Chapter Twenty-seven- Ibrid


Esco velocemente dalla doccia, avvolgendomi in un accappatoio bianco che sembra profumare di lavanda.

Aspiro a fondo, sbuffando.

Eppure, non appena mi rivesto della mia tuta, l'odore di lavanda sparisce lasciando posto ad un altro che sa di menta.

Per quanto io abbia strofinato la spugna sulla mia pelle, l'odore di Xavier non se ne è andato. Come a voler urlare la sua presenza sul mio corpo.

Mi posiziono davanti allo specchio e con le mani afferro un asciugamano, tamponandomi i capelli con quest'ultimo fino a far ricadere lo sguardo sulle mie labbra.

Sono gonfie e rosse.

Sospiro, rivestendomi lentamente. Sul mobiletto del bagno è steso il vestito che Xavier mi ha fatto recapitare per stasera.

Non è nulla di elaborato, senza decorazione e senza lustrini. Il colore è di un vivido azzurro, con una fascia nera a stringere i fianchi. L'abito è senza maniche, nonostante il freddo, e arriva a sfiorarmi le ginocchia.

Sfrego il materiale con le dita, stupendomi della leggerezza e della morbidezza che ha.

Lo piego con cura, portandolo in stanza per poi posarlo sul letto.
Il biglietto allegato al vestito è ancora lì, sul mio materasso, leggermente stropicciato.

"Indossalo questa sera, consideralo come un piccolo ringraziamento."

Roteo gli occhi, a disagio.

Non voglio presenziare ad una festa del genere, che tantomeno ha lo scopo di mettermi al centro dell'attenzione.

Al Rifugio, gli abiti eleganti, venivano da me usati di rado. Durante il ritorno dei Perlustratori. Non abbiamo mai avuto molto da festeggiare, noi.

Fuori dalla finestra il Sole si sta ritirando per lasciare il posto alla Luna. Riguardo l'abito e arriccio il naso, desiderando quasi di poterlo fare a pezzi.

Esco dalla stanza in punta di piedi, passeggiando con i piedi nudi ed i capelli umidi. Chi mi vede passare abbassa la testa, in segno di saluto, ed io faccio altrettanto.

"Luna, si è persa?" non mi giro subito, non essendo abituata ad essere chiamata in quel modo. A qualche metro di distanza vi è una donna dai tratti dolci, con gli occhi di un grigio che sembrano risplendere. Piccole rughe le solcano la fronte, e mi chiedo come sia possibile che occhi così giovani siano in possesso in una donna in età piuttosto avanzata.

Una larga cicatrice le copre il volto, partendo dal sopracciglio destro fino a finire all'angolo delle labbra. Rabbrividisco, chiedendomi come se la sia procurata.

"Stavo facendo un giro." Mi trovo quasi ad abbassare lo sguardo, eppure quando vedo la luce di sfida negli occhi della sconosciuta dinnanzi a me non ci riesco. Sembra volermi quasi testare.

"Le serve qualcosa?" Domando io di rimando, inarcando le sopracciglia, sperando di non risultare maleducata. Eppure, in lei vedo qualcosa di simile a me, quasi potessi rispecchiarmi nei suoi occhi. Sembra come intrappolata, e le sue mani si agitano così tanto come a voler comunicare la sua intolleranza alla Villa.

Le mi sorride, quasi con fare materno, avvicinandosi a me. L'idea di indietreggiare si fa spazio nella mia testa, ma subito come è arrivata la mando via.

"Mi ricordi me, qualche anno fa." Mi sussurra, voltando leggermente la nuca. Gli occhi le si fanno lucidi, mentre una catasta di ricordi sembrano percorrerle la mente.

"Intrappolata in un posto che non ti appartiene," aggrotto le sopracciglia, non capendola. Che questa donna sia stata costretta a restare con il suo compagno? Impossibile. Il richiamo tra compagni è reciproco, non può non poter provare amore verso il suo compagno.

"Tu non sei un Licantropo, non è così?" la domanda risulta quasi sciocca, eppure non riesco a mandare via questo dubbio. Lei fa una smorfia, tra il sorpreso e il soddisfatto.

"Credo che il modo più adeguato per definirmi sia ibrido. Con una madre umana ed un padre Licantropo, non si ha molta scelta. Ma puoi decidere tu come vedermi, non sono ne l'uno ne l'altro." le sue mani corrono a sfiorarle i capelli, quasi fosse un rituale che compie quando è agitata.

Non ho mai sentito parlare di ibridi, ne tanto meno ne ho mai visto uno.

Mi soffermo sul suo aspetto, osservando la sua fisicità. Dev'essere stata una donna robusta, un tempo, e la cicatrice che le deturpa il volto stona con l'innocenza che pare emanare.

"Hai l'aspetto di un Licantropo," mormoro, senza sforzarmi di parlarle formalmente. Lei annuisce, toccandosi il braccio con le dita sottili.

"Oh si, il gene della Licantropia si è manifestato in me a dodici anni, ma non completamente." Lo dice sibilando, quasi volesse aprirsi il braccio per far uscire da tutto il suo corpo quella caratteristica.

Si guarda alla vetrata affianco a noi e pare quasi inorridire.

"Non sono mai riuscita a percepire gli odori come un qualsiasi Licantropo, ne ho mai avvertito il richiamo tra compagni. E' come essere una metà di qualcosa, come se ti mancasse costantemente un tassello del puzzle. Non è un puzzle, se non è completo, come io non sono una persona. Sono due esseri, ma allo stesso tempo non lo sono. Credo che sia piuttosto ironico."

Deglutisco, facendo un passo avanti. Questa donna sembra avere lo sguardo più triste del mondo, ed io non la comprendo.

Nella mia mente tornano i discorsi di Xavier sulla creazione dei Licantropi.

"Ma nemmeno il potere della Dea poteva riportare totalmente in vita un essere ormai morto. Quindi avvertì l'umana che la sua permanenza sulla terra sarebbe stata breve, quanto la durata di vita di una rosa. La Dea le rivelò una sorte che sarebbe capitata ad un uomo della specie dei Mannari, e ad una donna umana. Le disse che, per mantenere vivo il suo ricordo, avrebbe legato un Mannaro ed un'umana come compagni, come segno di suo profondo dispiacere."

E' questo, ciò che mi disse. Un peso sembra sollevarsi dal mio petto: la leggenda non parlava quindi di me e Xavier, ma dei genitori della donna che ho davanti.

"Qual'è il tuo nome?"la domanda sembra prenderla in contropiede, ma subito si riprende.

"Mi chiamo Delilah*." Annuisco, chinando leggermente il capo quando sento dei passi avvicinarsi. Delilah non si volta, quasi avesse già capito di chi si tratta, e quando avverto la sua voce lo capisco anche io.

"Cosa ci fai qui?" Xavier avanza verso di noi, rivolgendo uno sguardo a Delilah, chinando la testa in segno di saluto.

"Mi annoiavo," spiego velocemente, mentre lo vedo inarcare le sopracciglia, quasi a prendermi in giro. "Mi dispiace d'averti lasciata sola, avevo del lavoro da sbrigare." Il suo sguardo sembra volersi scusare, come se avesse fatto la cosa più terribile al mondo.

Delilah mi sorride, superandomi mentre si avvia verso una meta a me sconosciuta.

"Buona fortuna, Rebecca."

Angolo Me:

Lo so, sono davvero inscusabile e in serio ritardo.  Vi avevo promesso due aggiornamenti a settimana ma purtroppo non riesco quasi mai a mantenere la promessa. Spero di poter aggiornare un po' più spesso in futuro. Comunque, questo capitolo è piuttosto inutile, ma diciamo che introduce il ballo, di cui si parlerà nel prossimo capitolo.

A differenza di quello che credevate voi, la leggenda non si riferiva a Xavier e Rebecca, ma ai genitori di Delilah. Clichè abolito anche in questo capitolo, ben fatto! *si batte una mano sulla spalla*

E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

* Il nome Delilah significa delicata, misera,.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top