Un fragile cuore nobile

Odiavo gli ordini, non avrei salvato nessuno restando sui libri.

Gocce scendevano dalle stalattiti picchiettando sul terreno. 

Controllai che le pistole fossero ancora al loro posto. Konell, dopo avermi vista quasi centrare con una forchetta in un orecchio uno spasimante che mi aveva innervosita, mi aveva convinto ad allenarmi con le armi da tiro.

Il tunnel sbucò tra alte rocce che lo camuffavano perfettamente, quasi fosse un'illusione. Tutti i passaggi segreti erano stati chiusi nel tempo, ma non quello. Non si scorgeva nemmeno la città.

Usai la mia vista da mutante. Verificai che non ci fossero ombre lontane in movimento. 

Cominciai a correre, contenta di non avere una gonna ad intralciarmi. La piccola taverna che una volta era di mia madre era lì, anche se caduta in disuso da quando lei mi aveva lasciato al castello di Liberia, partendo alla disperata ricerca di mio padre. I miei genitori non avevano più fatto ritorno ed io ero cresciuta tra lo sfarzo, comprendendo che non li avrei più rivisti.

La porta cigolò sui cardini arrugginiti. L'odore di chiuso e di muffa mi accolsero mentre il sole stava calando. Avevo con me un sacco con quattro libri. 

Li misi ad uno ad uno nel camino e con un accendino diedi loro fuoco. Era una sensazione strana, se avessi visto un mio adorato libro bruciare sarei andata su tutte le furie, ma ora non riuscivo a pensarci. L'ultimo libro che abbandonai fu uno dei diari di mio padre. Era stato un pirata prima di sposare mia madre e di redimere le sue malefatte al servizio della corona dei Bramble; aveva avuto a che fare con gli Oros e in quelle pagine erano riportati parecchi segreti. 

Baciai la copertina prima di lanciarlo alle fiamme. Mi accucciai, stringendomi le gambe al petto, trattenendo un urlo, ma non le lacrime che scivolarono copiose sulle mie guance. Nonostante il crepitio del fuocherello che copriva i miei singhiozzi, cominciai a sentirmi colpevole. Volevo davvero che la mia conoscenza potesse essere usata per uccidere? Avevo parlato della mia scoperta con la regina in persona. Il fuoco, l'elettricità e gli ultrasuoni costituivano un'ottima arma per ferire gli Oros: alcuni di loro erano velenosi, altri avevano arti meccanici che potevano deviare i colpi dei proiettili, altri ancora riuscivano a respirare sott'acqua come pesci. 

Ripensai ai bambini, sia Oros che Liberiani, che come me sarebbero cresciuti senza genitori, se si fosse arrivati allo scontro. 

Lanciai lontano una delle pistole, come se il metallo potesse bruciarmi. 

«Aura» mi chiamò una voce.

Alzai il volto.

Era Konell. Mi aveva seguito. Dannazione, mi trovava sempre.

Aveva gli occhi arrossati, come i miei. Suo fratello non era tornato dalla ronda notturna e nessuno sapeva dire dove fosse finito. Si accucciò al mio fianco e protese le dita verso il mio volto dove le lacrime mi erano rimaste incastrate fra le ciglia.

«Rhoyan è morto?».

Lui annuì. 

Lo strinsi forte. Gli ultimi bagliori arancioni si riflettevano nei suoi occhi. 

«Ci dev'essere ancora del rum invecchiato da qualche parte».

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