Capitolo 51


Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo.

(Sono una creatura - G. Ungaretti)

Gli sembrava ancora un sogno. Silas era emotivamente fuori controllo, era furioso: come aveva potuto Lothar agire in maniera tanto sconsiderata? «Devi essere davvero impazzito, cosa ti è saltato in mente?»

Lothar non lo aveva mai visto così furibondo, sembrava come le onde del mare che, piano si tirano su, pronte a spazzare via l'intera città. «Non lo so, ho agito d'istinto. Ho pensato che fossi in pericolo.» Era davvero mortificato, glielo si leggeva sul volto.

«In pericolo ci sono adesso.» Emise la sua condanna, ma poi come se nulla fosse, come se avesse ritrovato una calma perduta, esclamò: «Hai un fazzoletto?»

Lothar si tastò le tasche del cappotto buono, andando alla ricerca del fazzoletto: non importava se fosse stato l'ultimo di stoffa che possedeva, glielo doveva, considerato come lo aveva conciato. Trovato, lo estrasse dalla tasca e glielo porse, «tieni» disse.

Silas prese il fazzoletto e cercò di tamponare gli schizzi di sangue, che erano arrivati sul suo volto. Sangue nazista, che macchiava la sua nivea pelle. «Spero che tu abbia almeno una buona idea, ma che sia buona per davvero.» Non voleva proprio sentir ragioni: era arrabbiato, e quello che lo faceva innervosire ancora di più era il sospetto che Lothar potesse essere stato mosso da un impulso di primitiva gelosia.

«Non possiamo bruciare il suo corpo, perché il fumo delle fiamme attirerebbe chiunque qui, e questo non gioverebbe alla tua situazione, Silas.»

Sentendogli dire quelle ovvietà, Silas puntò i pugni sui fianchi e poi incrociò le braccia. I nervi lo attraversavano da parte a parte.

Lothar cominciava quasi a sentirsi in soggezione: non lo stava giudicando una persona qualunque.

«Potremmo togliergli la divisa... potresti indossarla tu, siete alti quasi uguali, e anche come corporatura ci siamo, dovrebbe andarti bene.»

«E del corpo che ne facciamo?»

«Scaviamo una buca, una buca molto profonda.»

A Silas venne da ridere per il modo con il quale Lothar aveva pronunciato quelle parole, ma cerco di ritrovare un contegno. «E come la scaviamo una buca?»

Lothar tirò su e mostrò le sue mani, «con queste,» disse.

Silas scosse la testa, non poteva credere alle sue orecchie, non lo stava dicendo per davvero. «Non abbiamo tutto il giorno, né tantomeno tutta la notte. Più siamo tempestivi e meglio è: tra l'altro siamo esattamente a metà tra il centro di Berlino e casa mia, dove la scaviamo una buca?»

«Potremmo provare. In fondo io ho coltivato il giardino di casa mia e l'ho fatto con le mie mani.»

«Certo, Lothar, ma non avevi probabili nazisti alle calcagna. Potremmo fare così, per quanto mi repelli l'idea. Tu spogli Reinar, io non voglio vederlo, e gli togliamo tutto, qualsiasi cosa che lo faccia riconoscere da gente che non lo abbia mai visto, così io la indosso. Spostiamo il corpo, sperando che lo trovino il più tardi possibile, nel frattempo noi cerchiamo di arrivare a casa e lì darò alle fiamme la sua divisa e i miei vestiti nel camino.»

«È speranzoso, ma mi sembra l'unico piano plausibile.»

«Situazione in cui non saremmo, se tu pensassi prima di fare qualunque cosa, Lothar.»

«Adesso non metterti a sbraitare. Fammi spogliare questo bastardo, così poi possiamo passare al travestimento.» Si chinò verso Reinar, vide che, per fortuna, la divisa non era stata macchiata molto dal suo sangue, esploso e sparso sulla neve; appena il colletto del cappotto, ma era nero e pertanto si sarebbe nascosto. Cominciò a spogliarlo sotto gli sbuffi di Silas mentre, con la coda dell'occhio, gli vide battere il piede per il nervoso; era certo che non fosse colpa del freddo.

«Allora? Quanto ci metti?» gl'intimò Silas, con l'ansia che lo stava divorando. Se solo Lothar si fosse fatto gli affari suoi, il suo piano sarebbe stato meno pericoloso e più congeniale. Scosse la testa, cercando di non farsi travolgere da tutti quei "se" e quei "ma", che di certo non lo aiutavano, sentendosi rispondere:

«Un momento, che ti pensi che è facile spogliare un cadavere?»

«Sei stato tu a ucciderlo! Cosa dovrei fare?»

«Cercare di calmarti, per esempio!» gli rispose Lothar, con lo sforzo a mozzargli la voce. Poi si tirò su dalla sua posizione accovacciata per porgere la divisa a Silas.

Silas guardò la divisa, «Adesso dovrei metterla, immagino.» Reticente allungò la mano. Prendendo a spogliarsi cominciò a tremare.

L'adrenalina lo aveva aiutato fino a quel momento. La paura, l'agitazione appena uscito dalla prigione, non gli avevano fatto sentire l'aria sferzante dei meno venti gradi che affliggevano Berlino, ma da lì in poi, mentre prendeva a scemare, il freddo si faceva sentire.

Aveva preso a tremare come una foglia, si mordeva le labbra per il freddo, come a incitarsi a resistere. Lothar era addolorato nel vederlo soffrire, ma cosa poteva fare?Poteva solo incoraggiarlo, o starlo a guardare. «Muoviti più veloce così sentirai meno freddo.»

Silas annuì, ma gli arti non sembravano andare alla stessa velocità del pensiero, così Lothar si avvicinò a lui e lo aiutò a spogliarsi, a sbottonare la camicia e la giacca, gettando tutto sulla neve, per poi chinarsi e porgere i pantaloni della divisa. Silas, che era rimasto solo con la biancheria intima, stava gelando.

Alzò le gambe per passare i piedi nella cavità del pantalone e Lothar li tirò su: ancora una volta si dimostrò un ottimo gioco di squadra.

Seguirono con la camicia, la giacca e il cappotto. Silas chiuse gli occhi nel sentire quel lieve torpore che, a poco a poco, aveva smesso di farlo tremare.

«Mai avrei pensato di sentirmi al caldo con certa roba addosso» ammise.

«Ti si è ghiacciato anche il cervello, è evidente!» lo rimbeccò Lothar, evitando così che Silas potesse perdersi tra i suoi turpiloqui mentali.

«Allora? Come ti sembro, posso andare?» gli domandò, non potendosi specchiare e verificare così se fosse credibile o no.

«Sei più che credibile, fai quasi impressione.»

«Chissà quanta gente ha ammazzato, Reinar...» espresse ad alta voce sentendosi stringere dai lacci in cuoio della fondina.

«Ti sembra una cosa a cui pensare adesso? Dobbiamo muoverci!» Lothar gli fece cenno di incamminarsi.

«I miei vestiti dove li nascondiamo? Nella tua sacca?» Silas indicò quella che Lothar portava a tracolla, aveva dentro giusto il necessario per restare appostato dei giorni.

«Sì, avanti, dai qua.» Glieli strappò quasi di mano per la foga con il quale li presi e, appallottolandoli, li mise all'interno della sacca.

«Bene, possiamo andare e speriamo che questa volta la fortuna ci assista!»

Avevano camminato fino all'arrivo di casa, non distava molto, ma la neve, piuttosto alta, aveva impedito loro di accelerare il passo come avrebbero voluto.

Davanti al portone della proprietà, Silas si sentì libero, senza dover fuggire da quella specie di sabbie mobili ghiacciate. «Dio, se odio il freddo, la neve e l'inverno!» esclamò.

«Un tedesco che odia il freddo» lo punzecchiò Lothar.

«Se per questo sono anche un tedesco che odia l'atletica.» Mise fine al discorso bussando alla porta di casa senza voler perdere più tempo perché, per quanto gli riguardava, potevano già essergli tutti alle calcagna.

Nail si alzò dalla sua postazione, quasi non gli parve vero di sentire solo un lieve dolore premere sull'osso, quella dannata morfina era un prezioso veleno, così si disse. Prima di aprire, però, cercò di capire chi fosse, con tutta la gente che nascondevano dentro casa, aprire senza verificare, di quei tempi, poteva costargli la vita.

Allungando l'occhio al di la della finestra, vide un uomo in divisa, ma quello che lo portò fuori pista fu vedere Lothar accanto a lui. Con uno sguardo più attento si accorse che quello vestito da Nazista era proprio Silas. «Che mi venga un colpo!» si disse. «E adesso che si sono inventati questi due.»

Così, aprì la porta, prese per il braccio Silas e Lothar e li fece entrare, spingendoli dentro casa, si affacciò anche per vedere se qualcuno li stesse seguendo. Chiuse la porta in uno scossone.

«E adesso? Che cosa avete combinato? Silas perché sei vestito in questo modo?» domandò inquisitorio.

«Ciao, zio, anche io sono contento di vederti... sai Silas sono proprio felice che tu sia riuscito a uscire di prigione.»

«Santo cielo, sei permaloso come tuo padre! Mi sembra scontato che sia felice di vederti sano e salvo, ma quello che non mi è chiaro, invece, è perché tu sei vestito così!» Lo indicò ancora una volta.

«Questo te lo lascio spiegare da Lothar» disse, mentre si tolse il cappello della divisa, sistemando i capelli che si erano schiacciati sotto di essi.

«Ho ucciso Reinar.»

Nail strabuzzò gli occhi, quasi non morì sul colpo quando sentì pronunciare quelle parole. Si portò una mano al volto, massaggiandosi gli occhi, si spostò pure gli occhiali, per poi riportarli al suo posto. Chiuse gli occhi, contò mentalmente fino a dieci, si appellò a tutti dei conosciuti, di tutte le religioni esistenti per mantenere la calma.

«Non ho capito» disse.

«Ho ucciso Reinar.»

Nail batté un piede a terra, la gamba buona, per il nervoso, aveva già capito, e la stupidità del momento di Lothar lo innervosì ancora di più.

«Per favore, puoi spiegarmi la dinamica?»

Nel frattempo Silas si era avvicinato al caminetto, per scaldarsi le mani, per poi dirigersi ai piani alti alla ricerca di un cambio di vestiti, più consoni alla sua persona.

«Nail, non devo spiegare nessuna dinamica. L'ho visto uscire insieme a Silas, e li ho seguiti, quando ho visto che si stavano avvicinando a casa, ho pensato che Silas potesse essere in pericolo e ho sparato.»

«Hai sparato...» ripeté in automatico l'incredulo Nail. Si massaggiò di nuovo gli occhi, gli occhiali sembravano ballare sulla sua faccia, si strinse l'attaccatura del naso, strizzò gli occhi, stava davvero per implodere, perché il gesto di Lothar era stato dettato prettamente dalla gelosia.

«E adesso?» domandò poi, cercando di capire come i due avessero cercato di camuffare quella situazione.

«Abbiamo pensato di non nascondere il corpo, anche perché ci penserà la neve e i cani comunque lo troverebbero, allora per non rendere la cosa più palese, abbiamo preso la sua divisa, che era quella che indossava Silas.»

«Quindi, fammi ricapitolare la situazione...» Nail prese un respiro profondo, poi proseguì: «Avete lasciato Reinar sulla neve, sperando che la neve lo nasconderà. Silas porta la sua divisa, immagino che ora se ne sbarazzerà, come deve sbarazzarsi di quei vestiti,» indicò la sacca di Lothar vedendola traboccante, «e poi?»

«E poi andremo a Monaco, per un po' ci nasconderemo da mio padre» disse Silas sceso nuovamente con i suoi abiti e in braccio la divisa di Reinar.» Lothar lo guardò incuriosito neanche lui era a conoscenza di quel piano.

«Silas qui c'è tuo figlio, che cosa faccio io la bambinaia? Non c'è neanche tuo zio. C'è Salazar, Anastasia, Anges e suo figlio e Jorgen.»

«Appunto, lo hai detto, c'è Agnes. Che cosa dovrei fare io? Non sono io che ho sparato a Reinar, avevo un altro piano in mente, ma comunque, Jorgen almeno ha Karl con cui giocare e ci sono Agnes e Anastasia che possono darti una mano con lui.»

«Hai idea come arrivare a Monaco almeno?» Domandò Nail preoccupato. In quel momento non sapeva se essere più preoccupato per la vita di Silas o per la reazione che avrebbe avuto Ludwig.

«Certo. Andremo a cavallo.»

Lothar strabuzzò gli occhi scioccato, «In che senso a cavallo?» domandò sapendo di non essere assolutamente in grado di salire sopra uno di quegli animali.

«In che senso secondo te? Ci monti sopra, prendi le briglie e galoppi.» tagliò corto Silas facendola facile.

«Silas, non vanto cavalieri tra i miei avi, lo sai? Non so neanche come si sale su quei cosi, e poi quanti chilometri sono da qui a Monaco?»

«Sono cinquecentoottantacinque chilometri. Se sforziamo molto i cavalli ci impiegheremo cinque giorni ad arrivare.»

«Sei completamente folle.» sussurrò Lothar stupito di tanta imprudenza o coraggio. Non sapeva se esserne ammirato o terrorizzato del cammino che gli aspettava.

«Il cavallo è l'unico mezzo. Non abbiamo un'automobile da poter guidare, anche volendo ci sono tantissimi posti di blocco, quante volte pensi ci possa andare bene dicendo: "andiamo a trovare mio padre a monaco" sapendo che dietro ci lasciamo il cadavere di Reinar? Probabilmente lo staranno già cercando in quel momento. Con la ferrovia non ne parliamo, non sappiamo quale tratto è stato bombardato o meno, se ci facessero scendere all'improvviso? Invece a cavallo possiamo seguire la mappa, Conosco tutti i posti di blocco, li ho segnati, e inoltre possiamo tagliare tra i boschi, o fare esattamente la strada opposta in base al pericolo circostante. Prepariamoci bene, portiamoci da mangiare, e che la fortuna aiuti gli audaci» fece spallucce dicendo quella frase, perché non voleva mostrare la minima paura. Sembrava quasi non provare la minima agitazione, ma forse era preoccupazione, il sangue freddo che lo contraddistingueva nei momenti del bisogno.

«Potete riuscirci, in fondo sono solo cinque giorni, potete fermarvi di notte a far riposare i cavalli a e rifocillarvi.» In fondo, pensò Nail, se era sopravvissuto lui nelle trincee con -30 gradi, potevano loro galoppare per cinque giorni. «Adesso sbarazzatevi di quella roba.»

Silas annuì, allungò una mano verso Lothar il quale gli diede anche i suoi vestiti che teneva nascosti. Si diresse verso il caminetto e, un pezzo alla volta, aspettò che prendessero fuoco.

Lo guardava Lothar, preoccupato. Pensando di toglierlo da un pericolo, aveva cacciato entrambi in uno molto più grosso e adesso, per risolvere un problema da lui creato, doveva allontanarlo da casa e da suo figlio.

Mentre gli indumenti prendevano fuoco, Silas fissava quella fiamma, sentendola arderla nel petto, divampare. Una rabbia che raramente aveva conosciuto. Tutte le umiliazioni subite, il dolore recato ai suoi cari, tutto lo avrebbe tenuto in vita. Prima di morire avrebbe visto la sua nazione libera da quel male oscuro chiamato nazionalsocialismo.

Si sentì afferrare per la gamba, distraendosi così dal suadente oscillare del fuoco. Abbassò la testa e sorrise immediatamente quando vide il suo dolce bimbo, così si chinò e tirandolo su in braccio gli disse: «ecco il mio angioletto, allora hai fatto il bravo?»

«Io penso di sì, ma lo zio Nail, dice di no. Dice che sono monello perché non mangio i crauti. Ma io voglio solo la cioccolata.»

Silas rise, chissà da chi aveva preso quel bambino se non da lui, così cercò di convincerlo amorevolmente, disse: «Ascoltami, Jorgen, anche io vorrei mangiare sempre la cioccolata, le torte e i dolci, ma con quelle non si diventa forti, né grandi e sopratutto bellissimi come il tuo papà.»

«Allora resto brutto» ammise mettendo il broncio.

«Jorgen, papino deve partire, ma torna presto.»

«Perché non mangio i crauti? Se rimani li mangio.»

«No, tesoro, non è per quello. Devo fare una cosa importante, devo raggiungere il nonno. Ma torno presto, va bene?»

Jorgen gli buttò le braccia al collo, non voleva che il suo papino se ne andasse un'altra volta.

Lothar sentì il suo cuore spezzarsi, si sentiva in colpa perfino nei confronti di Jorgen in quel momento.

Silas lo abbracciò forte. «Devo andare, ma torno presto. Quando tornerò ti porterò tantissima cioccolata, va bene? E poi che cosa vuoi?»

«I colori!» disse. I suoi si erano quasi del tutto consumati.

«Va bene, ti porterò una scatola di colori e tantissima cioccolata.» Gli diede un bacino sulla guancia, lui e Jorgen si strinsero forte e poi lo mise giù.

Prese la sacca con i vivere che Nail aveva preparato nel mentre e poi, guardando fisso negli occhi Lothar, disse: «Andiamo.» Non si voltò per guardare Jorgen, non diede l'ultimo saluto, non poté, non ce l'avrebbe fatta ad andarsene altrimenti.

Ludwig si era svegliato di soprassalto colto dagli incubi. Un peso al petto che l'opprimeva, una strana sensazione ad avvolgerlo. «Ho un brutto presentimento». disse a se stesso e non prese più sonno.

Salve wattppaddini del mio cuore! Finalmente ho partorito il capitolo 51, spero vi sia piaciuto! E perdonatemi se vi ho fatto aspettare così tanto!

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