Capitolo 6

Il giorno seguente non uscii di casa quasi per tutto il tempo. Dopo aver passato la mattinata a sistemare l'orto e il bestiame decisi di tirare fuori il catino del bucato e riempirlo per il bagno, come promesso a mia madre il giorno prima. Tra la fatica di tirar su secchi d'acqua gelata dal pozzo e la noia di doverli continuamente scaldare al fuoco, impiegai mezza giornata solo per riempire il catino. 

Nel frattempo ero addirittura riuscita a portarmi avanti con il vestito da sposa. Anche se odio cucire, mia madre è sempre stata un'ottima insegnante ed ho imparato bene il mestiere. Non per vantarmi, ma sono precisa, meticolosa ed ho la mano ferma, i punti sono quasi identici tra loro e la stoffa è tagliata alla perfezione. Mi convinsi a provarlo una volta riuscita a lavarmi. 

Se ci fossi riuscita entro la giornata.
Dopo svariate sudate per riempire la vasca, il difficile è stato riuscire a capire come funzionasse il sapone. 

Compresi che se provavo a produrre della schiuma, stenderlo sulla pelle diventava più facile, ma se lo stringevo poco scivolava via e se lo facevo troppo, idem. Avevo rischiato un paio di volte un occhio nel processo.
Finalmente capii come ottenere le tante agognate bollicine e cominciai a strofinare la pelle e i capelli con il ricavato dei miei sforzi. 

Di aspetto fisico ero davvero simile a mia madre. Non troppo alta, ma neanche troppo bassa. Cercavo di non lamentarmi smisuratamente della mia figura, che comunque era un tantino più filiforme in confronto a quella delle mie coetanee. 

Il viso senza troppe squadrature portava un bel naso senza gobbe, e le labbra non erano sottili ma neanche eccessivamente carnose.
Gli occhi erano la parte che avevo ereditato da mio padre, ed erano di un colore tra il grigio e il verde. Se colpiti dal sole con la giusta direzione potevano anche sembrare blu. O almeno questo era quello che mi dicevano i miei amici.

I capelli castano dorati erano lievemente ondulati, il che mi facilitava raccoglierli in una treccia. Una volta puliti e strecciati ero pronta per legarli di nuovo quando mia madre mi fermò.

– Lasciali sciolti, oppure prima o poi ti cadranno tutti!– e rise di gusto, come sempre.

Non mi opposi, sembrava una bella idea. Per questa sera li avrei lasciati sciolti e liberi di arricciarsi quanto volevano. Mi sarei presentata all'appuntamento con il vestito nuovo e i capelli al vento. Mi parve un bel quadretto.
Il vestito blu stava alla perfezione. Il corsetto fasciava nei punti giusti e la gonna arrivava esattamente alle caviglie, questo diminuiva considerevolmente la mia probabilità di inciampare.

– Sei bellissima tesoro mio– disse mia madre commossa. 

– La mia bambina ha quasi sedici anni...– al primo scorcio di lacrimuccia, l'abbracciai forte forte. 

Per una volta mi sentii bella, anche se la mia mamma rimaneva la più bella di tutte.

Dopo il pasto cominciò a farsi buio, perciò mi sbrigai a lavare le stoviglie nel catino gemello, ma più piccolo, della vasca da bagno e mi affrettai ad uscire.

Era già calato il sole e il cielo si era tinto di un bel color magenta che si schiariva nell'arancio e poi nel ciano del crepuscolo, mentre il pungente vento nordico si era alzato dall'oceano a raffreddare la già gelida aria delle notti di maggio.
Mi strinsi lo scialle di lana attorno al torace e mi avviai per il sentiero, pronta per l'appuntamento serale con quei due.

– Spero proprio per loro che mi dicano cos'è successo ieri– Borbottai.
 
Decidere di incontrarsi non era mai facile, ma avevamo escogitato un sistema per pianificare i nostri incontri senza che l'austero Graham e il borioso Conte venissero a sapere che ci frequentavamo. Grazie alla posizione strategica e al lavoro da guardiano, da casa mia era visibile tutta l'isola. Riuscivo quindi a intravedere l'abitazione in pietra di Bash che torreggiava sugli altri edifici del porto, sia una delle pareti del mastodontico castello del Conte Greyville, dalla quale si intravedevano le finestre degli alloggi di Char. 

Perciò bastava salire sul faro e fare ombra al fuoco con il coperchio di coccio con cui ero solita cucinare. Il segnale usato era un codice luminoso tutto nostro: ombra-luce-ombra-ombra-luce. Era pratico, semplice e nell'ora subito successiva la cena passava praticamente inosservato. Se gli altri erano d'accordo allora rispondevano con il medesimo codice, al contrario, se non potevano presentarsi spegnevano direttamente la luce.

Nel frattempo che rimuginavo sui fatti di ieri arrivai alla cava. Mi inoltrai nella grotta e vidi quei due confabulare tra loro. Il muro chiamato 'genere' che ci divideva era davvero insormontabile.

Accennai un paio di colpi di tosse e quando si voltarono rimasero a fissarmi come due ebeti. Lo ammetto, mi piaceva l'idea di far loro questo effetto.

–Come sto?– chiesi con aria civettuola.

Nessuno dei due rispose. Aspettai che l'ebetismo passasse.

Niente. Mi irritai.

– Beh, allora?– chiesi di nuovo, con le mani sui fianchi e la punta del piede destro che batteva ritmicamente per terra.

Nessuna risposta. Sospirai irritata, voltai i tacchi e mi incamminai all'uscita.

– Aspetta!– li ascoltai dire all'unisono.

Bash fu il primo a parlare. 
– Scusa Lin, per un attimo non ti abbiamo riconosciuto– Mi voltai ancora più irritata di prima.

– Come sarebbe a dire che non mi avete riconosciuto?! Va bene che non ho abbastanza risorse né tempo per fare un bagno tutti i giorni, ma è un po' di cattivo gusto dirmi una cosa del genere!!– sbottai.

– Bash non voleva essere scortese, Line, voleva solo dire che stasera sei bellissima, talmente bella che sembri un angelo, tutto qua– lo difese Char, sfoderando il più disarmante dei sorrisi. Il complimento mi fece arrossire non poco.

Ecco qua, ieri litigavano furiosamente ed oggi erano pappa e ciccia.

Maschi.

Sbuffai.

Incrociai le braccia al petto, voltai loro le spalle per sedermi sul mio materasso preferito.

Per un po' rimanemmo così, con loro che mi fissavano ed io che facevo la preziosa.

Char guardava di tanto in tanto, ma era Bash che non mi staccava gli occhi di dosso.

Quel silenzo era a dir poco fastidioso, allora cercai di allentare un po' la tensione.

-Bash, sai che Char mi ha portato del sapone? L'ho usato per farmi il bagno e questo è il risultato!- dissi con aria da smorfiosa mentre mi passavo una mano tra i capelli. 

I riflessi ancora più dorati alla luce aranciata delle candele. Lo so, sono stata cattiva a vantarmi del sapone con Bash, ma adoravo vederlo con aria di sconfitta. Lui, che non perdeva mai.

– Ah, si? Interessante– rispose Bash che non sembrava affatto interessato invece. 

Sapevo che non eravamo più dei bambini, ma di solito ci rimaneva almeno male. O meglio, mostrava almeno di rimanerci male, così giusto per darmela vinta, ma stasera era davvero strano. Non riuscivo proprio a capire perché, ma negli occhi aveva una luce insolita, diversa. Non mi stava guardando normalmente, era uno sguardo intenso e penetrante, a tratti invadente.

Famelico. La parola giusta era associabile a un gatto quando avvistava un topo.

Cominciai ad avvertire una nota di disagio addosso, quasi timore.

–Cos'hai?– chiesi turbata.

Bash non mi rispose.

Quando eravamo piccoli giocavamo spesso a fissarci negli occhi. Potevano passare anche ore certe volte, quando Char o gli altri non c'erano e quindi nessuno si stufava di aspettare il vincitore. Ma stavolta quegli stessi occhi mi stavano scrutando, addirittura studiando. 

Li osservavo vagare mentre si soffermavano sui miei capelli, sul mio viso, poi scendevano lentamente verso la scollatura, il petto, i fianchi e le gambe, per poi tornare su e fissarsi sulla mia bocca.

Cominciai a sentirmi strana, perciò distolsi lo sguardo e l'occhio mi cadde sul bel volto di Char.

– Allora? Di cosa stavate discutendo ieri? E' tutto il giorno che ci penso– feci un'altra domanda sperando stavolta di ottenere risposta.

– Niente, sciocchezze Line– mi rispose Char. Anche lui con un atteggiamento anomalo addosso.
Era visibilmente nervoso, non rilassato come era solito essere con noi. Sembrava agitato da qualcosa che lo stava attanagliando. Vedevo che cercava di tenere lo sguardo fisso sui suoi piedi, ma faticava parecchio, perché se riusciva a staccarmi gli occhi di dosso, il che mi dava un gran piacere, allora lanciava occhiate furtive a Bash, il quale non se lo filava proprio.

Che stava succedendo?

– Mi dite che succede per piacere?!– la situazione era ogni istante più ridicola, non potevo averli scioccati talmente tanto da cancellare qualsiasi forma di comunicazione tra di noi. Non potevo accettarlo.

– Ieri Ian è quasi annegato– rispose secco Bash.

Sgranai gli occhi con un moto di panico che mi saliva in gola.

– Oddio! Come sta? Sta bene? Com'è successo? Gli altri stanno bene?– comiciai a inondarlo di domande mentre mi precipitavo tra i miei amici. Mi sedetti proprio nel mezzo, da brava rompiscatole. I due non sembrarono infastiditi, anzi, si allargarono per farmi più spazio.

– Sta bene, ha avuto la febbre stanotte, ma niente di grave. Lo sforzo e il tanto spavento, così dice il vecchio – Bash chiamava così il padre. 

– Infatti stamattina era il solito di sempre, anzi forse più seccante di prima, devo dire.

Si notava che qualcosa non andava però. C'era dell'altro, ne ero sicura. Lo incalzai con il mio guardo indagatore, quello che sapevo essere tanto odiato da chi mi conosce. Bash chinò la testa in segno di resa e ammise.

– Erano nell'acqua mentre noi lavoravamo alla barca. Un attimo prima erano sul bagnoasciuga, l'attimo dopo erano oltre il punto dove lavoravo la carena e non toccavano terra. Ian è andato giù, Angie ha urlato e io mi sono buttato– lo sentii emettere un sospiro profondo. Imprecò.

– Cristo, li ho persi solo per un secondo Lin, un dannatissimo secondo – il suo era ormai più simile a un ringhio, uscito tra i denti stretti della mascella serrata. Era colpa sua, non si dava pace e questo lo capivo. Gli presi una mano e la strinsi forte, cercando le parole giuste che avrebbero fatto leva sul suo animo tormentato.

– Bash, sai qual'è la parte più difficile nel perdonare?

Il mio migliore amico mi guardò, si soffermò a pensare, inclinando la testa lievemente da un lato, che finì con il appoggiarsi al muro della cava, e infine la scosse lievemente, in sofferto gesto di negazione.

– La parte più difficile non è nel farsi perdonare, è nel perdonare sé stessi per ciò che si è fatto– gli dissi. Non ricordo dove l'avessi letto, ma le parole si erano posate lì, in un angolino remoto della mia memoria e fluttuarono fuori come se avessero aspettato quel momento da sempre.

Char mi strinse l'altra mano, in segno di condivisione.

Rimanemmo così, con le mani giunte, in silenzio, per un po'.

Notai gli occhi lucidi di Bash, e il cuore mi s'incrinò nel petto. Presa dallo sconforto di non essere riuscita a consolarlo, feci un'altra delle mie idiozie.

– C'è qualcosa che posso fare per aiutarti?– gli chiesi sconsolata. Lo sguardo di Bash cambio repentino.

– Lin, faresti qualsiasi cosa per consolarmi?– mi chiese tra il sospetto e lo speranzoso. 

Io, dall'alto della mia adorabile ignoranza, feci spallucce e risposi.

– Se è nelle mie facoltà, perché no?

Char si irrigidì improvvisamente. Avevo il busto ruotato in direzione di Bash, perciò quando si protrasse verso la mia schiena per sussurrarmi all'orecchio:

– Qualsiasi cosa nelle tue facoltà?

Un brivido inaspettato di una qualche entità a me sconosciuta mi scosse come un ramoscello al vento. La voce sensuale ed armoniosa di Char mi rimbombava ancora nel cranio quando Bash si chinò su di me.

– Qualsiasi? Ne sei sicura? – mi chiese. Voleva garanzie. Mi corrucciai.

– Devo preoccuparmi? – domandarsi, non mi piaceva la piega della conversazione.

Bash reclinò la testa dal lato opposto a prima, cercandomi con lo sguardo. Voleva qualcosa, non era mai stato un tipo troppo loquace e avevo imparato presto a tradurre ogni suo singolo movimento. Quello che aveva appena fatto stava a significare che voleva qualcosa da me. Era il comportamento tipico che assumeva quando non avevo ancora finito di leggere il libro che gli avrei poi prestato. Ci mise un po', molto probabilmente per scegliere le parole giuste e giocare bene le sue carte, ma alla fine disse:

– Sai che sono il tipo che ammette le sconfitte, giusto?

Annuii, anche se non avevo idea di dove volesse andare a parare, continuò.

– Beh, questo solo quando però il gioco è corretto. Tu e Char mi avete fatto un torto ieri mattina e dato che mi hai promesso qualsiasi cosa nelle tue facoltà, parole tue, voglio che rimedi al torto che ho subito. 

Il discorso era un tantino contorto, ma filava.

– Va bene, Jeremy Sebastian Graham – sospirai – Cos'è che ti preme tanto avere da me?– chiesi curiosa. 

Un attimo di silenzio tombale, e poi:

– Un bacio Lin. Voglio un tuo bacio.

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