Capitolo 8

A tutti i folli.
I solitari.
I ribelli.
Quelli che non si adattano.
Quelli che non ci stanno.
Quelli che sembrano sempre fuori luogo.
Quelli che vedono le cose in modo differente.
Quelli che non si adattano alle regole. E non hanno rispetto per lo status quo.
Potete essere d'accordo con loro o non essere d'accordo.
Li potete glorificare o diffamare.
L'unica cosa che non potete fare è ignorarli.
Perché cambiano le cose.
Spingono la razza umana in avanti.
E mentre qualcuno li considera dei folli, noi li consideriamo dei geni.
Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo sono coloro che lo cambiano davvero.

(Steve Jobs.)

La mattina dopo il ballo si aprì come tutte le altre, tranquilla – per quanto potesse essere tranquilla una mattina in casa loro. Silas si era svegliato in tutta calma, sapeva che aveva un appuntamento intorno alle undici con Lothar.

Dovevano vedersi, essendo domenica, e non avevano scuola.

Si sarebbero incontrati per uno dei loro discorsi idealistici su cosa fosse giusto e cosa no, anche se Silas non sembrava molto improntato per un simile discorso e sopratutto era all'oscuro dell'intento di Lothar.

Si era svegliato accanto a suo fratello, rannicchiato vicino a lui e ancora frastornato per le parole di sua madre.

Doveva però scuotere la testa il prima possibile e andare avanti, perché aveva altre cosa da fare piuttosto che piangersi addosso per le ingiurie di una donna che non lo aveva mai voluto.

Si alzò delicatamente dalla sua postazione, notando che suo fratello dormiva ancora. Gli sorrise anche se non poteva vederlo e gli accarezzò leggermente i capelli: era davvero contento di vederlo sereno e disteso, tranquillo e non in preda a una muta ansia a causa di Regan.

«Papà, ma sei ancora qui fuori?» Silas aveva aperto la porta e aveva notato che Ludwig era ancora seduto lì in terra.

A giudicare dalla sua espressione stanca, ci mise davvero poco a capire che suo padre non aveva chiuso occhio.

«Sì.» Si tirò su per far passare Silas e lo guardò.

Era ancora mortalmente dispiaciuto per il fatto che suo figlio avesse sentito tutto, davvero non lo avrebbe mai voluto e sapeva quanto Silas potesse essere orgoglioso.

Si sarebbe tenuto tutto dentro pur di non sfogarsi, di non sembrare debole agli occhi di suo padre; si sarebbe tenuto tutto dentro fino a scoppiare – non che questo avrebbe giovato alla sua salute, ma era l'unico modo che conosceva per andare avanti e sapeva che se si fosse fermato a riflettere o a far riaffiorare ogni minima sensazione, si sarebbe abbattuto e non avrebbe potuto permetterlo a se stesso: lui aveva una causa da portare avanti e pertanto non sarebbe crollato fino a quel momento, o almeno così si era promesso di fare.

«Dove vai?» Gli domandò Ludwig con un tono di voce basso, tanto era stanco.

«Devo vedere Lothar e voglio andare al maneggio.» Rispose Silas in tutta sincerità, sorridendo appena a suo padre.

«Lothar, eh?» Aveva pronunciato il suo nome con un certo disappunto, ricordandosi di come si erano presentati davanti a villa Wolf.

Era preoccupato, Ludwig, perché sapeva quanto suo figlio potesse avere una mente rivoluzionaria, ma non sapeva fino a che punto poteva esplodere con qualcuno che lo sosteneva.

«Senti papà, adesso che io devo uscire, tu stenditi vicino a Salazar, così puoi riposare e nel frattempo puoi vigilarlo.»

Ludwig annuì alle parole di Silas, deciso a lasciarlo andare e sperando che questo non facesse enormi stupidaggini. Tanto sapeva che, se lo avesse contrastato, suo figlio avrebbe potuto fare anche di peggio per il mero gusto della ripicca.

Il ragazzetto si diede una sistemata veloce al bagno, cambiandosi anche i vestiti e rinfrescandosi bene il viso a causa della faticosa nottata appena trascorsa.

Una volta uscito, poté costatare di come fuori, nonostante fosse novembre, facesse abbastanza caldo, tanto da permettere a Silas di non congelarsi – visto che lui era un tipo tremendamente freddoloso.

Sapeva che Lothar lo stava aspettando di fronte casa sua e di fatti lo vide non appena uscì: se ne stava poggiato contro la cancellata della ricca casa davanti alla loro.

Lothar aveva sul proprio volto un'espressione seria, ma non più austera rispetto alle altre volte, in fondo lui era un tipo rigoroso; quindi, Silas non immaginava minimamente cosa stesse covando dentro.

Il moro non sapeva dove l'altro lo avrebbe condotto, pertanto avrebbe aspettato di arrivare alla meta designata per fare una bella lavata di capo a Silas.

Una volta arrivati al maneggio, Lothar era sempre più perplesso, rimaneva meravigliato dinnanzi all'indifferenza di Silas, perché lui sapeva che il biondo era andato alla festa, mentre l'altro era ignaro di tutto.

Non aveva fatto caso, neanche all'ambiente circostante, per quanto fosse irato con lui, e non potendo più aspettare si decise a parlare:

«Potresti spiegarmi una cosa Silas?» Si era piantato in mezzo all'immenso prato del maneggio. Era un bel posto grande, dotato di un rigoglioso prato verde, dove i cavalli potevano passeggiare e vivere a contatto con la natura com'era giusto che fosse, in fondo.

Silas si arrestò improvvisamente con una vera espressione stupita sul volto: dal canto suo sapeva che doveva dire a Lothar dell'invito ricevuto per il Dorian, ma dall'altra parte non si sarebbe mai aspettato che l'altro si fosse presentato la sera precedente a villa Wolf, ignaro di tutto e anzi accusandolo persino di tradimento.

«Dimmi, Lothar» Sbatté un poco le palpebre perplesso, curioso di sentire cosa l'altro aveva da dirgli

«Cosa diavolo ci facevi a casa Wolf?» Gli domandò schietto e brutale, senza mezzi termini, senza giri di parole, ma sfacciato e conciso – in fondo erano proprio quei connotati che piacevano tanto a Silas, per questo lo aveva scelto come suo secondo ed erano diventati molto uniti.

Silas si sentì spalle al muro, improvvisamente.

Voleva essere lui a spiegargli le cose come stavano e come erano andate, sopratutto perché aveva deciso di tenerlo all'oscuro di tutto, invece, Lothar aveva rovinato ogni suo piano, lasciandolo spiazzato. Fortunatamente riuscì a darsi una sorta di contegno interiore, cercando di formulare un discorso di senso compiuto.

«Sono andato lì per il compleanno di Friederich, non sono stato invitato solo io, ma anche tutta la mia famiglia, pertanto non potevo tirarmi indietro.» Effettivamente, Silas aveva detto la verità, ma Lothar colse subito un dettaglio che l'altro aveva volutamente omesso.

«Suppongo che tu l'abbia ricevuto prima l'invito, pertanto potevi anche sforzarti di rendermi partecipe della faccenda.»

Silas alzò un sopracciglio, perplesso, non comprendendo o forse capendo solo a metà l'importanza di quell'avviso da parte sua.

«Non volevo mettervi in mezzo, né a te né ai nostri compagni, così ho preferito tacere.» Fece spallucce, in fondo lo aveva fatto veramente con quell'intento.

«Silas, basta con questi buoni propositi. Se davvero non volevi metterci in mezzo, allora avresti dovuto pensarci molto prima, quando avevi deciso di fondare il nostro gruppo.» Lothar era molto arrabbiato e lo si poteva notare dalla sua espressione, dalle sue sopracciglia fortemente crucciate. Aveva mosso anche qualche passo verso di lui e gesticolava nella sua rabbia.

Silas, invece, rimaneva immobile all'ascolto e si imbronciava, anche se pure lui non era esente dal gesticolare durante una conversazione animata.

«Sentimi bene, io non ho costretto nessuno a differenza di quei sporchi nazisti, pertanto non rinfacciarmi questa cosa. Voi avete scelto di seguirmi perché pensavate che quanto stavo dicendo fosse giusto, per cui non fate ricadere su di la responsabilità.» Si era scaldato in quel preciso momento, quando aveva sentito quelle parole, e lui stesso si era avvicinato a Lothar, guardandolo con astio, adesso.

«Allora, se la pensi così, dovevi avvisarci comunque, perché noi dobbiamo sapere dove va il nostro capo. Se è vero che la responsabilità non è tua, ma nostra, prenditi la briga, almeno, di informarci.» Lothar continuava sulla sua strada, convinto che comunque, per un motivo o un altro, Silas avesse sbagliato.

«Se ve lo avessi detto, cosa sarebbe cambiato?» Silas alzò la voce, stanco di tutta quella conversazione.

«Sta zitto, idiota, vuoi farti sentire da tutti?» Lo ammonì, anche se vicino a loro non c'era nessuno, ma era sempre bene stare attenti, perché lì tutto aveva occhi e orecchie.

«Cambiava che noi non avremo sospettato di te e del tuo comportamento, ecco cosa cambiava.» Disse Lothar a voce bassa, sospirando poco dopo e ripensando che lui e il resto del gruppo avevano pensato che, per chissà quale motivo, Silas fosse passato dalla parte del nemico.

«Cosa vorresti dire con questo?» Fu l'altro adesso ad adirasi. Silas odiava quando sospettavano della sua integrità morale, almeno in campo politico: lui non sarebbe mai passato dalla parte di chi detestava.

«Ci avresti potuto evitare di pensarti un traditore, non ci avresti spinti a raggiungerti fino a lì» sbottò Lothar, sempre contenendosi, perché se poco prima aveva ammonito Silas, di certo non si sarebbe messo lui in condizione da essere ripreso.

«Che cosa avete fatto? Siete forse impazziti? Volevate morire?» Silas non si capacitò della stupidità dei suoi compagni: come gli era saltata in mente una simile idea?

«Chi ve lo ha ordinato?» Chiese di rimando, poi.

Se era vero che lui era il leader, allora dovevano rispettare i suoi ordini, non di chi si improvvisava tale.

«Ho preso io il comando momentaneo e ci siamo spinti fino a lì.» Lothar lo guardava serio, non voleva certo farsi mettere i piedi in testa dall'altro, anche se questo era il suo capo.

«Non ti ho autorizzato! Dovrei pensarlo io che sei un traditore del gruppo, manco una sera e voi fate di testa vostra? Siete impazziti? Tu, Lothar, non osare, non devi!» Forse stava esagerando ponendosi su un piano superiore, ma in fondo era tutta la foga funesta di quel momento a farlo comportare peggio di altre volte.

«E tu? Tu che sei così presuntuoso, Silas, c'eri arrivato a pensare che quella potesse essere una trappola? Una trappola per studiare i tuoi comportamenti?» Non potendo alzare la voce i suoi gesticolamenti si facevano sempre più scenici e così quelli del biondo che non tardava mai di rispondere.

«Certo, ma cosa avrei dovuto fare eh? Dire a mio padre che non sarei andato così da metterlo in pericolo? Non ho mai scelta in questo, perché tra far arrabbiare voi e mettere a repentaglio la vita di tutta la mia famiglia, perdonami, ma preferisco farvi arrabbiare. Se io sbaglio possiamo sempre rimediare o comprenderci, ma se sbaglio insieme a mio padre allora cola a picco tutta la mia famiglia.» La voce di Silas cominciava a farsi sentire appesantita da quella situazione.

Si ravvivò i capelli biondi e lunghi sospirando stanco e frustrato: quella situazione lo stava facendo davvero agitare.

Tutto quel trambusto, il continuo stare attento e la preoccupazione di dover mettere a repentaglio la vita di qualcuno, aveva fatto crescere in lui un'ansia abissale, tanto che a volte si sentiva oppresso da tutti i lati.

Non avrebbe mai raccontato, né tantomeno espresso i suoi momenti di cedimento, le sue paure o le sue angosce, l'orgoglio glielo impediva. Lothar, però, dal canto suo, prima di pensare che lui fosse un traditore, era seriamente preoccupato per la sua sorte e questo lo aveva spinto ad agire in maniera sconsiderata.

Lo guardò e gli bastò un attimo per capire che, probabilmente, avevano esagerato e sbagliato entrambi, pertanto decise di mettere un punto a quella situazione, chiudendola definitivamente.

«Silas, noi siamo un gruppo e abbiamo il diritto di sapere i tuoi spostamenti, come tu hai il diritto di conoscere i nostri. Da oggi sai che devi dirceli affinché noi possiamo essere coesi.»

Lothar aveva un forte spirito di squadra e forse quel pizzico di seria maturità in più che all'altro mancava.

Silas annuì un po' affranto, capendo che nascondendo tutta la questione del ballo non era servito a niente, perché tutelare qualcuno all'insaputa dell'altro, forse era sbagliato, ma non era ancora del tutto convinto che lo fosse stato sempre.

«Oggi, ti ho portato qui per farti vedere una cosa, una cosa che vorrei condividere con te.» Chiuse il discorso, ancora ferito, ma lo chiuse avendo intuito che l'altro si era finalmente dimostrato comprensivo nei suoi confronti e lo stesso aveva fatto Silas: si erano andati incontro, insieme.

Lothar alzò un sopracciglio, curioso di sapere cosa l'altro volesse mostrargli, pertanto rimase in silenzio, mentre seguiva con i propri passi l'altro.

Silas aveva preso, infatti, a camminare senza pronunciare più una parola, così da tenere vivo l'interesse e la curiosità di Lotar, visto che il biondo aveva in mente un bello scherzetto da fargli – giusto per stemperare ancora di più la tensione.

Chissà cosa gli avrebbe dovuto mostrare al maneggio se non un cavallo? Eppure le stalle si scorgevano, ancora, soltanto in lontananza, per questo la sua curiosità accresceva sempre più: da Silas si aspettava di tutto, perché non dava per scontato che potesse essere un semplice equino.

Improvvisamente, il biondo si fermò di scatto e si voltò verso di lui, costringendo Lothar a destarsi subito dai suoi pensieri.

«Allora ti ho portato qui per presentarti...» Ancor suspense e il suo sorrisetto sul volto non prometteva nulla di buono.

«Per presentarmi?» Rincarò Lothar, stanco di tutto quel mistero.

«Il mio fidanzato!» Esclamò Silas, raggiante in volto e conscio di quello che stava dicendo.

Lothar, invece, strabuzzò gli occhi incredulo a quanto stava ascoltando.

«Il tuo cosa?» Domandò perplesso e sconvolto quasi. Sapeva che a Silas piacessero anche gli uomini e si era trovato spesso a disagio davanti ai suoi discorsi, ma lo aveva sempre visto andare per night club, quindi questa storia del fidanzato gli sembrava davvero assurda.

Non disse più nulla, il biondo, incamminandosi ancora fino a raggiungere le stalle ormai vicine.

«Si trova in una stalla il tuo fidanzato?» Fece ironico Lothar. «Eppure pensavo che tu avessi gusti più raffinati e che fossi un tantino più esigente.»

«Oh, non credere, il mio è un vero esemplare e poi, Lothar, non è detto che io debba avere dei gusti prestabiliti.» Lo guardò in quel momento e lo guardò in maniera differente rispetto al solito: un po' più suadente, restringendo appena lo sguardo azzurro e luminoso.

Mosse ancora qualche passo in direzione delle stalle, portandolo davanti a una ben precisa.

Non si intravedeva ancora nulla, quindi Lothar si mise a pensare davvero alla possibilità che ci fosse un altro ragazzo lì dentro e che, conoscendo Silas, lo avesse nascosto per presentarglielo veramente.

«Büshel, vieni avanti, forza, non fare il timido.» Silas lo chiamò, incoraggiandolo a palesarsi.
«Büshel? Pittoresco come nome per un povero ragazzo.» Se ne stava con le braccia conserte, ignaro di ciò che avrebbe visto da lì a breve.

«Trovi? Fidati è adatto a lui.» La risposta di Silas fu immediata e fortunatamente la mente di Lothar non era in grado di partorire tale doppi sensi.

Improvvisamente ecco che si mostrò il maestoso cavallo di Silas, un Hannover, un bellissimo destriero di razza germanica, nero con delle macchioline bianche sparse per tutto il corpo: adorabile.

Quando questo si palesò si fece subito coccolare il muso dal suo padrone e in quel momento Silas sembrò raggiante agli occhi di Lothar, tanto da farlo sorridere nel vederlo così sereno.

«Ora capisco la storia del fidanzato, ma spiegami una cosa... perché lo hai chiamato ciuffo?» Era davvero curioso di sapere la sua versione adesso, sapeva che Silas aveva sempre idee bislacche nella scelta dei nomi.

«Quando era un puledro, aveva una codina piccola che sembrava un ciuffetto! Ecco, da qui il nome.»

«Capisco.» Fu davvero molto eloquente quell'affermazione.

«Come mai mi hai portato qui oggi? Volevi mostrarmi il tuo cavallo per un motivo in particolare?» Domandò Lothar, ora sicuramente più sereno e tranquillo nel vedere che Silas, lo aveva amabilmente preso in giro e che si trattava di un cavallo e non di un altro uomo, anche perché, Lothar era abbastanza territoriale e si sarebbe messo subito in competizione anche se non era ancora al corrente di tutta questa sua ferocia verso le cose a cui teneva.

«Perché penso che io e te, Lothar, nonostante le numerose sfuriate, abbiamo un legame. Mi faceva piacere mostrarti parte della mia vita.»

A volte riteneva quel ragazzo davvero curioso, prima lo teneva fuori da balli e ricevimenti e poi voleva catapultarlo nella sua vita; non che a Lothar non facesse piacere, ma era comunque una sensazione strana, quella che stava provando in quel momento.

«Quando hai preso questo cavallo, Silas?» Domandò a quel punto, visto che voleva renderlo partecipe. Gli sembrava corretto fargli domande, anche perché, a quel punto voleva soddisfare la sua curiosità.

«Me lo ha regalato mio padre.» Sorrise a quel punto.

Da quando era nato Salazar, Regan si era isolata in un mondo a parte, alienandosi completamente dalla realtà.

Durante il suo secondo parto, il suo utero era prolassato e per non mettere a repentaglio la sua vita, il medico aveva deciso di operarla. Quello che questo comportò fu l'asportazione totale. Alla scoperta di questa notizia, la donna era cambiata totalmente, tanto da allontanare suo marito – che prima amava più di ogni altra cosa – e d'isolare totalmente il suo primo figlio, non riconoscendolo più come tale.

Silas, anche se aveva solo due anni, ne era molto risentito, perché improvvisamente si sentì mancare l'affetto materno che prima era molto presente. Regan, fino a quel momento, era stata una buona madre, severa, ma dolce e premurosa; poi, improvvisamente, si era trasformata in un mostro alienato che teneva morbosamente tra le braccia solo e soltanto suo fratello.

Silas, dal canto suo, non aveva mai provato odio verso il più piccolo: certo, gelosia e un po' di dispiacere lo aveva percepito, ma aveva solo due anni e di certo non poteva comprendere totalmente che la colpa dipendeva solo e soltanto da lei.

Di giorno in giorno, quando Ludwig non c'era, per esorcizzare quella solitudine forzata, si metteva a pasticciare con dei carbonici, disegnando le più disparate forme insensate su quel foglio bianco.
«Silas, alzati e lavati le mani che devo portarti da una parte.» Ludwig arrivò alle sue spalle, mentre lui stava ancora disegnando. Non si era spaventato, visto che aveva udito i suoi passi, ma non riconoscendo nessun pericolo nella figura di suo padre, non si curò di smettere fin quando questo non gli chiese di andarsi a lavare le mani.

«Si papà.» Disse con la sua vocina squillante di bimbo, dove tutto concentrato prese bene la mira e la distanza per saltare giù dalla sedia.

Ludwig lo vide correre maldestramente sulle sue gambe fino ad arrivare al bagno. Qui, Silas avvicinò uno sgabello al lavandino e ci salì sopra per arrivare bene al lavandino.

Si lavò le mani, con il sapone e poi se le asciugò in tutta fretta, curioso di sapere dove l'avrebbe portato suo padre.

Ludwig si avvicinò alla porta del bagno e si accovacciò. «Salta su.» Disse a Silas che, tutto contento, si arrampicò sulla schiena del padre fino a sedersi sulle sue spalle. Ludwig voleva regalargli qualche momento di serenità e felicità, perché sapeva quanto si sentisse solo, e il fatto che lui lavorasse molto lo faceva sentire terribilmente in colpa.

«Mh... papà quanto sei alto, da qui potrò toccare le nuvole» Gli disse Silas mentre si aggrappava bene al suo collo per non cadere. Ludwig sorrise. «Dobbiamo fare un po' di strada, ma ci possiamo arrivare tranquillamente a piedi, va bene?» Gli disse, giusto per renderlo partecipe.
«Sì, papà, tanto mi porti tu: io sto comodo.» Disse, facendo spallucce, felicissimo di aver quel contatto affettuoso con suo padre.

«Non ti ci abituare, eh!» Gli disse Ludwig scherzosamente.

Per percorrere tutta la strada a piedi, Ludwig ci mise all'incirca quindici minuti, mentre Silas rimirava il paesaggio, il sole e le nuvole, che da quell'altezza gli sembrava di poterle toccare.
Arrivarono a un maneggio e Silas era entusiasta di vedere tutti quei bei cavalli, così si disse, ingenuamente, che suo padre lo aveva portato lì solo per fare un piccolo giro su quei begl'animali, di certo non si aspettava la sorpresa che gli si sarebbe propinata davanti a breve.

Ludwig lo fece scendere dopo aver messo piede in una grande stalla. Lo fece attendere lì fuori, chiamandolo poco dopo. Silas poté sentire i suoi passi echeggiare in quel posto, mentre correva in direzione di suo padre.

«Adesso sta fermo, sennò lo spaventi.» Ludwig si allontanò per poco tornando poi con un puledro davvero tenero e Silas non poté che spalancare la bocca per la gioia e la bellezza di quell'animale che subito gli colmò il cuore di gioia.

«Avvicinati, è tuo.» Lo invitò Ludwig ad approssimarsi, così che potesse prendere confidenza con quel puledro.

«Davvero è per me?» Era stupefatto, non riusciva a credere alla sue parole.

«Sì, certo, come lo chiamerai?» Domandò Ludwig pensando che suo figlio potesse avere già un nome in mente visto tanto stupore.

Silas gli girò intorno, scrutandolo alla ricerca di qualche dettaglio per dar vita al nome perfetto; la sua espressione concentrata e meditabonda fece ridere appena Ludwig che, nel vedere suo figlio così preso, si sentiva quasi libero da ogni male.

«Büshel!» Esordì il piccolo biondo, dopo aver scoperto quella codina che tanto sembrava un ciuffetto.

«Bene, allora, vada per Büshel.» Acconsentì Ludwig alla sua richiesta.

«Ti prometto, tesoro, che papà ti porterà qui ogni domenica va bene? Così tu potrai occuparti del tuo puledro e nei restanti giorni ci sarà un ragazzo bravissimo ad accudirlo.»

«Non si sentirà solo?» Il faccino di Silas si imbronciò appena, non voleva riservare lo stesso destino al suo cavallo.

«Allora facciamo una cosa, dirò a quel ragazzo di venirti a prendere a casa, cosicché ti possa portare qui e farti giocare con lui, mentre la domenica ti ci porterò io, così stiamo un po' insieme, d'accordo?» Quella gli sembrò una proposta più che ragionevole, anche perché non poteva fare di più. In tutta risposta, Silas gli gettò le braccia al collo, contento e felice del fatto che suo padre comprendesse i suoi sentimenti.

Con tutto quel trambusto, Silas si era dimenticato di dire a Lothar dell'invito che quella donna misteriosa gli aveva fatto la sera della festa.

Dopo avergli presentato e raccontato la storia del suo cavallo gli spiegò bene che cosa fosse il Dorian Gray e del perché, probabilmente, era stato invitato. Lothar, come al solito, era rimasto dubbioso all'inizio, ma poi si fece convincere dalla determinazione di Silas, visto che aveva coinvolto tutto il gruppo e di certo non poteva tirarsi indietro proprio lui.

Silas era davvero curioso di vedere questo locale: lo conosceva, ma lo aveva sempre evitato proprio perché sapeva che questo era il quartier generale di attiviste donne gay, pertanto era al corrente che poteva partecipare soltanto tramite invito e finalmente quell'invito era arrivato.

Si era organizzato con Lothar e i compagni per incontrarsi lì davanti per le otto di sera, proprio come gli aveva detto Agnes, così da essere puntuale.

Silas, come gli altri, si era vestito di scuro e in maniera sobria proprio per confondersi col buio della notte e non farsi vedere. Attese gli altri, visto che era arrivato in anticipo. Fortunatamente, loro arrivarono all'orario prestabilito, così da non fare subito una brutta figura.

Bussò alla porta e attese. Poco dopo, un tassellò di questa si aprì, mostrando occhi guardinghi dall'altra parte.

«Chi siete e cosa volete?» La voce che udirono era quella di una donna. Silas non venne colto impreparato, poiché Agnes gli aveva detto di presentarsi al night palesando il suo nome.

La donna, dal canto suo, si era premurata di dire il suo nome, avvertendo le sue colleghe così da non rivelare la reale parola d'ordine, in modo da non minare la tranquillità del gruppo.

«Mi manda Agnes Ritcher.» Disse Silas, a bassa voce, ma abbastanza per farsi sentire aldilà della porta; Lothar sembrava perplesso ad udire quel nome, gli suonava famigliare, ma non disse niente, volle fidarsi di Silas in quel momento, lasciando da parte i suoi preconcetti, sopratutto curioso di vedere chi fosse quella gente che abitava il locale.

La donna aprì la porta facendo entrare il gruppo di Silas, lui sorrise per pura cortesia, mentre gli altri si limitarono a guardarsi intorno.

C'era un piccolo corridoio da percorrere prima di arrivare nella sala vera e propria, che era la tipica dei cabaret di quell'epoca.

Le donne, però, non li attendevano all'interno di quella sala, ma dietro una porta nascosta in una parete. Ecco, adesso, quel gruppetto di rivoltosi si ritrovava davanti una sorta di cripta moderna dove c'erano donne vestite da uomini e la stessa Agnes lo era e sembrava capeggiare il tutto.

Silas tirò fuori il fazzoletto rosso dalla tasca e la legò al suo collo. Non sapeva se anche gli altri ne fossero muniti, ma quella era più una sua costante, il voler palesare a tutti i costi il suo pensiero qualora questo non fosse abbastanza chiaro già a parole.

Agnes si fece avanti. Aveva un completo chiaro, con il classico taglia maschile: la giacca a doppio petto, camicia e cravatta, con l'unica differenza che il pantalone scendeva dritto e stretto.

«Benvenuti, avete avuto difficoltà ad arrivare fin qui?» Domandò lei sorridente, avvicinandosi ai cinque.

«No, affatto Madame, non abbiamo riscontrato nessun problema.» Rispose subito l'altro che, nel frattempo, veniva osservato dagli occhi delle altre donne: non erano abituate a vedere giovani ragazzi con i capelli lunghi e per di più fatti di strette onde e lui non faceva a meno di sorridere sornione proprio perché lo stavano guardando, anche se, di certo, gli uomini non erano fra gli interessi di quelle donne.

«Dunque, sono felice che abbiate accettato tutti il mio invito. In fondo, Silas, sapevo che voi eravate il ragazzo di cui tanto si sente parlare, ma non temete, il vostro segreto è al sicuro con noi, anche perché vi stiamo per condividere il nostro.» Agnes era il capo di quel gruppo di donne volte a far valere i propri diritti. Sembrava davvero una che sapeva il fatto suo: quello che sapeva cosa dire e come comportarsi.

Silas aveva intuito che tipo di gruppo fosse quello, ma non voleva rovinare l'atmosfera, non era così meschino da togliere il gusto agli altri di rivelare i propri segreti. Dal canto loro, i restanti ragazzi se ne stavano sul chi va là, pronti a scorgere il minimo imbroglio o trappola.

La sala era rischiarata da una tenue luce violetta. Le poche lampade che c'erano erano state ottenebrate da dei piccoli drappi, fazzoletti di stoffa, probabilmente, di colore viola, in modo da attenuare quella luce artificiale cosicché nessuno potesse scorgere nulla dall'esterno.

Lothar aveva riconosciuto Agnes: si era reso conto che la donna era la moglie di un ufficiale nazista, per di più della peggior specie. Era incredulo, non sapeva come facesse Silas a fidarsi così ciecamente. Il moro poteva comprendere che, ormai, una volta lì dentro sarebbe stato stupido muovergli contro qualsiasi accusa, ma fino a quel momento cosa dava la certezza a Silas che tutto quello non era stato architettato per arrestarlo? Era un incosciente, ma ancora una volta ci aveva visto giusto. Nonostante ciò, a Lothar non andavano giù tutti quei misteri e quelle segretezze, così decise di voler parlare un attimo e in separata sede con il capetto del gruppo che, ultimamente, gli dava abbastanza sui nervi.

«Vogliate scusarci madame, ma devo conferire privatamente qualche minuto con Silas.» Si era avvicinato ai due, serio, guardando bruscamente anche le altre donne poco distanti. Non sorrise neanche alla bionda, che, in tutta risposta, fece un piccolo cenno col capo, concedendogli il permesso di appartarsi qualche istante.

«Allora te l'hanno insegnata l'educazione.» Ironizzò subito Silas, sapendo che, di li a breve, Lothar sarebbe piombato su di lui con la sua ramanzina, «Non sono in vena di scherzare.» Bisbigliò Lothar che afferrò Silas per il braccio, avvicinandolo verso la sua postazione per rimanere il più segreti possibile. Silas guardò la mano dell'altro che si era poggiata sul suo arto e poi lo guardò in volto, perplesso: Lothar non aveva mai usato modi così irruenti su di lui, anche se non gli aveva fatto del male.

«Hai idea di chi sia quella donna?» Gli domandò subito. Si sentiva che era dannatamente preoccupato per lui e per loro.

«Certo che lo so. Quella donna è Agnes Ritcher, la moglie del bastardo nazista.» Adorava chiamarli con quegli appellativi.

«Cosa ti ha detto il cervello? Cosa ti ha dato la sicurezza che non ti volessero arrestare, visto che lei sa chi siamo?» Era agitato, Silas lo vedeva dal suo sguardo e solo lui era in grado di percepire la paura di Lothar, perché lui, dall'esterno, era impassibile: non si intuiva nulla.

«Vuoi calmarti? Ho fatto semplicemente due calcoli. Per prima cosa, lei è a capo di un movimento attivista gay e per seconda cosa sa chi siamo, perché appunto è la moglie di quel tizio. Probabilmente il marito ha la bocca larga e non si sa tenere le cose di stato per sé. Per non parlare del fatto che, magari, anche loro erano sulle tracce di altri attivisti o rivoltosi per fare numero, proprio come noi.» La spiegazione di Silas, era semplice e lineare ed effettivamente non faceva una piega.

Ci volevano due opposti in quel gruppo: Lothar era un tipo riflessivo, forse troppo, pacato e ragionevole, sempre attento al minimo dettaglio, non privo di coraggio; Silas, invece, era incosciente, furbo anche se non si sarebbe detto, ma era il tipo da intuire le situazioni ancora prima che queste capitassero. Era semplicemente avvolto da quello che si chiamava intuito.

«Sei un pazzo incosciente» Lothar sospirò e lasciò andare la sua presa dal braccio dell'altro.

«Ti fidi di me?» Gli domandò Silas, guardandolo seriamente negli occhi: quello era un sguardo serio, fiero e sicuro di chi stava facendo la cosa giusta.

Lothar annuì non dicendo più nulla, alla fine gliela dava quasi sempre vinta, semplicemente perché si fidava si lui e delle sue doti di intuizione. Lo seguì, quando l'altro si riavvicinò ai compagni e alle altre donne, mentre con lo sguardo seguiva Agnes salire su di un palco improvvisato all'interno di quella specie di cripta.

La donna si era spinta fino a lì, per presentare il suo gruppo all'altro appena arrivato.

«Guten Abend, benvenuti nel mio piccolo e modesto gruppo. Noi siamo delle attiviste, donne che si ribellano a questo regime che opprime la nostra vita sentimentale e sessuale.

Ci impediscono di vivere secondo la nostra morale, imponendoci la loro. Noi difendiamo i nostri diritti, come quello di amare un'altra donna, sebbene io sia sposata con un uomo che non è propriamente un santo, oserei dire.» Riusciva a fare anche dell'ironia composta, era una donna davvero carismatica.

«Se vi ho chiamato qui stasera è perché ho ammirato il vostro coraggio.»

Mio marito non è uomo che si trattiene per se i propri onori, ma anzi gli piace raccontarmi ciò che scopre il suo gruppo durante i pattugliamenti, ed è grazie a lui e a quello che hanno scoperto su di voi che ho potuto nutrire una certa stima; ma non temete, non siete ancora in pericolo: non conosce la vostra identità.» Fece un piccolo ghignetto rivolto verso Lothar, proprio perché questo, in quel momento, gli era parso cambiare colore verso una tinta cianotica degna dei morti.

«Finirò con l'odiare le donne.» Bofonchiò tra sé e sé Lothar.

«Come dici?» Silas lo aveva sentito subito e gli rispose, pensando che non ci fosse momento più succulento per stuzzicarlo su quell'argomento.

«Ora che sapete la nostra missione, che ne dite di confidarci la vostra?» Domandò Agnes guardando gli altri.

Lothar era nervoso, sentiva odore di trappola, ma Silas gli pareva così sicuro, tanto da ricordarsi le parole che gli aveva detto poco prima: ma come faceva? Come faceva a fidarsi così ciecamente, come faceva a intuire la cosa giusta? Non riusciva più a capire se era talento o follia, ma forse erano proprio quelle sue caratteristiche che li aveva spinti a seguirlo.

Silas sorrise in direzione dell'altra, avvicinandosi al palco, mentre lei scendeva. I due si incrociarono e si sorrisero appena, lei guardò il fazzoletto rosso di Silas che aveva legato al collo e pensò che aveva fatto la scelta migliore a invitarlo. Silas era tranquillo, perché in fondo, nella sua testolina, non smetteva mai di pensare, visto che ponderava sempre un piano b oppure – pensava a come salvarsi la pelle all'ultimo minuto.

Era finalmente salito sul palco e si era posizionato al centro, come aveva fatto prima Agnes, così da poter parlare a tutti quanti. Sorrise e incominciò: «Ringrazio Madame Agnes per averci invitati e accolti qui. A quanto ho capito, non sembrano essere ben voluti gli uomini qui dentro, ma in fondo è più che comprensibile, non temete. Detto questo, immagino che Agnes mi abbia condotto qui per unirci sostanzialmente in un unica forza. Credo che sia una buona idea, perché così potremmo coprire più fronti e dar vita a una sovversione più forte, più attiva, più dirompente. Noi siamo solo in cinque e spesso ci spargiamo fino a dove possiamo nella città per lanciare e appendere ovunque manifesti o volantini che rappresentino la nostra indignazione. Se ci uniremo ne progetteremo alcuni nei quali potremmo fondere le nostre idee e mostrarle a tutta la città.»

Fece una piccola paura, per far si che tutti potessero assimilare le sue parole, mentre lui si ravvivava i capelli ribelli. Agnes se ne stava a braccia conserte ad ascoltare soddisfatta le parole del biondo. Ormai non aveva più dubbi su chi fosse.

«Chi ci dice che tu non sia un impostore, invece? Che tu non sia stato mandato da qualcuno come spia? Chi ci dice che tu non stia prendendo in giro tutti noi, compresi i tuoi compagni?» Una delle donne attiviste aveva mosso quelle accuse, in fondo era possibile pensare la stessa cosa che aveva sospettato e che sospettava tutt'ora Lothar nei confronti di Agnes.

«Non ci hai detto neanche il tuo nome.» Rincarò questa, sospettosa più di ogni altra cosa.

«Il mio nome è Silas Dubois.» Sapeva che palesando il suo cognome era più facile che queste sospettassero di lui, ma non poteva non farlo, era fiero del nome che portava e orgoglioso di quel padre che glielo aveva dato, perché, nonostante la sua apparenza, sapeva bene cosa pensava riguardo a quel regime.

«Dubois, non è il nome di uno delle SS? Ludwig Dubois, il colonnello.» Disse un'altra giusto per confermare i dubbi della prima.

Silas intervenne subito quando vide Lothar muoversi verso queste, che si fermò non appena sentì la voce del biondo.

«Esattamente.» Aveva confermato i dubbi di quella che aveva identificato la sua famiglia, praticamente.

«Mio padre è quello che è, io sono un'altra cosa, io sono un'altra persona e ho un'altra mente. Sono in grado di possedere il mio pensiero e di esercitarlo come voglio.» Non poteva dire nulla su suo padre, lo avrebbe messo in pericolo, sin troppo, ma poteva comunque cercare di scagionare se stesso in qualche modo.

«Se fossi quello che voi dite, che voi sospettate, non sarei qui, vestito in maniera orribile solo per camuffarmi nel buio della sera evitando di essere arrestato o fucilato. Non sarei qui a parlare con voi e, credetemi, di denunciare movimenti gay attivisti non né ho la ben che minima idea, perché anche io sono bisessuale e come tale rischio comunque quanto rischiate voi.

Come vedete, sotto questo punto di vista corriamo lo stesso rischio. Se non credessi nell'uguaglianza, nella parità di diritti, non starei qui a rischiare la mia vita e non la rischierei tutte le sere, mettendo a repentaglio anche quella della mia famiglia.» Cominciava ad agitarsi, tant'è che gesticolava come suo solito quando era nervoso, o meglio, quando si mettevano in dubbio certi suoi ideali.

«Pensate quello che volete di me, ma non osate mettere in dubbio la mia integrità, per lo meno non sul mio ideale politico e umano, perché questo regime non è né politico né umano e io lo detesto con tutto me stesso. Ci rende schiavi e ci opprime. Ebbene, io mi sono mosso affinché questo scompaia.So che, probabilmente, da solo o in cinque non concluderemo nulla; ma se nessuno si muove, se nessuno se ne sta fermo, senza muovere un dito, allora non ha il diritto neanche di lamentarsi, perché il cambiamento implica un movimento e io l'ho fatto.» Era nervoso, ogni volta doveva spiegarsi, ma lo comprendeva, comprendeva che spesso le persone avevano paura e potevano essere dubbiose.

A volte, però, la sua irrazionalità, il suo istinto, il suo idealismo, lo precedevano irrimediabilmente e lo inducevano a parlare così vivacemente. In quelle parole, Lothar si era ricordato di cosa lo avesse spinto a seguirlo, sorridendo quando lo aveva sentito parlare e pronunciare quelle parole.

Le altre stettero zitte, ascoltando con quanta foga lui stesse comunicando i suoi ideali. Non c'erano più dubbi: lui era il leader maschile perfetto. Agnes e Silas avrebbero fuso i loro gruppi, espandendo così la loro rivolta. Adesso non erano più cinque, ma quindici, uniti in un'unica famiglia.

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