Capitolo 18

I tre giorni seguenti mia madre rimase a letto tutto il tempo.

Sembrava essere tornata ad una settimana prima.

Negli ultimi otto anni era sempre stato così: i primi giorni del mese stava bene, peggiorava a circa la metà, per poi riprendersi verso la fine.

Ma mai nell'arco di una settimana.

Era una malattia davvero particolare. 

Solitamente quando ci si ammala, o si guarisce o si muore, mia madre invece si ammalava e guariva a ciclo periodico.

Come se fosse scandito da un ritmo ben preciso, di cui non ero ancora riuscita a carpirne il filo.

Non ho mai compreso cosa potesse essere, nonostante avessi cercato in tutti i libri di medicina che papà aveva accumulato nei suoi viaggi, ormai ero riuscita a catalogarli tutti.

Ciò che più mi colpiva, però, era il fatto che nonostante fossi sempre al capezzale di mia madre, io non abbia mai manifestato i sintomi della sua malattia. 

Che ne fossi immune?

Un'altra domanda. 

Domande su domande. 

Avrei mai trovato risposte?

Anche una va bene, eh! Soprattutto se è sulla mamma.

Dovevo aver fatto una faccia davvero preoccupata, perché lei mi accarezzò la guancia.

− Tesoro vai, non preoccuparti per me− disse, credendo mi stessi corruciando per la festa organizzata dai miei amici, − sei rimasta qui tutto il tempo. 

Scossi la testa.

− Va tutto bene mamma, festeggerò un'altra volta.

Lei mi guardò rattristata.

− Si compiono sedici anni una volta sola, Lin− redarguì, − dopo quello che è successo il giorno del tuo compleanno, è giusto che tu vada a divertirti.

Aveva ragione, ma di lasciarla da sola proprio non mi andava.

Dovette intuire cosa stessi pensando, perché insistette.

− Lin, sono anni che sto così ormai. So badare a me, cosa vuoi che faccia oltre a dormire? Presa la medicina poi sto sempre meglio, no?

Di solito si, ma non stavolta.

Non sapevo cosa esattamente fossero le tre gocce che il cerusico mi aveva ordinato di dare, ma la mamma non aveva reagito bene alla nuova medicina.

Aveva avuto altri forti dolori di stomaco prima di rimettersi un pochino.

La situazione era grave e non me la sentivo di andare a divertirmi.

Non dopo tutto quel sangue. 

− Mamma, davvero non fa niente.

Mi accarezzò di nuovo.

− Potresti prendere il rum e la birra rimasti tesoro?

Aggrottai la fronte.

− Che ci devi fare?

− Vorrei buttarli, sono così tante bottiglie e non siamo delle grandi bevitrici. Non abbiamo spazio per tenerlo in casa.

Ma se abbiamo la dispensa vuota!

Al contrario delle altre famiglie, che bevevano birra durante i pasti, noi ci accontentavamo dell'acqua bollita con qualche erba aromatica, in barba a quello che si diceva sui miasmi dovuti all'acqua pura e sulle malattie da essa derivate.

Mia madre sosteneva spesso che bastasse farla bollire per non ammalarsi e aggiungerci qualche erba officinale non faceva mai male.

Pratico ed economico, a detta sua.

Io avevo i miei dubbi, ma alla fine, se davvero fosse stata l'acqua a farla ammalare, o il cibo, mi sarei di sicuro ammalata anch'io, dunque era un'opzione da escludere.

Inoltre mi sarebbe piaciuto bere ogni tanto come gli altri, dato che ne eravamo provviste, ma la mamma era un poco rigida al riguardo. 

Molto probabilmente per i trascorsi alcolici di mio nonno.

− Mamma, cosa vuoi che ci faccia davvero?

Mia madre sorrise, con lo sguardo vivace da pixie.

− O potremmo portarlo ai ragazzi. Qualche bevuta di certo piacerà!

Ah, ecco dove voleva andare a parare.

Accettai mio malgrado di assecondarla, onde evitare continuasse a sparare fandonie.

− Va bene, mamma, porterò l'alcool ai ragazzi, ma tornerò subito qui. D'accordo?

Mia madre mi guardò come per dirmi "Si, come no".

La ignorai.

Le diedi un bacio sulla fronte febbricciante e uscii dalla camera.

Sull'uscio mi voltai.

− Buonanotte mamma.

− Buonanotte tesoro. Ci vediamo domani!

Sospirai, mentre lei tutta contenta si coricava sotto le coperte.

Scesi di sotto, presi le bottiglie e le misi nella cesta. 

Mi pettinai alla bell'emeglio i capelli con le mani e, scialle in spalla, mi avviai alla cava, dove i miei amici mi stavano aspettando per la mia festa di compleanno.

Quando arrivai ci fu un'ovazione.

Non perché ero arrivata, ma perché ero arrivata con il rum in mano.

− Diamine Cèline! Dove hai ricacciato quell'aspetto? Sei sicura di essere Cèline? Ommioddio! Abbiamo un changeling qui!!

− Sta' zitto Flynn!− lo schernii mentre gli lanciavo una delle bottiglie di birra.

La prese al volo, naturalmente, finendo dritto dritto nel laghetto gelato.

Gli altri si misero a ridere.

Di norma la cava era per me Bash e Char, ma il branco non sapeva dove altro organizzare le sue feste clandestine, perciò aprivamo al pubblico, per così dire, solo quando era strettamente necessario.

− Comunque ogni volta che vengo qui lo trovo sempre più bello!− disse Gregory, il figlio del primo cittadino. 

− E il laghetto è freddo come lo ricordavo.

Richard Flynn era invece il figlio del fabbro, e si vedeva.

Simile in statura a Bash, era più muscoloso e massiccio ed era perennemente ricoperto dalla fuliggine della fucina. 

Siccome aveva incontrato l'acqua si riusciva finalmente a notare il suo reale colore di pelle e capelli, il che era una rarità.

Ridemmo di nuovo, mentre Flynn apriva l'alcool per scaldarsi.

− Ehi! Che diamine fai? Non aspetti nemmeno che...

Troppo tardi. 

La lamentela di David, il figlio del fornaio, arrivò non prima del tracanno della bottiglia da parte del giovane fabbro.

Sospirammo tutti.

Richard 'Senzafondo' Flynn faceva sempre e solo quello che gli andava di fare. Non c'era modo di tenerlo buono.

− Tranquillo David, facciamo con le altre− dissi e tirai fuori il resto, facendo attenzione che non passassero nelle mani del Senzafondo.

Fu allora che vidi Bash. Si avvicinò per prendere una delle coppe in coccio, ma si chinò verso di me e chiese.

− Come sta tua madre?

Le lacrime fecero capolino dalle orbite. Lasciai la cesta a Gregory e lo presi in disparte. 

− Meglio ora, ma sono stati giorni durissimi.

Bisbigliai, mentre gli si leggeva genuina la preoccupazione sul viso.

− Così duri?

− Si. Onestamente credevo di aver visto tutto, ma poi ha cominciato a vomitare...

Le parole mi morirono in gola, il solo pensiero di quegli attimi mi costava un nodo che non riuscivo a buttare giù, figuriamoci a sciogliere.

Bash mi accarezzò il viso con la dolcezza che distingueva il suo tocco.

− Non fa niente, se non te la senti non occorre che me lo racconti.

Consolata dai suoi modi di fare, appoggiai la testa sul suo petto. 

La pace provata tra le sue braccia giorni prima era ancora lì e potevo raggiungerla tutte le volte che volessi. 

Il pensiero mi fece trasalire.

La mia ancora di salvezza è Char!

Mi ero aggrappata ad un pensiero che mai prima mi aveva sfiorato.

Ero conscia di ciò che Bash rappresentava per me, cioè una spalla su cui piangere e un amico su cui contare.

Ma nulla più.

Almeno fino a quella circostanza.

Pensai di staccarmi dal suo abbraccio, ma stavo troppo comoda lì dentro.

Di colpo mi resi conto che stavo perdendo di vista il mio obbiettivo: lasciare questo posto con il ragazzo che amavo.

Perché lo amavo, ne ero certa.

Quella sera era l'occasione perfetta per assicurarmene. 

Giacché tutti gli altri sarebbero stati presto ubriachi e festosi, noi avremmo avuto modo di stare da soli e discutere con calma della fuga.

Non c'era nulla da temere.

Bash mi stava solo dando conforto in un momento di difficoltà. L'aveva fatto altre milioni di volte, niente era fuori dall'ordinario.

Ero ancora immersa nell'abbraccio del mio migliore amico, quando l'amore della mia vita arrivò.

− Scusate il ritardo ragazzi!

Ci voltammo tutti verso l'apertura della cava, da dove Char aveva appena fatto il suo ingresso. 

− Tranquillo vostra eleganza! Siamo abituati al vostro abituale ritardo!− esclamò Flynn, compiendo un maestoso e sarcastico inchino rivolto all'ospite d'onore.

In altre circostanze il Senzafondo si sarebbe meritato la gogna, ma Char era fortunatamente di larghissime vedute. Infatti preferiva essere trattato allo stesso modo dei suoi coetanei sull'isola, preferiva non considerare le distinzioni di classe.

Lo amavo anche per questo.

Spostò lo sguardo su di noi, ancora stretti l'uno all'altra, mentre David lo forniva di un coppa colma di birra.

Mi staccai immediatamente, ma il danno ormai era fatto. 

Notai la sua mascella contrarsi e la mano stringersi attorno alla coppa.

Mi feci piccola piccola, mi sentivo come se l'avessi tradito ancora prima del matrimonio.

 Bash invece non fece una piega.

Quanto desiderai avere la sua faccia tosta.

Ero pronta ad andare da lui per evitare scenate, quando Flynn richiamò l'attenzione dei presenti.

− Ora che ci siamo tutti, possiamo brindare!

− Ma se hai già iniziato a bere!− gli urlò David.

− Dettagli! − borbottò il primo.

− Dettagli un corno!− lo contraddisse il secondo, tra le risate generali causate dal battibecco.

− Ragazzi dateci un taglio! − ringhiò alla fine Bash al mio fianco.

− Stavo dicendo− si schiarì la voce Flynn, − ora che siamo tutti possiamo fare un brindisi alla festeggiata!− alzò l'unica bottiglia di rum, con Gregory alle calcagna per evitare che se la scolasse tutta da solo.

− Tanti auguri per il tuo sedicesimo compleanno Cèline Wallowick, cento di questi giorni con fiumi di rum!

− Cento di questi giorni!− urlò la dozzina di amici riuniti per la festa, sbellicandosi all'aggiunta poco consona del Senzafondo.

La battuta mi strappò un sorriso. 

Mi accorsi quanto mi fosse mancato sorridere.

Mia madre aveva ragione, stare con loro mi faceva bene.

Eravamo in procinto di bere, quando il guastafeste parlò ancora.

− Non ho finito!− ci ringhiò.

Ci fermammo, le coppe già alle labbra.

− Volevo fare un ultimo brindisi alla nuova coppia che si è formata! Facciamo sentire quanto poco ci saremmo aspettati una cosa del genere!− alzò di nuovo la coppa e proclamò. 

− All'unione di Bash e Lin!

Gli altri urlarono in coro.

− A Bash e Lin!

Sbiancai.

Mi resi conto che il mio futuro marito aveva appena scoperto da terzi che ero stata promessa ad un altro!

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