Capitolo 9

Non mi ero del tutto ripresa dallo shock quando arrivai al cimitero celtico dopo il pranzo. La giornata era più calda delle solite temperature di maggio e decisi di lasciare lo scialle a casa. 

Avevo raccontato a mia madre durante il pranzo dell'incontro con le galline di quella mattina e si era sbellicata dalle risate. 

Ridere le faceva bene, la vedevo meglio dopo una bella risata. 

Il mio umore ne aveva quindi risentito, riuscendo così ad accantonare quello sguardo feroce come un avvenimento su cui sorvolare. Anche se mi dava ancora un senso di inquietudine a cui non ero in grado di soprassedere.

Ero invasa da una miriade di pensieri, perciò il mio corpo percorse in modalità automatica tutto il sentiero.

Dall'ingresso del bosco centrale che riempiva per un terzo l'isola, mi infilai tra la fitta vegetazione e arrivai nel luogo sacro ai nostri antenati, nascosto alla vista ottusa e distruttiva che era stata la chiesa cristiana nei secoli. 

I grandi alberi di betulla bianca vegliavano su ciò che era rimasto di un'antica radura, in cui erbe e fiori di ogni tipo, da poco spuntati dal terreno acido e povero, riempivano la vista e l'olfatto. 

Tra le numerose radici secche coperte da muschi e le immense fronde degli alberi ancora in vita, emergevano massi di pietra scura, incisi in una lingua ormai sconosciuta.

Mi fermai nel punto dove finivano gli alberi e iniziava la radura. 

In una zona laterale erano ancora ben saldati a terra alcuni pilastri di granito, posti in semicerchio, al cui centro era situata una sorta di altare rudimentale, molto probabilmente usato per cerimonie e offerte. 

Tra i libri della biblioteca non avevo ancora trovato nulla che parlasse di quelle pietre e mi chiedevo spesso se fossero solo nostre, una caratteristica propria della nostra isola. 

Almeno mi piaceva pensarla in tal modo.

Dall'altro capo della radura, seduto con una gamba penzoloni e una ripiegata sull'altare, noncurante della storica sacralità del luogo, stava appolaiato il mio amico. 

Era intento a raffinare con il coltello una freccia, ricavata da uno dei medesimi rami con cui si riparava dal sole.

− Se non sei a pescare sei a cacciare, eh?− dissi senza preavviso, facendolo sobbalzare, concentrato com'era nel suo lavoro.

Bash sbuffò, evidentemente infastidito dal disturbo e senza smettere di lavorare sulla freccia mi rispose. 

− Come giustifico l'uscita sennò? Almeno porto della carne a casa.  

Poi mi guardò meglio e aggiunse.

− Che ti è successo in testa?− mi chiese sbalordito. 

Avevo ancora la chioma arruffata di questa mattina. 

Sebbene mia madre avesse provato a sistemarli i capelli non erano tornati affatto al loro posto, ancora scossi dallo scontro con i volatili. La treccia era ormai un ammasso indistinto di ciocche che non ne volevano sapere di stare legate assieme. 

Decisi di provare a sistemarla una volta raggiunto il pescatore. 

Avanzai lungo la radura per raggiungerlo, schivando qua e là pietre tombali e vecchie radici, soppesando la volontà di raccontargli o meno le vicende di quella mattina. 

Alla fine cedetti.

− Non ho dormito molto bene stanotte, il motivo penso ci arriverai, e così non mi sono alzata in tempo per la messa. Quando ho cercato di fare colazione con un uovo, ho avuto un incontro ravvicinato con le mie galline. Il risultato è stato qualche beccata e un cuscino di piume in testa.

 Raccontai, senza guardarlo, concentrta com'ero a non inciampare nella selva.

Lo sentii ridacchiare, sapevo che stava immaginando la scena e alzai lo sguardo nel momento in cui stava scuotendo la testa, in segno di resa alla mia deficienza.

− Allora, di cosa volevi parlarmi in chiesa? −

Ormai non stavo più nella pelle di sapere il motivo di tanto turbamento da parte dei miei amici. 

Ciò che mi premeva di più conoscere era perché Bash si fosse agitato a tal punto da sudare freddo. 

Lui, che passava le notti in mare anche durante le tempeste e che era in grado di immergersi a livelli talmente profondi da aver guadagnato il nome di miglior nuotatore dell'isola.

Ormai ero a pochi passi dal mio migliore amico, mentre lo scrutavo e notavo in lui un certo disagio. 

Di nuovo si portò la mano al mento, come se la notizia da darmi fosse un arcano troppo grande da confidare. 

Un altro paio di passi ancora e sarei stata abbastanza vicina da impedirgli di andarsene finché non mi avesse rivelato quel segreto.

Ma il Signore aveva altri piani per me. 

Questo mi ripeto ogni giorno da allora per farmela andare giù.

Abbassata la guardia, inciampai guardacaso nell'ultima infima radice proprio a mezza iarda da Bash. 

La punta del piede, incastrato nella radice, fece da leva ed io caddi in ginocchio, proprio davanti all'altare. Riuscii ad aggrapparmi con le braccia alla lastra, ma il dolore alle ginocchia mi zittii per più di qualche istante. 

Posai la testa tra le braccia ancora avvinghiate alla pietra e in posizione di preghiera, chiusa nella mia sofferenza, attesi Il mio amico che smettesse di ridere e iniziasse a darmi una mano.

Finalmente il giovane imp, asciugatosi le lacrime, decise di scendere dalla lastra. 

Mi voltò, asciugò le mie di lacrime, che di certo non avevano lo stesso significato delle sue, e presa per le ascelle mi mise a sedere sull'altare. 

Il dolore non stava affatto passando e mi accorsi che in aggiunta stavo sanguinando.

Magnifico, pensai. La giornata andava sempre meglio.

Ringraziai il mio buon senso, nella paura di stropicciare i vestiti nuovi mi aveva convinto a dormire con la mia solita sottoveste. 

E mi ritrovai a ringraziare anche il mio ritardo, perché nel caos di questa mattina avevo preso la vecchia tunica già strappata. 

In caso contrario, oltre a quelle di dolore avrei pianto lacrime ben più amare. 

Le vesti infatti erano da buttare, completamente strappate dal terriccio roccioso e sporche di terra ed erba, la quale era quasi impossibile da lavare via.

Frattanto che rimuginavo sul destino dei vestiti che mi avevano accompagnata per anni, Bash prendeva un pezzo di tela pulito dalla tasca, lo bagnava con l'acqua della borraccia in pelle di pecora e lavava le ferite alle ginocchia.

Lo osservavo detergere le zone rosse con maestria, come se ci fosse abituato. Ci facevamo sempre male da piccoli, ma c'è sempre stato qualcuno per curarle al nostro posto, perciò l'abitudine era sicuramente recente.

− Lo fai spesso?

− Cosa?− mi chiese.

− Pulire le ferite− Bash si fermò un'istante, giusto il tempo di fare un sorrisetto a mezza bocca.

− Li conosci i mostriciattoli, mi sono dovuto arrangiare− finì con una bella scrollata di spalle. Come avevo immaginato i piccoletti di casa Graham erano nati per dar grattacapi a Bash. 
Nell'immaginarmi la confusione che creavano attorno al ragazzo mi venne da ridere.

− Certo che sei assurda tu, prima piangi e poi ridi?− affermò scherzando il pescatore.

− Cosa dovrei fare, disperarmi? Non ci penso neanche per sogno!  

Naturalmente non avrei mai ammesso che ero disperata. Ma Bash era ben consapevole quanto fossi testarda e quindi scuotò semplicemente la testa e lasciò scivolare il discorso.

Bravo ragazzo.

− Ecco fatto.

Le ferite non sanguinavano più, ma il pezzo di tela era diventato a chiazze rosse. 

Togliere il sangue da lì sarebbe stato un bel problema.

− Mi dispiace per il fazzoletto. E... e grazie.

Scusarmi e ringraziare non erano mai stati il mio forte, ma ero stata educata ad essere riconoscente verso i miei benefattori e a pagare sempre i miei debiti. 

Bash mi sorrise. 

− Di niente principessa.

Gli arrivai quasi un calcio. 

− Non chiamarmi principessa!

− Sennò che fai?− e sorrise di nuovo, stavolta con una vena di malizia. 

− Ti tiro un calcio, ovvio. 

Ero sicura di colpirlo da quella distanza. Non potevo far cilecca proprio con lui inginocchiato davanti a me.

− Mmmm... Sicura che ci riesci?

Lo guardai allibita.

− Certo che ci riesco!

Era naturale che ci riuscissi, no?

No?

No.

Bash mi afferrò i polpacci con decisione, bloccandomi difatto le gambe. 

Solo allora feci caso ad un piccolo inquietante particolare, che nel pieno della mia dolenza mi era un tantino sfuggito.

Il mio migliore amico, per potermi curare, aveva arrotolato le vesti fino a metà coscia, in modo da avere miglior accesso alle ginocchia.

Metà coscia.

Il mio cervello decise finalmente di elaborare il fatto che quel diavolo di un Bash era tra le mie gambe!

Sono convinta che il mio cuore abbia saltato qualche battito alla realizzazione della situazione. 

L'istinto fu quello di portare entrambe le mani alle spalle di Bash. 

La sua testa sarebbe stata un'opzione migliore, almeno sarei dovuta riuscire a fargli perdere l'equilibrio, ma al momento non ero proprio nel pieno delle mie facoltà. 

Le spalle si rivelarono infatti impossibili da smuovere. 

Quando Bash non passava il tempo a lavorare sulla barca, lo passava a cacciare o ad aiutare a casa con i lavori domestici.
Certe volte aiutava perfino con i miei di lavori domestici.
Leggere gli piaceva, ma gli era permesso solo in determinati periodi della giornata.
Il resto era tutto un sollevare carichi pesanti, tirare con un arco da sessanta libre, arrampicarsi su alberi maestri o tetti... 

Ho già detto sollevare carichi pesanti?

Insomma, Bash era magro sì, ma possente. Molto possente. 

Ed io non avevo la bencheminina possibilità di spostarlo.

Passò con delicatezza le mani sotto le ginocchia e mi tirò lievemente a sé. Io scivolai sul mio stesso vestito e per non cadere con la schiena sulla pietra, mi ressi con le mani. 

Senza mai distogliere lo sguardo dal mio cominciò a lasciare, molto lentamente, piccoli baci all'inizio delle mie coscie, avventandosi prima su una e poi sull'altra.

Nessuno in vita mia mi aveva mai toccata così, in un luogo tanto intimo. Ricordai i baci della notte prima, le stesse sensazioni lascive che provavo al momento su una parte diversa del mio corpo. 

Lo sconcerto iniziale fece spazio ad altre emozioni, più infime e primordiali, accese da quella fame che rivedevo ora nei suoi occhi. 

Nuovamente soli.

Non perché eravamo in una radura in un bosco, ma era la percezione che in quell'istante esistevamo solo noi. Soltanto io, lui e il suo tocco tra le mie gambe.

Mi strinse ancora, tirò ancora, scivolai ancora, stavolta sui gomiti. 

I baci si fecero più intensi, più lunghi, più umidi. 

I tempi tra un bacio e l'altro si allungarono anch'essi, mi guardava crogiolarmi in quella sensazione a cui non ero capace di dare un nome. 

Appoggiò la testa su di me, strofinandosi all'interno coscia come un grosso gatto, accarezzandomi le caviglie, i polpacci, e poi su, di nuovo dietro le ginocchia.

Ero un continuo fremito, la temperatura attorno a me si alzava con costanza, iniziai a sudare, ad ansimare, e appena si concludeva un bacio, si insinuava infida dentro di me la trepidazione per il successivo. 

Si avvicinò nuovamente, ormai le gambe rette solo dalle sue mani, aperte ed inermi, mentre con le labbra si apprestava a sfiorarmi l'inguine. 

Trattenni il fiato in una sola vocale strozzata. 

Mi distesi sull'altare, non avevo le forze per sorreggermi.
Il continuo tripudio di agitazione e godimento mi stavano sfiancando. 

Un violento fremito mi colse nella frazione di secondo successiva, quando avvertii la sua lingua passare tranquilla su una zona che avevo appena scoperto essere uno dei punti più sensibili del mio corpo. 

Quando lo rifece il mio intero bacino si contrasse, irrigidendo parti della muscolatura che non sapevo neanche esistessero. 

La treccia ormai del tutto sciolta aveva cosparso distrattamente le sue ciocche castano dorate in ogni direzione sulla pietra, per poi cadere a cascata oltre l'altare.

− Sei una visione− mi sussurrò Bash estasiato. 

Si era alzato in piedi, con le mie gambe ancora tra le mani, la luce famelica che risplendeva accecante. 

Non mi resi conto di come fece, ma mi ritrovai distesa per tutta la lunghezza dell'altare, con la sua figura che si stagliava sopra di me. 

Il giovane diavolo mi guardava inebriato, assorbendo ogni particolare della mia situazione. 

Io, dal canto mio, non riuscivo a muovermi, i muscoli appena scoperti che continuavano a contrarsi a intermittenza e il centro del mio ventre umido e ardente.

Non potevo restare così, non ci volevo restare.

Fa' qualcosa, lo pregai, ma non mi udì.

− Fa' qualcosa− mormorai, tirandolo a me per la camiciola con il briciolo delle forse rimaste.

Il mio migliore amico mi sorrise, e non capivo più se fosse una cosa buona o meno.

Mi accarezzò la fronte e si sistemò meglio sopra di me. Era strano come seppur la sua imponente figura mi oscurasse completamente alla vista del sole, neanche un frammento del suo peso era contro il mio. 

Mi baciò la tempia, la guancia e infine le labbra. 

Lo accolsi avida, come se non bevessi da secoli e lui fosse la mia unica sorgente d'acqua.
Il bacio fu esattamente come quelli che ricordavo: lungo e morbido, umido e caldo. 

Non mi bastò. Volevo altro.

Ma cos'altro avrei potuto volere?

Quando la sua mano destra scivolò sulla coscia sinistra, un brivido mi percorse. Dovevo tenermi aggrappata alla pietra per non impazzire. Non riuscivo nanche più a considerare i suoni che stavo emettendo. 

Ogni sua passata acutizzava i miei sensi, fino a che non percepii le sue dita a contatto diretto con le grandi labbra. I movimenti lenti e sicuri sulla zona più erogena amplificavano ogni contrazione, ogni sensazione che avevo provato sino ad allora. 

Sentivo tutta la pelle circostante inumidirsi ad ogni tocco, quasi a trascorrere il tempo a prepararsi, facilitando il lavoro delle dita di Bash. 

I baci continuarono mentre il mio corpo tremava sempre più ferocemente in un crescendo di convulsioni e piacere. 
In un attimo la mia mente smise totalmente di pensare, in un vuoto abbagliante, in cui una crisi di puro godimento scosse il mio essere nella sua interezza.

Non ricordo se urlai, conoscendomi molto probabilmente. Ricordo solo che non riuscivo a smettere di tremare e Bash che mi stringeva a sè con la consueta delicatezza. 

Perseverò nel riempirmi di baci, dolci e confortevoli, mentre riprendevo fiato. 

Durò fino a che non sentii inghiottirmi nell'oblìo.


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Nota dell'autore

BeaNihil desu~!

Scusate ma non sono molto avvezza a questo genere di cose perciò vado subito al sodo.

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Avrete notato ormai che l'atmosfera si sta scaldando, eheh, e vorrei sapere se la piccantezza è al punto giusto.

Mi spiego meglio, non a tutti piace il cibo piccante, perciò sono stata molto in dubbio riguardo ad inserire queste scene. Senza stare qui a spoilerare (vi piacerebbe eh?) vi posso dire che il tutto è parte della storia, ma mi chiedevo se fosse troppo spinto.

La mia domanda è questa: vi piace questo genere di descrizione? Vado avanti con questo mood?

Dato che nei prossimi capitoli la storia si fa, ehm, per così dire movimentata *si asciuga il sudore e si allarga il colletto* devo sapere se sto urtando la sensibilità di qualcuno.

Grazie in anticipo per le vostre (spero numerose) risposte!

A venerdì!!

BN

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