Capitolo 6
Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e gelida in cui, nell'ora del crepuscolo,
un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
un battello leggero come farfalla a maggio.
( Il libraio di Salinunte- Arthur Rimbaud)
Friederich aveva architettato tutto alla perfezione.
Sua madre lo aveva viziato per bene – dopo tutto era l'unico figlio della famiglia Wolf – perciò nulla gli veniva negato, in special modo da quella donna che, subendo l'assenza del marito a causa del lavoro continuo, aveva come unica compagnia quella di suo figlio che mai tardava ad accontentare.
Era il suo compleanno, nulla di più di un semplice compleanno, ma aveva organizzato una festa così sfarzosa – in maschera, per giunta – per attirare l'attenzione di qualcuno e si era spinto a indossare addirittura un vestito abbastanza complesso, sullo stile pressoché cinquecentesco, con tanto di trucco sugli occhi.
Era entrato nella sala, facendosi attendere come tutti i festeggiati che si rispettino, avanzando tra gli ospiti e guardandosi qui e là tra la folla; chiunque avrebbe creduto che stesse semplicemente cercando di mostrarsi in qualche modo per il ruolo che gli spettava, eppure la verità era che lo stava cercando: voleva trovare Franz, perché era certo che avesse accettato l'invito.
Franz era un membro delle SS, molto giovane tra l'altro, nonché subordinato e amico di Ludwig.
Si era spinto fino a quella festa non per proprio volere, ma tutt'alto: era stato invitato e aveva fatto lo stesso procedimento mentale del suo colonnello, vale a dire quello secondo il quale non avesse potuto mancare a quell'evento per evitare sospetti e ripercussioni di sorta.
In particolare, Franz si chiedeva il perché di una simile banalità: non per forza tutti dovevano partecipare alle feste, era ovvio per lo meno ai suoi occhi che si potesse avere una preferenza come no; ma secondo la loro mentalità, un'assenza simile sarebbe equivalsa a un affronto proprio per via del fatto che non si poteva non omaggiare un figlio del Reich, giovane e ariano, che compiva gli anni.
C'era un unico problema: Franz conosceva quel ragazzo e forse anche troppo.
Per lui che aveva smesso di frequentare Friederich qualche tempo prima, era una sofferenza stare lì; eppure, data la sua famiglia, sapeva bene che se avesse continuato di quella lena avrebbe finito col metterlo in pericolo – e Franz non avrebbe mai voluto che l'altro potesse incappare nei guai per la loro relazione, perché sì: Frederick e Franz erano stati precedentemente insieme e quest'ultimo gli aveva detto dolcemente addio per scongiurare ogni minaccia.
Si era messo vicino a un muro, sul lato della sala, senza poggiarci la schiena e cercando di non dare nell'occhio in nessun modo, rimanendo dritto con le mani giunte sul davanti, mentre sosteneva il capello della sua divisa e tentava di evitare qualsiasi coinvolgimento con l'altro; ma Frederich era così vistoso ed evidente da essere visto inevitabilmente, suo malgrado.
Gli occhi ambrati di Franz si posizionarono lateralmente, così da poterlo scorgere appena – infondo lo amava e rivederlo era sempre un tonfo al cuore.
Sospirò, quindi, avendo capito quali fossero le sue intenzioni: si era conciato intenzionalmente a quel modo giusto per mozzargli il fiato e fargli fare qualche passo avanti – ma non lo avrebbe fatto, non in quel momento, considerando anche che era stato lui stesso a dirgli addio per il suo bene.
Riuscì a vederlo meglio quando questo gli passò davanti, ignorandolo spudoratamente per avvicinarsi a un altro ragazzo, un tipo piuttosto particolare che aveva delle piume viola intorno a un occhio – davvero bizzarro!
Li osservò bene entrambi, perché in fondo le sorti di Friederich gl'interessavano e molto anche, poi restrinse lo sguardo brevemente per cercare di individuare chi fosse.
«Ma certo, è Silas», si disse tra sé e sé, bisbigliando quasi – come se palesarlo a se stesso lo rendesse più al sicuro, che sciocco! Probabilmente aveva già afferrato le intenzioni di Friederich e lo stava odiando per quello, perché forse conosceva bene il suo punto debole: la gelosia, un vero e proprio demone che sempre lo aveva logorato. «Ma tu guarda come si è conciato!
Addirittura il fazzoletto rosso... farà morire suo padre di crepacuore.»
Continuava a parlare da solo, facendo i suoi ragionamenti a mezza bocca, gli stessi che questa volta erano palesemente indirizzati a Silas. Nel vederlo abbigliato a quel modo, in fondo, non poté evitare di preoccuparsi per le sorti di Ludwig, visto che nella sua situazione sarebbe stato lui il primo a pagare un simile affronto e non di certo suo figlio.
«Non credi di aver esagerato nell'esserti conciato a questo modo, Silas?»
Quella fu la frase con cui Friederich si approcciò a lui, lineare e allo stesso tempo tagliente.
Silas si voltò per guardarlo e alzò vistosamente un sopracciglio nel vedere come era vestito l'altro.
«Ah, io avrei esagerato?» Gli domandò incredulo, constatando come Friderich pareva aver assunto le vesti di un damerino del Cinquecento.
«Sì, proprio tu, e non fare riferimenti a me: io sono l'ospite d'onore e posso esagerare», gli disse quasi alzando il volto in un momento di fiera vanità.
«Oh, beh, come vuoi. Io mi sono voluto vestire come meglio credevo: in fondo, vestendomi appariscente ti omaggio, no? Esalto il tema della maschera.» Fece spallucce nel dire quelle cose, non sapeva neanche lui cosa stesse dicendo effettivamente, ma sapeva che era bene non giocare a chi era più bello o vestito meglio con quel tipo: aveva imparato che l'altro si sarebbe indispettivo – frivolo come era – e avrebbe voluto avere l'ultima parola, avrebbe voluto averla vinta su tutto, non solo sul suo aspetto. «Ti sei anche truccato, vedo», aggiunse ancora, senza far rispondere l'altro biondo e notando pian, piano i dettagli che spiccavano da quell'abbigliamento appariscente.
«Sì, mi sono anche truccato, sennò sarebbe stata una maschera a metà; in fondo anche tu hai le piume sugli occhi.» Friderich rispose tranquillamente, di rimando a quanto appena ascoltato, perché sapeva che fare certi discorsi con Silas non era affatto pericoloso: per quanto l'altro si sforzasse a nascondere la sua condotta, tutti erano a conoscenza che a lui piacevano tanto le donne quanto gli uomini.
«I tuoi genitori non ti hanno detto nulla?» Domandò Silas.
«No, nulla, neanche i tuoi in fondo, no? » Gli sorrise appena, sapendo che Franz lo stava guardando e che tra l'altro desiderava essere una mosca per sentire cosa si stessero dicendo fra loro.
«No, infatti, saranno stati entrambi gentili per farci divertire.»
Non poteva certo dire che Ludwig era un uomo tollerante e che gli lasciava fare il più delle cose.
Si vedeva perfettamente che i due non erano abituati a parlare, ma che anzi si erano evitati come fossero entrambi la peste; eppure, Silas non era certamente mai stato esente dall'essere attratto dalla bellezza di Frederich e quell'avvicinamento gli saltò subito all'occhio come un punto d'incontro, uno spunto per provarci.
«Non hai invitato Lothar come mai?» Gli domandò Silas.
Quel ragazzo gli mancava, effettivamente, perché sin da quando si erano conosciuti – durante una sorta di primo appello propagandistico da parte di Silas presso i sotterranei della scuola – erano stati sempre insieme.
«Perché avrei dovuto invitarlo? Non mi piace il suo brutto muso», rispose acido l'altro, con noncuranza; dopo tutto era vero e lui non provava la ben che minima simpatia per Lothar.
Silas restrinse gli occhi a quell'affermazione, ma sapeva che l'altro era un ragazzo dal pregiudizio facile e che proprio per via di questo si sarebbe dovuto preparare a sentirne di ogni sul suo conto.
«Capisco», rispose solamente, senza alimentare quella discussione che, tra l'altro, era certo di non poter sostenere.
Dopo quel ballo, Ludwig era riuscito a lasciarsi carezzare dalla meravigliosa melodia che producevano i violini.
Amava la musica, era un suo punto debole, una sua passione; quando ascoltava certi suoni era come se sentisse uscire la sua anima dal suo corpo per lasciare che questa si lasciasse avvolgere dalle note e tornasse intonsa e pura.
Nel frattempo, però, stava pensando ad Aleph: cercava d'immaginare cosa avrebbe potuto fare in quel giorno che per lui era di festa e di riposo, visto e considerato che era sabato.
Non avrebbe potuto vederlo fino a mercoledì e l'ultima volta che era accaduto si erano messi a tradurre quella poesia per la quale Aleph lo aveva ringraziato fino alla nausea nella promessa che Ludwig gli aveva fatto – quella di assaporare l'opera in questione anche nella sua lingua d'origine.
Aveva riso come mai aveva fatto prima, era stato sereno, per questo si sarebbe ricordato quella sensazione per tutta la vita, ne era certo.
Si avvicinò a sua moglie che ancora era nei pressi del tavolo del buffet, chiedendosi quante volte avesse fatto mangiare Salazar?
Ecco, adesso si sentiva tremendamente in colpa per averlo lasciato troppo con lei, per essersi fatto distrarre dalla musica e dai pensieri.
«Regan», la chiamò appena per palesarsi, sicuro che, nonostante tutto, lei avrebbe continuato a costringerlo a ingozzarsi con quelle pietanze non appena fosse tornato dal bagno. «Direi che puoi anche smetterla di farlo mangiare», le suggerì sottovoce per non farsi sentire, pur conscio che la musica sarebbe stata ugualmente sua complice quella sera.
«Ludwig, sono io sua madre, perciò so io quando e come la mia bambola deve mangiare.»
Probabilmente, nei giorni di assenza di Salazar, era veramente uscita di senno, così si disse Ludwig, ascoltando le sue parole e notando come questa pareva essersi rabbuiata ancora di più di quanto non fosse di suo – o per lo meno quella era la fine che aveva fatto la sua sanità mentale: si era oscurata di più e Ludwig stava per arrivare alla fine di quel tunnel chiamato pazienza.
«Sei forse impazzita? Non è una bambola, è tuo figlio», ringhiò a denti stretti, serrandole il braccio. In fondo, anche se lo avessero visto, non sarebbe stato altro che una manifestazione di forza e agli occhi degli altri e Ludwig non sarebbe che apparso come un uomo sempre più adatto a far parte di quell'organizzazione.
Lei non rispose, si limitò ad accarezzargli il viso per un istante, poggiando il suo palmo contro la guancia del marito e lasciando che lui si stupisse un poco – quanti anni erano che non sentiva una carezza?
Sgranò appena gli occhi, colto di sorpresa, non aspettandosi minimamente un gesto simile.
«Ludwig, non illuderti, se ti accarezzo il viso è solo perché devo farlo in questo posto. Il mio disgusto per te è sempre lo stesso.»
Il suo cuore, il suo innocente quanto appesantito cuore, si frantumò in quell'istante: ogni volta si illudeva che quella donna potesse tornare quella di un tempo, ma invece diventata sempre più crudele.
«Sai, Regan, mi domando sempre perché mi ostino a tenerti al mio fianco, in casa mia, quando potrei rilegarti nel posto che ti meriti.»
Era arrivata la prima minaccia da parte sua, la sua prima e vera minaccia. Certamente si sarebbe controllato in casi diversi da quello, ma non ce la faceva davvero più a sopportare quegli affronti – il suo stesso spirito ne risentiva, visto che non era colpevole di nulla con lei.
Si allontanò da lei senza più la voglia di ascoltarla o di guardarla in faccia, quando incrociò suo figlio che ancora una volta tornava dalla direzione del bagno – una delle tante volte in cui era filato via dopo essere stato al buffet con sua madre.
«Salazar, per favore, va' da tuo fratello», gli disse, guardandolo e sorridendogli appena; così fece, avrebbe fatto ogni cosa detta da suo padre, perché per lui era un eroe, non di quelli che narravano nel Reich o nei libri, lui era un eroe di vita – continuava a ripeterselo sempre, ci credeva davvero, anche se Ludwig non aveva proprio nulla di eroico in quel momento.
Salazar si diresse alla ricerca di Silas, mentre Ludwig era volto all'indirizzo di una cartomante che il padrone di casa aveva invitato per intrattenere gli ospiti che credevano molto ai pronostici degli arcani e pertanto non si esentavano mai dal chiedere conferma a questi.
Parve interessarsi subito alla vicenda, ma sopratutto voleva constatare la veridicità di questa cartomante, visto e considerato che la sua famiglia era impantanata con l'occulto da secoli – e quindi, anche lui sarebbe stato in grado di leggere il significato delle carte.
La donna avrà avuto all'incirca venti anni, aveva lunghi capelli tinti di un castano intenso, lunghi e sviluppati in generose onde diramate, gioielli al collo e alle mani, nonché un vestito adatto a una festa in maschera come quella: dorato e mischiato a varie sfumature di verde.
Ludwig era decisamente arrivato tardi, così si disse nel constatare che non avesse fatto in tempo a sentire la domanda dell'uomo in divisa; però, nonostante tutto, poté quantomeno vedere come la donna dalle mani eleganti continuasse a girare le carte – le voltava con perizia e delicatezza, mostrando le sue dita lunghe dalle unghie curatissime.
Mostrò sei arcani, cosa abbastanza inusuale, ma probabilmente aveva seguito un metodo tutto suo.
Nel contempo, Ludwig osservò le carte e poi puntò il suo sguardo sulla donna. Stette in silenzio e lasciò ampio margine di risposta alla cartomante senza immischiarsi, ma nonostante tutto non mancò di notare la sua espressione che parve confermare la sua lettura.
Dalla sua bocca, però, uscirono ben altre parole: a quanto pare il militante aveva chiesto di una sua cosa privata e non riguardo la guerra, perché nelle carte vi era descritta una disfatta amorosa.
«Voi siete senza dubbio un uomo fortunato, signore. Presto incontrerete una donna che vi renderà felice e che vi darà tanti figli, tanti figli del Reich», cercò di dirlo con una voce squillante e convincente, tanto per non far capire a quell'idiota che lei stava spudoratamente mentendo per non indispettire nessuno.
Ludwig dovette trattenere quasi una risatina nel sentire lei e nel vedere la faccia di lui che, dal canto suo, non pensò neppure per un attimo che questa potesse essere una ciarlatana – non a caso non lo credeva neppure lui proprio perché aveva visto l'espressione di derisione e disappunto che, malgrado le circostanze non richiedessero affatto, era trapelata dal suo volto mentre girava le carte.
«Oh, grazie, grazie infinite!»
L'uomo la ringraziò, alzandosi dalla sedia per lasciare il turno ad altri che già precedentemente, prima di lui, avevano avuto il loro primo giro di carte; poi, tutto contento, si allontanò e lei dovette trattenersi dal ridere fragorosamente visto che accanto aveva ancora un Ludwig pronto ad osservare il futuro malcapitato.
«Voi, signore, non volete che vi legga le carte?» Gli chiese lei sorridente, come per invogliare un altro pollo, ma sta volta era incappata in quello sbagliato.
«No, grazie, preferisco rimanere con la sorpresa del futuro», rispose lui, sereno e sorridente, conscio del fatto che lei avrebbe potuto o meno capire quella sottile linea d'intesa che s'era creata dal canto suo.
Nel frattempo, Friederich era riuscito a convincere Silas a seguirlo all'interno dello studio di suo padre, senza neanche troppo sforzo.
Una volta lì, Silas si guardò intorno, abituato com'era allo sfarzo; eppure si disse che in quella stanza c'era qualcosa di veramente diverso: era davvero un vero e proprio tributo al Reich e cominciava a non biasimare più di tanto l'altro ragazzo, visto e considerato le nenie che tutti i giorni era stato costretto a sentire assieme a tutti quei turpiloqui riguardo cosa fosse o non fosse giusto fare.
C'erano immagini del Führer, della squadra SS disposta in file sull'attenti, la gloriosa bandiera del partito e chi più ne ha più ne metta: un vero museo alla patria.
«Tuo padre sì che sa come non farsi mancare niente.»
Silas era il solito, non si sapeva tener cucita quella maledetta bocca e se lì ci fosse stato Lothar lo avrebbe già preso a pizze sul capo per ridestarlo dalla sua stupidità, ne era certo.
«È quello che tutti gli uomini come lui dovrebbero avere. Tuo padre non ha una stanza così?»
Friederich, dal canto suo, era sempre pronto a insinuare qualcosa, perché in fondo voleva incastrare Silas per darlo alla giustizia e allo stesso tempo servirsene per far ingelosire Franz; ma Silas non sembrava così preoccupato al riguardo: aveva i suoi mezzi per uscire indenne da ogni situazione, seppur in quel preciso momento si stava dando dell'idiota per aver parlato tanto – aveva messo nei guai suo padre in un secondo e come se ce l'aveva cacciato. Doveva salvarlo.
«Oh, certo, ma rimango sempre stupido di fronte a tanta fedeltà – e poi non entro spesso nella camera dove mio padre si mette per lavorare.»
Si sarebbe passato la mano sulla fronte per togliere del sudore immaginario, se solo avesse potuto farlo. Certo era che le sue capacità di parlantina, così come lo dannavano, riuscivano sempre a salvarlo in contro piede: aveva scampato il pericolo ancora una volta.
Non era propriamente certo che l'altro si fosse bevuto quanto aveva appena detto, ma era convinto del fatto che Friderich avesse ben altro in mente e se ne accorse quando questo si avvicinò a lui e portandogli una mano al viso per baciarlo.
Non si tirò certo indietro, visto che dall'alba dei tempi aveva captato le inclinazioni dell'altro e che sopratutto da inizio serata aveva inteso a che punto volesse arrivare; ora non gli restava scoprire chi voleva far ingelosire – perché era certo che si trattasse di una situazione non dissimile da quella che aveva preventivato in un primo momento – pertanto si disse che avrebbe preso quell'avvenimento come un gioco, senza coinvolgimenti di sorta.
Si spinse un poco in avanti, essendo più alto di lui, continuando a baciarlo e mettendogli la mano tra i capelli che, con tanta cura, Friderich, si era sistemato a dovere per il suo travestimento. Lo accompagnò, con il suo corpo fino a poggiarsi contro la scrivania di suo padre senza mai smettere di baciarlo, anzi, staccandosi giusto quel poco che serviva per riprendere fiato di tanto in tanto.
Friederich non avrebbe certamente immaginato che Silas potesse accondiscendere a quel modo, con tanto ardore, e non poteva fare a meno di pensare che Franz avrebbe dovuto vederli proprio in quel frangente, perché solo così sarebbe potuto tornare da lui; in quel momento, però, non era molto propenso alla vendetta – malgrado le intenzioni iniziali fossero quelle – visto che Silas gli aveva già infilato le mani ovunque ed era riuscito a farlo gemere, avendo carezzato con i polpastrelli la sua intimità.
«Sta zitto! Vuoi che ci senta tutta casa?» Bisbigliò Silas, vicino com'era al suo orecchio. In fondo stava trovando la cosa davvero molto divertente e forse, si disse, troppo spesso prendeva le cose come un gioco.
«Se non tieni a bada quelle mani, di certo è colpa tua e non mia» Lo rimproverò Frederich, sottovoce. Aveva un poco il fiato corto, doveva ammetterlo, perché alla fine gli era bastato poco per emozionarsi come conveniva.
«Beh, cosa dovrei fare? Rimanere immobile? No, bello, non è da me: dovevi fare meglio i tuoi conti.»
Silas era una maledetta peste e Friederich si stava maledicendo: ma cosa poteva fare? Gli piaceva quel ragazzo, esteticamente parlando per lo meno, anche se voleva arrivare a ben altra preda ambita.
«Mi hai semplicemente colto di sorpresa», fu l'ultima frase che l'altro riuscì a dire, perché Silas gli tappò subito la bocca con la propria, andando a perlustrare quella cavità con la proprio lingua: voleva farlo sciogliere sotto i suoi baci per renderlo più disinvolto e c'era riuscito, perché Friderich mugolava timidamente, distratto un po' da quelli e un po' dalla mano del biondo che stava percorrendo la sua eccitazione, scandendo bene quei movimento e andando a velocizzarli come rallentarli, alternandosi solo per farlo impazzire.
I mugolii di Friderich presero lentamente a divenire più dolci e ritmici, tanto che quasi non si accorse di come il suo seme scivolò in abbondanti fiotti sulla mano di Silas che, nel frattempo, si dedicò anzi a lambire la pelle del suo collo, trovandolo ora completamente rilassato.
Salazar entrò in quella stanza all'improvviso, mentre ancora suo fratello teneva la mano nei pantaloni dell'altro: non c'era nulla che potesse preannunciare quell'arrivo, meno che mai prevenirlo in qualche modo, e fondamentalmente, se anche fosse stato, di certo nessuno dei due avrebbe potuto farci nulla.
Ecco, Salazar aveva un problema riguardo la questione sessuale, perciò vedere suo fratello a quel modo lo aveva non sconvolto, bensì in un certo senso turbato fino a fargli crollare di soppiatto l'unica idea sana che gli era potuta restare riguardo quella questione.
Aveva tredici anni, in fondo, ed era abbastanza inquieto di suo sul lato emotivo, tanto da essere ancora più scosso adesso che aveva visto suo fratello tra le gambe di Friderich e addirittura con una mano nei suoi pantaloni.
Con quella conclusione, Salazar fece subito marcia indietro e chiuse la porta che aveva aperto appena, scappando per la sala da ballo e passando davanti agli occhi di Ludwig come un fulmine fino a farlo preoccupare, spingendolo al punto che subito cercò di raggiungerlo per chiedergli spiegazioni; Franz, invece nel vedere un ragazzino correre turbato per la sala, si mosse in direzione di quella stanza tanto spaventosa, considerando il fatto che già prima aveva notato Friederich entrarci conducendo con se Silas.
I suoi nervi erano già arrivati oltre ogni umana concezione e Silas dovette ringraziare il cielo che stavano in luogo pubblico e che Franz non poteva fare scenate, anche se sapeva bene di chi era la colpa in quel frangente.
«Maledizione!» Imprecò Silas, egoisticamente, più che altro perché lui era rimasto praticamente insoddisfatto e ancora pronto a poter soddisfare più di una persona visto quanto la situazione con il festeggiato lo aveva coinvolto.
«Tuo fratello è scappato... e se lo dicesse a qualcuno?» Domandò preoccupato Friederich.
«Non lo dirà a nessuno», disse seccato, lasciando l'altro lì e dirigendosi verso l'uscita.
Quando aprì la porta era talmente nervoso da non rendersi conto neanche di chi avesse di fronte e fu in quel momento che urtò con la spalla Franz senza neppure fermarsi a chiedergli scusa; tirò semplicemente dritto.
Franz aveva aperto quella porta prepotentemente, richiudendola alle sue spalle con altrettanto vigore senza pensare più al fatto che stesse in una casa affollata.
Aveva intuito cosa potesse essere accaduto lì, anche se non fino a che punto, ma una volta aver visto Friederich con le mani nei pantaloni per cercare di risistemarsi il vestito gli salì il sangue al cervello e come una furia si avvicinò a lui.
«Che cosa credevi di fare?» Gli ringhiò quelle parole a pochi centimetri da lui: era furioso e ardeva di gelosia.
«Riaverti», confessò in modo totalmente disarmante. Era vero, voleva riavere Franz a tutti i costi e si era spinto a compiere quel gesto tanto sciocco solo per perseguire il suo scopo.
«Smettila con questa storia, smettila», disse agitato l'altro, allontanandosi di poco. «Cosa credi, che abbia smesso d'amarti? No non è così, ma se ti ho abbandonato è per il tuo bene.» Si portò una mano tra i capelli: quella storia rendeva molto nervoso anche lui.
«Smettila di essere patetico, piuttosto! L'abbandono non fa mai bene a nessuno e se credi che lasciandomi hai potuto salvarmi la vita, sappi che da una parte me l'hai dannata, invece, perché io non sono nulla senza di te, stupido maledetto!» Lo guardava con rabbia, mentre le lacrime sgorgavano ribelli e silenziose dai suoi occhi.
«C'era bisogno di architettare tutto questo? Dovevi per forza strusciarti addosso a un chi che sia come una puttana?»
Friederich restrinse lo sguardo, ferito, constatando che non si fosse sentito a suo agio neanche lui a compiere un simile gesto; certo, non poteva negare che non gli fosse piaciuto o che Silas non lo attraesse, ma non l'avrebbe mai fatto se non per raggiungere il suo scopo ultimo: Franz.
Gli diede uno schiaffo in pieno volto per fargli ingoiare quell'offesa e fu in quel momento che la sua ossessione, dopo essersi beccato lo schiaffo, gli afferrò la mano tanto per risentire un contatto con l'altro; così la strinse forte, ancora una volta sua, e lo tirò a sé per baciarlo con tanta forza e vigore che quasi lo soffocò.
«Se è questo che vuoi, lo avrai. Se è me che vuoi, mi avrai. Anche se la morte o la disfatta sarà la nostra punizione, tu mi avrai.»
Adesso non si potevano tirare più indietro: Franz aveva fatto fronte al suo precedente giuramento, quello di salvarlo, e se ora la morte li avrebbe divisi non era più un problema, poiché Friederich gli aveva appena detto di essere già morto dentro quando lui aveva osato andarsene.
Da quella stanza, quella sorta di ufficio in casa, si erano spostati all'esterno del giardino, uscendo dalla porta finestra.
Franz lo teneva per mano, tirandolo per poterlo abbracciare: erano alle spalle della casa e teoricamente nessuno avrebbe dovuto vederli.
Lo afferrò, quindi, cingendolo tra le braccia, afferrandogli il mento tra le dita così da potergli sollevare il viso e lo baciò dapprima dolcemente, per poi lasciarsi trasportare dalla profondità e dalla passione che, dirompente, sembrava voler recuperare il tempo perduto.
«Non farti toccare mai più da nessuno, mai più, perché il tuo corpo è un tempio nel quale solo io posso pregare», sussurrò quelle parole, quelle stesse parole che furono in grado di far morire dolcemente Friederich e che, come sempre, lo addolcivano e lo convincevano a restare; dopodiché riprese il suo bacio, respirando un poco nell'apnea che sapeva di puro amore. «Quanto tempo è passato? Ho perso il conto dei minuti...» gli porse quella domanda retorica tra un bacio all'altro, come a volerselo mangiare per consumarne le sue labbra.
«Sei tu che hai deciso di allontanarti per contare i minuti», rispose secco ma dolce l'altro ragazzo, tenendo gli occhi bassi con una sorta di espressione sensuale, del tutto colto dalla malia di quei baci.
«Non è stata una scelta facile, sai? Sono dovuto rimanere lontano da questa tua faccia da schiaffi...» scherzò Franz, prendendogli il viso tra le mani, con un gesto più passionale e possessivo per ricondurlo nuovamente alle sue labbra.
«Davvero, non sto scherzando, perché l'hai fatto?» Rispose tristemente Friderich, era davvero provato da quella distanza e adesso aveva come la sensazione che tutto potesse sparire di nuovo, ancora una volta, come una nube di fumo o come un sogno mai esistito.
«Te l'ho già spiegato, lo sai», affermò Franz, sospirando appena. Forse aveva commesso un gesto sconsiderato, ma a detta sua era stato comunque il più logico per lui, la soluzione più veloce per trarlo in salvo.
«Per salvarmi la vita, lo so, ma una vita senza di te non è degna di essere vissuta, Franz.»
L'interpellato si sentiva un po' in colpa, perché nonostante sapesse quanto l'altro lo amasse, a suo tempo non riuscì a immaginare di averlo fatto soffrire a quel modo. Si perse a guardarlo.
«Franz!» Lo chiamò ancora Friderich, riscuotendolo un poco da quel suo stato di dispiacere perpetuo e lui si fiondò nuovamente sulle sue labbra, muovendo passi veloci e prepotenti così da far muovere anche l'altro, mentre con la sua mano dietro la schiena lo teneva fermo a sé.
Riuscì a farlo arretrare fino a sbattere con le spalle contro il tronco di un albero e questo gemette appena nel sentire quel contatto che non si aspettava, tanto che Franz perse la testa solo udendo quel suono e così continuò a baciarlo, lasciando che le mani scendessero ad accarezzarlo lungo il corpo fino ad arrivare al farsetto della maschera con tutta l'intenzione di volerglielo slacciare.
«Non qui, non adesso», lo fermò Friderich, afferrandogli la mano dolcemente per non farlo andare oltre, così si mise seduto, invitando poi anche l'altro a sedersi. «Continua a baciarmi, Franz, ma non andare oltre: voglio avere indietro tutti i baci che in un anno non ho ricevuto», gli disse e l'altro non fece che esaudire il suo ordine, accontentandolo e alternando dolci baci a baci più passionali.
I due morivano nei loro corpi, cercando di non essere sovrastati da tutte quelle emozioni, ma nel frattempo sapevano che la gioia di ricongiungersi sarebbe arrivata presto e sarebbe stata magnifica, lontano da ogni pericolo.
Nello stesso tempo, Silas si era dato alla caccia: doveva trovare qualcuno che per quella notte potesse adempiere ai compiti di Friederich e aveva individuato una ragazza dal viso dolce e particolare, bionda e con due occhi celesti molto grandi – particolarmente grandi, tanto da dargli un'aria trasognata, come se fosse Alice del paese delle meraviglie.
Si avvicinò a lei solo quando fu certo che fosse sola, dato che era andata lì con suo marito, per cercare un approccio e vedere come si sarebbe evoluta la situazione; suo marito, invece, era un uomo piuttosto vanitoso, uno di quelli che doveva avere tutto in ordine e al posto giusto: più vanitoso di quanto potesse sembrare Silas.
Non a caso, Huge aveva passato tutta la serata a parlare, a mostrare i suoi talenti e soprattutto a togliersi il cappello della divisa per assicurarsi che la sua chioma, folta e perfettamente ingellata, fosse al suo posto.
Un uomo frivolo, indottrinato, un essere spietato e allevato all'inizio della costruzione dei campi di concentramento, tenuto sotto osservazione della squadra di Eike che li addestrava ad annullare la propria coscienza per distruggere il prigioniero.
Silas era un vero folle ad avvicinare la moglie di un ufficiale nazista, ma a lui poco importava: era giovane e particolare, quella ragazza, e anche se non era a conoscenza della sua età non sembrava farsene alcun problema – in fondo, lui era un estimatore della bellezza e non dell'età che questa celava.
«Avete un bellissimo ventaglio, sapete?» Azzardò con quella domanda, cogliendo la fanciulla impreparata che, voltandosi, poté vedere di fronte a lei un giovane davvero eccentrico; non sapeva il perché, ma lei, Agnes, lo aveva già preso di mira – e non perché lo trovasse attraente, bensì perché lo sentiva simile alla sua natura.
«Come dite?» Gli domandò lei, fingendo di non capire per studiare meglio quel ragazzo.
«Avete un bellissimo ventaglio, simile a quello di mia madre», rispose lui, riaffermando la sua tesi.
«E come sarebbe questo ventaglio?» Domandò lei, curiosa. Sul suo volto si era palesata un'espressione crucciata, lo trovava contorto o quanto meno trovava quella tattica di rimorchio abbastanza bizzarra: nessuno ci aveva provato a quel modo con lei, cogliendo il dettaglio di un ventaglio.
«Bianco, come il vostro, perché anche lei è vestita di bianco.»
Già, lei e Regan aveva due abiti differenti, ma dello stesso candore, ed entrambi i ventagli erano traforati e lavorati finemente – si vedeva che erano monili preziosi.
«Voi siete?» Domandò lei, curiosa di sapere con chi stesse parlando.
«Perdonatemi, madame, non mi sono presentato: io sono Silas Dubois, figlio di Herr Ludwig Dubois.»
A quella presentazione, tutti solitamene ci andavano cauti, perché parlare con il figlio di un colonnello di quelle forze armate non era propriamente semplice visto e considerato che non si poteva mai sapere cosa gli passasse per la testa.
«Oh, siete il figlio del colonnello?» Chiese lei, sembrando ben informata su quella famiglia di cui aveva sentito parlare – con esattezza si poteva dire che avesse sentito parlare di un fantomatico ragazzo, bello e biondo, dai lunghi capelli.
«Esattamente», asserì lui, lanciandosi poi in una domanda che – per lo meno a suo dire – gli avrebbe aggiudicato la serata. «Mi concedete l'onore di un ballo, madame?» Domandò quindi, porgendole il braccio per invitarla ad accettare.
«D'accordo», disse sorridendo debolmente.
I due si lanciarono in un walzer meraviglioso e lei, ora che la musica risuonava maestosa, ne approfittò per fargli delle domande spinose:
«Ditemi, Silas, conoscete un locale che si chiama Dorian?»
Ecco, quella si che era una domanda spinosa per i tempi che correvano; quel locale era conosciuto solo da un certo tipo di persone e frequentato da attivisti pro-diritti degli omosessuali – nel Dorian, in special modo, da donne.
«Sì, madame», asserì un po' dispiaciuto, comprendendo in quel preciso momento che la serata gli sarebbe andata talmente male che, probabilmente, sarebbe dovuto andare a trovare i piaceri altrove: magari da Rose o in qualche altro night club.
«Benissimo», pronunciò con un sorriso estremo sulle labbra, sicura che così gli avesse palesato la sua vera natura e che non avrebbe dovuto perder tempo a respingerlo; mentre Silas, d'altro canto, stava ragionando sul suo matrimonio che di certo non era stato basato sull'amore.
«Perché me lo chiedete?» Domandò a quel punto, curioso di sapere cosa pensasse la moglie di un ufficiale nazista al riguardo certi argomenti, per di più apparentemente lesbica. Prima di darla per spacciata, però, voleva esserne sicuro: per lui, la speranza era l'ultima a morire.
«Nulla, volevo sapere cosa pensavate della condotta di quel locale», rispose Agnes mentre continuava a volteggiare, constatando quanto Silas fosse davvero un bravo ballerino.
«Trovo che sia deliziosa», rispose con un ghignetto sardonico dipinto sul volto, senza aggiungere nient'altro: aveva già detto abbastanza, si era spinto a parlare apertamente perché ormai ne era certo – e il fatto che lei stesse sondando il terreno gli aveva appena dato tutte le certezze che gli occorrevano.
«Quindi potreste venire lì domani sera alle otto?» Domandò lei.
Aveva sentito che Silas era un rivoluzionario, c'erano voci simili in giro, ma non si sapeva se era veramente lui o meno; nella loro casta si sapeva di un ragazzo biondo con quei requisiti, ma nessuno sospettava del figlio del colonnello, almeno per il momento, quindi, in un certo senso, erano sicuri tutti e due di aver inquadrato l'altro.
«Perché lo chiedete, madame?» Domandò, tanto per tirare per le lunghe quel giochetto fino alla fine del ballo.
«Non fate domande, ditemi solo se ci sarete oppure no.» Aveva già parlato troppo e la musica stava sciamando, quindi non poteva correre il rischio di farsi sentire visto che tutti e due si muovevano alle spalle del regime.
«Sì, madame», affermò soltanto, conscio che nessuno potesse sospettare granché da una semplice risposta affermativa.
«Io sono Agnes Richter.»
Adesso che tutto era stato stabilito si poté presentare senza remore.
«Chiedete di me all'ingresso e vi faranno entrare.»
Fu l'ultima frase pronunciata da lei, perché suo marito si riavvicinò a lei, vedendola sorridere nella sua direzione prima di posare una mano sul suo torace – sembrava davvero che fosse una moglie amorevole, per lo meno a una prima occhiata, ma in pochi attimi lo stesso Silas s'era reso conto di quanto fosse per Huge una serpe in seno.
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