Capitolo 61
Il modo in cui, il mattino successivo, due guardie carcerarie trovarono Paolo Rizzo fu qualcosa di veramente raccapricciante: qualcuno gli aveva spaccato la testa mentre era alle docce; l'accappatoio bianco era inzuppato di sangue, e alcuni pezzi di materia celebrale galleggiavano nelle pozze d'acqua - anch'esse rosse di sangue - sparse sul pavimento.
Quando lo comunicarono a Fortis, sulle prime il commissario non ci voleva credere: chi avrebbe mai potuto volere la morte di uno spacciatore indipendente e di temperamento mite, per di più in una maniera così atroce?
L'ispettrice Pellegrino si prese l'incarico di andare ad avvertire Arianna Di Meo, ma evidentemente lo aveva già saputo: la donna s'era sparata un colpo in testa e adesso stava riversa sulle piastrelle del suo solito bar.
Non aveva fatto caso al fatto di morire così, davanti a tutti: ma non le importava, dopo la morte del compagno non le importava più di niente.
***
Dell'accaduto si parlò anche nel Quartiere, ma le voci cambiarono presto argomento: quello stesso giorno un giovane che nessuno aveva mai visto prima era venuto ad abitare ai casermoni, nell'appartamento di fronte a quello di Laura e Giovanni.
S'era presentato come Marco Anselmi, di professione tecnico informatico, abbastanza sfigato da venire ad abitare laggiù; aveva i capelli neri e gli occhi marroni e grandi.
Aveva ventiquattro anni, era un ragazzino. Il suo arrivo suscitò immediatamente l'interesse di mia sorella, tanto che mi telefonò apposta.
《Non è che adesso mediti di tradire Giovanni facendoti il toy boy?》commentai divertita.
《Ma no, scema, non attira la mia attenzione in quel senso. È che è un tipo strano. E mi sa anche losco: lo vanno a trovare spesso Francesco ed Enrico》mi rispose.
《Anche Enrico?》domandai, stupita di sentire il nome del mio primo fidanzato associato a quello del nuovo arrivato.
《Che ti sei ringalluzzita? Non è che adesso sei tu a dovermi dire qualcosa?》mi prese in giro lei.
《Ma che cazzo dici? Io sto benissimo con Alberto... Semplicemente volevo sapere che ci faceva Enrico a trafficare con Francesco... Se ricordi lui lo ha sempre considerato una cattiva influenza per Manuel...》le feci presente.
《Però ha lasciato che diventasse suo cognato sposando Anna... Non è che ci sta dentro anche lui fino al collo, e che il suo concessionario è solo una copertura?》ipotizzò.
《E quindi che vorresti fare?》le chiesi.
《Intanto terrò d'occhio questo ragazzo. Voglio sapere che cosa combina》decise.
《Non fare cazzate...》la pregai, sicura che invece, come al solito, non mi avrebbe ascoltato.
***
Credendo che fossi turbata dalla morte di Rizzo, Alberto decise di invitarmi ad un evento in un locale al centro: il famoso stilista Lorenzo Sandrini avrebbe tenuto un evento per festeggiare la sua nuova collezione; non me ne è mai fregato niente delle mode, non le ho mai seguite, ma ero sicura che un evento frivolo come quello mi avrebbe fatto dimenticare mia sorella e la sua fissa di giocare alla piccola detective, così colsi la palla al balzo accettando l'invito.
Lorenzo Sandrini era un uomo brizzolato, con gli occhi piccoli e neri e il naso leggermente ricurvo; aveva l'aria sveglia, di chi la sa lunga.
Cristina Vergani, rampolla di uno degli uomini più ricchi della città, lo ascoltava con ammirazione: vestita di rosso, i capelli ramati sistemati in un'elegante messa in piega, sgranava gli occhioni azzurri ad ogni parola dello stilista, stringendo la mano al suo fidanzato, l'ingegner Alfonso Della Valle; quest'ultimo aveva la faccia di chi avrebbe voluto trovarsi da tutt'altra parte: dell'ingegnere, il signor Della Valle non aveva neanche il titolo, visto che s'era diplomato per il rotto della cuffia e aveva comprato la laurea in Macedonia, ma poiché era colui che aveva costruito mezza città e dato casa e lavoro a un sacco di persone, nessuno si sarebbe mai preso la briga di indagare sulla sua oscura ascesa. Accompagnava la Vergani perché voleva sfondare nel campo della moda, ma era priva del benchè minimo talento, e quindi sarebbe servito ricordare a Sandrini chi c'era dietro la limitata ragazza.
《Ha una faccia l'ingegnere oggi...》osservai.
《Lo sai che è sempre così quando è l'ora di Anja...》rispose Alberto, riferendosi al segreto di Della Valle. L'uomo infatti si vedeva due volte alla settimana con Anja Ivanova, una escort di lusso con cui si rotolava nel letto e nelle montagne di coca.
Infatti a una cert'ora liquidò Cristina con una scusa e uscì di fretta, cosicché Alberto e io decidemmo di andare a farle compagnia visto che ci faceva pena.
《Allora, Sandrini ti darà una possibilità?》le chiesi.
《Non lo so, Alfonso si è caldamente raccomandato con lui, dicendogli che sono brava... Però è dovuto andare via così di fretta...》mi rispose sospirando.
《Che peccato...》fece Alberto. La stava prendendo per il culo ma lei era troppo cretina per accorgersene.
***
L'ingegnere passò le sue solite due ore nell'alcova di Anja, per poi tornare ad essere il fidanzato modello e il professionista impeccabile.
Dopo che se ne fu andato, suonarono di nuovo il campanello e la donna aprì la porta: era Corrado Bruni, il suo compagno, di professione spacciatore.
《Allora, se n'è andato il vecchiaccio?》esordì entrando nell'appartamento.
《Vecchiaccio... Ha quarant'anni!》replicò Anja.
《Indipendentemente dal vecchiaccio, quanto hai fatto?》domandò lui.
《Duecentocinquanta》rispose lei riferendosi al pagamento per la prestazione più la sniffata.
《Solo? Ma te lo devo ricordare che con Mimmo e Saro abbiamo un debito di quattrocento mila euro?》ribattè l'uomo.
《Che c'è, non hai venduto abbastanza roba ai tuoi figli di papà?》rimbeccò la russa.
《I figli di papà mica vogliono farsi tutti i minuti, mentre di scopare c'è più esigenza... Anzi, mi sa che te li passo tutti...》rispose piccato Corrado.
《Ecco bravo, passameli così magari riusciamo a rientrare anche dei centocinquanta rimanenti entro la settimana...》fece allora la escort.
《Una settimana è troppo tardi, lo sai》commentò lo spacciatore.
《Io i miracoli non li posso fare》concluse Anja Ivanova, sperando invece, come il compagno, che Mimmo e Saro, i due spacciatori di cui Bruni era alle dipendenze, concedessero loro una proroga.
Proprio di questo l'uomo andò a parlare ai suoi due capi, che gli ordinarono invece di trovare subito quei centocinquanta mila euro rimanenti altrimenti avrebbero ammazzato sia lui che la Ivanova.
Quest'ultima fece passare per il suo letto tutti i giovani e danarosi clienti tossici di Corrado, ma quando Mimmo e Saro vennero a riscuotere il debito, l'ammontare non era ancora stato raggiunto: perciò misero mano alle pistole e li crivellarono di colpi.
***
Mentre nei giorni seguenti Fortis e i suoi cercarono di scoprire a chi potesse interessare la morte di quei due poveri disgraziati, l'ingegner Della Valle si era precipitato alla Di Maggio Buildings S.p.A. per parlare con Ruggero.
《Come mai tutta questa urgenza, Alfonso?》chiese Di Maggio.
《Come hanno potuto Mimmo e Saro fare una cosa così orribile?》esordì sconvolto Della Valle.
《Mi dispiace ma non posso farci niente se la tua puttana e il suo uomo non rispettavano le scadenze!》fece seccato Ruggero.
《Erano due pesci piccoli, non facevano del male a nessuno...》replicò Alfonso.
《Vuoi un consiglio? Dimentica in fretta questa storia invece di avere dei rimorsi di coscienza, visto che forse hai molto più da perdere di me...》sbuffò spazientito l'industriale.
《E che cosa dovrei fare, secondo te?》domandò l'ingegnere.
《Pensa a te e a quella scema della tua fidanzata, dato che le hai anche trovato qualcosa da fare...》lo liquidò Di Maggio, sperando di non tornare più sull'argomento.
***
Non poteva neanche immaginare che il suo ex genero stesse addosso proprio all'ingegnere, tant'è che raccolse tutte le prove necessarie per incastrarlo con l'accusa di detenzione di droga, arrestandolo proprio mentre andava al lavoro.
《Tutto questo è assurdo, io sono incensurato!》esclamò indignato una volta che lo portarono nella stanza degli interrogatori.
《Dite tutti così...》cominciò Fortis, e lo tempestò di domande a tal punto che uscì fuori tutta la storia di Anja, Corrado, Mimmo e Saro, ma purtroppo per il commissario, il nome di Ruggero non saltò fuori nemmeno per sbaglio.
Amareggiato, lo fece portare nella stessa cella dell'avvocato Amati, che lo riconobbe e gli chiese se avesse mostrato segni di cedimento.
《No, ma che scherzi? Non mi sognerei mai di fare il nome del Grande Capo...》disse infatti.
《Meglio per te, che già Rizzo dava fastidio, ci mancavi solo te...》replicò Giorgio.
《Sono arrivati a te?》domandò l'ingegnere.
《No, fortunatamente. Ma adesso dobbiamo restare uniti. Adele mi ha informato sulla linea che sta seguendo sua sorella. Bastano poche mosse e la banda del Conte Bianco la facciamo scoppiare dall'interno》decretò l'avvocato.
***
Il volo Londra-Roma Fiumicino su cui viaggiava Elena Righi atterrò alle diciotto e trenta.
Francesco, il braccio destro di quello che lei chiamava "zio Italo", le aveva detto al telefono che ad aspettarla c'era un autista giovane con una macchina nera coi vetri oscurati: avrebbe dovuto chiedere di Marco Anselmi - l'autista si chiamava così.
Lo riconobbe perché stava sbracciando per farsi riconoscere: sorrise, pensando che a Londra uno che sbracciava in quel modo veniva etichettato come italiano a prescindere.
《La signorina Righi?》domandò il ragazzo, mentre lei si avvicinava.
《Ti prego, chiamami Elena e dammi del tu...》rispose la giovane, tendendogli la mano.
《D'accordo. Io sono Marco》fece lui stringendogliela. 《Aspetta, che carico i tuoi bagagli... Però, ti sei portata appresso tutta Londra!》aggiunse poi, mentre notava la gran quantità di bagagli della ragazza.
《Credo che dovrò trattenermi per un po'... Lo zio Italo doveva parlarmi di un progetto importante per la sua azienda...》disse Elena.
Marco guardò momentaneamente altrove: non aveva il coraggio di dirle che la Di Stefano Servizi S.r.l. era solo un'attività di copertura per traffici illegali di droghe.
《Sono sicuro che sei la persona più tagliata. Hai una laurea in Economia, no?》chiese, mentre chiudeva il portabagagli e le apriva lo sportello con galanteria.
《Certo che le notizie volano...》commentò la Righi divertita, mentre saliva.
《Alla villa abbiamo parlato tanto di te. Sei più attesa della Regina Elisabetta!》rispose Anselmi con un sorriso, mentre metteva in moto.
***
Alla villa-bunker dove vivevano Italo, la sua governante Carmen Gijon - sorella di Luisa, la compagna del defunto Chicano - col figlio Andres, Manuel e il cuoco Ezio De Marinis, c'era un clima di trepidazione: l'arrivo di Elena era stato pianificato nei minimi dettagli, niente doveva andare storto.
Quando il campanello suonò, Carmen corse ad aprire la porta.
《Elena, benvenuta!》esclamò entusiasta.
《Lei è Carmen, giusto?》domandò quest'ultima.
《Oh, vedo che tuo zio ti ha parlato di tutti noi... Ma vieni, cara, vieni dentro...》la guidò la Gijon.
Marco le seguì.
Elena fu affascinata da quanto fosse grande la villa, e da come si sentisse bene il rumore del mare.
Andres e Manuel vennero loro incontro.
《Elena, questo è Andres, mio figlio. E questo è Manuel Baschetti, lavora per tuo zio...》glieli presentò Carmen. Elena strinse la mano a entrambi, e il giovane Gijon le sorrise. Era affascinante, col suo ciuffo ribelle di capelli e gli occhi verdi da tigre.
《Elena!》la voce di Italo riecheggiò per le scale; l'uomo scendeva dal piano di sopra: aveva l'aria stanca, ma accolse la ragazza con un gran sorriso.
《Zio Italo!》la ragazza gli corse incontro. Non aveva la più pallida idea che in realtà Bianchi fosse suo padre, né che la povera Sara Di Stefano fosse sua madre: per lei erano solo degli zii che avevano un'azienda di servizi in Italia.
I suoi genitori erano ufficialmente Roberto e Aurora Righi, proprietari di un pub a Londra.
Lo abbracciò. Lui le baciò i capelli.
《L'ultima volta che ti ho vista eri alta la metà di oggi!》osservò l'uomo guardandola.
《Tu invece come stai? Hai l'aria un po' stanca... Ma dormi poco?》chiese Elena, sinceramente preoccupata.
《Ma no, va tutto bene... È che insisto a considerarmi un ventenne, ma la realtà è che sento il tempo che avanza...》mentì Bianchi. Era la vita da latitante a farlo dormire con un occhio solo.
《Ma che dici, sei un ragazzino!》replicò lei. Italo la strinse forte a sé mentre la accompagnava da Carmen, che l'avrebbe condotta in camera sua.
《Troppo buona... Dai, adesso riposati, che tra un po' è pronta la cena... Una cena degna di Queen Elizabeth!》esclamò ridendo il Conte Bianco, seguito a ruota dalla "nipote".
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