Capitolo 7
Fin dall'ore dell'infanzia non fui mai
simile agli altri, mai vidi le cose
come gli altri le vedevano, né seppi
la mia passione trarre da una comune fonte,
dalla stessa sorgente non presi il mio dolore,
sulle stesse tonalità non ho potuto
risvegliare alla gioia il mio cuore,
e tutto quel che ho amato, da solo io l'ho amato,
allora, nell'infanzia, agli albori.
D'un'esistenza in tempesta, dal fondo
d'ogni bene e d'ogni male fu attinto
il mistero che ancora mi lega,
dal torrente o dalla fontana,
dal pendio rosso del monte,
dal sole che mi girava e rigirava attorno
nel suo autunno d'oro tinto,
dal lampo del cielo
che in volo mi passava e ripassava accanto,
dal tuono e dalla tempesta,
e dalla nube che (azzurro
era il resto del cielo) in demone
si trasformò ai miei occhi.
(Solo-Edgar Allan Poe)
Rinchiuso in un angolo della sua mente, senza alcuna voce in capitolo, si sentiva impazzire; eppure avrebbe voluto urlare. Non ce la faceva più e avrebbe desiderato non aver visto quanto accaduto in quella stanza, ma nonostante ciò era accaduto: aveva visto suo fratello tra le gambe di un altro e in fin dei conti non se lo aspettava minimamente.
Non pensava che Silas potesse avere certe tendenze, non che lo reputasse sbagliato, ma lui era lontano dal sesso e aveva la convinzione che si trattasse di una cosa morbosa che non andava consumata, un'affezione, una malattia, un bacillo da espellere; il sesso lo odiava e lui odiava il sesso, nulla d'aggiungere in proposito: lo repelleva come qualsiasi altra cosa al mondo – eccetto alcune, ovviamente, e tra queste c'era anche suo fratello che improvvisamente s'era dimostrato tutto il contrario di quanto immaginato fino ad allora.
Anche Silas non era differente dagli altri, per lo meno in questo, e forse era uno di coloro a cui piaceva troppo. Probabilmente, il biondo doveva sopperire una mancanza, quella stessa che invece era tutt'altro per Salazar – era fin troppo presente.
Sebbene continuasse a respirare, si sentiva soffocare talmente tanto da paragonare la sua condizione all'apnea. Aveva dovuto poggiarsi contro il muro nel tentativo di prendere aria e il suo petto faceva avanti e indietro, spasmodicamente.
Quello che lui non sapeva, però, era che si trattava di una mera condizione mentale così come il panico che quell'apparente mancato respiro stava scatenando dentro di lui.
Si sarebbe voluto cavare gli occhi, forse anche strappare lo stomaco per tutto il succo gastrico che si sentiva venire su – ed era tutta colpa di quella donna che lo aveva fatto ingozzare ripetutamente, anche quando tornava dal bagno; così, aveva preso a grattarsi sopra i vestiti, a tirarsi i capelli come fosse un posseduto. Voleva espellere dal proprio corpo tutte quelle sensazioni orribili che lo stavano sporcando, eppure non ci riusciva: emetteva dei suoni straziati e, soffocato da se stesso, lasciava che perpetuassero dei grugniti angelici – dopo tutto aveva ancora la voce di un bambino.
«Salazar! Salazar, fermati per favore.» Ludwig aveva rintracciato suo figlio e lo aveva trovato mentre cercava di strapparsi la pelle di dosso.
Gli aveva bloccato le mani, per cercare di mettere fine a quella sofferenza interiore, ma il ragazzino le dimenava per averle di nuovo libere e continuare con quel massacro.
«Papà», disse solamente, arrestandosi all'improvviso. Fissava il vuoto, per lo meno in un certo senso, perché i suoi occhi rispecchiavano proprio quello: Salazar era in un mondo lontano e non proprio presente a se stesso.
«Salazar!» Lo scosse un pochino, chiamandolo a bassa voce per non spaventarlo o per non squassarlo troppo più di quanto non fosse già; però lui non rispose e semplicemente si limitò ad afflosciarsi, svenendo tra le braccia di Ludwig.
Quel bambino aveva vissuto troppo e sopratutto quella sera: la sua mente non era riuscita a tollerare tutto, non ce la faceva più, per questo decise di spegnersi un attimo.
Lo aveva preso in braccio, andando da qualcuno – forse un domestico – nella speranza di trovare un posto dove farlo stendere.
Sarebbe voluto tornare a casa se solo non avesse visto dei dissidenti vicino al cancello dell'abitazione: il dovere, ancora una volta, lo stava chiamando.
Si fece accompagnare in una camera da una domestica e stese suo
figlio sul letto, sistemandogli poi le gambe per far sì che potesse tenerle leggermente sollevate, dopodiché uscì dalla stanza.
«Grazie», disse semplicemente all'indirizzo di quella domestica tanto terrorizzata dalla divisa dell'altro e il dolore di Ludwig non poté far altro che ampliarsi di rimando: essere temuto per gli orrori degli altri non era mai una cosa buona.
Rispose titubante quella donna, pronunciando un prego flebile tra le labbra e facendo un piccolo inchino con il capo per congedarsi in fretta e in furia – di certo non era abituata a sentire ringraziamenti da parte dei suoi padroni, o per lo meno così constatò Ludwig che, suo malgrado, adesso doveva preoccuparsi dei dissidenti che avevano tutta l'aria di voler combinare dei guai.
Si diresse alla ricerca di Franz, visto che non voleva andare lì da solo, così si mosse tra la folla fino a raggiungere l'esterno e ad ogni passo nasceva una nuova preoccupazione per suo figlio: vederlo così lo aveva messo profondamente in agitazione, era preoccupato e si trovava ad affrontare un grave dilemma, vale a dire se chiedergli o meno cosa fosse successo per ridurlo a quel modo.
Si era diretto all'esterno, dunque, supponendo che l'altro fosse lì – non lo aveva visto all'interno della sala, in fondo, e non poteva che trovarsi ancora da quelle parti.
Quello che Ludwig vide, però, non gli piacque per niente: era come se lui dovesse accumulare segreti su segreti – quelli di altri – così tanti da poter essere un bersaglio per chiunque.
«Franz!» Lo chiamò con fermezza, ma non con un alto tono di voce.
L'oggetto del suo nuovo cruccio era lì, seduto in terra mentre baciava appassionatamente Friederich. Di rimando, questo si tirò in piedi e morì letteralmente di paura nel sentirsi nominare, ma si tranquillizzò un poco nel constatare che costui non era altri che Ludwig.
«Standarteführer», disse, scattando praticamente sull'attenti e aspettando che Ludwig gli dicesse qualcosa.
Dal canto suo, questo osservava Friederich restringendo un po' lo sguardo – quanto bastava da fargli intendere che doveva alzarsi da quel prato e tornare all'interno della casa.
«Vieni, dobbiamo andare a far ragionare quegli individui.» Ludwig mantenne lo sguardo austero e autoritario solo perché lì c'era ancora Friederich e nonostante lui e Franz fossero amici non poteva permettersi di sembrare un uomo con poco polso.
«Sì, Standarteführer.» La risposta affermativa di Franz sempre sull'attenti non tardò ad arrivare e subito dopo, questo s'incamminò quando vide Ludwig muovere qualche passo.
«Fa' in modo che io non ti veda più, Franz», gli disse Ludwig.
Il suo non era un discorso discriminatorio, affatto, ma semplicemente ci teneva alla vita del suo amico e non voleva che questo finisse nei guai per causa sua o per quello che aveva visto.
«Sì, Standarteführer.» Ancora una volta si mostrò affermativo, anche perché Ludwig aveva ragione e non gli sarebbe mai stato grato abbastanza: un altro, al suo posto lo avrebbe ucciso. Se non chinava la testa era solo per il suo orgoglio militare, perché altrimenti avrebbe tenuto il capo basso in segno di dispiacere; ma sapeva che Ludwig non avrebbe accettato un simile atteggiamento.
«Semplicemente per un motivo: se io non vedo, io non so, quindi non sono ricattabile – e se io non sono ricattabile perché sono all'oscuro di tutto, tu e Friederich non rischiate la vita. È chiaro?» Si sentì in dovere di specificare dal momento che teneva a quell'amicizia, anche se tra loro c'era una grande differenza d'età. Ludwig, però, credeva in quel giovane che pareva essere in qualche modo costretto a sua volta – in un certo senso, per lo meno – a quel ruolo e Franz ammirava profondamente l'altro soldato.
«Sì, Standarteführer.» Di nuovo, sembrava che avesse messo un disco o che gli si fosse inceppata la lingua.
«Adesso dici solo: sì, Standarteführer ?» Ludwig rise appena, potendo percepire chiaramente la paura o quanto meno il disonore che Franz stava provando in quel momento.
«Ludwig», riuscì a pronunciare solo il nome dell'altro – almeno era già qualcosa.
«Ecco, è già un passo avanti.» Fece un sorrisetto: non avrebbe voluto turbare quel ragazzo, ma in fondo la passione che univa lui e Friederich lo aveva addolcito ed era come se adesso, insieme ai suoi figli, avesse qualcun'altro da proteggere.
Si erano incamminati verso i cancelli e quando arrivarono lì poterono incontrare dei ragazzi – uno dei quali, il più alto, di spalle.
«Dovete sparire da qui immediatamente, prima che possa aprire il fuoco», minacciò Ludwig, serio in volto – troppo serio.
Non voleva di certo che cinque giovani ragazzi perdessero la vita per niente.
«Fateci entrare, invece, dovete farci entrare.» Il ragazzo di spalle si voltò alle prime segnalazioni degli altri compagni, restringendo lo sguardo e volendo sembrare anche lui minaccioso a sua volta.
«Lothar! Ti sei forse bevuto il cervello? Vuoi far ammazzare i tuoi compagni e mio figlio?»
Ludwig lo aveva riconosciuto subito, anche perché era sempre vicino a suo figlio e quelle volte che si ritrovava alla sua scuola vedeva sempre Silas in sua compagnia – senza contare che questo gli parlasse sempre di lui.
Aveva visto chi era a capeggiare quel gruppetto di giovani folli e in un attimo aveva capito che quello era il gruppo rivoluzionario di suo figlio.
Fantastico, si disse con una punta d'ironia, ora si che sapeva decisamente troppe cose.
«Her Dubois,vostro figlio è nella stanza con quelle luride merde e io dovrei starmene zitto?»
Lothar ringhiò contro il cancello dopo averne afferrato le sbarre di ferro – era come se si volesse appendere a queste per sradicarlo con quell'irrispettoso modo di parlare che pareva caratterizzarlo.
«Mio figlio è lì per un motivo», lo giustificò Ludwig. In fondo era vero e anche se Lothar non aveva in famiglia dei parenti soldati, forse avrebbe potuto capire quale peso portasse Silas solo sforzandosi un po' di più: era un'altra anima costretta, una delle tante, nonostante queste cose gli facessero schifo.
«Vostro figlio è un traditore», ringhiò ancora una volta Lothar.
Silas non gli aveva detto che avrebbe partecipato a quella festa, non gli aveva detto nulla e proprio per non metterlo nei guai, per lasciarlo fuori da una tana di leoni fin troppo famelica.
Ludwig si avvicinò ancora al cancello per dare un'occhiata a quei ragazzini che neanche erano armati.
Cosa volevano fare, allora? Protestare non gli serviva niente, ma sembrava che senza un leader come Silas non fossero in grado di gestire alla perfezione una simile faccenda.
«Stai bene attento a quello che dici suo mio figlio», sibilò verso Lothar. Si era permesso di dire ad alta voce, delle parole che mai avrebbe voluto sentire su Silas, perché per lui non lo era e non doveva esserlo neanche per loro visto che era del tutto innocente.
Lothar alzò un sopracciglio a quelle parole e quasi spavaldo si spinse ancora in avanti, fermato da quelle grate.
«Ah sì, perché? Sennò ci ammazzate tutti?» Domandò poi con fare sardonico, come a volerlo provocare. Non credeva al buon cuore di Ludwig, non credeva a tutte le cose che Silas gli aveva raccontato sul suo conto e meno che mai credeva che un nazista potesse avere un cuore.
«Non sono avvezzo ad ammazzare la gente gratuitamente, io.
Dovresti badare a quello che dici anche solo semplicemente per il rispetto che mio figlio ti porta.» Ludwig aveva ben inteso le parole di Lothar e si sentì quasi toccato a quella provocazione, più nella dignità che in altro, ma non cedette comunque, arrivando davvero al nocciolo della questione: Silas gli parlava sempre bene di Lothar sapendo che Ludwig potesse apprezzare un simile temperamento.
«Her Dubois!» Lothar si aggrappò con tutta la forza a quelle grate, cercando di smuoverle sebbene fosse conscio che non si sarebbe mosso – era un gesto simbolico, soltanto una minaccia.
«Cosa vorresti fare? siete solo in cinque e lì dentro ci sono uomini armati e decisamente più numerosi.
Che senso ha la tua rivolta se non ha voce? Non può averla perché potrebbero spararvi ancora prima che voi possiate dire A, quindi datemi retta: andatevene e fatela finita.»
Ludwig si era avvicinato nuovamente e adesso si poteva dire che fossero faccia a faccia, tanto che persino Franz, preoccupato, si mosse verso Ludwig come a voler tenere la questione sotto controllo.
Era vero, cosa potevano fare loro cinque? Una volta entrati in quel posto, lo stesso Franz gli avrebbe sparato se non fosse stato fermato da Ludwig e ammesso e non concesso che sarebbero riusciti ad arrivare alla villa, qualsiasi altro membro delle SS chiuso in quella sala da ballo avrebbe aperto il fuoco.
«Silas...» Lothar aveva spalancato di poco gli occhi con uno sguardo amareggiato: sapeva che Ludwig aveva ragione, dopo tutto, e cosa avrebbero potuto fare lì dentro – per giunta disarmati?
Si era mosso con la rabbia di chi era stato tradito anche se non era accaduto nulla di quello che pensava.
«Silas non è un traditore, Silas è lì dentro solo per fare in modo che né lui né la sua famiglia venga uccisa.»
Gli spiegò la situazione e Lothar lasciò le grate del cancello, allora Ludwig poté rilassarsi per qualche secondo prima di pronunciare altre parole e sperare così di mettere a tacere quella situazione una volta per tutte:
«La nostra famiglia è stata invitata qui per festeggiare il compleanno del vostro compagno di scuola Friederich Wolf, perciò Silas è venuto qui perché io stesso gli ho detto che non potevamo non partecipare sebbene anche lui fosse contro voglia. Io penso che non ti abbia detto niente per non cacciarti nei guai e sinceramente non voglio neanche sapere come avete fatto per venire a conoscenza di questa festa.»
Lothar si sentiva uno stupido. Come aveva fatto a pensare che Silas avesse potuto tradire il loro gruppo così, in quattro e quattr'otto? Ecco adesso si sentiva un vero e proprio cretino, ma ciò non toglieva che alla prima occasione avrebbe dato una bella strigliata a Silas.
Lothar ordinò quindi la ritirata e Ludwig lanciò un'occhiata a Franz per intimargli il silenzio con l'obbligo di non porgli domande.
Si incamminò nuovamente verso la sala, volto a stendere le basi di quelli che sarebbero dovuti essere i saluti – e come minimo ci avrebbe impiegato un'ora.
Ludwig, a quel punto, sgombro dai pensieri dei dissidenti, si rese conto del reale disagio che tormentava Salazar.
Come tutti i padri, questo non voleva ammettere a se stesso che suo figlio avesse un evidente disagio; ma ormai non poteva più negarlo e sapeva che non riconoscere o accettare un problema gli avrebbe creato ulteriori difficoltà. Non ignorava la cosa per mero egoismo, voleva semplicemente non far caso alla questione perché vedere suo figlio a quel modo lo logorava profondamente: non era affatto piacevole, in special modo dopo quella sera che lo aveva visto in uno stato pietoso, peggio di quando aveva delle crisi a cui lui non sapeva dare un nome.
La condizione di Ludwig, tra l'altro, era frustrante perché non poteva chiedere aiuto a nessuno: sapeva bene che fine facevano le persone come suo figlio – perché sì, era cosciente di un problema che aveva a che vedere con la sua mente e con quella che era l'anima ammalata di Salazar, seppur non ne conoscesse ancora il nome.
Ludwig era crucciato sul da farsi, di certo non poteva curarlo lui, né tantomeno diagnosticargli qualcosa, ma era abbastanza intelligente da leggere uno di quei trattati psicologici che riguardavano la psiche dell'adolescente ed era più che fermo nella sua idea di voler trovare una soluzione – o quanto meno cercare di alleviare le sue sofferenze.
Non era sicuro che funzionasse e si poteva ben dire che non fosse certo di nulla: avrebbe potuto farlo peggiorare come no, ma solo provando poteva venire a capo di questo enigma.
La prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di parlare con Regan e convincerla a stare lontano da Salazar. Se lei si sarebbe rifiutata, allora l'avrebbe costretta con la forza o comunque, in un modo o nell'altro, sarebbe riuscito ad allontanarlo almeno per gran parte del suo tempo.
Era solo, anche se i suoi parenti ruotavano intorno a lui. Effettivamente si sentiva solo e di certo non era una condizione voluta, ma era stata la sua mente a volersi alienare fino a porsi così lontano da tutti da condurre il suo proprietario s'un pianeta chiamato follia malgrado avesse appena tredici anni.
Salazar si era scisso in due, o per meglio dire la sua mente: si era divisa in due vie completamente opposte e anche se era riuscito a fare dei progressi andando a scuola, era proprio così.
Si era emancipato un pochino e adesso sembrava effettivamente dimostrare i suoi tredici anni, tant'è che Ludwig si compiacque per tutti i complimenti che gli venivano fatti dal preside nei suoi riguardi.
Escluso quell'incidente alla mano con Bruno, Salazar era un alunno modello: studiava, aveva una condotta impeccabile e sopratutto era silenzioso – già, essere silenzioso era veramente il suo forte.
C'era un problema, però, questo suo allontanarsi da casa non faceva che rendere Regan più assillante – così assillante che Silas si era deciso a rimanergli accanto, perché stando nei paragi di Salazar, questo sapeva che Regan non si sarebbe avvicinata.
La situazione stava cominciando a diventare ancora più pensate per tutti quanti, sopratutto per loro due che erano dei giovani e che non avevano nessuna colpa; il cuore di Silas si stringeva in una morsa ogni volta che vedeva Salazar incantarsi e fissare il vuoto: non sapeva perché, non lo capiva, ma comprendeva che non andava disturbato – o quantomeno andava trattato con dolcezza, perché quel ritorno alla realtà sarebbe diventato ancora più drastico.
Loro urlavano, o meglio Regan era quella che starnazzava. Più loro urlavano e più gli occhi di Salazar si spalancavano, aprendosi a un mondo lontano, diverso da quello che stava vivendo, per fare in modo che si allontanasse dal suo corpo e addirittura dalla sua stessa mente per visitare quella di qualcun'altro che, temporaneamente, lo avrebbe ospitato senza creargli problemi.
Ludwig e Regan erano in soggiorno.
Lei lo odiava, odiava suo marito con tutta se stessa, anche se un tempo – un tempo davvero remoto – lo aveva amato come raramente si ama in vita.
Regan fu la prima a riconoscere le doti e i pregi dell'animo di Ludwig, ma quella malattia, quella terribile malattia che gli aveva avviluppato la mente, la stava costringendo a un odio insensato verso le cose che più care aveva al mondo: suo marito e suo figlio.
«Dovresti smetterla. Devi smetterla di comportarti così, non capisci che stai uccidendo tuo figlio?»
Ludwig era esasperato, le aveva provate davvero tutte e ormai non sapeva più come prenderla, tant'è che gli era rimasto solo l'attacco e l'aggressione: le uniche due frecce rimaste al suo arco.
Aveva veramente provato ogni cosa con lei, ma adesso non ce la faceva più; era un uomo finito che vedeva l'anima di suo figlio morire, spegnersi lentamente, e non poteva tollerare quell'atteggiamento, seppur fosse combattuto tra il senso di colpa che provava verso Salazar e quello che nutriva nei confronti di lei.
Cosa doveva fare? Quale era la cosa giusta da fare?
Durante la sua vita gli avevano insegnato tante cose, ma purtroppo le decisione facevano parte di quegli ostacoli che nessuno può insegnarti a superare, lezione che Ludwig aveva imparato molto bene e a sue spese.
«Così come? Sei tu che lo stai distruggendo lontano da sua madre.» Lei, sembrava davvero non volerci sentire da quelle sue orecchie che filtravano le parole del moro fino a farle scivolare via come niente fosse.
Ludwig era straziato, si sentiva così pesante da sentire la ragione andar via da un momento all'altro: sembrava che quella sua povera anima fosse stata esiliata ai lavori forzati e quella donna lo metteva sempre di più alle strette, lo metteva a dura prova fintanto che lui, prima o poi, avrebbe certamente ceduto.
Si disse tra sé e sé di respirare, contare fino a dieci se fosse stato possibile, per agire secondo coscienza ancora una volta. Doveva provare, tentare fino alla fine, perché quella donna non aveva distrutto solo Salazar ma aveva privato anche Silas dell'affetto di una madre.
«Non puoi essere così morbosa nei suoi confronti, non puoi essere così assillante: non lo vedi come sta tuo figlio? Lo ingozzi fino a farlo scoppiare, lo tocchi, lo accarezzi fino a farlo grattare perché si sente sporco per tutte le volte che tu sfiori la sua pelle. Regan, non è una fottuta bambola, è tuo figlio e tu devi smetterla di essere così ottusa da desiderare solo il tuo bene.»
Al diavolo la ragione, la sua preoccupazione: la paura aveva preso il sopravvento e lei lo stava guardando come solo un assassino era in grado di fare, con gli occhi scuri e serrati in una morsa d'odio e lo contemplava come a volerlo cancellare dalla faccia della terra.
«Tu sei uno sporco egoista, tu vuoi tuo figlio.
Vuoi allontanarlo da me che sono sua madre, Ludwig, e non sai cosa significa avere un figlio e crescerlo. Non ne sei in grado.»
Lei sputava veleno come mai prima d'ora e lui si sentiva indignato da quelle parole poiché era stato lui a crescere Silas visto che lei lo aveva volutamente ignorato.
«Su quale base dici questo? Hai cresciuto Silas fino a quando è nato Salazar, poi lo hai gettavo via come se non fosse mai esistito, come se non fosse abbastanza importante per te: come puoi usare certe parole nei miei riguardi?»
Lei non lo stava guardando, non le interessava, per lei erano tutte chiacchiere e lui non lo tollerava.
«Quello che tu chiami figlio, per me è feccia», disse lei spietata, guardando con fare altezzoso il marito e non preoccupandosi minimamente che i due ragazzi fossero nei paragi e che li stessero sentendo.
Salazar si era sentito morire in quel momento, sentendosi colpevole nei riguardi di suo fratello che, dal canto suo, si era precipitato a coprire le orecchie del minore con le mani prima ancora che Regan potesse nominarlo a quel modo, come se davvero fosse la feccia.
Salazar era ovattato dalle mani amorevoli di suo fratello, ma percepì le parole di sua madre quasi come fossero un sussurro: arrivarono ugualmente laddove non avrebbero dovuto arrivare e lui era immobile, continuava a fissare un punto davanti a sé – era davvero troppo tutto quello che il suo corpo e la sua mente dovevano sopportare.
Silas, invece, che aveva sentito tutto, si era ritrovato a lacrimare silenziosamente mentre proteggeva suo fratello: sapeva che sua madre non lo voleva, ma mai gli aveva sentito pronunciare quelle parole, perciò i suoi occhi, quei suoi due cristalli, si erano appena infranti e naufragavano in un mare di dolore. Sentì il suo petto stringersi talmente tanto che temé che il suo cuore potesse fermarsi all'improvviso; eppure, fortunatamente, non fu così.
«Come può soltanto concepire la tua mente una simile idea? Come può farlo? Lo hai partorito comunque tu.» Ormai anche Ludwig aveva ceduto a un tono più alto di voce, esasperato da quella follia evidente.
«Questo lo dici tu», rispose Regan con noncuranza scrollando le spalle: quei discorsi su Silas non la toccavano proprio.
«Tu sei solo una pazza, da stasera Salazar dormirà nella sua stanza.» Ludwig era deciso, assolutamente deciso a strappargli quel bambino per il suo unico bene.
Lei spalancò gli occhi oltraggiata da tale minaccia e si avvicinò verso di lui muovendo le braccia come per colpirlo, ma lui la bloccò tenendola salda per i polsi.
«Tredici anni fa hai deciso di non toccarmi più, pertanto nessuno ti da il diritto di mettermi le mani addosso proprio adesso.»
Era vicino al suo viso e aveva pronunciato quelle parole a denti stretti, quasi volesse far rimarcare ancora di più la sua minaccia. «Anzi, sai che ti dico? Adesso io ti lascerò qui in soggiorno, andrò a dire a Salazar di potersi stendere sul suo letto, nella sua stanza.
Ti libererò solo a quel punto e se tu osi solo avvicinarti a quella camera, giuro sul mio onore che sta volta non avrò alcuna pietà nei tuoi confronti.»
Le scacciò malamente i polsi, tanto violentemente che questa si trovò a sorreggersi con i palmi contro il muro; allorché Ludwig uscì velocemente da lì, chiudendo la porta dietro di sé e portandosi dietro la chiave con la certezza che l'avrebbe fatta uscire solo dopo aver messo al sicuro Salazar – senza contare che quella notte sarebbe rimasto a sorvegliarlo.
Si era diretto da Salazar e Silas, al quale aveva accarezzato appena la testa avendo visto di sfuggita i suoi occhi lucidi dopo aver supposto che questo avesse pianto per qualche parola di troppo detta da Regan, dopodiché prese Salazar in braccio – non aveva l'aria di qualcuno che potesse muoversi, in fondo.
In braccio a suo padre stava bene, era tranquillo e si fidava ciecamente, così non oppose alcuna resistenza quando questo lo aiutò a spogliarsi. Era ancora catatonico e Silas provava un dolore quasi immane nel vederlo a quel modo: quella sera, non solo Salazar aveva subito un forte shock, ma anche Silas – forse più dell'altro, essendo stato messo al corrente della realtà in modo così prepotente.
Salazar venne invitato a stendersi nel suo letto e venne coperto: era davvero una bambola, adesso, una bambola immobile che respirava e fissava il soffitto.
Ludwig si ravvivò i capelli, sospirando pesantemente e non sapendo cosa dovesse fare in quel momento, dopodiché chiuse gli occhi e a mente lucida cercò di ragionare, dirigendosi poi verso un mobile dal quale estrasse un libro.
Prese la sedia che era situata di fronte la scrivania, mettendosi accanto al letto, differentemente da Silas che invece era andato a sdraiarsi accanto al minore cosicché potesse sentire del calore umano diverso da quello gelido e perverso della donna che l'aveva partorito.
Ludwig aprì il libro e cominciò a leggerne il contenuto, conscio che Salazar si sarebbe rilassato e avrebbe potuto dormire, almeno per quella sera, tranquillamente. Dopo cinque pagine, infatti, si addormentò.
Silas aveva guardato con occhi silenti Ludwig, come se volesse comunicargli la sua preoccupazione e quello, di rimando, non poté far altro che condividere quella stessa ansia.
«Stai vicino a lui questa notte. Qualsiasi cosa faccia, ti prego di assecondarlo. Se ti sveglia e ti chiede qualcosa, tu accontentalo, se ti chiede di leggere, leggi... per favore, Silas, voglio che almeno per una notte lui dorma come una persona normale.»
Aveva pronunciato quelle parole a bassa voce per non svegliare il più piccolo e l'altro aveva annuito di conseguenza, accucciandosi vicino al fratello che si era girato su un fianco.
Poco dopo si addormentò anche lui e quella sera dormirono abbracciati e sereni, mentre Ludwig era seduto in terra al di là della porta per fare la guardia.
Regan era riuscita ad aprire la porta di quella grande sala usando una forcina che aveva nei capelli e suo marito, uditi i passi in lontananza, non disse niente per aspettare che la donna arrivasse lì.
Lei si era mossa con un porta-candele in mano, aggirandosi per la casa fino ad arrivare davanti la porta del piccolo, ma sfortunatamente per lei trovò Ludwig.
La luce della candela illuminò il volto di suo marito che, seduto in basso, la guardava con occhi furenti – il nero delle iridi era diventato un mare di lava infuocata tanto era furioso con lei.
La fissò per qualche istante in quel modo, mostrandogli tutto l'odio e il disprezzo di cui era capace, ma lei non sembrò volersi schiodare da lì.
«Se non te ne vai da qui, giuro che ti sparo.»
Parole cariche di odio, sibilate nei riguardi di lei che, dal canto suo, cominciava ad avere un certo timore nel vedere suo marito in quello stato: non lo aveva mai visto così.
Fece un passo indietro fino ad allontanarsi definitivamente, andandosene; allora Ludwig tirò un sospiro di sollievo, certo del fatto che, almeno per quel momento, nessuno avrebbe sofferto oltre.
Tutti erano in pace, così si disse, eccetto Regan che, gettatasi sul letto, aveva affondato il viso nel cuscino rigandolo con le sue copiose lacrime.
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