Capitolo 1
Anno Domini 1665, 15 di Maggio.
Un anno prima.
Quella mattina mi alzai alle prime luci dell'alba.
Le mie speranze di fare piano morirono quando le vecchie assi del pavimento scricchiolarono rumorosamente allo spostamento di peso. Trattenni il fiato, non sentii alcun rumore provenire dalla camera da letto di mia madre, aspettai qualche istante in più ed emisi un sospiro di sollievo.
Fin qui tutto a posto.
Ora avrei dovuto lavarmi e vestirmi senza fare rumore.
Un gioco da ragazzi.
Soprattutto per un corpicino sgraziato come il mio.
La mamma si chiedeva spesso come riuscissi a camminare sulla scogliera o sulle ripide scale del faro senza inciampare nel vestito e buttarmi di giù, quando non facevo che sbattere a destra e a sinistra su ogni spigolo papabile della casa.
In realtà non lo sapevo nemmeno io.
Adoravo passeggiare sulle scogliere o passare intere ore al faro, accoccolata al grande fuoco alla sua cima, godendomi la vista. Forse era per questo che non ero mai caduta.
Al contrario delle faccende domestiche e dello pseudo lavoro da sarta. Odiavo stare in casa ed odiavo ancora di più rammendare i bei vestiti degli altri, quando non avevamo neanche un penny per i nostri.
Tutto quello che avevamo andava alle costosissime medicine della mamma che soffriva di una strana tosse cronica apparentemente senza cura definitiva.
Ho sempre pensato che il barbiere del villaggio fosse un ciarlatano, ma visto che era il solo ed unico su tutta l'isola a poter prescrivere quelle medicine, tenevo saldamente la mia bocca chiusa ad ogni sua visita.
Presi la brocca da terra e riempii il catino con l'acqua ghiacciata, la legna da queste parti era un bene prezioso. La maggior parte andava alla manutenzione del faro mentre ciò che rimaneva lo tenevamo per il camino della cucina.
Per quanto riguarda il resto, beh pazienza.
Mi lavai e mi vestii più in fretta che potei, perché anche se era ormai primavera inoltrata la mattina era ancora gelida. D'altra parte se ci avessi messo troppo mia madre mi avrebbe sicuramente scoperta, quindi meglio sbrigarsi.
Fu in quell'istante che sentii uno strappo al lato della tunica di lana che stavo mettendo.
Magnifico.
Cercai di non imprecare.
Quella sera l'avrei passata a rammendare il mio unico vestito.
Di nuovo.
Al freddo.
Mi uscirono le lacrime al solo pensiero.
Scesi in punta di piedi le scale, saltando coscienziosamente l'ultimo gradino che cigolava ad ogni tocco, presi il cesto dal tavolo e corsi finalmente fuori con assoluta gioia.
Quella baracca era una semi prigione a due piani. Il piano terra era un misero stanzone con un camino, un vecchio tavolo, un paio di sedie e qualche scaffale polveroso quasi sempre del tutto vuoto. Mentre il piano superiore assomigliava più ad rifugio di fortuna che ad un alloggio con due camere.
Non che la struttura della casa in sé fosse tanto meglio.
Era un miracolo con quattro mura e un tetto di legno marcio per la salsedine, che traballava ad ogni folata di vento su una rupe in pietra a strapiombo sul mare
Non cadeva soltanto perché era aggrappato al vecchio e robusto faro in pietra, che si dice, non sia mai crollato dalla sua creazione.
Nessuno sapeva chi l'avesse costruita, ma mio padre l'aveva presa in uso quando aveva accettato il lavoro da guardiano vent'anni prima, pensando di aggiustarla una volta fatta fortuna.
Peccato che la fortuna stessa gli aveva girato le spalle quindici anni fa, quando una tempesta si era inghiottita lui, la nave mercantile su cui navigava e tutta la merce che avrebbe dovuto vendere per, come diceva il vecchio Grisha, "farci un sacco di quattrini".
Ahah.
Mi incamminai sul sentiero scosceso che portava allo squallido villaggio sulle rive rocciose dell'isola.
Signore quanto odiavo quel posto.
Oltre a puzzare perennemente di pesce marcio e di piscio, era immerso da una strana nebbiolina grigiastra che spariva per alcune ore intorno a mezzogiorno e poi tornava come se non se ne fosse mai andata.
L'isola poi era un cumulo di rocce abbastanza grande per ficcarci quel misero villaggio, le rimanenze di un castello arroccato, un boschetto di betulle e qualche terreno di cereali, ma troppo piccola per qualsiasi altra cosa.
Non che ce ne fosse il bisogno, tanto le morti erano sempre più delle nascite lì.
Nonostante l'isola si affacciasse sul canale di Bristol, era abbastanza vicina da vedere le coste del sud-ovest nei giorni più caldi dei mesi estivi, ma troppo lontana per permetterci di raggiungerle con le barche a disposizione.
L'unica che compiva il tragitto qualche volta al mese era una nave mercantile che scambiava orzo, frumento e pesce essiccato con sale, ferro e bestiame.
Era inoltre l'unica fonte di informazioni dal mondo esterno.
La cosa che però odiavo certamente di più era che ero nata proprio in questo posto e qui c'ero rimasta tutta la vita.
La mia sola speranza di andarmene da lì era sposarmi, così almeno aveva fatto mia madre alla mia età, scappando da mio nonno che continuava a picchiarla, pensando che mio padre le avrebbe regalato una vita migliore.
Beh, a parte lo stile di vita che è rimasto praticamente lo stesso, almeno con papà era felice.
Intravidi il villaggio mentre il sentiero si appianava e diventava più battuto, percorso da solchi profondi, testimoni dell'incedere di carri e bestiame sempre nelle stesse direzioni.
Ero assorta nei miei pensieri quando il vecchio Grisha mi fece un fischio dal suo carro, mi girai e lo salutai di riflesso, dopotutto era l'unico che mi salutasse con un fischio.
In effetti, era l'unico vecchio nel raggio di miglia che mi salutasse proprio.
Infatti nessuno della generazione di Grisha riusciva a tollerare me o mia madre, le dicevano alle spalle che era una "sgualdrina francese che si era fatta mettere incinta dal miglior partito del villaggio", e quindi di conseguenza io sarei "un obbrobrio mezzo francese che nessuno vorrà mai".
Questo tipo di chiacchiere ha letteralmente devastato mia madre, che non si è mai inserita nella piccola comunità dell'isola. Sospetto in realtà l'abbiano sempre odiata, molto probabilmente a causa della sua religione cattolica, non bene accetta qui.
Per me invece la situazione è stata più semplice. I miei coetanei maschi hanno provato spesso ad isolarmi, convinti di seguire il giusto esempio delle loro madri, ma con quattro pugni assestati bene si tornava amici come prima. Invece con le femmine non mi ci sono mai trovata veramente a mio agio e l'esclusione da parte loro nei miei confronti mi è sempre andata bene.
Mi feci dare un passaggio a Grisha mentre ripensavo alle cattiverie sul conto della mamma. Ancora oggi dice spesso "la verità sta sempre nel mezzo", cosa che non ho mai condiviso.
Perché dovrebbe stare nel mezzo, quando ci sono casi come questi che non sai neanche dov'è il "mezzo".
Io so solo che la verità è un altra: per prima cosa papà non era "il miglior partito del villaggio".
È nato povero e morto cercando ricchezza.
Ha girato quel poco di mondo che gli ha fatto guadagnare denaro necessario a sposarsi, comprare una casa con un limitato futuro, collezionare qualche vecchio libro e, cosa fondamentale, a non lasciarci piene di debiti alla sua morte.
Anche se qualche tipo di eredità per tirare avanti l'avrei gradita.
Seconda cosa, sono venuta al mondo quattro anni dopo il matrimonio dei miei, questo confuta decisamente la voce che mia madre sia rimasta incinta prima delle nozze e non riesco a capire da dove sia uscita un'assurdità del genere.
− Silenziosa stamattina.
Le parole di Grisha mi riportarono alla realtà.
− Ho solo sonno− gli risposi, era appena sorta l'alba ed era già da un po' che rimpiangevo il caldo del mio letto.
− Mmmh− il vecchio mugugnò. − Credevo ti piacesse andare al porto presto, a trovare il tuo amico... come si chiama... l'ultimo di Graham...
− Intendi Bash?− il respiro che trattenni al termine "amico" si trasformò in un sospiro di sollievo, nessuno sapeva chi avrei visto quella mattina e avrei volentieri voluto rimanesse tale.
− Si, si, quello là! Il ragazzo è grande ora vero? Quanti anni ha adesso?
− Diciotto compiuti un mese fa− risposi sorridendo tra me e me.
Fu davvero magnifico fargli credere tutto il giorno che io e i suoi fratelli c'eravamo dimenticati che fosse il suo compleanno fino a sera, quando lo abbiamo sorpreso con una fantastica festa.
Sua madre era riuscita perfino a mettere le mani su un bel pezzo di carne, che aveva cucinato in un ottimo stufato.
Il pensiero mi fece salire l'acquolina in bocca.
Lo stomaco mi ricordò di non aver fatto ancora colazione.
− Fame ragazza mia? C'è del formaggio là.
Grisha indicò una forma iniziata dietro di lui.
− Ma non devi venderla?− gli chiesi. Il venerdì era giorno di mercato, e Grisha, come tanti contadini, andava a scambiare, più che vendere, il proprio formaggio con altri prodotti.
Qui pochi usavano la moneta corrente per farsi pagare, il baratto era più comodo.
− Un pezzo in meno non farà differenza, basta che non vai a dirlo a Fiona− disse e come mi vide trasalire si mise a ridere.
Sua moglie mi odiava, mi credeva un parassita e se avesse saputo che mangiavo il frutto del suo lavoro mi avrebbe volentieri strangolata.
− Sei matto Grisha? Non glielo direi mai e poi mai! Non voglio mica farmi ammazzare!− gli diedi un'occhiataccia, dato che continuava a ridere.
Mi girai comunque a prendere un pezzo di quel delizioso formaggio di capra con un po' del pane contenuto in un fazzoletto di stoffa che sicuramente Fiona aveva preparato per il marito.
I due vecchi coniugi non erano mai riusciti ad avere figli, e la gentilezza che Grisha mi riservava mi faceva sentire come una figlia.
Il legame che si era creato tra noi due era segreto e speciale, una tenerezza che condividevo solo con Grisha e nessun'altro, non credo fosse diverso dall'affetto che avrei provato per mio padre se fosse ancora in vita.
Non che abbia un'idea precisa dell'amore che si prova per un padre, è morto quando avevo pochi mesi e ogni volta che pensavo a lui più che amore provavo un senso di abbandono doloroso e rabbioso.
Quindi preferivo non pensarci, tutto qui.
Grisha tirò le redini della vecchia puledra e il carretto si fermò poco prima di arrivare al villaggio, dove la strada curvava e una collinetta nascondeva la vista dell'ingresso allo stradone principale.
Scesi ringraziando il mio vecchi amico, era un tacito accordo tra noi, niente interazioni al villaggio, altrimenti Fiona l'avrebbe saputo. La prima ed unica volta in cui fummo visti insieme le vecchie bagasce ne parlarono per settimane e la moglie di Grisha andò su tutte le furie.
Maledetta.
Di che aveva paura? Che le avrei fregato il marito? Stiamo scherzando? Grisha aveva il triplo dei miei anni se non di più.
− Ci vediamo in giro allora! Grazie per il passaggio e per il cibo!− gli sorrisi mostrandogli i denti, e lui mi sorride di rimando.
− Devi mangiare di più piccola, o non metterai niente in commercio quando sarà ora!− e rise di nuovo.
Sbuffai.
− E chi ce l'ha i soldi per mangiare, eh? Nessuno richiede il nostro lavoro, quindi niente lavoro, niente soldi! E non mi dire del faro, che lo sai anche tu dove finisce la miseria che ci danno! E poi io ce l'ho la mercanzia, solo che non la metto in mostra come fanno tutte!− così dicendo gli feci una linguaccia e mi incamminai verso il villaggio con passo fiero.
Il carretto di Grisha mi superò subito.
− Se dici così sarà sicuramente vero! A domani ragazza mia!− e se ne andò salutando e ridendo.
Sbuffai di nuovo mentre superavo la curva ed avvistavo il villaggio ormai brulicante di gente per il mercato.
Quanto odiavo quel posto.
Sbuffai una terza volta e mi incamminai nel villaggio, preparandomi ad un'altra orribile giornata.
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