Capitolo 53
Laggiù nel suo grembo, lontano
Dai regni della luce, ci accolga
La terra! Furia di dolori e spinta
Selvaggia è segno di lieta partenza.
Dentro l'angusta barca è veloce
L'approdo alla riva del cielo.
Sia lodata da noi l'eterna notte,
Sia lodato il sonno eterno.
Ci ha riscaldati il torrido giorno,
ci ha fatti avvizzire il lungo affanno.
Non ci attraggono più terre straniere,
vogliamo tornare alla casa del Padre
(Anelito di morte - Novalis)
«Dimmi, amico mio, come sei finito qui dentro?» Otil si riferì diretto a Ludwig, mentre passeggiavano nel campo.
«Storia lunga.» Ludwig era un uomo introverso e molto riservato. Era raro che si aprisse a certe confidenze. Specie lì dentro.
«Hai paura di non fare in tempo prima che finisca il turno? Avanti, Ludwig, di che hai paura?» Otil gli diede una pacca sulla spalla e Gustav, da lontano, non si fece sfuggire la complicità tra i due, era certo che si fossero conosciuti già. Ma lo sapeva. Il colonnello era un eroe di guerra e, forse, si erano conosciuti proprio tra le trincee.
«Hai sempre molta voglia di chiacchierare, Otil.»
«Quello che non fai tu, Ludwig. Te ne sei sempre stato per conto tuo, con il tuo tristissimo libro di Novalis tra le mani, o a giocare a carte con Nail Neumann; ancora me lo ricordo quel pazzo furioso, la sua gamba è ancora attaccata?»
Ludwig rise e Otil si sentiva sollevato, vedere Ludwig ridere lo rallegrava, forse non era stato ancora del tutto divorato dai suoi demoni. «Ha ancora la gamba attaccata e sì, è un pazzo furioso.»
«Ma il più pazzo sei tu, Ludwig. Se non fosse stato per te, sarebbe saltato in aria con tutta la bomba.»
Ludwig sollevò le spalle, «che vuoi farci, sono fatto così.» Poi, scherzoso, fece tintinnare la sua medaglia all'onore militare. «Non avrei avuto questa, no?»
«Cosa imprescindibile.» Otil rise.
«Ludwig, però, stiamo divagando. So che sei abile in questo, ma non svierai la mia attenzione.»
«Potrei farti la stessa domanda, Otil. Perché sei qui dentro?»
Otil si avvicinò a Ludwig, abbassò il tono di voce fino a renderlo quasi un sussurro lieve: nessuno, nemmeno l'aria, doveva sentirlo; se fosse stato in grado di comunicare telepaticamente, lo avrebbe fatto.
«Sono qui, perché qualcuno sospetta di te. Piani alti. Mi sono offerto io stesso di venire qua, sono tuo amico, Ludwig, lo sono sempre stato; e anche io, come Nail, devo la vita a te. E, visto le mie sempre più eroiche gesta, quando mi sono offerto non hanno potuto rifiutare.»
Ludwig non aveva sentito mai battere così forte il cuore, se non fosse durato solo qualche istante, avrebbe temuto un infarto. Quelle maledette sensazioni, quel dannato sesto senso non lo lasciavano da giorni, inoltre era preoccupato per suo figlio, del quale non aveva avuto più notizie.
«È così? Di cosa dovrebbero sospettare?» Poteva essere suo amico, ma non avrebbe mai svuotato il sacco così su due piedi. Per quanto lo riguardava, la guerra era in grado di corrompere il più retto degli uomini.
«Non lo so, Ludwig. Questo non mi è dato saperlo, sono qui per indagare. So anche che tu non mi dirai niente, che non ti fiderai di me. Ti conosco troppo bene, ma io non ho la ben che minima intenzione di dire nulla, anche vedessi qualcosa adesso.»
«Se fosse, meglio per te, non saresti una spia.» Ludwig si sentiva trafiggere la pelle come se sotto di essa fosse cosparso da aghi. I nervi erano tesissimi.
Otil arrestò la sua camminata. «Ludwig, non credo che tutti si facciano portare di proposito in questo posto, sono qui per te, per ingannare gli alti vertici, per dirgli che si sbagliano riguardo le loro supposizioni. Te lo dovevo, ero in debito con te, lo sai.»
«Ammettiamo che sia così, che io sia un cospiratore; dovrei fidarmi di te, perché io ti ho salvato la vita, quanto vent'anni fa? Va bene, sarà il tempo a parlare. Non ho segreti. Potrai riportare tutto quello che vedrai nel campo.»
«Sei stizzito, conosco quel tono, e mi ferisce, Ludwig. Sai benissimo che potresti denunciarmi in due secondi, se solo lo volessi. Non tradirei un uomo della tua lealtà Ludwig neanche se stessi per morire, andiamo, amico mio, devi fidarti di me.» Otil gli poggiò una mano sul braccio, lo strinse appena, voleva che Ludwig si fidasse di lui.
«E per cosa dovrei denunciarti? Perché in trincea ci siamo divertiti tra di noi? E a chi importerebbe? Poi se fosse denuncerei anche me stesso, non avrebbe molto senso.»
«Perché pensi che io abbia smesso?» Gli dichiarò Otil ridendo.
«Riesci ancora a trovarli?»
«Non apertamente come un tempo, ma li riconosco lontano un miglio.»
Ludwig rise. Otil aveva uno spiccato senso dell'umorismo e della chiacchiera, forse a tratti ingenuo. Per adesso lo avrebbe tenuto sott'occhio, anzi messo alla prova e solo dopo avrebbe deciso cosa farne di lui.
«Ah, allora dovevano metterti a caccia di ebrei, sarebbe stato felice il nostro diretto superiore.»
«Non parlarmene. Riuscire a beccare un ebreo transessuale è qualcosa che solo io sono stato in grado di fare.»
Ludwig pensò alla sua situazione. Pensò ad Aleph che si era innamorato di un uomo, oltre a essere ebreo, ma Otil lo aveva battuto su tutti i fronti.
«E adesso dov'è?» Domandò Ludwig incuriosito dalla situazione.
Otil sospirò, «In Inghilterra, l'ho fatto espatriare con i documenti falsi. Tu faresti finire l'amore della tua vita qui dentro, Ludwig?»
Ludwig soppesò le affermazioni e la domanda. Otil poteva essere sincero o stava inventando solo una storia per ottenere la sua fiducia. Doveva indagare.
«Hai una foto?» Gli domandò.
Otil sorrise, «Certo, appesa al collo. Ho una collana, un medaglione, vuoi vederlo?»
«Mi piacerebbe, sì.» Quel dettaglio gli aveva fatto ricordare che, anche Achill, suo padre, ne portava al collo una, ancora prima che morisse sua madre, nessuno però aveva mai visto il volto al suo interno.
Otil tirò fuori il medaglione, sollevandolo dalla maglia fine della collana. A prima vista sembrava oro bianco, lo teneva e maneggiava con cura, come se fosse l'ultima cosa che gli fosse rimasta sulla terra. Lo osservò bene, era meticoloso, cercava di non sgualcire il colletto, della camicia o di scomporre la divisa. Quel gesto poteva significare due cose, secondo Ludwig, o era estremamente preciso, o lo stava tenendo nascosto.
Otil aprì il medaglione, lo aprì così piano che Ludwig poté sentire il click della chiusura. Poi, lo porse a Ludwig, «Bellissimo non è vero? E vedessi quanto è dolce, una persona così amorevole e dolce non lo avevo mai conosciuta.»
Ludwig guardò la foto nel monile e, per quanto fosse piccola, ne percepì tutta la bellezza. «Sì, è vero, è davvero bellissimo. Di che colore ha i capelli?» Dalla foto in bianco e nero non riusciva ben a identificarlo.
Otil sospirò ancora, «Vuoi farmi rattristare amico mio? Biondi, un biodo ramato, mai visto niente del genere. Spero stia bene, l'ultima lettera ricevuta è di un mese fa.»
Ludwig chiuse gli occhi, per un attimo si ricordò di Regan. I capelli che tanto aveva amato, una moglie perduta molto tempo fa. Sperava con tutto se stesso che stesse riposando in pace da qualche parte nel mondo dei morti.
«Ora hai qualcosa per cui denunciarmi, Ludwig.»
«Potresti aver creato tutto questo, dovrei fidarmi sulla base di una foto?» Domandò Ludwig perplesso.
«E va bene, Ludwig, domani vieni a casa mia. Ti mostrerò le prove di quello che dico, ho davvero così tante prove che crearle tutte per architettare un piano del genere avrebbe necessitato una quantità di tempo notevole. Chiedi pure al comando quando è stato richiesto il mio trasferimento qui, dopo di che, Ludwig, starà a te, capire se puoi fidarti di me o meno.»
Giunto il calar delle tenebre si erano convinti che forse era il momento giusto per far riposare i cavalli. Li spinsero ancora con un andamento più lento fino a un albero poco distante da loro. Il primo a smontare da cavallo fu Silas, scese in terra affondando di poco i piedi nella neve.
«Scheisse!» esclamò Silas resosi conto di aver lasciato le impronte dei suoi piedi, consapevole poco dopo che, prima o poi sarebbe successo. Quelle dei cavalli erano inevitabili, non avrebbero potuto cancellarle, ma le loro erano un inconveniente non di poca cosa.
«Ti si sono rovinate le scarpe?» Lo stuzzicò Lothar nel sentirlo imprecare.
«Non sei nella condizione di scherzare, Lothar, ti ricorderei...» aveva cominciato a lamentarsi, quando venne interrotto da Lothar, «che se siamo qui è perché sono io che ci ho messo in questa situazione.»
«Ecco, visto che lo sai, scendi da cavallo e datti una mossa a legarlo all'albero. Ah già, sempre se riesci a scendere da cavallo.» Sorrise sghembo senza tardare di un solo attimo nel restituire a Lothar la sua sarcastica affermazione.
«Comunque, a parte gli scherzi, Silas, cos'è che ti preoccupa?» Gli domandò Lothar tornando serio.
«Le impronte, i cavalli possono passare, ma se vedono impronte di scarpe vicino a quelle loro possono pensare a dei fuggitivi.»
Improvvisamente Lothar si fece ancora più serio, alzò la testa, si concentrò corrugando la fronte, ancora in groppa a quel cavallo che, abbassando la testa, quasi lo stava supplicando di scendere. Ma, Lothar, aveva trovato una momentanea scusante per procrastinare la sua imbarazzante scesa dal destriero.
Silas lo guardava interdetto, chiedendosi cosa stesse mai facendo, ma poi la risposta arrivò e gli sembrò ancora più strana di qualsiasi sospetto.
«Stai tranquillo, domani all'alba nevicherà.»
«E come fai a dirlo?» Gli domandò incuriosito da tale capacità meteorologica.
«Non lo so, è una cosa che faccio da quando sono nato, ne percepisco l'odore. La pioggia ha un odore, l'aria diventa più densa e si sente già l'umidità che si trasformerò in acqua, idem la neve. Non senti? Il freddo è diventato meno pungente, più fino tagliente ma meno doloroso e l'aria ha un odore più limpido, diverso. Insomma, non so spiegartelo, ma è così. Fino adesso non ho mai sbagliato.»
Silas scrollò le spalle, «se lo dici tu, spero che sia così.» Lo disse guardando nella sua direzione aspettando che Lothar smontasse. «Allora che fai, scendi o mangi sopra il cavallo?» Gli domandò, ricordandogli ancora una volta quanta poca abilità avesse nell'equitazione.
«Parli bene tu, da quanti anni è che vai a cavallo?»
«Non lo so, Lothar, da quando ne ho memoria.»
«Ecco questa è la prima esperienza, per quanto mi riguarda. Dunque, puoi avere un po' di pazienza.»
«Il tempo che prendi coraggio?» Lo rimbeccò Silas.
«No, il tempo che capisca come si faccia a scendere da questo coso senza ammazzarmi.»
Silas sospirò decisosi a intervenire senza prolungare ulteriormente l'agonia dell'amato.
«Devi smontare da cavallo così come sei sceso. Sollevati con un piccolo slancio, togli prima un piede dalla staffa, sorreggiti con l'altro e dopo un saltello sei a terra.»
Lothar seguì le indicazioni e cadde sui suoi piedi meno aggraziato di Silas, le sue caviglie attutirono il colpo, era sceso male, e sentiva il dolore intorpidirgli le gambe fino alle ginocchia, ma fortunatamente durò poco.
Mosse qualche passo in direzione dell'albero, pronto a legare il cavallo, ma scoprì ben presto che non si era intorpidita solo la caviglia che aveva attutito il colpo. Aveva improvvisato una cavalcata e ora ne pagava tutte le conseguenze. La prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di sparare a qualcuno che li avrebbe costretti a mettersi in fuga.
«Santo cielo.» esclamò a mezza bocca.
Silas ebbe la decenza di non dire niente, mentre se la shignazzava interiormente.
«Hai fame?» Gli domandò Silas non appena vide che l'altro aveva fatto il nodo delle briglie all'albero.
«Eccome se ce l'ho, cosa hai portato?» Gli domandò Lothar avvicinandosi a lui per colmare quella distanza che freddo e rabbia aveva creato.
Silas si avvicinò a Büschel per prendere la borsa di cuoio che aveva inzeppato quanto più poteva con viveri e qualche coperta. Se la caricò in spalla e controllò la sacca legata alla sella. Aveva pensato a tutto, anche ai bisogni del cavallo: avrebbero potuto essere una possibile traccia e mai se lo sarebbe perdonato. Ecco perché le sue impronte non gli andavano proprio giù.
Si strinse nelle spalle, anche se il freddo era meno pungente l'aria notturna è sempre più infingarda e lo si evinceva anche dalla nube condensata del suo respiro.
Lothar si ara avvicinato a lui, quel famigerato cappotto buono rattoppato pareva davvero ripararlo dai colpi del clima, e sapeva che, per quanto ben coperto, Silas era un tedesco anomalo, era particolarmente freddoloso e il fatto che fosse lì in piedi di notte, al gelo, gli faceva comprendere quanto potesse tenere alla sua vita, alla propria e quella della sua bambina. E sotto sotto per quanto non si sbilanciasse mai nel condividere le sue emozione, sapeva che, come ogni buon padre che si rispetti, moriva dalla voglia di riabbracciare la sua creatura e di accertarsi che stesse bene.
Silas sentì la sacca scendere dalla sua spalla, e sapeva che era stato Lothar che cercava di alleggerirlo da quel peso, come se quell'ormai metro e novantacinque centimetri ne subisse le conseguenze. La teneva sospesa, come era sospeso improvvisamente il tempo e quando Silas si voltò, si sentì carezzare il viso dalle mani calde di Lothar. Bizzarro, si disse, ha sempre le mani bollenti, al contrario delle mie.
Fu un tocco lieve che lo invitò a inclinarsi appena in avanti, giusto quanto bastava a colmare quei dodici centimetri che li separava in altezza. Silas sorrise, Lothar lo baciò. Un bacio che fece passare qualsiasi fitta pungente nel corpo di Silas. Lieto che anche Lothar avesse cominciato a prendere l'iniziativa in quel senso.
«E questo?» Domandò Silas, con quella voce maschile che in un attimo divenne lieve, soave, dolce per quanto la voce di un ragazzo ormai adulto potesse riuscire a ottenere.
«Avevi freddo, no? E dimmi, hai freddo ancora?» Gli domandò Lothar restituendogli altrettanta dolcezza.
Silas sorrise, quasi come un bambino, un sorriso puro, spontaneo rivolto a qualcuno che gli aveva donato un gesto e un pensiero. E Lothar riuscì a guardarlo quel sorriso, anche nel buio tenebroso che li circondava.
«No, è vero, adesso non ho più freddo.»
Seguì un leggero silenzio e un breve imbarazzo che Silas si preoccupò di spezzare all'istante. «Allora cosa mangiamo?» gli domandò.
«Cosa hai portato?»
«Allora, vediamo...» Silas si mise a cercare all'interno della sacca, facendosi spazio tra le sciarpe e le coperte, certo che le cibarie varie fossero finite sul fondo come al solito. «Dunque, abbiamo: carne in scatola,» e ne tirò fuori una confezione, «ancora carne in scatola,» e ne tirò fuori altre due, «e carne in scatola! Come vedi hai ampia scelta.» Fece un'espressione buffa divertita.
«Che dire,» iniziò Lothar, «Ho proprio voglia di carne in scatola.»
«Bene, allora che carne in scatola sia!»
Anche Lothar si fece largo nella sua sacca, quella che si portava dietro da giorni. Ne estrasse una paletta da giardino, quella con cui apriva e chiudeva le varie zolle di terra per coltivare i suoi fiori. La passò in terra, spostando un po' la neve e disse a Silas di sedersi in terra, sperando che così, il terreno sotto fosse meno bagnato e umido rispetto che sulla neve, senza preoccuparsi poi di ulteriori tracce, perché avrebbe rimesso tutto come prima.
Silas, però, in un attimo si sentì gelare. Si rese conto che Lothar aveva un arnese, con sé, che gli permetteva di scavare la terra. «Lothar, fammi capire una cosa... tu hai sempre avuto quella con te» indicò la paletta, «e mi hai fatto scavare la fossa di Reinar a mani nude? Hai idea di quanto costi mantenere queste mani? Guardale? Sono come quelle di Aramis!»
Lothar si sentì morie, quando si rese conto che Silas aveva ragione e che per il panico e la fretta non ci aveva nemmeno pensato, ma doveva salvare il suo amor proprio e orgoglio per cui si concentrò sull'ultima affermazione di Silas. «Menomale che hai solo le mani di Aramis, lisce e belle, e non la sua morale.»
«Non ne parliamo nemmeno, che io possa essere disonorato! Ma non cambiare discorso, so cosa stai cercando di fare!» Nel frattempo Silas si era seduto e aveva aperto la sua scatoletta, con un cucchiaio metallico che si era portato dietro.
«E va bene, Silas, cosa vuoi che ti dica? Preso dal panico non ci ho pensato.»
«Bel regalo, infatti.» rispose dopo aver mandato giù il boccone. «Già avevo le mani rovinate per colpa tua, il freddo non gioverà.»
«E dai, su, non farne una tragedia, si rimargineranno, torneranno più belle di prima.»
Senza aggiungere altro, Silas passò a Lothar la sua razione di cibo con l'annessa posata. Non parlarono più, troppo era l'appetito anche solo per scambiarsi un'altra battuta, tutta la loro concentrazione era focalizzata sul pasto.
Alla fine della lauta cena, Silas si sentì chiamare da un altro bisogno, a quanto pare non aveva considerato i suoi, ma solo quelli del cavallo. Così si fece passare la paletta di Lothar decisosi a scavare una sorta di vespasiano naturale nel mezzo del bosco, mai e poi mai, avrebbe preso l'ardita decisione di tirarla su e metterla insieme a quella di Büschel.
Lothar lo guardò allontanarsi di poco senza dire niente, comprendendo bene le sue decisioni e pensando anche che gli avrebbe dato il cambio una volta ritornato. Sembrava che il freddo, per quanto Lothar lo sopportasse, li avesse colpiti alla pancia.
Silas tornò rabbrividendo appena cercando di immaginarsi un fuoco che non avrebbero potuto accedere.
Senza dire niente Lothar si alzò dandogli il cambio, già era troppo imbarazzante la situazione, non c'era bisogno di dire niente. Eppure era una cosa naturale, che facevano tutti, ma pensare che Silas lo sapesse o che fosse presente, lo metteva a disagio, come se questo potesse cancellare l'immagine che Silas si fosse fatto di lui.
«Maledizione, proprio non ci riesco! Fa troppo freddo!» Disse Lothar tirandosi su e vestendosi frettolosamente.
Silas dal canto suo si voltò quando lo sentì tornare con passo veloce. «Come diavolo hai fatto, Silas?»
«Eh, non lo so, mi scappava e l'ho fatta, non c'ho messo neanche tanto tempo.»
«Beato tu, il freddo mi ha gelato le chiappe e non solo quelle! Mi ha gelato quello che non doveva proprio gelarmi!»
Silas ridacchiò, «E che fai, Stai così fino a Monaco?»
«Se devo, sì!» disse fiero e paonazzo in volto resosi conto del discorso che stavano facendo.
Silas rise, dopo aver strabuzzato gli occhi, ma poi tornò serio e gli disse: «ascoltami, se ci addormentiamo potremmo rimanerci secchi qui di notte, quindi facciamo così: prendi l'accendino e tienilo acceso è l'unica fonte di calore che possiamo permetterci, accendere un fuoco come sai è fuori discussione, per il resto, mentre uno tiene accesa la fiamma, l'altro può riposare; e così via, fino a domani all'alba.»
A Lothar sembrò un buon piano e così fecero. Si misero seduti vicini avvolti nelle coperte che Silas aveva portato. Il primo a rimanere vigile fu proprio lui, era, tra i due, quello che dormiva di meno, e che si addormentava tardi, e infatti rimase sveglio fino alle quattro, quando, alle prese con il richiamo di Morfeo, decise di svegliare Lothar dandogli un bacio sulla fronte e scuotendo appena la spalla.
Lothar si destò, socchiuse più volte gli occhi prima di riprendere coscienza e diede subito il cambio a Silas tenendo acceso l'accendino. Silas si posò immediatamente sulla sua spalla, come Lothar aveva fatto prima, «Buona notte.» gli disse prima di chiudere gli occhi e partire per il mondo onirico. Lothar sorrise quando lo vide addormentato, sembrava così fragile e indifeso e forse lo era in contraddizione con l'eterna forza che mostrava senza comprendere da quale fonte sconfinata di resistenza e coraggio attingesse.
Salve gente del mio cuore, finalmente ho aggiornato! Capitolo 53 dopo mesi, perdonatemi, chiedo venia haha, ma la speranza è l'ultima a morire specie di questi tempi. Che dire ho un tempismo imbarazzante nel postare un capitolo di una storia che parla di guerra, quando implicitamente ne stiamo vivendo una da vicino, ma forse, paradossalmente, è proprio questo il momento giusto.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e se avete qualcosa in più da dire, questo è il posto giusto per farlo!
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