Extra: Scommessa - Parte 1
Aura era solita pensare attentamente prima di agire. Aveva ereditato la passione per le strategie da suo padre, e anche se si era preparata e aveva riflettuto sul da farsi, la sua ragione continuava a dirle che era un piano folle. Se qualcosa fosse andato storto si sarebbe ritrovata rinchiusa nella stessa cella dove un tempo era stato Kayeru: l'Oros velenoso il cui ritrovamento era stato l'inizio dello sconvolgimento della tranquillità di Liberia.
Sembrava passato un secolo.
Eccola lì. La città, silenziosa e dormiente, sotto una coltre di stelle lucenti. Silenziosa nella frizzante aria estiva. Silenziosa ma diversa dopo le trattative di pace. I caduti erano stati sepolti, quelli che si erano rivelati nemici comuni sconfitti, le case ricostruite, il sangue pulito dalle strade, la parte di castello crollata era stata innalzata nuovamente ma più piccola e meno appariscente di come se la ricordava. Le cicatrici restavano invisibili sotto alle nuove pietre, come anime sussultanti e spaventate.
La guerra era stata come una macchia di vino su una tovaglia, di cui ormai ne restavano soltanto gli aloni di contorno. Un'ombra nella storia e nulla più.
Una parte di lei sarebbe voluta restare, per salutare Sylia e ammirare come era stata risistemata la biblioteca della città dopo gli incendi. Aveva un regalo per lei: delle serie di racconti trafugati da una gigantesca biblioteca segreta e sotterranea, piena zeppa di pipistrelli appesi al soffitto. Le sarebbe piaciuto portare un ricordo a chi era caduto in battaglia e giaceva nel nuovo cimitero, ma non poteva. Non per quello che aveva in mente di fare.
Si convinse che per tutti quei piccoli desideri ci sarebbe stato il tempo più avanti, mentre la modesta nave volante si abbassava in una radura scuotendo le foglie degli alberi. Con la lontananza si era resa conto di quanto Liberia fosse un posto che non avrebbe mai dimenticato. Una parte di lei, quella vecchia, la stuzzicava e le faceva venir nostalgia delle feste al palazzo, delle occhiate furtive alle simpatiche e curiose invenzioni di Nick Almostfox attraverso il vetro della sua bottega, delle serate danzanti organizzate dalla contessa Nelly, degli allenamenti dei soldati spiati dalla finestra, sotto la direzione del rigoroso generale Mordecai.
Ma la parte nuova di lei era più forte. Le avventure in mare con suo padre la ciurma l'avevano resa più sicura di sé e più temeraria, non aveva più il naso premuto sulle pagine dei libri, ma puntato verso il cielo. Viaggiare nelle pagine dei romanzi continuava a piacerle, ma preferiva di gran lunga vivere quelle avventure sulla sua pelle e aver qualcosa da raccontare dove fosse stata in prima linea.
Eppure adesso era nervosa, più nervosa di quando aveva dato i suoi vestiti a Sylia per farla scappare dalla torre, più nervosa di quando avevano combattuto contro un kraken per salvare il veliero, più nervosa di quando aveva scoperto che non avrebbe più rivisto sua madre. Si era ritrovata a combattere contro creature pericolose, ma non aveva ancora mai ucciso qualcuno. Si chiese se quella notte sarebbe arrivata a tanto trovandosi di fronte al pericolo. Forse era questo che una parte di lei aveva paura e per quando tentasse di rimanere tranquilla, quel pensiero continuava a tormentarla.
Fino a che punto si sarebbe spinta?
Non aveva potuto pensare a numerose vie di fuga nel caso in cui qualcosa fosse andato storto, eppure il suo cuore continuava a dirle di non tirarsi indietro proprio ora, anche si era ritrovato a battere impazzito mentre la chiglia dello scafo si appoggiava sull'erba, silenziosa come una lucertola su un masso.
Ormai era tardi.
Non sarebbe potuta tornare indietro a mani vuote. Per nessun motivo al mondo.
Il giorno prima...
A quell'ora tarda la sala era deserta, eccezion fatta per il proprietario di quella stamberga, una donna fasciata in un vestito rosso dalla generosa scollatura, che si divertiva a suonare a casaccio su un vecchio pianoforte in legno mezzo scordato, e un uomo che continuava a premersi un involto con del ghiaccio sullo zigomo.
Una seconda occhiata verso l'angolo meno illuminato mi fece capire che si trattava di Appuntito. Da quando avevo iniziato a viaggiare mi era venuta la mania di soprannominare ogni cosa: vascelli, uomini, donne, spade e pistole. Lui era si era guadagnato quel nomignolo perché le sue orecchie erano più lunghe del normale, pelose e a punta.
La sua zuppa non fumava più da un pezzo. La immaginavo galleggiare nella ciotola che aveva di fronte, mentre i residui di patate e fagioli si depositavano sul fondo. A giudicare dalla sua brutta cera, Appuntito doveva essere rimasto coinvolto nella rissa di cui avevo sentito parlare quella mattina al molo.
Scossi la testa, concentrandomi sul mio obiettivo. Il proprietario sembrava indaffarato ma non lo era veramente. A quell'ora tarda avrebbe mandato via tutti, sua moglie aveva già pulito. Le sedie erano posizionate a testa in giù sopra ai tavoli, il focolare era ridotto a piccole braci nella sua nicchia di pietra. Forse aveva fatto un'eccezione per quel vecchio pirata dalle lunghe orecchie e per la matta con il vestito rosso.
«So già cosa vuoi chiedermi, sparisci!» disse sommessamente con lo sguardo puntato sul legno del tavolo.
«No che non lo sai. Conosco i tuoi giochi» gli sorrisi amabile.
«Vuoi qualcosa da me però, altrimenti avresti ordinato da bere. Magari, vista l'ora, posso consigliarti qualcosa che ti aiuti a conciliare il sonno?».
«Spiritoso, mi serve la tua nave» risposi senza troppi giri di parole.
«Il vascello di Parrot non è più abbastanza grande per te?».
Roteai lo sguardo verso le travi del soffitto, tentando di non digrignare i denti o sbattere un pugno sul tavolo. Mi costrinse, invece, a sfoggiare uno dei miei migliori sorrisi.
«Per favore, quel tricheco mi ha sfidato» implorai Errante, congiungendo le mani in preghiera: «Prestami la tua nave volante!».
Errante continuò imperterrito a pulire il bicchiere con uno straccio già troppo unto, senza degnarmi di uno sguardo. Mi afflosciai sullo sgabello di fronte al bancone, sconfitta, e solo allora si decise ad aprir bocca.
«E cosa ti avrebbe detto di preciso questo "tricheco" da portarti qui a convincermi a prestarti la vecchia Barona?».
«Mi ha sfidata! Ha detto che non sono un vero pirata perché sono cresciuta in un castello!». Feci una pausa e tentai di imitare la voce del pirata grassoccio che mi aveva battuto a carte soltanto la sera prima, proprio lì, alla taverna gestita da Errante. Tentai di non alzare la voce, ma il ricordo mi faceva arrabbiare. «Mi ha detto "Se vuoi dimostrarmi di essere un pirata ruba qualcosa dal tuo castello, qualcosa di valore, non un semplice pezzo d'oro e fammi vedere di che pasta sei fatta. Impressionami"». Sospirai: «Adesso capisci perché mi serve la tua nave? Non siamo molto lontani da Liberia e volando farei prima, è la mia unica soluzione».
Errante s'accigliò ma continuò a non guardarmi. «Parrot lo sa che cosa vuoi fare?».
«Certo che no, ma siamo già diretti a Liberia. Però ecco... Meglio se non viene a sapere del mio piano. Non so come la prenderebbe e detesto farlo preoccupare».
L'oste ridacchiò. «Non dovresti fare scommesse che sai di non poter vincere».
«Oh, ma io la vincerò!» sorrisi, accarezzando la falda del mio nuovo cappello decorato da una graziosa piuma nera.
«Sembri molto sicura di te».
«Mi sembra di aver sentito un: "Va bene, Aura, ti presto la mia nave" tra le righe, non è così?».
«Non dirò io a Parrot che sei sparita» mi rimproverò.
«Non voglio che tu glielo dica, è qualcosa che voglio fare da sola» ripetei, dondolami sullo sgabello.
L'uomo si strofinò con il pollice sotto l'occhio destro, come se ci fosse andato un granello di polvere all'interno.
«Non se accorgerà nessuno, tornerò prima che il nostro vascello salpi e giusto in tempo per mostrare a quel lurido pezzo di...» mi morsi le labbra per evitare di dire qualcosa di sconveniente: «Tornerò per dimostrare al tricheco che posso essere un pirata».
Le onde del mare avevano cancellato quasi del tutto le mie buone maniere. Quando mi arrabbiavo non mi sembravo più io.
Il vecchio oste alzò lo sguardo incrociando il mio. Gli mancava un occhio bruno, nascosto da una benda nera da cui spuntavano i confini di una seghettata cicatrice biancastra.
«Ad una condizione, pirata dei miei stivali, ti porterà Val. Tu non hai mai guidato una nave volante, non voglio che me la graffi... O peggio» roteò anche lui lo sguardo verso il soffitto.
Fu il mio turno di ridere, ma mentre lo facevo strinsi i pugni sotto al bancone. Potevo accettare quel compromesso? Appoggiai i gomiti al legno, mi rilassai e sussurrai: «Vuoi davvero che tuo figlio partecipi a un furto?».
Errante si limitò a incoraggiarmi con un sorriso sbruffone. «Mi hai detto che sei sicura di vincere, quindi mi aspetto che tu lo faccia e che non vi rompiate l'osso del collo».
«E che riportiamo la tua nave indietro tutta intera» gli ricordai.
«Certo, altrimenti convincerò il tuo capitano a farti lavorare qui per il resto dei tuoi giorni, come cameriera, per saldare il debito».
Dubito che avrebbe convinto mio padre, ma quella frase non mi piacque lo stesso per niente.
Mi chiesi se qualcuno sapesse che ero stata io a liberare Sylia quella notte, o se notando la mia scomparsa mi credevano morta in battaglia, se Konell avesse detto qualcosa. Non lo avrei mai saputo, dato che all'arrivo formale a Liberia, tra qualche giorno, avevo tutta l'intenzione di restarmene nel veliero e far chiamare Sylia da qualcuno della ciurma. Ogni volta che sapevo Liberia essere vicina un nodo mi stringeva lo stomaco.
E come allora, quando avevo accettato la scommessa di Barf, stavo agendo d'istinto.
Feci un respiro profondo. Era arrivato finalmente il momento di far ritorno a casa.
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