Extra: Scommessa - Parte 4

Si ritrovarono entrambi seduti su quella spiaggia appartata a guardare la luna riflettersi sull'acqua. Lame argentee disfatte da onde che avevano stranamente riportato il suo stivale a riva.

Ogni tanto Aura guardava verso la protesi metallica e lui se ne accorse.

«Come è successo? Come l'hai persa?» gli chiese incuriosita, per rompere il silenzio. 

«Quando ero piccolo mia madre mi abbandonò perché ero diverso, troppo...» cominciò a raccontarle ma si fermò bruscamente, lasciando la ragazza con il fiato sospeso. Era troppo che cosa?

«Troppo nero» completò dopo un silenzio che si era caricato di tensione e amarezza. I suoi occhi controllavano le onde, come se fossero alla ricerca di qualcosa. «Mi gettò in mare» continuò, una traccia di rabbia nella sua voce lasciava intendere quanto quel gesto lo avesse ferito: «Ma un Oros gentile mi trovò e mi prese con sé».

Non la guardava, fissava le onde con sguardo triste. Aura avrebbe soltanto voluto chiedergli di girare il viso verso il suo, cercando parole adatte a rincuorare quella tristezza. 

«Deve essere stato terribile» sussurrò all'improvviso, ripensando a quando a sua madre l'aveva lasciata al castello di Liberia per andare alla ricerca di suo padre. Eppure in un certo senso, anche se erano due tipi di abbandoni diversi si sentì vicina a quello sconosciuto. «L'hai più rivista?».

Si domandò come mai le stesse raccontando così tanti dettagli del suo passato, ma allo stesso tempo si sentì lusingata che lui si fidasse a tal punto di lei.

L'Oros scosse la testa. «Fui catturato dagli umani, lei era una di loro. Mi rinchiusero nelle loro segrete, e costretto a sopravvivere da solo, mi sono dovuto mangiare la gamba».

Le sue labbra si incurvarono in un sorriso ancora più malinconico della giada nei suoi occhi.

Aura schiuse leggermente le labbra per la sorpresa. Lui era metà umano, proprio come lei? Si ricordò di che cosa le aveva raccontato Sylia su quel popolo, quel pomeriggio nella torre, prima della battaglia, prima che scoprisse che suo padre faceva parte di quella tribù nomade. «Ma gli arti degli Oros non ricrescono col tempo?».

Ripensare a Sylia la fece sorridere. Non vedeva l'ora di mostrarle la rilegatura straordinaria di quei libri antichi e le storie al loro interno che le voleva portare.

«Infatti, ne sono rimasto stupito anch'io. Avrebbe dovuto, ma qualcosa non è andato per il verso giusto» rispose e la sua mano si posò sopra al metallo. Spinta da un moto di compassione Aura posò la mano sulla sua, stringendola.

«Forse non lo ha fatto perché sei in parte umano» sussurrò pensierosa: «Come me».  

Il silenzio ricadde fra loro come un pesante sipario sul palcoscenico. Non si era mai trovata così in difficoltà a parlare con qualcuno. Le domande si susseguivano veloci nella sua mente, ma voleva anche tenersi i suoi segreti.

«Ti trovi bene qui? A Liberia» gli domandò di getto, mordendosi le labbra per non rivelargli nulla sul suo conto, non più di quanto gli aveva già detto.

Lui non rispose, ma socchiuse le palpebre. La sua pelle era fredda, eppure toccandola ad Aura sembrò di non sentire più la frescura della brezza notturna.

Si sentì nervosa di nuovo. Non sarebbe dovuta restare, stava perdendo tempo, doveva andarsene.

Lui lo capì, perché posò l'altra mano sulla sua, trattenendola.

Stava per dirle qualcosa ma Aura lo anticipò.

«Allora... Il vostro re ha davvero la coda di un serpente? Mi hanno detto che ha una coda di legno, ma c'è una fiaba Liberiana molto antica che narra degli occhi glaciali del re degli Oros. Sarebbe meglio non guardarli, perché saprà condurti nella sua grotta degli abissi, e dopo che ti avrà avvolto nella sua coda da serpente non potrai mai più far ritorno a casa» cambiò di nuovo argomento. Ora che ci pensava non si erano nemmeno presentati.

L'Oros rise.

Aura no. «Ecco, lo sapevo era una sciocchezza inventata per spaventare i bambini».

Fece per alzarsi ma lui non la lasciò andare. Allungò la mano verso il suo viso per costringerla a togliersi la stoffa dalla fronte. «Il sangue si è fermato» l'avvisò.

«Meno male». Aura abbassò gli occhi sulle macchie rossastre di quella benda improvvisata. «Giuro che non mi butterò mai più da una scogliera, né dalle mura di Liberia».

«Faresti bene, o almeno avvisami prima, io sono bravo a nuotare... Potrei recuperarti».

Le sorrise ancora.

Per una frazione di secondo ripensò di nuovo all'immagine di quei denti, appena intravisti, affondare nella carne, ma adesso non la spaventavano più. Adesso la sensazione che provava era completamente l'opposto.

La sua mente si ritrovò a comporre uno stupido pensiero: che sapore hanno gli Oros? Molti di loro si nutrono di carne umana, ma loro di cosa sanno?

«Che sapore hanno gli Oros?» si ritrovò a parlare ad alta voce e spostò lo sguardo sul mare, dato che lui la stava guardando. «Perdonami, non volevo sembrarti indiscreta o che io abbia poco tatto vista la tua situazione, sono solo curiosa... E a quanto pare non so frenarmi».

Si era ritrovata a parlare a raffica, di nuovo.

Lui si avvicinò. «Vuoi davvero scoprirlo?». 

«No, saprete di pollo, sicuramente» rise, infilando imbarazzata le dita nella sabbia. «Fingi di non aver sentito queste ultime parole» aggiunse sorridendo: «Adesso devo andare ma tornerò tra qualche giorno, così parleremo ancora, se lo vorrai». 

Si alzò, stringendo la corona della regina al petto. No, non era più della regina. Adesso era sua, anche se non avrebbe mai indossato quel cerchio prezioso: rappresentava una gabbia di doveri verso un'isola intera. «A proposito non dire nulla a nessuno, nemmeno al tuo re, che mi hai visto qui stanotte, chiaro?».

«Credo che sarà un po' difficile».

Aura si puntò le mani sui fianchi. «Diciamo che il recupero della corona è stato un atto... Personale... Ma non voglio finire nei guai con i Liberiani, io sono cresciuta qui e non ho fatto finire nei guai nemmeno voi Oros. Penseranno che sia opera di una pazza e di sicuro faranno una nuova corona per sua maestà».

«Oh». Sorrise sorpreso.

«Ho la tua parola?» domandò con voce agitata.

L'Oros dagli occhi verdi la scrutò per un lungo istante e lei avrebbe soltanto voluto indovinare i suoi pensieri. «Va bene, hai la mia parola».   

«A presto» lo salutò, incamminandosi, sperando di potersi fidare. I suoi piedi affondarono nella sabbia fredda. Sentì il suo sguardo sulla schiena. 

«A presto, Aura» rispose alle sue spalle.

Lei si girò di scatto, incontrando di nuovo i suoi occhi. «Come conosci il mio nome?».

«Diciamo che non sarei una brava persona se non conoscessi bene tutto il popolo Oros, e vale anche per le arterie più piccole e mezze Liberiane».

Aura aggrottò la fronte, sospettosa. Che ruolo ricopriva? Glielo poteva chiedere? Forse era un consigliere del loro sovrano, quello che aveva la coda fatta di legno e a quanto pareva non era un serpente marino.

Quelle parole però le fecero capire che o dagli Oros o forse a Liberia, se si fosse trovata in difficoltà, avrebbe sempre avuto un posto dove tornare. 

Ma oramai non si sentiva più Liberiana, ma nemmeno una Oros. Era come se appartenesse soltanto al mare, era lì che voleva stare, era quello il suo posto. «Allora posso conoscere anche io il tuo nome?».

«Silver» pronunciò lui poco dopo: «Chiamami Silver».

«A presto, Silver» corresse il saluto fatto poco prima. Chissà se mai fosse riuscita a trovargli un soprannome.

Quel Silver era davvero strano, ma fermarsi a parlare con lui le aveva lasciato una bella sensazione, nonostante molto probabilmente anche lui avesse fatto parte dei guerrieri che avevano combattuto contro la città che l'aveva cresciuta. Lui era come lei; e lei aveva tanti dubbi da risolvere. Lo avrebbe cercato di nuovo.

Se ci pensava era come su un ciglio di un burrone, saltare o salvarsi? Salvarsi o saltare? Suo padre ormai era un Oros, ma lei? Lei poteva essere qualunque cosa fosse, chiunque volesse essere, nonostante le sue radici iniziassero lì, nella città libera. Il mare l'aveva fatta sentire viva come mai prima d'ora ed era per questo che lo sceglieva.

Alla guerra non ci voleva pensare, aveva imparato che era giusto lasciarsi alle spalle il passato, specialmente se faceva soffrire. Aveva perdonato tutto, tranne sé stessa. 

La nuova parte di lei l'avrebbe fatta agire e provare in tutti i modi a stroncare quella battaglia sul nascere. Non era mai stata avvezza a seguire le regole e se ci pensava... Se fosse andata all'accampamento a parlare con gli Oros forse avrebbe potuto evitare la battaglia. Ma in che modo? Scosse la testa. Il passato doveva restare dov'era.

Diede un un ultimo sguardo alle mura, giganti protettori, nuove costole che contenevano un cuore unico e vitale. Erano sagome nere che spuntavano sopra le chiome degli alberi, troneggiando come il migliore degli scudi.

Lei lo aveva superato soltanto perché ne aveva fatto parte e i suoi piedi sapevano ancora come renderla invisibile.

Si allontanò verso la radura dove Val la stava aspettando. Il giovane era ancora a bordo della piccola aeronave e si era addormentato, girato su un fianco, sul sedile in pelle. 

Aura lo riscosse scuotendolo per la spalla, e quando finalmente si svegliò, mostrò impavida il suo tesoro.

«Scommessa vinta» sorrise, crogiolandosi nell'immaginare la faccia sconfitta dell'uomo che l'aveva sfidata.

Val strabuzzò lo sguardo, come ipnotizzato dalla corona che la ragazza stava facendo oscillare davanti ai suoi occhi scuri. «Sei proprio...».

«Un pirata» completò per lui: «Sto diventando proprio un bravo pirata». Si posò una mano sul ventre che emise una sorta di buffo brontolio. «Adesso sbrighiamoci a tornare indietro che sto morendo di fame!».


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Mi sono fatta prendere la mano da quest'avventura, quindi grazie a chi ha letto fin qua!

Ringrazio i personaggi che hanno fatto da contorno, specialmente quelli che non appartengono alla mia fantasia. Potessi vi avrei inseriti tutti, ma era un'impresa troppo complicata, magari però in seguito...

Grazie infine a Victor per avermi aiutato con Silver e la sua "storia".

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