Capitolo 55
Nel 2007 la più grande crisi finanziaria degli ultimi anni partì dagli Stati Uniti per poi espandersi nel resto del mondo.
Ad informarci fu mia cognata Viola Sciarra, la sorella minore di Dario che abitava a New York e che avevo visto solo al mio matrimonio e alle feste comandate: raccontò di investimenti di massa, di prestiti chiesti alle banche, di bolle finanziarie che esplodevano, di gente che non riusciva a restituire i soldi perché non li aveva, di crediti in sofferenza.
Ben presto anche in Italia gli effetti si fecero sentire: i negozi chiudevano, la gente perdeva il lavoro, le case venivano affittate o vendute, il ceto medio si assottigliava sempre di più, tanto da rendere i ricchi sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri.
Anche nel Quartiere se ne parlava: d'altra parte la storia era sempre riuscita ad arrivare fin laggiù, infilandosi nelle intercapedini del muro dell'ignoranza e della diffidenza, gettandosi a capofitto nei centimetri di terreno liberi dai rifiuti e dalle siringhe, dando spazio all'amore, al dolore, alla speranza e alla voglia di cambiare il mondo, anche se lì non cambiava mai niente.
Tuttavia la chiusura del Quartiere fu la sua salvezza contro la crisi: l'attività di mio padre e quella di mia sorella rimasero sempre sulla cresta dell'onda.
A non conoscere crisi fu anche Franco Benedettini, proprietario del New Star, l'unico cinema del luogo, dove si proiettava un film al mese perché c'era una sala sola, piena zeppa quando c'era una pellicola nuova - al punto che la gente si sedeva sui gradini in mezzo alle file - e quasi vuota per i rimanenti trenta giorni.
Non aveva mai avuto intenzione di ingrandirsi; non faceva i soldi a palate, ma le sue protezioni gli garantivano una vita dignitosa senza dover chiedere l'elemosina a nessuno, nemmeno a Italo e Francesco quando gli volevano allungare le percentuali di vendita di droghe durante l'intervallo insieme a cibo e bevande, per il suo silenzio.
"In tempo di crisi ci sono due cose a cui la gente non intende proprio rinunciare: mangiare e divertirsi" affermava fieramente, seduto ai tavoli del nostro bar.
Quelli come lui sono destinati a cadere perennemente in piedi.
***
Ma fortunatamente quell'anno lo ricordammo anche per un evento più lieto: la nascita di Virginia, secondogenita di Antonio e Giulia.
A casa loro rimase appeso per giorni un fiocco rosa, e ci fu un viavai di gente: per la seconda volta nella sua vita la signora Rosa si addolcì nei confronti del figlio maggiore - la prima era stata la nascita di Salvatore.
A differenza di quest'ultimo, che somigliava ad Antonio, la neonata aveva ripreso i tratti chiari e delicati della madre; fu Laura a notarlo e a rimarcarlo al suo migliore amico.
《Non ha niente di te, proprio niente!》commentò divertita.
《Non ci avevo proprio fatto caso...》ammise Antonio.
《Ehhh, mica ti possono assomigliare tutti...》replicò mia sorella. Lei sicuramente sperava che Mario e Luisa non facessero le sue stesse scelte scriteriate, che studiassero fino a farsi una posizione elevata e culturalmente stimolante.
Sapeva di non poterli manipolare, ma avrebbe fornito loro tutti i mezzi per indirizzarli alla vita brillante a cui lei aveva rinunciato.
***
Passò qualche tempo, arrivò il 2009 con un accadimento epocale, che segnò la storia d'America e del mondo: l'elezione di Barack Obama, il primo presidente nero che metteva piede alla Casa Bianca; la sua vittoria ripagava la popolazione afroamericana di tutte le sofferenze subite fino agli anni sessanta.
Il suo discorso fu bellissimo, non solo per la sostanza, ovvero l'uguaglianza e il progresso, ma anche per la forma con cui venne pronunciato: il suono delle parole di Obama ricordava il rumore del mare.
Fece il suo ingresso al palazzo presidenziale di Washington DC in compagnia della moglie Michelle e delle due figlie Malia e Sasha: era una bella famiglia solida a cui il neo presidente teneva tantissimo, visto che era cresciuto con un padre fedifrago e un sacco di fratelli e sorelle sparsi per il globo.
Ci fece quasi tenerezza questo dettaglio, lo rendeva meravigliosamente umano.
***
Nel 2011 uscì il primo libro della saga "L'amica geniale": raccontava di due bambine di un rione povero di Napoli, dotate di una straordinaria intelligenza e della volontà di utilizzare l'istituzione come possibilità di rifuggire dalla realtà opprimente dov'erano nate e cresciute.
L'autrice si chiamava Elena Ferrante, o almeno così si presentava: infatti il suo era uno pseudonimo; infatti nessuno, a parte il suo editore, l'aveva mai vista in faccia: di lei si sapeva solo che era nata a Napoli nel 1943 e che conosceva bene il rione visto che si diceva fosse nata lì; usava quel nome fittizio dal 1992, quando uscì il suo primo romanzo, "L'amore molesto".
Vera o presunta, diede vita a un vero e proprio caso letterario, diventando molto più che la scrittrice preferita di Laura: da quando eravamo piccole mia sorella e io ci appassionavamo ai libri che leggevamo, facevamo nostre le vicende dei personaggi; questa volta però lei si appropriò delle vicende de "L'amica geniale" senza troppe spiegazioni, identificandosi con la forte e ribelle Lila Cerullo e assegnando a tutti noi i rimanenti ruoli: io ero Elena Greco, l'io narrante che era riuscita a laurearsi; Antonio era Nino Sarratore, il giovane intellettuale figlio del poeta-ferroviere Donato; nostro padre era don Fernando, il burbero e granitico genitore di Lila; Giovanni era Stefano Carracci, commerciante capace ma compagno inadatto all'irrequieta moglie; Italo era lo strafottente e criminale Marcello Solara.
Il rione, poi, era indubbiamente il Quartiere.
Il fervore con cui Laura si buttò nella lettura della saga fino al 2014 - anno in cui uscì "Storia della bambina perduta", l'ultimo romanzo della saga - mi commosse: faceva di tutto per dimostrare che era ancora intellettualmente viva e in grado di non soccombere alle regole non scritte del Quartiere, proprio come Lila.
***
Quell'estate me la ricordo anche per un altro fatto.
Era da circa due mesi che Sara non era più la stessa: distratta, stanca, pensierosa, aveva la testa perennemente tra le nuvole.
In un primo momento mia sorella non ci fece molto caso, presa com'era dalle sue letture, dalle sue creazioni e dagli affari, e forte del fatto che l'amica era sempre stata un po' stralunata: da quando s'era presa la licenza media era saltata da un lavoretto all'altro contrariamente alla più fortunata sorella minore Livia, la quale, dopo aver mollato Ragioneria al primo anno, aveva subito trovato un impiego come bigliettaia al cinema New Star che aveva lasciato solo per sposarsi con Claudio; innamorata senza speranza di Italo, s'era lasciata mettere incinta da quest'ultimo tredici anni prima e per non essere travolta dallo scandalo aveva dovuto partorire a Londra dagli zii e spacciare la neonata figlia per sua cugina.
L'aveva assunta nostro padre al bar come cameriera perché la signora Di Stefano l'aveva pregato in ginocchio, perché quella ragazza era la sua disperazione.
Solo che l'atteggiamento di Sara stava diventando talmente strano che mia sorella decise di affrontarla: un pomeriggio le si piazzò davanti mentre la giovane puliva i tavoli, mettendosi a fissarla a braccia conserte.
《Che c'è, mi stai sorvegliando?》domandò la Di Stefano levando gli occhi verso Laura, occhi di un colore indefinito tra il verde e il nocciola dove non predominava nessuno dei due colori.
《Sei strana》affermò mia sorella.
《Che dici?》ribattè Sara.
《Stai più fuori di quando eri incinta di Italo e lo nascondevi. Che ti sta succedendo?》replicò Laura con tono inquisitorio.
《Vado a Londra. Qui non c'è niente per me》ammise l'una.
《Sai che stai dicendo una cazzata》affermò l'altra.
《No che non è una cazzata, Laura. Il fatto è che siete andati tutti avanti, in un modo o nell'altro, mentre io sono sempre qui ferma. Anzi, certe volte mi sembra pure di tornare indietro》confessò la prima.
《E che farai?》chiese mia sorella.
《Intanto dirò la verità a mia figlia. Poi mi cercherò una sistemazione anche io. I miei zii mica sono eterni, non saranno per sempre accanto a lei. Dicono che è brava, sai? Prende tutti voti alti, come te. Magari si laurea pure...》rispose la Di Stefano con la voce incrinata. Laura pensò che non le stesse dicendo tutta la verità.
《Vuoi andare da Italo?》domandò.
《Assolutamente no. Lui è in Argentina e comunica con noi solo attraverso quelle casse di coca che stipate nel retrobottega del ferramenta. Non saprà mai che è sua figlia, sai bene che per Elena voglio una vita onesta...》ribattè Sara, quasi offesa. Ma mia sorella proprio non le credeva. Tuttavia decise di non insistere, sicura che sarebbe arrivata da sola al segreto dell'amica.
***
Se ne andò così, dalla mattina alla sera, e presto la sua partenza fu sulla bocca di tutti, dando vita alle poi disparate teorie su quella fuga: la più accreditata era quella che avesse un amante londinese.
A nessuno venne in mente che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio: quando sui giornali uscì la notizia di una giovane donna morta ammazzata a Madrid - tutt'altro posto rispetto a dove ci aveva detto che sarebbe andata - Laura capì tutto ciò che in quel momento a noialtri sfuggiva e che lei invece sospettava fin dall'inizio: si era vista con Italo, avevano litigato e lui l'aveva uccisa.
Non c'era altra spiegazione.
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