L'alba in cui tutto cominciò a mutare
Raggi di luce si insinuavano tra gli spessi tendaggi cremisi, gettando scie luminose sul pavimento di marmo grigio. L'alba era sorta da poco.
Spalancai le porte della mia stanza trattenendo uno sbadiglio. Konell era disteso nel mio letto a baldacchino, con il gomito appoggiato ai cuscini di seta. Mi squadrò dalla testa ai piedi.
«Hanno vinto i libri anche stanotte?».
Scosse la testa divertito. Mi ero dimenticata della sua proposta.
Le mie dita si strinsero attorno alla copertina di cuoio. «Ho perso la cognizione del tempo» sbuffai, non dovevo di certo giustificarmi con uno come lui.
Mi accomodai al bordo del materasso. Il tomo ingiallito stretto in grembo. Konell si sollevò e mi abbracciò da dietro, posando la mano destra sul mio fianco. Mi scostò i capelli color rame che mi ero fatta di nuovo accorciare fino alle spalle. «Ci sono passatempi più divertenti che starsene rinchiusi in biblioteca».
Le sue labbra stavano per posarsi sul mio orecchio, quando un frettoloso scalpitio nel corridoio ci fece trasalire entrambi. Stavo per dirgli di nascondersi, ma dall'uscio che avevo lasciato socchiuso ci raggiunsero delle voci concitate.
«Un cadavere?».
«No, ho sentito che lo stanno curando».
Mi alzai di scatto. Il libro precipitò a terra con un tonfo.
Konell tentò di riacciuffarmi, ma mi scostai e mi diressi verso l'uscita concedendogli a malapena un sorriso di scuse.
«Aura dove vai?».
«Grazie per avermi scaldato il letto».
Non aspettai che potesse dirmi altro. Stava succedendo qualcosa, forse c'entrava con l'incubo che ultimamente mi stava perseguitando? Lo spettro di mio padre mi consigliava di fuggire da Liberia.
Afferrai le pieghe della lunga gonna nera e mi misi a correre verso la sala del trono.
Le porte del salone erano spalancate, diversi nobili di corte ancora in vestaglia erano sparpagliati per la sala.
La regina Bramble, seduta sul trono, si strofinò le tempie come se avesse un gran mal di testa, mentre tutti borbottavano tra di loro. Avevano trovato una creatura ferita nella ronda del mattino. L'avevano catalogata come un Oros.
Quel nome mi riportò alla mente numerose leggende che avevo studiato: una razza acquatica di conquistatori e un re terribilmente seducente.
Gli occhi scuri della regina sfioravano la folla preoccupati. Eravamo in allerta. Ordinò che venissero disposte più guardie a difesa delle mura e di non far uscire nessuno dalla città.
Sgattaiolai fuori dalla sala con un senso di smarrimento.
Mi avvicinai alla finestra e rimasi ad osservare lo scorcio di mare tra i promontori, dove la luce del sole si sgretolava in piccoli granelli sulle onde e la nebbia si sollevava dall'acqua, mescolandosi al fumo dei comignoli.
Posai la fronte al vetro colorato.
Aguzzai la vista. Avevo sempre avuto occhi migliori degli altri, quasi del colore dell'oro, una mutazione magnanima con il mio aspetto fisico. Era l'eredità lasciatami dalla stirpe dei Teleri, un dono che dovevo custodire. Non vidi nulla di diverso dal solito, ma una pericolosa curiosità mi suggeriva di uscire dal castello alla ricerca di informazioni, facendomi battere il cuore all'impazzata.
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