le labbra e mormora: «Quella è stata l'ultima volta che ho dormito nel fienile, Madame.» La voce bassa, lo sguardo improvvisamente triste.
Louis arriccia il naso, si tira indietro. Le spalle posate contro il muro esterno del salone e un grugnito sulla punta della lingua. Cerca d'impietosirla, si dice convinto; per questo solleva gli occhi verso il soffitto e trattiene uno sbuffo esasperato. Vuole conquistarla, metterla contro di me!
«Ti divertivi molto al borgo...» constata Deanna. «Eppure resti sempre qui, non vai mai a trovare i tuoi genitori.» Sospira e prende una piccola pausa. Senza volerlo, riesce perfino a intristire Elliot.
Louis aggrotta le sopracciglia, tende le orecchie. Non dire una parola, dannato moccioso!
«Sono in vostra compagnia, Madame...» soffia. «E ne sono felice, davvero.» Ma non ne è convinto, perlomeno non del tutto. Abbassa di poco le palpebre e si concentra sulla punta delle proprie scarpe. «Avete bisogno di me, siete stata voi stessa a confidarmelo.»
Deanna socchiude le labbra e aggrotta le sopracciglia. «Ragazzo!» tuona, lo rimprovera e lo fa sussultare. Non può vederlo, tuttavia è quasi certa che abbia strabuzzato gli occhi. «Non voglio un valletto ingrato» dice. «Pensavo che fossi capace di capire l'importanza di una famiglia.»
«Lo sono» balbetta e si guarda attorno, cerca d'intravedere Louis. Infine, quando è certo di essere solo in compagnia di Deanna, si lascia andare a un sospiro. «Non dovete credere che io non sia grato a mia madre per avermi messo al mondo, al contrario... E sono anche grato a mio padre per avermi cresciuto» mormora. Poi s'imbrunisce, prende un grosso respiro e si prepara a mentire di nuovo. «Ma devo abituarmi a questo posto, Madame. Non ho ancora capito come orientarmi nel palazzo, né ricordo a memoria tutti i nomi della servitù.»
«C'è tempo per queste cose» obietta lei, agitando appena una mano nodosa. «Sei così giovane, ragazzo mio!»
Lui tentenna e, per un attimo, prova l'impulso di raccontarle tutto. Poi ricorda le parole di Louis e quasi impallidisce, deglutisce a vuoto, sentendo la gola improvvisamente secca. Butta fuori tutta l'aria che ha nei polmoni e corruga appena la fronte. È combattuto, sì, perché sa di non poter varcare la soglia del portone senza rischiare di essere sgozzato da Bruce. Tuttavia è sincero quando dice: «Non voglio lasciarvi sola, Madame. Ho fatto una promessa, ricordate?»
Non voglio lasciarvi sola, Madame... echeggia mentalmente Louis. Ma sentilo, sembra davvero dispiaciuto di aver avuto il permesso di mia madre per rientrare al borgo! Serra i denti, grugnisce. Le braccia conserte, lo sguardo affilato. Vorrebbe correre a prenderlo a sberle. Chissà come, però, si trattiene.
«Oh, ragazzo mio...» Un gemito basso, addolorato. «Che cosa ho fatto per tenerti così stretto a me?» domanda. Si sente in colpa, scuote la testa, sospira. Non gli dà neppure il tempo di rispondere, perché si aggrappa al bracciolo della panca a dossale e barcolla un po' in avanti per raggiungerlo, per stringerselo al petto. «Tu sei così caro» mormora. «Perché sono stata così egoista a volerti con me?»
«Non siete affatto egoista» la corregge. «Vi rimproverate senza motivo, Madame...» Solleva una mano per carezzarle la schiena in segno di conforto e quasi non se ne accorge. Allora batte le palpebre, si chiede: Che sto facendo? E gela sul posto, s'irrigidisce. Se mi vedesse Sir Holland sarebbero guai, mi farebbe pentire di essere nato!
Deanna se ne accorge subito, perciò si allontana e ondeggia fino alla panca a dossale. Torna a sedere con un piccolo sbuffo e cerca di mettersi comoda. Il tono dolce, lo sguardo materno. Punta Elliot con le iridi velate e quasi riesce a scorgerlo nella propria immaginazione. Così accenna un sorriso, dice: «Oggi andrai a trovare tua madre.» E non è una domanda, meno che mai un consiglio. «Dopo l'ora di pranzo, sì!» continua. «Io andrò a coricarmi, non c'è bisogno che tu resti al mio fianco per tenermi compagnia. Potrai andare al borgo, invece di startene con le mani in mano!»
Andare al borgo? Elliot socchiude le labbra, poi le richiude. Si dice: Se accettassi, la renderei felice e finirei con l'indisporre Sir Holland, ma, se rifiutassi, sarebbe il contrario. «Va bene...» soffia. Nemmeno ci pensa, risponde e basta. Le palpebre abbassate, serrate, e i nervi delle braccia tese. Serra i pugni sulle cosce, si sbianca le nocche. «Va bene» ripete.
«Bravo!» Deanna sorride ancora, si compiace per la propria idea.
E Louis, dal canto suo, freme sul posto. La rabbia nelle vene, lo sguardo appannato. Sente il sibilo della coscienza che fa: È impossibile, quel moccioso non avrà mai il coraggio di mettere piede fuori dal palazzo. Ma non le crede, anzi. Grugnisce, stringe le dita sugli avambracci e prova l'impulso di entrare in salone per strangolare Elliot. Non si fida, no davvero. Ha osato schiaffeggiarmi, ha raggirato mia madre, si dice. E ringhia, non riesce più a trattenersi. Un suono basso, animalesco, che tuttavia non raggiunge né le orecchie di Elliot né quelle di Deanna. Nessuno si è mai azzardato a fare una cosa simile... E d'un tratto si ferma, corruga le sopracciglia, ricorda l'estremo saluto di suo padre. Eccetto lui, si corregge. Una scarica di frustrazione lo attraversa da capo a piedi
«Mi porterai dei fiori dal borgo, ragazzo mio?»
Louis batte le palpebre, si scosta frettolosamente dal muro e si volta verso sinistra. Vede sua madre in piedi, sull'uscio della porta, poi le dita di Elliot che, sotto il palmo di lei, tremano appena. Resta in silenzio, colto in flagrante, e non riesce neppure a formulare un pensiero. Poi sente la voce di Deanna, che, titubante, chiede:
«Elliot, tutto bene?»
Questi vacilla, s'impone un maggiore contegno e, dopo aver umettato le labbra, china lo sguardo. Teso come una corda, cerca di ammorbidire almeno la voce. «Sì, Madame» dice. «Vi porterò dei fiori di campagna da mettere nel vaso accanto al letto... E anche un iris d'accostare a quell'abito blu che vi piace tanto.»
Louis non dice niente. Le narici allargate, il sibilo della rabbia che fa gelare Elliot.
Deanna corruga le sopracciglia, domanda: «Elliot, c'è qualcuno qui?» E tende le orecchie, sente subito dei passi allontanarsi lungo il corridoio.
«No, Madame» mente. Osserva le spalle di Louis per qualche istante, poi accenna un sorriso e torna a guardare Deanna. «Andiamo» dice. «Vi accompagno nelle vostre stanze.»
Questa storce le labbra, borbotta un: «Sì, è meglio così.» Le sopracciglia aggrottate, l'espressione seria. Si lascia condurre da Elliot lungo il corridoio, ma d'un tratto alza la voce per aggiungere: «Qui ci sono troppi spifferi, non fanno bene alla salute.»
«Spifferi?» echeggia. Batte le palpebre con fare confuso, ma non osa contraddirla più del dovuto, perché subito le sente dire:
«Spifferi, sì.» E nient'altro esce dalle labbra di Deanna fin quando non raggiunge la propria stanza. Il respiro affannato per la fatica di aver salito le scale, lo sguardo torvo. È arrabbiata, fin troppo conscia di essere stata ignorata da su figlio. Perciò, non appena si siede sul bordo del letto, sbotta: «Una volta mio marito disse che Louis non era degno di ereditare le sue terre.»
«Perché mai?» La voce bassa e il sospetto latente. Elliot ricorda le parole di Louis e non può fare a meno di farsele echeggiare nella testa: Non sai niente di me, niente!
«Non era pronto, ecco tutto.» Sospira, soppesa l'idea di chiudere il discorso. Poi grugnisce, scuote la testa e continua lo stesso: «I bilanci, gl'incartamenti, gl'inviti a corte... Louis non è mai stato molto bravo a gestire tutto questo. Era troppo infantile, ma credo che non sia cambiato poi molto.»
Elliot vorrebbe dirle: Sì, avete ragione. Chissà come, però, riesce a trattenersi. Ingoia l'amaro boccone, resta nei ranghi. Le labbra serrate e i denti che le sfiorano appena nell'indecisione. Mentire o non mentire? Quante bugie le hai raccontato finora? si chiede. «Vostro figlio amministra bene i terreni, Madame. Riesce a farlo senza essere un tiranno con i contadini...»
Tuttavia Deanna sbuffa. «Le voci corrono, e corrono ancor più le urla di Alene che mi tengono sveglia la notte.»
«Le sento anche io» si lascia sfuggire. E vorrebbe schiaffeggiarsi da solo per aver dato adito alle sue preoccupazioni. Stupido, si dice. «Ma posso assicurarvi che Sir Holland non ha nulla a che vedere con tutto questo.»
«Non ne dubito» conferma, poi, in un sospiro, congiunge le mani in grembo. «Mio figlio non le farebbe mai del male, perlomeno non intenzionalmente... A preoccuparmi, però, è l'indifferenza che nutre nei suoi confronti.»
Elliot tace. La guarda senza avere il coraggio di proferire parola. Gli occhi attenti e le unghie che grattano contro i palmi delle mani. L'indifferenza, eh? Chissà perché non mi sorprende.
«È cambiato. Sembra fatto di ferro, ormai non viene toccato da nulla...» mormora. «Il suo cuore è ancora lì, ma chissà che sentimenti contiene. E quando io me ne andrò - perché succederà - lui diverrà lo spettro di se stesso.»
«Non ditelo, ve ne prego» balbetta. «Non ditelo più, Madame.»
Deanna sospira e scuote la testa. «La vita è fatta così» mormora. «Ma non è per me che sono preoccupata.»
Elliot le si avvicina in silenzio. I denti serrati e uno strano nodo in gola. Deglutisce, poi le prende una mano, cerca di rincuorarla. È già lo spettro di se stesso, pensa. Tuttavia non lo dice, ascolta.
La voce di Deanna vacilla. «Voglio andarmene quando tutto sarà come deve essere, quando mio figlio si sarà ravveduto e avrà smesso di...» Si ferma all'improvviso. La voce si affievolisce. Allora lei solleva la mano libera, carezza la guancia di Elliot e sospira. Chiude il discorso, lo accantona con un: «Mi dispiace di aver parlato tanto, ragazzo mio.»
«Vi ascolto con piacere, Madame» precisa lui. «Piuttosto, sono preoccupato per voi; dovete essere rimasta in silenzio troppo a lungo, se vi agitate tanto.» Vede il suo sorriso dolce, poi sente le sue dita sulla spalla e sorride a sua volta.
Deanna socchiude le labbra e, con le dita, segue il disegno del motivo a tronchetti, che ricama il farsetto di Elliot.«Questo è di Louis, non è vero?» Domanda, gli occhi leggermente lucidi.
«Sì, è stato lui darmelo» conferma piano.
«Oh, lo ricordo bene!» Il sorriso si allarga e il suo volto s'irradia di una dolce malinconia. «Glielo regalai quando aveva solo quattordici anni, sai? All'epoca era alto come te adesso!» Ridacchia, gli dà una piccola pacca sul braccio e continua: «Eppure tu sei più grande... Come mai porti ancora abiti da fanciullo?» lo canzona bonariamente, strappandogli un suono divertito.«Ah, ho capito! Sei un piccolo elfo dei boschi, vero?»
«Vi prendete gioco di me, Madame?» mugola con un cipiglio scherzoso.
«Affatto» lo contraddice. «Ma so già come andrà: io continuerò a invecchiare, mentre tu rimarrai sempre lo stesso.»
«Non voglio restare così basso per sempre» si lagna l'interpellato.
«Che t'importa dell'altezza, ragazzo mio? Tu hai un cuore grande, puoi vantarti per quello...» E, chissà perché, la sua voce vacilla. Forse pensa di nuovo a suo figlio, forse al tempo che passa, Elliot non sa dirlo con certezza.
La vera risposta, però, è Louis ad averla. Ha lo sguardo torvo e i muscoli tesi mentre ascolta in silenzio i loro discorsi. E non riesce a concentrarsi su nessun argomento. Dietro la porta schiusa di Deanna, continua a sentire l'eco della preoccupazione che gli martella nelle tempie. Lei lo sa, si dice. E stringe i pugni, si tormenta le dita, si sbianca le nocche. Tace, chiude gli occhi solo per farsi mancare un battito. Lei lo sa, si ripete.
«Sir Holland!» A chiamarlo è una voce lontana, appena udibile, che rimbomba lungo il corridoio.
Louis si scosta dalla porta di Deanna. Le sopracciglia ancora aggrottate e lo sguardo assorto. Batte le palpebre una sola volta, poi si guarda attorno - prima a destra, poi a sinistra. Poi, d'un tratto, si ferma, perché vede Emily accelerare il passo. Giusto, quasi dimenticavo! Storce le labbra e le fa un cenno per essere seguito. Poi, in silenzio, si allontana dalla porta schiusa.
«Il Conte Oliver de Rivier è appena arrivato, Sir» dice. Ha un po' di affanno a causa della traversata e le guance arrossate. «Vi attende in salotto.»
«Bene.» Non una parola di più, solo un gesto secco, sbrigativo, per congedarla. Le vede fare l'inchino per poi allontanarsi. E s'incammina verso le scale, sospira, cerca di rilassarsi all'idea di trascorrere un po' di tempo in compagnia.
I muscoli delle spalle tesi e i nervi a fior di pelle. Prende un bel respiro, lo trattiene qualche secondo. Conta i passi che lo distanziano dal salotto, dalla giovialità di Oliver. Infine lo vede, lo chiama:
«Oliver!» Butta fuori l'aria e si concede un sorriso tirato.
«Oh, chi non muore si rivede...» ironizza questi. Solleva un sopracciglio, accenna un piccolo ghigno sardonico. Gesticola con la lettera di Louis tra le dita e una risata sulla punta della lingua. «Mon ami, devo forse pensare, come mi avete scritto nel biglietto, che siete rinsavito?»
L'interpellato aggrotta le sopracciglia, lo scruta in silenzio. Gli occhi puntati sulla sua espressione beffarda, poi sulla ceralacca intonsa. «Avete davvero letto quella lettera?»
«No, non l'ho letta» ammette. «Immaginavo, però, che la mia presenza vi premesse molto - dopotutto avete fatto passare questo messaggio per una missiva urgente e avete incaricato Bruce stesso di consegnarmela.» Ghigna sardonico, agitandola. «Ditemi, dunque: siete rinsavito?» riprova.
«Forse» taglia corto Louis. Sospira, poi si muove nella sua direzione e gli gira attorno. Si ferma al centro del tappeto, giusto a qualche passo dalla panca a dossale, e lo afferra per le spalle. Una leggera pressione, poi il suono dei passi di Oliver che si confondono con il cinismo:
«Sono appena arrivato e già mi cacciate, mon ami?»
«Affatto» nega. «Ho soltanto voglia di uscire...» Continua a camminare, a spronare Oliver verso l'uscio del salotto. «Sono stato al chiuso per troppi giorni, credo che potrei morire se rimanessi un solo minuto di più tra queste mura!»
Una risata schietta, di pancia. Oliver aggrotta le sopracciglia confuso. Sicuro di stare bene? Vorrebbe chiedergli. Si lascia sfuggire un suono divertito, poi la domanda cruciale: «E, ditemi, dove pensate di andare in una così bella giornata?»
«Ovunque vogliate portarmi per farmi rinsavire del tutto» dice. Ed è vero, non gl'interessa affatto la destinazione. A lui basta la presenza di Oliver, la sua faccia tosta e il cipiglio esageratamente canzonatorio che lo contraddistingue.
«Suona bene...» soffia. Gli vede corrugare la fronte, poi sogghigna e aggiunge: «Ma ci avevo già pensato, mon ami.» Gesticola, si scontra con la perplessità del suo sopracciglio sollevato, infine nasconde la lettera nella manica del farsetto ricamato. «Andremo al borgo, ci faremo una bella bevuta alla locanda e poi cercheremo qualche preda nei paraggi.»
Louis storce appena le labbra, si dice: Qualche preda, certo... E sennò cos'altro? La volta sorsa l'ho lasciato da solo con Theobald, dopotutto. Avrei dovuto aspettarmelo.
«Sappiate che non accetterò un "no" come risposta» specifica. Allora lo vede annuire, accennare un sorriso. Si lascia scappare un suono soddisfatto, infine lo precede fuori dal salotto e si avvia a grandi falcate verso l'esterno del palazzo. Dietro di lui, i passi di Louis.
Raggiunte le scuderie, quest'ultimo punta lo sguardo su Efesto: la criniera ben pettinata, lucida e liscia. «Lo avete fatto sellare voi?» domanda, prima di afferrare le briglie dalle mani di Bastien. Allora vede Oliver montare in groppa a Cupidòn e gli dente dire:
«Chi altri, sennò? Nutrivo delle grandi speranze in merito a quest'incontro, mon ami, e voi non le avete deluse.» Non aggiunge altro, si limita a spronare Cupidòn lungo il viale che porta ai cancelli.
Louis lo fiancheggia in men che non si dica. La voce bassa, seria. «Devo parlarvi...» dice. Ma non lo guarda, no davvero. Osserva dinanzi a se, serra le labbra e attende la classica risatina di Oliver de Rivière.
«Quel tono non promette nulla di buono.» È questo il primo commento, una riflessione tra sé e sé. Al contrario, nasconde troppe insidie, constata in uno sbuffo. Così scuote la testa, dà un altro colpetto con i talloni all'addome di Cupidòn. «Ma ditemi, avanti...» mormora. «Mi fa piacere ascoltare un amico – anche se questo amico, ultimamente, sembrava essere stato dato per disperso.»
«Il fatto è che...» inizia a dire. Poi si ferma, batte le palpebre, vede Bruce sulla soglia del cancello. «Perdonatemi, Oliver» grugnisce. Sprona Efesto, si allontana in un batter d'occhio e raggiunge Charon, che, fisso con gli zoccoli nel terriccio, sembra quasi aspettarlo al varco. «Sei stato fuori tutta la mattina» borbotta all'indirizzo di Bruce. Lo sguardo serio, imperioso. «Avresti dovuto seguire la Flea, avresti dovuto controllare mia madre» continua. Uno sbuffo a fior di labbra, il cipiglio dell'indignazione, che, dipinto in pennellate grezze, fa abbassare lo sguardo a Bruce. «Dove sei stato?» chiede, ma non attende una risposta, perché subito si sbilancia di lato e sibila: «È ancora presto per l'apertura del bordello.»
«Ho seguito il prete» risponde. «Volevo assicurarmi che non dicesse niente a nessuno...»
«In merito a cosa?» indaga, lo fissa. Le sopracciglia corrugate e il cuore in gola.
E Bruce accenna un ghigno, mormora: «Non lo sapete, Sir? Ieri hanno ritrovato il corpo di una ragazza che si dice abbia lavorato qui da voi.»
Le narici allargate dall'ira, ringhia: «Di che corpo stai parlando?» Vorrebbe aggiungere altre domande, altri crucci. Tuttavia si limita a sgranare gli occhi e a serrare la presa sulle briglie.
«Si chiamava Delphina, Sir» gli ricorda. «Ma era arrivata da poco, è normale che non vi ricordiate di lei...» Per un attimo, vedendogli indurire i muscoli del viso, prova l'ebbrezza del potere. Ma non ha intenzione di ricattarlo, no davvero. Si tiene sul vago, costruisce un dialogo ad hoc per sembrare innocente tanto quanto lui. «Era solo una sguattera, una ladruncola che si è data alla fuga dopo aver rubato un po' di argenteria» minimizza. «Deve aver incontrato qualche bandito nel tragitto per Pembroke, temo.»
Louis si rilassa di colpo. Una risatina aspra gli scivola dalle labbra e si confonde nello scalpiccio degli zoccoli di Cupidòn. «Povera ragazza» dice. Ma non sembra affatto dispiaciuto, anzi. Guarda Oliver, poi di nuovo Bruce. «Sto andando al borgo con il Conte de Rivière» lo avvisa. E quando lo vede annuire, prima ancora che possa allontanarsi dal cancello, gli dà le sue direttive: «Tieni d'occhio Alene.»
«Vostra moglie, Sir?» Domanda per sicurezza.
«Sì, proprio lei» conferma questi.
Oliver solleva lo sguardo su di lui e alza un sopracciglio con fare confuso. «Allora, mon ami?» lo sprona.
Batte i calcagni sull'addome di Efesto e supera Bruce per affiancare il cavallo di Oliver. «Andiamo.»
Note:
Ciao, Ragazzi!
Questa è la prima volta che sono stata costretta a tagliare un capitolo intagliabile! Ebbene, era troppo lungo, mi sono rifiutata di pubblicarlo. Rientrava esattamente nel doppio delle parole che di solito uso e non aveva tagli nel mezzo. Ne ho creato uno io, ho fatto un checkpoint a metà dello stesso. Vi voglio bene!
Se per il momento questo decimo vi sta piacendo, lasciate un commento e una stellina, ve ne sarò grata!
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