Capitolo 9

Agglutinati all'oggi
             I giorni del passato
             E gli altri che verrano,

             Per anni e lungo secoli
             Ogni mattina sorpresa
             Nel sapere che ancora siamo in vita,
             Che scorre sempre come sempre il vivere,
             Dono e pena inattesi
             Nel turbinio continuo
             Dei vani mutamenti.

             Tale per nostra sorte
             Il viaggio che proseguo,
             In un battibaleno
             Esumando, inventando
             Da capo a fondo il tempo,
             Profugo come gli altri
             Che furono, che sono, che saranno.
             (Ungaretti)


           

Ora,  tutti erano una squadra. Non erano più considerati come singoli  individui, ma come un'unica essenza, un'unica anima.

Questo non sarebbe  stato un problema per gli altri, quanto più per Silas che, con il suo  fare istintivo, spesso e volentieri poteva rischiare di mettere a  repentaglio la vita di tutti.

Dovevano ragionare in simbiosi,  vivere in simbiosi, anche se l'uno distava decine di chilometri  dall'altro.

             Agnes si era armata di cartina  – cimelio molto importante per loro, che aveva trafugato a suo marito.

             Sul suo volto c'era un'espressione concentrata, degna di una persona  che non voleva lasciare nulla al caso e molto meticolosa.

A Silas parve  strana, vistoi i suoi occhioni che le davano quell'aria spensierata e  sbarazzina.

             Si portò una ciocca bionda – che le era scivolata davanti – dietro  l'orecchio, sistemando poi degli oggetti pesanti sui bordi della mappa  per non farla muovere in continuazione.

             «Come potete vedere, ci sono dei punti segnati: questi sono dei posti  di blocco che dobbiamo assolutamente evitare. Sono certa di questo,  perché ho visto mio marito stesso segnarli dopo aver avuto una riunione  con alcuni dei suoi uomini.» Modulava la voce, le piaceva scandire bene  le cose e parlare una volta sola affinché non dovesse ripetere ogni  volta la stessa cosa e che fosse tutto chiaro dal principio.

             «Quindi cosa suggerisci?» Domandò Silas, avendola ascoltata ed essendo certo che lei avesse già un piano in mente.

             «Ho fatto stampare dei manifesti che specificano alcuni dei  fondamentali diritti umani, tra questi: la libertà. Vorrei creare dei  gruppi di due persone che possano affiggerli sui muri e altri che  rimangono qui per monitorare la situazione. Vi dirò le strade in cui  sarete liberi di agire e quelle che dovete assolutamente evitare. »  Ancora una volta, decisa e determinata.

Lei non aveva dubbi, sapeva  muoversi e, al contrario di Silas, oltre all'intenzione c'era anche la  razionalità. Quella sarebbe stata la sua occasione, Silas si sarebbe  potuto riscattare a se stesso e agli occhi di Lothar, oltre a quelli  delle persone appena conosciute.

Non era abituato a seguire gli ordini  di altre persone, ma lo avrebbe fatto. Il suo istinto gli diceva che  poteva fidarsi di lei e le sue idee erano molto simili alle proprie, per  questo l'avrebbe seguita e di conseguenza tutti avrebbero seguito gli  altri.

Non c'era più un solo leader o due leader, ma tutti dovevano  poter ascoltare gli altri, come avere il dovere e il diritto di poter  esporre il proprio pensiero e il proprio consiglio.

             «Bene, li appenderemo», rispose Silas, dando per scontato il volere  degli altri suoi compagni; ma non lo fece per presunzione o cattiveria,  semplicemente gli sembrarono scontente le loro intenzioni visto che  tutti erano li, attorno a lui e ad Agnes, pronti per agire.

             «Silas, tu andrai insieme a Lothar, mentre Bianca andrà insieme a  Linde.» Fece una pausa con la solita calma, cercando di ponderare sempre  tutto.

  «Voi quattro andrete insieme fino a questo punto.» Indicò con  il dito, mostrando l'unghia curata, un luogo segnato in rosso sulla  mappa – quelli segnalati dal colore scarlatto erano stati pensati  appositamente da lei. «Poi vi dividerete e tu e Lothar andrete in questa  via.» Indicò un viottolo sulla cartina. «Mentre voi, Bianca e Linde,  attraverserete questo ponte e poi vi rifugerete qui. In questa strada  potrete percorrere tutti i viottoli e le vie interne, qui non passerà  nessuno – almeno per questa notte. Mi raccomando, evitate le vie  principali.»

Aveva impartito le sue direzioni, Silas le aveva ascoltate  di buon grado e Lothar l'osservava pensieroso, ancora incerto di star  facendo la cosa giusta – voleva però dargli una possibilità, fidarsi  ancora di quello che aveva visto sin dall'inizio in Silas.

             Agnes diete le restanti locazioni agli altri due gruppi che sarebbero  poi andati ad appendere i manifesti e selezionato chi doveva rimanere  di vigilanza al Dorian Gray.

             Cominciarono a prepararsi per uscire, cercando un modo che potesse  dare meno nell'occhio. Agnes sarebbe rimasta lì nel locale ancora per un  po', poi sarebbe dovuta tornare a casa, lasciando gli altri di vedetta,  perché suo marito si sarebbe potuto insospettire.

             Lei osservava tutti in quel momento e per quanto Silas fosse vestito  in maniera anonima, i suoi capelli davano comunque nell'occhio. Agnes  aveva da parte qualche indumento in un baule, lo teneva per eventuali  contrattempi: doveva essere sempre pronta per ogni occasione.

             «Silas, prima di ogni altra cosa, prendi questo.» Gli passò un  cappello di tessuto affinché lui potesse nascondere quella massa di  capelli: meno davano nell'occhio e meglio era.

             Silas si sistemò la capigliatura come meglio poté all'interno del  cappello, sospirando poi, pronto ad adempire ai suoi doveri insieme al  compagno che gli era stato affidato: Lothar. Lui era il suo fidato  compare di rivolta e  gli era grato per quanto impegno e pazienza ci  stesse mettendo. Adesso doveva concentrarsi, però, perché altrimenti, a  causa della sua distrazione, non solo lui, ma anche tutti gli altri  avrebbero potuto rischiare la vita.

             Una volta usciti da lì, Lothar e Silas si guardarono per qualche  istante, legando il loro sguardo a una promessa, una solida e fatale  promessa che li avrebbe portarti a fidarsi l'uno dell'altro.

             Si erano imbattuti in una delle vie che Agnes gli aveva consigliato e  Silas, già dopo dieci minuti, accusava un'espressione turbata, ma non  era ancora consapevole della sua preoccupazione. Aveva paura, c'era  troppo silenzio e l'oscurità aveva avvolto tutto quanto.

Erano circa le  dieci e mezza e tutto taceva.

C'era così tanta calma che si potevano  sentire benissimo il rumore dei loro passi. Tutta quell'assenza di suoni  lo aveva portato di più in comunione con la sua interiorità e  finalmente riuscì a prendere coscienza del pericolo reale che stava  vivendo: era contro la legge, rischiava la vita almeno quanto la  rischiava Lothar, i suoi compagni e allo stesso tempo tutta la sua  famiglia. I suoi pensieri andarono subito verso suo padre e suo  fratello:  non avrebbe potuto vivere con quel senso di colpa e l'idea di  far del male a Salazar o all'uomo che con tanta fatica e amore lo aveva  cresciuto, lo distruggeva.

             Si guardava intorno con lo sguardo attento e impaurito, cercando  comunque di mantenere un certo contegno. Non voleva far trapelare certe  emozioni e non voleva assolutamente che Lothar le captasse.

             La luce della luna filtrava silente tra gli scorci di quei palazzi,  guidandoli appena, mentre lui portata i manifesti arrotolati sotto al  braccio e Lothar trasportava il secchiello contente la colla. Silas si  trovava davanti a lui, anche se di poco, e Lothar non avrebbe potuto  vederlo comunque; tuttavia si chiese il perché di tanto silenzio. Era  impossibile che Silas, avesse improvvisamente trovato tanto giudizio. 

Sapeva che avrebbe parlato in qualche modo, anche solo sussurrando o con  lo sguardo, facendogli intendere quello che stava pensando. Non potendo  avvicinarlo a parole, cercò comunque di raggiungerlo con i gesti, così  si avvicinò e gli posizionò un braccio intorno alle spalle che sentì  rigidissime, tanto che lo sentì scattare appena sotto il suo tocco per  poi rilassarsi immediatamente dopo aver riconosciuto Lothar. Silas era  nervoso, impaurito forse perché aveva intrapreso un'opera più grande di  lui, ma Lothar amava quel suo lato, quell'ambizione sana che avrebbe  liberato tutti. Se Silas non fosse stata quella testa calda che era,  forse lui non sarebbe stato lì a sostenerlo e a sostenere una cosa così  dannatamente pericolosa.

             «Sta tranquillo.» Lothar azzardò un sussurro vicino al suo orecchio,  nel freddo di novembre, e Silas poté percepire il respiro che lo  riscaldò nel profondo.

             Parlando, Lothar si era scoperto ma era abbastanza sicuro che, anche  in quel silenzio più totale, nessuno li avrebbe sentiti – per lo meno  non in quel momento.

             Silas annuì con il capo in un breve cenno per rassicurare l'altro,  anche se le sue spalle parlavano per lui: i manifesti non erano così  pesanti al punto di irrigidirlo, quello era sano terrore e la  comprensione di una responsabilità talmente grande che lo aveva  paralizzato letteralmente.

             Avevano continuato il loro tragitto spalla a spalla, visto che Lothar  aveva pensato di rimanere al suo fianco,  per infondergli sicurezza nel  tragitto. Percorsa tutta la stradina arrivarono fino al punto in cui  Agnes gli aveva detto di affiggere i manifesti. Silas si guardò intorno,  mentre Lothar aveva trovato un rialzo nel terreno dove poggiare il  barattolo della colla così da essere più comodi durante i movimenti.

             «Dobbiamo strappare prima questi» Il moro indicò i manifesti di  propaganda nazista che erano stati già appesi contro i muri e Silas  annunì, portando la mano al lembo di carta già rialzato cominciando a  tirarla piano verso il basso, cercando di portare via pezzi grandi e  senza fare eccessivamente rumore. La stessa cosa la fece Lothar,  aiutandolo a liberare quella parete.

             Avrebbero potuto fissarli sui precedenti, ma volevano dare un chiaro  segno di rivolta, una reazione esplicita del loro disappunto.

Così, ora  che i muri erano liberi e quella sporcizia ricadeva sul suolo di pietra,  Lothar prese il pennello che aveva nella tasca e dopo averlo immerso  nella colla lo passò sopra la parete interessata.

             «Avanti, sbrigati ad attaccare il manifesto» Persino nella sua voce,  ormai, cominciava a trapelare una certa agitazione. Si sentiva osservato  illogicamente perché non c'era nessuno, ma la semplice presenza della  luna, riusciva ad agitare entrambi, complici di un atto illegale.

             Silas srotolò i manifesti sulla superficie pietrosa e ne prese uno attaccandolo lì dove era stata posizionata la colla.

             Il manifesto rappresentava delle mani che si stringevano, tutte di  diverse etnie e dalle diverse forme: mani maschili stringevano  altrettante mani maschili, così per le femminili, fino ad arrivare alla  stretta più canonica. Sulle diverse mani erano stati disegnate varie  simbologie religiose o politiche opposte a quella Nazionalsocialista e  nel centro spiccava la scritta "Die Menschheit ist die Freiheit"  – i manifesti, infatti, erano volti a incoraggiare la tolleranza e  libertà di qualsiasi etnia e corrente di pensiero politico o religioso.

             Finito di tappezzare le pareti di quella stradina, decisero di  passare a un'altra; Agnes gli aveva detto che potevano percorrere  qualsiasi viottolo senza alcun problema, poiché nessuno sarebbe stato di  ronda in quella zona.

             L'unico errore di calcolo fatto dalla donna, fu quello di ignorare la  presenza di Ludwig che si trovava di pattuglia quella sera.

Lui si  sarebbe spinto ben oltre il controllo superficiale e marginale delle  grandi piazze, sapendo che la maggior parte delle cose avvenivano  proprio lì dove l'occhio non arrivava.

             Si trovava all'inizio dell'imbocco di quella grande strada che si  sarebbe diramata per quei viottoli che Silas e Lothar stavano  percorrendo.

In lontanzanza scorse con lo sguardo due figure che lui  stesso non distinse, ma il terrore che tra quelle due ci potesse essere  Silas – sapendo bene le idee rivoluzionarie del figlio – lo impietrì per  un secondo.

Si ritrovò a ragionare velocemente sul da farsi e su come  evitare che gli altri che lo seguivano potessero sospettare di lui.  Invece di proseguire dritto, diede l'ordine di svoltare l'angolo e  girare dalla parte opposta della strada principale, auspicandosi che  quei due che aveva intravisto fossero già passati nella stradina opposta  e sperando che nessuno dei suoi uomini li avesse visti.

             Silas e Lothar avevano attraversato la strada indisturbati grazie  all'ordine di Ludwig.

Erano terrorizzati dal fatto che potessero essere  stati visti – della presenza degli altri se ne erano accorti troppo  tardi, quando loro avevano già messo un piede al di là della soglia.

Una  volta raggiunta l'altra parte si erano felicemente resi conto che i  nazisti avevano cambiato direzione rispetto alla loro.

             «Mein Gott! Che paura.» Silas imprecò sotto voce dopo essersi  appoggiato contro il muro ed essersi posato una mano sulla fronte come  per rilassarsi dopo lo spavento preso.

             «C'è mancato poco», disse Lothar, altrettanto preoccupato. «Non  doveva essere una strada libera questa?» Domandò dubbioso verso Silas  che, nel mentre, aveva riacquistato una posizione decente.

             «Si ma è probabile che qualcuno si sia preso la briga di ampliare i giri di guardia», rispose il biondo.

             «E se fosse stata un'imboscata?» Lothar era dubbioso, ancora non si  fidava di Agnes e finire in trappola come un topo proprio non gli  sarebbe piaciuto.

             «Non penso si trattasse di un'imboscata, ci sono soldati e ufficiali  scrupolosi dentro quel pattume.» Silas era convinto di quanto stesse  affermando, certo della buona fede di Agnes.

             «Cosa ti rende così sicuro?» I dubbi di Lothar lo facevano  scalpitare, ma cercava sempre di trattenersi di non alzare la voce, di  parlare quanto bastasse per farsi sentire.

             «Mi fido di Agnes e poi so che alcuni di loro, come per esempio mio  padre, fa fare alle truppe giri di ricognizione più ampi. Io ho parlato  con Agnes la sera del ballo, so che lei è dalla parte giusta e non ci  vuole mettere in trappola. Corre i nostri stessi rischi, per cui cerca  di stare tranquillo.» Silas non aveva la lucidità tale né i nervi saldi  per poter sostenere una conversazione, voleva semplicemente finire il  lavoro che doveva fare e andarsene, così da poter stare sereno e non  pensarci più.

             «Tu mi chiedi di stare tranquillo... come faccio a stare tranquillo?  Io non so cosa ti ha detto quella donna: vorrei affidarmi alle tue  parole, ma non posso fidarmi di una donna che non conosco e per giusta  moglie di un nazista.» Lothar sembrava deciso a rimarcare la sua idea a  riguardo, forse perché anche lui aveva molta paura in quel momento e le  reazioni della mente alla paura sono sempre infinite.

             «Ormai siamo qui e non possiamo andarcene, anche volendo, visto che  portiamo ancora questi manifesti con noi; per cui, l'unica cosa che  resta da fare è attaccarli tutti e andarcene da qui il più presto  possibile.»

             Silas si mosse per strappare i vecchi manifesti, prese il pennello  con la colla, la spalmò sulla parete e attaccò i nuovi.

Lothar scosse la  testa, sapeva quanto potesse essere testardo e a volte proprio non lo  sopportava, specie quando si impuntava su certe cose; ma piuttosto che  fare il vigliacco e lasciarlo lì, solo e in balia di chissà quale  pericolo, decise di aiutarlo a finire prima il lavoro.

             In mezz'ora riuscirono ad affiggere tutto e ad abbandonare quelle  strade una volta per tutte. Lasciarono li il secchiello con la colla  ormai vuoto e il pennello – abbandonando ogni prova al suo destino. Era  meglio non portarsi nulla dietro, donde evitare che ricadesse qualsiasi  sospetto su di loro, d'innanzi a un imminente pericolo.

             Continuarono a percorrere strade interne per fare ritorno a casa,  dato che vigeva il copri fuoco, se fossero: stati beccati a quell'ora  del mattino, sicuramente avrebbero potuto sospettare di loro.

             «Silas, sono le quattro del mattino.» Lothar si rivolse al biondo che  lo guardò leggermente perplesso non capendo come l'altro avesse fatto a  comprendere l'ora senza avere con se un orologio.

             «Come hai fatto a...» Silas era decisamente stupito dalla capacità  dell'amico, lui di solito indovinava l'ora per intuito, ma la notte per  lui era un mistero: non riusciva quasi mai a indovinare; invece, Lothar  gli era sembrato molto sicuro di quanto stesse affermando.

             «Comprendere che ora fosse?» Lothar gli sorrise appena, era raro che  sorridesse ma in quel momento gli venne spontaneo nel vedere la faccia  quasi fanciullesca che il biondo, nella meraviglia, gli aveva propinato.

             «Sì, esattamente.» Fece un cenno affermativo col capo.

             «Ho imparato a orientarmi con le stelle. Quando ero piccolo guardavo  spesso il cielo durante il giorno, specie quando mi ritrovavo da solo in  casa. L'estate, passavo giornate fuori in cortile e vedevo le ore che  passavano, la stessa cosa per la notte. Così facendo, con il tempo ho  imparato a distinguere tutte le ore del giorno.» Diversamente da Silas,  Lothar non accusava la solitudine e tutte quelle ore infantili che aveva  trascorso da solo lo aveva portato ad avere un carattere riflessivo. 
Aveva osservato spesso le persone e ascoltato i più disparati discorsi,  questo lo aveva indotto ad affrontare nella maniera corretta quasi ogni  situazione.

             «Oh ma allora sei veramente fantastico!» Il suo lieve sarcasmo volto a  far imbarazzare Lothar era tornato, segno che forse era scemata parte  della paura, anche se non erano ancora del tutto fuori pericolo.

Silas  era comunque abituato a girare di notte, visto le frequentazioni per i  night, pertanto ora che non aveva più nessun manifesto sotto il braccio  era più sereno.

             «Smettila Silas...» Aveva alzato vagamente il tono di voce, perché si  era sentito messo in imbarazzo e quasi deriso dall'altro, ma non voleva  darlo a vedere, pertanto gli era uscito un imperativo piuttosto  perentorio; allora si calmò, rimodulando la voce in maniera silente: «Ti  devo chiedere un favore...»

             «Dimmi!» Nel sussurro si sentì che, se avesse potuto parlare, la sua  voce sarebbe stata senza dubbio squillante, semplicemente felice per la  presenza dell'altro.

             «Potresti ospitarmi fino a quando dobbiamo andare a scuola? Tre ore,  in pratica.» In sostanza si autoinvitò senza remore, semplicemente per  la necessità di avere un tetto sotto la testa non potendo tornare a casa  propria.

             «Certo!» Affermò convinto il biondo.

             «Sei sicuro? Tua madre o tuo padre non si arrabbieranno?» Gli venne  spontaneo fargli quella domanda. Non conosceva assolutamente nulla della  situazione famigliare di Silas e nel vederlo abbassare la testa per un  breve momento gli fece fermare il cuore, perché intuì di aver toccato un  punto dolente senza volerlo.

             «No, no.» Fece un gesto con la mano per accentuare la sua risposta.  «Sta tranquillo, mia madre neanche se ne accorgerà e mio padre molto  probabilmente non è in casa.» Sorrise appena a quell'affermazione, ma si  poteva intuire benissimo che era un sorriso di scherno verso se stesso e  un po' amaro; in quel momento Lothar si  pentì di avergli fatto quella  domanda, sicuro di averlo indotto a ricordare qualcosa di doloroso.  «Piuttosto, dimmi Lothar: come farai per la divisa?» Chiese Silas a quel  punto, perplesso nel non vederlo con nessuna borsa al seguito.

             «L'ho nascosta dentro un sacco, in un sentiero vicino casa tua,  sperando che mi avresti ospitato. Qualora tu non lo avessi fatto sarei  rimasto sotto un albero fino all'alba, lì, nel sentiero.»

             «Figurati se ti lascio da solo sotto un albero.» Silas rise quasi  malizioso, i desideri verso Lothar si facevano sempre più latenti,  intricanti e profondi.

             «Hai detto a tuo padre che avresti dormito da me?» Gli domandò poi, curioso di sapere quei dettagli che non conosceva.

             «Si, non sapendo che ora avremmo fatto qui gli ho detto che sarei  rimasto da te – per non destare sospetto. Di solito, quando ci mandi tu a  fare i giri per i manifesti, dico sempre a mio padre che vengo da te  per studiare – anche se è spesso contrario – perché teme per me per il  coprifuoco. Mi lascia andare perché sa di chi sei figlio e perché gli  dico che in caso ci penserebbe Herr Dubois.»

             «Sei impazzito?» Silas non era arrabbiato, ma divertito, amava vedere  qualche spiraglio di ribellione anche nell'altro.
«Se ti sentisse mio  padre, prima ti ucciderebbe
e poi ti direbbe che hai fatto bene.» Rise  ancora sperando di non averlo fatto troppo a voce alta: cercava sempre  di reprimere ogni tono acuto visto il pericolo dietro l'angolo.

             Camminarono ancora per un poco e ormai quasi arrivati a casa poterono tirare un sospiro di sollievo, sani e salvi.

             Silas non aveva mai portato a casa sua Lothar – in realtà non aveva  mai portato nessuno a casa, per quanto lui fosse stato sempre abbastanza  intraprendente: non aveva avuto molti amici e aveva conosciuto molto  presto la solitudine anche a causa di sua madre; il suo unico vero amico  era stato sin da piccolo il suo cavallo. Lothar non poteva essere  definito un amico, perché il suo sentimento si stava spingendo ben  lontano dall'amicizia, ma questo lo avrebbe taciuto ancora per molto  tempo.

             «Non siamo nel retro della casa?» Domandò Lothar, notando la locazione che avevano preso.

             «Sì, entriamo da questa parte così nessuno ci sentirà. Non voglio  dare nell'occhio e non voglio che qualcuno si preoccupi.» Stava  inventando qualcosa, Lothar se lo sentiva, ma non immaginava che l'altro  non volesse farsi vedere da sua madre, tutto avrebbe voluto che lo  prendesse a male parole davanti a Lothar.

             «D'accordo, come vuoi», rispose Lothar senza fare domande.

             Entrarono nella casa da un passaggio che Silas aveva trovato tramite  il muro, dall'esterno non si vedeva nulla, bisognava conoscerlo quel  passaggio. Lothar era sorpreso, non si aspettava di certo una cosa del  genere. Quella era l'entrata che dava sul retro che li aveva condotti in  una delle tante aree libere della casa.

             Lothar si guardava intorno curioso, ammirando la grandezza della  edificio e di come non ci fosse nessun cenno a quello che sembrava  volere la Germania in quegli anni.

             «Silas, ma non si insospettirebbero se venissero a controllare a casa  tua?» Domandò seriamente preoccupato per la sua sorte e quella della  sua famiglia, vista l'assenza delle effigie naziste.

             «Abbiamo la bandiera appena fuori casa,  per me è già tanto e sono  sicuro che anche per mio padre sia un affronto far sventolare quella  bandiera; inoltre, nel suo studio c'è l'essenziale che serve per non  dare nell'occhio», lo rassicurò.

             Quella casa era fatta di passaggi, Silas lo aveva condotto tramite  corridoi inaspettati che si aprivano su altre alee della casa – davvero  un mistero come lo era tutta la sua famiglia del resto.

             Arrivati finalmente alla camera di Silas, i due entrarono e il biondo  poté tirare il sospiro di sollievo definitivo, mentre si toglieva il  cappello, lasciando ricadere così i suoi capelli.

             «Non ce la facevo più a stare con questo capello!» Affermò, gettandolo sulla scrivania.

             «Siamo viziatelli, eh...» disse di rimando Lothar, schernendolo  affettuosamente. Lothar, però non poté fare a meno di essere indiscreto e  cominciò a guardarsi intorno: era troppo curioso e in fondo desiderava  anche lui conoscere al meglio Silas – per lo meno inconsciamente.

             Guardandosi a torno, scorse una pila di libri che Silas teneva  apertamente nonostante Ludwig gli dicesse più volte di lasciarli così in  bella mostra. Lothar si piegò appena per leggere i titoli sul dorso di  questi.

             Tra di essi c'era anche il Manifesto del partito comunista. Lothar sorrise appena, nel vedere la fonte delle idee di Silas.

             «Allora anche tu leggi ogni tanto.»  Gli disse. Gli piaceva  schernirlo e in fondo Silas lo faceva con lui – in un certo senso  trovava divertente punzecchiarlo.

             «Sì, anche io mi diletto a leggere ogni tanto. Se solo trovassi più  spesso romanzi erotici sarebbe meglio, però», rise appena.

Lothar alzò  gli occhi al cielo: era il solito, ogni occasione era buona per dirne  una delle sue.

             Il moro si concentrò di nuovo nel leggere i titoli dei libri  restanti, quando anche Silas lo raggiunse nella stessa posizione e,  avvicinando una mano contro la nuca di Lothar, accarezzò appena la parte  dei capelli rasata. Sentì un leggero solletico sfiorargli i  polpastrelli: una bellissima sensazione secondo il suo punto di vista.

             «Silas!» Disse perentorio guardandolo serio.

             «Si?» Domandò sornione, facendo finta di niente.

             «Non ci provare!» Lothar era stato chiaro più volte con lui. A ogni  sua minima allusione era sempre stato chiarissimo a riguardo: non amava  il genere di compagnia che poteva interessare a Silas, oltre a quella  delle donne.

             «Sei noioso!» Gli disse Silas di rimando, mettendo appena il broncio e  sedendosi poi sulla sedia della scrivania. «Vuoi dormire con me,  sperando che io non ti morda, oppure sulla poltroncina?» Gli domandò,  sorridendo ancora una volta in quel modo – degno di un mascalzone.

             «Silas!» Lo riprese ancora.

             «Che c'è?» Ancora una volta fece finta di niente facendo spallucce.  Nella vita, per lui ogni lasciata era persa e Lothar non voleva di certo  lasciarselo scappare; ma non voleva averlo soltanto per una notte, lui  desiderava Lothar più di ogni altra cosa.

             «La poltroncina andrà benissimo», concluse Lothar, avviandosi verso  di questa e sistemandosi come meglio possibile, mentre Silas si stendeva  sul suo letto.

             «Allora buona notte! A fra un po'»

             «Buona notte.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top