Capitolo 8

Arrivai appena in tempo, quando tutta la popolazione del villaggio era già entrata in chiesa.

Scivolai all'interno del sacro edificio appena prima che le porte si chiudessero, tenendo saldo lo scialle di lana sul capo. 

Mentre correvo giù per il sentiero avevo provato a mettere a posto i capelli, ma era stata già un'impresa togliere tutte le piume dalla testa, figurarsi fare una treccia decente.

Mi abbandonai al muro del mio solito angolino nascosto, dentro una delle nicchie dedicata a Sant'Elia, patrono di fulmini e temporali. 

Mi accorsi di essere stata notata dalla moltitudine di occhi indagatori e pettegoli che erano le tanto adorabili bagasce del villaggio. Signore di mezz'età, spesso mogli e madri degli uomini nel consiglio cittadino, che tra il badare alla casa e alla famiglia trovavano sempre il tempo per scambiarsi le ultime golose notizie dell'isola.

E cosa c'era di meglio della loro vittima preferita, arrivata frenetica appena prima della funzione in condizioni disastrose? 

Le sentivo cinguettare e ghignare sommessamente tra un banco e l'altro, passandosi l'informazione che sarebbe stata sulla bocca di tutti a fine rito.
Emisi un sospiro amareggiato, consapevole che all'uscita di questa tortura ce ne sarebbe stata un'altra, ben peggiore.

D'un tratto percepii una presenza al mio fianco. Non fu necessario voltarsi, sapevo già chi fosse.
La figura si chinò, portando il suo viso vicino al mio e sussurò all'orecchio.

− Buongiorno− una voce calma e sensuale mi avvolse come lo scialle che tenevo appiccicato alla faccia, di nuovo color porpora. Di risposta lo guardai sottecchi, investendo ogni mia energia per non pensare al bacio, o meglio ai baci che ci eravamo scambiati la sera prima. 

Il mio migliore amico sorrideva sornione, con la solita faccia da schiaffi e un'espressione riposata sul volto.

− Sei uno straccio stamattina− continuò, sempre soffiando nel mio povero orecchio bistrattato.

− Vattene Bash, o il vecchio Graham si accorgerà che siamo insieme− dissi, rivolgendo il mio sguardo all'uomo alto e massiccio qualche iarda più in là. Bash era la sua copia esatta, solo meno maturo e con gli occhi blu.

− Adesso hai paura Wallowick? Tu, che non ne hai mai?− schernì il giovane imp.
Come per la storia del sapone, ci piaceva sbatterci in faccia le nostre vincite e rispettive perdite, perciò sentirlo gongolare non era una novità. L'unica nuova era l'argomento, che non doveva assolutamente finire nelle orecchie, e quindi tra i discorsi, delle 'signore per bene' citate poco prima.

− Io non ho paura, ma se quelle − feci cenno con la testa ad indicare il gruppo di oche, − ci vedono insieme e cominciano a sparlare giuro che te la faccio pagare− gli ringhai contro.

Il ragazzo seguì con lo sguardo il mio cenno e non rispose. Rimanemmo in silenzio, facendo finta  di essere interessati alla liturgia. Alla fine, dopo una ventina di minuti, parlò.

− Non ti è mai interessato essere al centro delle chiacchiere. Cosa ti ha fatto cambiare idea?− la curiosità cercava di nascondere inutilmente il tono dispiaciuto nella sua voce. 

− Sai cos'è cambiato, se mi puntano gli occhi addosso sarà più difficile per me poi abbandonare l'isola. Non posso lasciare che mi controllino, devo tenere un basso profilo per un po', capisci?

Bash non mi rispose, era restìo a toccare questa faccenda. Conoscevo i suoi pensieri a riguardo, ma non me ne interessavo. La persona che amavo da tanto tempo mi amava a sua volta e mi avrebbe portata via di qui. 

Finalmente stavo per coronare il mio sogno d'amore e insieme di libertà, perciò niente e nessuno poteva imperdirmi da farli avvevare. 

Nemmeno Bash.

Tenendo lo sguardo altrove, intuii il cambiamento repentino del suo umore, ma non potevo davvero farci nulla. Bash doveva guardare in faccia la realtà: io in sei settimane me ne sarei andata. 

− Lin, c'è una cosa che dovrei dirti− mi prese per il braccio, costringendomi a fissarlo negli occhi, − era compito di Char, ma quel codardo non riesce a parlartene− continuò. 

La confusione sul mio volto doveva essere evidente, perché l'espressione di Bash si addolcì.

− So quanto ami Char, ma lui non è stato del tutto sincero con te. In realtà− la voce incrinatasi nell'ammissione, − non lo siamo stati entrambi. Vedi io e lui ci siamo scritti negli ultimi mesi... Non essere gelosa! − mi rimproverò, vedendomi mettere il muso, − sai com'è fatto. Con te vuole mostrarsi perfetto, ma non lo è.

L'ultima affermazione mi incuriosì, non ero il genere di persona che idealizzava coloro che la circondassero, anzi, ero ben conscia dei difetti di Char. E di Bash, per quello che importava. 

Lo fissai ancora più confusa di quanto non fossi prima e aspettai che continuasse.

−Sono stati mesi duri per lui, con il fidanzamento e tutto il resto. Più volte mi ha pregato di dirtelo, nelle lettere, ma sono sempre stato dell'opinione che le cose vadano comunicate di persona e non tramite il referente di una lettera. Perciò l'ho convinto a parlartene appena tornato, ma non è stato così.

Cominciai a capire dove volesse andare a parare, ricordai l'urlo riguardo a dei patti non mantenuti. Il mio interesse per la questione cresceva sempre di più.

− Non immaginavo di trovarvi avvinghiati l'uno all'altra e la cosa mi ha dato sui nervi... Perdonami.

Indossò la consueta espressione abbattuta e colpevole che di solito sfoggiava nelle situazioni in cui aveva torto marcio. 

Era in grado di far svenire qualsiasi ragazza del villaggio con quello sguardo e che, quando lo sbandierava verso la mia direzione, mi contringeva a perdonarlo per le sue malefatte, pena una violenta reazione da parte delle sue ammiratrici che non accettavano un no come risposta. 

Ma in quel momento erano tutte impegnate ad ascoltare padre Barton e il cuore non duole per ciò che l'occhio non vede. 

Nessun perdono sarebbe stato dato al mio caro amico.

− Quindi? Cos'è che vi tormenta al punto che parlamene è un peso? − chiesi spazientita.

Al momento della verità, o almeno quello che credevo lo fosse, vidi gocce di sudore imperlare la fronte di Bash. 

Suda freddo? Addirittura?

Cominciai a preoccuparmi, vederlo tanto turbato due giorni di fila era inusuale. 

Il giovane pescatore aprì bocca, ma non proferì parola, la richiuse e portò la mano aperta al mento come era solito fare quando rimuginava su qualcosa. Il pollice sotto la mandibola, l'indice appoggiato sul labbro superiore, il medio su quello inferiore e il resto penzoloni.

 É grave... É molto grave...

La preoccupazione si tramutò in timore. 

Mi divincolai dalla sua stretta, arrabbiata e confusa più che mai. 

− Jeremy Graham spiegami che sta succedendo!− sibilai furiosa.

Non fece in tempo neanche a guardarmi che Jonas lo strattonò per bavero della camicia.

− Piccioncini piantatela, la funzione è quasi finita− così dicendo trascinò il fratello in direzione del loro nucleo famigliare. 

Li scortai con lo sguardo, notai che i piccoletti si erano accorti di me e provarono a salutarmi solo con le manine. Naturalmente l'intento di non destare sospetti finì davvero male, dato che si beccarono un buffetto sulla testa ciascuno dalle loro mamme.

Mi uscì un sorriso, la loro tenerezza era una delle poche gioie nella mia vita.

Incrociai di nuovo lo sguardo di Bash e lui si portò le dita al petto e li incrociò a mezzaria, formando una croce con gli indici e un semicerchio con il medio. 

La croce di San Patrizio. 

Annuii, era il segnale per vederci al cimitero celtico dopo il pranzo. 

− ... Vorrei ancora qualche minuto della vostra attenzione− ascoltai Padre Barton annuciare dal pulpito. 

− Vorrei ricordare che da venerdì scorso siamo entrati nella Novena di Pentecoste, momento di digiuno ed espiazione. Ho notato che molti di voi non si sono ancora uniti nelle celebrazioni liturgiche serali, perciò invito i ritardatari a non avere timore e venire in chiesa tutte le sere dopo il tramonto.

Il cianciare si alzò nuovamente, segnale che la popolazione aveva molto da dire riguardo a tali ritardatari, categoria nel quale rientravo anch'io. Alzai gli occhi al cielo al sentirmi fissare di sbieco da alcune delle bagasce.

− Signori, signore... Vi prego...− richiamò all'ordine il curato che, con non poca fatica, riprese in mano la situazione.

− Un'ultima cosa, per chi volesse partecipare sto radunando volontari per raccogliere fiori rossi e rami di betulla nel bosco centrale per gli addobbi di domenica. Basterà chiedere della signora Griffith per candidarsi, che si è gentilmente offerta di curarsi delle iscrizioni. 

Con una mano indicò la nostra carissima Fiona, l'intollerabile moglie di Grisha, sempre la prima a dare una mano a Padre 'belloccio' Barton. 

Il presbitero le sorrise e lei si squagliò alla visione. La bava che fuoriusciva da quella bocca pettegola arrivava fino ai miei piedi. 

Povero Grisha. 

 − E con questo ho finito con gli annunci. Nel nome del Signore andate in pace.

Tutto l'edificio cominciò a svuotarsi, tra il vociare degli abitanti e le risate dei bambini. 

Solo allora scorsi Char con i Conti, in prima fila seduti sugli opulenti banchi di legno donati da loro per loro stessi alla Chiesa. 

Padre Barton si avvicinò alla famiglia e li salutò calorosamente. 

Cercai di guardare Char il più a lungo possibile, nel semibuio della nicchia. 

Era vestito di turchese, la magnifica giacca damascata che ne risaltava la figura aggraziata e i capelli dorati fino alle spalle.
Il mio angelo era bellissimo anche oggi. 

Un brivido mi pervarse la schiena.

Staccai a malincuore gli occhi dal mio Char e cercai la fonte di quel brivido. Mi voltai, ma erano tutti usciti ormai, così tornai a godere della vista del contessino.

Fu allora che mi imbattei in un paio di occhi scuri. Padre Barton conversava cordialmente con il Conte, ma guardava me. 

Trasalii di nuovo. 

Ripensai a come avevo considerato famelico lo sguardo di Bash la notte precedente. Non avevo idea che esistesse uno sguardo come quello del presbitero fino ad allora: indagatore, ossessivo e divoratore. Feroce.

La parola mi provocò un sussulto al cuore. 

Ero come pietrificata, immobile come un cerbiatto davanti al cacciatore, ero inerme, scoperta, nuda. 

Mi destai, quell'uomo mi stava letteralmente spogliando con gli occhi. 

Voltai tacchi il più rapidamente possibile, e alla stessa maniera frenetica con cui ero entrata, fuggii dalla Chiesa, dai miei amici e dal villaggio. 

Tentai a stento di trattenere le lacrime mentre risalivo il sentiero, lo sguardo di quell'uomo che continuava a bruciarmi la schiena. Volevo mettere quanta più strada ci fosse tra me e quello sguardo. Volevo tornare a casa.

***************

La carrozza ancheggiava lenta al passo costante dei cavalli. Il sentiero sterrato era un incessante tormento per la povera Contessa, che mal sopportava i continui scossoni provenienti dalle ruote. 

Odiava quel posto, odiava passarci le estati e odiava essere confinata in un luogo che altro non era che un simbolo del rinnovato potere della corona. Si sventolò per farsi aria. Il corsetto non aiutava di certo a mantenere la nausea al suo posto. Si discostò dal finestrino e volse la vista al marito e al figlio, in un silenzio palesemente forzato. 

Sospirò dietro al ventaglio aperto.

Incredibile come quei due si somigliassero così tanto ed eppure non andassero affatto d'accordo. Stava per tornare a guardare fuori dal vetro quando il marito aprì per primo la bocca.

− Dove sei stato ieri sera?

Ci risiamo. La donna alzò gli occhi al cielo e inspirò profondamente, riprendendo a sventolarsi con più foga di prima.

− A salutare i miei amici. É un problema?

Aria di sfida. Annotò la Contessa.

− Sai che non mi piacciono i tuoi amici.

Sfida accettata.

− Nemmeno Bash?− una smorfia sul volto del ragazzo.

Colpo basso questo. 

Sebastian il perfetto. 

Nomignolo che la Contessa aveva affibbiato al quarto e ultimo figlio di Peter e Mary Graham, rispettabile famiglia in un'anonima isola nel Canale di Bristol. 

Il ragazzo era venuto su bene, di bell'aspetto, pacato e cortese, era addirittura intelligente!

Tuttavia era troppo sveglio per i gusti della Contessa, che aveva notato quanto in realtà fosse pieno di sé e scapestrato il ragazzo. Per il Conte però Sebastian rappresentava tutto ciò che un buon figlio sarebbe dovuto essere, ciò che Charles, il loro unico figlio, non era.

Delle dieci estati e quasi altrettanti inverni trascorsi su questo pezzo di terra, la Contessa aveva potuto osservare la stima che il Conte riservava a Graham, accentuata dal quel fatidico incidente in mare.

Lo stomaco già stretto tra le lunghe ossa di balena del corsetto si contorse ulteriormente al ricordo di quella vicenda. 
Fu la più straziante e interminabile delle notti di cui ne avvertiva ancora l'angoscia. Cercò di distrarsi, ascoltando il battibeccare dei suoi famigliari, e scorse un pezzo del loro dialogo. 

− ... Cercare di rovinare tutto come al solito− il tono perentorio del capofamiglia sembrava chiudere la conversazione.

Scacco? Si chiese la moglie.

− Stavolta non è come credi. Non c'è nulla da rovinare, tengo a lei più di ogni altra cosa− affermò il figlio. 

La Contessa guardò il ragazzo con orgoglio.

Non era possente o intelligente come il figlio di quei pescatori, ma era educato e mai una volta aveva mancato nei suoi studi. 

Affascinante e gentile, aveva attirato a sé decine di giovani donne e le loro rispettive madri per parlare di una possibile unione. 

La Contessa era così felice di poter sfoggiare il suo bellissimo e delicato angelo, che nessuno avrebbe mai potuto farle cambiare idea sull'indole di Charles.

A quelle parole il Conte si calmò. Con il volto visibilmente meno tirato si accomodò meglio sui cuscini della carrozza.

− Bene. Molto bene− chiuse gli occhi e aggiunse.− Fa' attenzione che fili tutto liscio, intesi?

− Si, padre.

Parità. Era inusuale assistere ad un pareggio ed era la più bella delle vittorie per la Contessa, che finalmente poteva godersi un po' di pace. 

La carrozza sobbalzò violentemente.

Pace... per così dire.

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