Capitolo 24

L'odore di salsedine mi svegliò. 

Era così pungente che me ne sentivo pervasa, come se fosse fisicamente attorno a me. 

Socchiusi gli occhi e secondo la luce che provenina dall'esterno stimai stesse albeggiando.

Mi accorsi di stare usando l'incavo tra la spalla e il petto di qualcuno come cuscino. 

Il profumo di mare proveniva proprio dalla pelle sulla quale ero ancora distesa. 

Su cosa stavo dormendo esattamente?

Il mio raziocinio giunse infine alla conclusione che stavo dormendo non su qualcosa ma su qualcuno.

Mi alzai di scatto e me ne pentii nell'immediato, quando il freddo pungente delle prime ore del giorno mi pervase in un istante. 

Rabbrividii e in un gesto instintivo portai le braccia al petto. 

Solo in quel momento notai che ero nuda, molto nuda.

Neanche uno straccio addosso.

Com'era possibile? 

Ero solita coricarmi con la sottoveste ogni sera.

Cercai di ricordare il motivo di un gesto tanto insolito, tracciando con il pensiero gli ultimi vaghi ricordi delle ore precedenti al mio oblìo.

Tornò alla memoria il discorso con mia madre e l'arrivo alla cava.

Ah!

Mi voltai verso la sorgente del fragoroso frastuono che per una qualche ragione il mio udito aveva ignorato. 

Le ultime candele accese erano appena sufficienti a illuminare l'ambiente di cui non avevo subito intuito le sembianze, ma fu il suono delle onde infrangersi sulla scogliera a dar conferma dei miei timori.

Ero rimasta tutta la notte alla cava.

Pensai a mia madre, allo sconcerto che avrebbe potuto provare se non mi avesse trovato in casa prima dell'alba. Era pur vero che a causa della sua salute non soleva alzarsi tanto presto ma non volevo certo rischiare una simile situazione. 

Mentre tentavo di contenere il neonato panico, continuai la mia indagine sul motivo del mio restare alla cava.

Infine, come un'onda gigante nel pieno di una tempesta, la realizzazione di ciò che avevamo fatto la sera prima mi travolse in pieno, trascinando con sé correnti di imbarazzo e vergogna. 

Mi sentii avvampare e afferrai la coperta che avevo sotto mano nel tentativo di coprire tutta quella impudicizia.

La mossa, apparentemente cooretta, si rivelò essere invece una delle più errate.

Nell'esatto istante in cui tirai a me la stoffa, il velluto senza alcun attrito scivolò via dalla pelle che fino a poco prima era stata il mio rifugio.

Assistetti inerme alla totale scoperta del corpo statuario di Bash, il quale mantenne l'espressione divertita di chi assiste a una commedia teatrale.   

− Buongiorno.

Udirlo con la voce impastata di prima mattina aveva un che di insolito e piacevole, ma durò poco.

Un ghigno sornione era stampato su quella faccia da schiaffi, il braccio destro piegato pigramente dietro la testa mentre l'altro si allungava in direzione della mia schiena.

Mi portai una mano al viso.

Non riuscivo a credere a ciò che avevamo fatto.

Di nuovo.

Signore Onnipotente, ho già pensato qualcosa di simile, vero?

Mi voltai a guardare quel diavolo ma fallii miseramente nel mantenere una mente lucida.

Non potei trattenermi dal seguire con gli occhi la linea dritta che divideva i suoi pettorali fino alla fine del basso addome, dove l'orlo del velluto era fermo, impassibile alla mia sfacciataggine. 

Riaffiorò il ricordo di un passo letto in un libro di filosofia greca, in cui il corpo maschile era considerato come archetipo di perfezione. 

Allora non compresi appieno cosa significasse, fino alla notte precedente.

Bash mi aveva appena insegnato cosa volesse dire il detto bello come un dio greco.

Ogni muscolo del suo corpo tonico guizzava in rilievo sotto la pelle ambrata, in una concatenazione di onde sinuose lungo tutta la sua figura; apparivano solide come roccia, ma al tatto risultavano morbide come il velluto più pregiato. 

Il ricordo delle mie dita sul suo addome era ancora molto vivido.

Con una fluidità di movimento che sapevo non appartenermi mi chinai sul pescatore, una mano che teneva salda la stoffa, l'altra che si muoveva sul suo petto nudo. 

La sua di mano, invce, risalì libera sulla mia schiena scoperta ed indifesa. 

Un brivido di piacere mi invase e mi uscì un gemito soffocato dalla bocca.

In un attimo mi ritrovai di nuovo sul materasso. 

La coperta non più tra le mie mani e l'imp, con gli stessi vestiti con cui era venuto al mondo, sopra di me. 

Invasa da una nuova ondata di panico, chiesi.

−Dov'è Char?

Il giovane si irrigidì e si spostò di fianco a me, d'un tratto di cattivo umore.

−E' andato a casa− mi disse restituendomi la coperta che era caduta di lato.

Ah, ecco dov'era finita.

Tirai un sospiro di rammarico, perché se n'era andato lasciandomi da sola con Bash? 

Senza neanche avvisarmi? 

Dopo quello che era successo avrei voluto almeno svegliarmi con lui. 

Uno strano dolore al petto si aggiunse alla mole che già sopportavo nel cuore. 

Strinsi i denti in cercai i miei vestiti. 

Perché non era lì con me? 

Perché era Bash e non lui? 

Aveva giurato di amarmi per sempre, e allora perché mi aveva lasciata tra le braccia di un altro uomo? 

Ma soprattutto, perché aveva permesso a Bash di...

L'intenso e improvviso dolore alla pelvi mi distrasse. 

Avevo avuto l'ardire di muovermi senza cognizione di causa e questo era stato il risultato.

Cercai con molta fatica di alzarmi, ero indolenzita e dolorante. 

Erano passate solo un paio d'ore dal misfatto e gli effetti collaterali non tardarono a farsi sentire. 

Bash si accorse che mi stavo muovendo e mi bloccò con le braccia, tirandomi verso di sé. 

Il contatto fu brutale, pelle contro pelle, calore contro calore, il suo respiro sul mio collo, era più di quanto la mia ragione potesse elaborare, assunsi il consueto colore paonazzo e mi voltai nella speranza di allontanarlo. 

Altra mossa errata, perché ne approfittò per dirigermi completamente verso di lui.

E fummo di nuovo alla posizione di partenza.

Seppi fin troppo bene cosa volesse da me, non era necessario conoscerlo da una vita. 

Mi tenne ferma con le braccia e con le gambe mentre si apprestò a passare le sue labbra sulla mia pelle. 

Provai a trattenere i fremiti che il contatto causava ma mi resi conto di essere un totale fallimento in materia, ogni muscolo del mio corpo si contraeva in anticipazione.

Stavo perdendo totalmente il controllo di me, oltre ad aver già perso quello della situazione.

−Devo andare a casa, il sole sta sorgendo− gli sussurrai, era il massimo livello che la mia voce permettesse. 

Bash mi fissò attraverso la sua frangia disordinata e, come se non mi avesse per niente udito, ricominciò a tormentarmi con le labbra, aggiungendo per stizza anche la lingua.

− Bash!− ringhiai.

Non volevo che continuasse. 

Non sapevo più cosa stava succedendo. 

Ero solo venuta a festeggiare il mio compleanno. 

Non avevo idea che avrebbero reagito così. 

Non riuscivo neanche a capire che cosa stessi provando esattamente. 

Ero confusa, irritata e mi sentivo tradita. 

Tradita da Bash. 

Il mio migliore amico, la persona di cui mi fidavo di più dopo la mamma, che si era preso la mia verginità senza troppi complimenti. 

Tradita da Char. 

L'amore della mia vita, a cui avrei volentieri dato tutto ciò che voleva, solo che ha preferito condividermi con qualcun'altro. 

Ma soprattutto mi sentivo tradita da me stessa. 

Da questo lato di me che non avevo mai visto e mai avrei pensato di avere. 

Perché tutto ciò che avevamo fatto quella notte non solo mi era piaciuto, ma alla prima occasione ero convinta che lo avrei rifatto.

Tutto questo è sbagliato. È peccato.

Andrò all'inferno.

Sentii gli occhi bruciare e nonostante gli sforzi per cacciarle indietro, alcune lacrime caddero imperterrite. 

Bash strabuzzò gli occhi e mi lasciò immediatamente andare. 

Mi sentivo stupida e sporca. 

Mi alzai di scatto, mi rivestii in fretta ignorando il più possibile il dolore e senza guardarmi indietro corsi via dal nostro covo.

Che cosa ho fatto?

Le gambe mi tremavano così forte che dovetti fermarmi più di una volta per evitare di cadere dal dirupo. 

Il vento freddo da nord-est mi ululò contro, quasi volesse farmi perdere l'equilibrio. 

Lo vidi trasformare in miei capelli in fruste chesenza pietà si abbatterono sul mio viso e sul mio collo, a mo' di punizione per i peccati che avevo commesso.

Frastornata e scossa dal vento giustiziere conclusi la discesa e mi preparai ad affrontare il villaggio. 

Sebbene fosse alba inoltrata, i vicoli già di giorno bui, erano di un nero tanto vuoto da apparire incolmabile. 

Ebbi paura di quel buio, quello che se lo attraversi sembra inghiottirti tutto intero. 

Quello che non ti restituisce mai più. 

Decisi di costeggiare il porto, la strada si prolingava parecchio ma era sempre meglio del buio divoratore. 

Arrivata allo spiazzo del mercato, incalzai il passo, convinta che la luce tenue dell'aurora potesse sostenermi lungo la traversata. 

D'un tratto sentii un brivido lungo la schiena, avevo la percezione che qualcuno mi stesse osservando. 

Ricordavo quel brivido.

Mi voltai, ma non vidi nulla. 

Sentivo il cuore in gola mentre acceleravo il passo, spinta dalla paura e dal desiderio incalzante di tornare dietro la vecchia ma confortante porta di legno di casa mia. 

Cercai sollievo passando più vicino alle imbarcaioni che davano sulla piazza, pensando che forse la Stella Maris avrebbe avuto pietà di me e...

La gelida stretta sul braccio bloccò ogni mio pensiero, ogni mio movimento. 

Terrorizzata dall'agguato, iniziai a tremare come una foglia, ma mi costrinsi comunque a fissare ciò che mi aveva trattenuta.

Il giovane sacerdote mi guardava fisso negli occhi, stritolandomi il braccio destro.

− Mio agnello smarrito, le prime luci dell'alba sono un tempo troppo fugace per girovagare nel villaggio − il suo sorriso mi dava il voltastomaco. 

− Mi duole ricordarti che mostrarti da sola, in tale orario e tale − osservò i miei vestiti sgualciti e il corsetto allacciato alla bell'e meglio − fattezze, è oltremodo pericoloso e impudico, mia cara.

Percepii il suo sguardo fiammeggiante su di me, colmo di empie aspettative che tentò invano di mascherare con finta preoccupazione. 

Capii perfettamente l'intenzione dietro quelle parole. 

Mi fissò come mi avevano fissato i ragazzi qualche ora prima.

− Ha perfettamente ragione, padre Barton − cercai di divincolarmi con attenzione dalla presa, nella speranza di non offenderlo in alcun modo.

Mi costrinsi a mantenere il sangue freddo e a impedire alla voce di tremare, ne andava della mia sicurezza.

−Stavo giusto tornando a casa. 

− E dove saresti stata, cara? 

Ecco, questo era un problema.

La prima possibilità era ammettere di essermi addormentata al covo, ma nell'istante in cui gli adulti avessero saputo che avevamo occupato abusivamente la cava ce l'avrebbero portata via, vietandoci di andare.

In alternativa potevo affermare di essere stata in compagnia di Bash, avrebbe però fatto sorgere nel sacerdote questioni scomode, soprattutto per il fatto che non era decoroso per una ragazza in età da marito restare sola con un giovane. Era tradizione non lasciare mai due promessi sposi da soli, per impedire ai due di consumare prima della cerimonia, cosa che tra l'altro era appena avvenuta.

Infine avevo la chance nel dire di aver perso il senso del tempo mentre mi dilettavo nella lettura, magari ai margini del boschetto sopra la scogliera. 

Posizionato vicino alla Chiesa e al cimitero, non era molto in voga tra i miei coetanei, perciò era un luogo papabile per un'eventuale ricerca di intimità; ma la maggior parte dei libri che leggevo erano quasi o del tutto vietati dalla Chiesa Anglicana o peggio, da quella Cattolica. 

Conclusi non fosse una buona idea farsi accusare volontariamente di eresia blaterando i titoli dei miei libri preferiti.

Dovetti pensare a una alternativa. 

E in fretta.

Le gambe continuarono a tremare e il braccio destro doleva per la presa ferrea di padre Barton, oltre alla spiacevole sensazione di bagnato e sudicio all'uscio della mia intimità.

Arrivò di colpo un'illuminazione.

Avrebbe potuto funzionare pagando il prezzo di coinvolgere Grisha, evitando di scatenare le ire di sua moglie.

Un'impresa non da poco, visto i termini della sua ultima visita.

Scommisi tutto sull'ignoranza della questione di padre Barton.

Valeva la pena provare.

− Grisha mi ha chiesto se potevo fare una commissione per lui, ero nella parte sud dell'isola e ho voluto sbrigarla al levar del sole. Me ne scuso padre Barton.

Misi in azione la mia arma più efficace: occhi da cerbiatta. 

Di solito funzionano.

Padre Barton mi lasciò andare con riluttanza.

Esultai in silenzio.

− Mio caro agnello, è un gesto onorevole da parte tua ma ti chiedo di prestare ben più attenzione la prossima volta.

− Certo, padre Barton.  

E come un fulmine coprii correndo l'ultima parte della piazza, uscii dal villaggio e mi incespicai lungo il sentiero che portava a casa senza mai voltarmi indietro.

Ancora una volta dovetti ringraziare Grisha, senza di lui mi troverei in guai seri praticamente un giorno si e l'altro pure.

 Quella stessa mattina mi sarei dovuta presentare a casa sua, senza invito.

Ciò che rimaneva da fare era solo escogitare un modo per evitare quella bisbetica di sua moglie, la quale aveva già esplicato la sua opinione nel volermi morta.

Magnifico.

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