Capitolo 47


Al di fuori di questo pianeta, pensai.non c'è nulla, ed è
così desolato.
È il nostro solo rifugio, e questo
È fatto così.
(Al di fuori di questo pianeta - B. Brecht)


Nonostante i primi bombardamenti della RAF e i rifugi che, pian piano, sorgevano a Berlino, sembrava che si vivesse in una realtà diversa, alternativa, dove la vita mondana e dei caffè non si spegneva mai; e fu proprio in uno di questi, al Reimann, che Silas convinse Lothar ad andare. Pensò che il locale, essendo frequentato dalle SS, fosse il luogo perfetto per studiare la situazione, le prossime mosse, per decidersi sul da farsi.


L'uno di fronte all'altro, si guardavano intorno.


Lothar si sentiva a disagio, non tanto per lo sfarzo del luogo; stando dietro Silas, ormai ci aveva fatto l'abitudine. Bensì per le persone che lo frequentavano. Ma lo sapeva, Silas lo aveva avvisato. Era circospetto, tanto che Silas si trovò a sospirare.


«Smettila, per favore, o darai nell'occhio» intervenne. Dovevano stare lì per trarne beneficio, non per farsi arrestare.


«Non ci riesco, tu come fai?» gli domandò ingenuamente Lothar.


Silas alzò un sopracciglio perplesso. Lui aveva a che fare quasi tutti i giorni con Reinar, ormai era abituato a far finta di niente in mezzo a quelle persone. «Me lo stai chiedendo davvero?»
«Era una domanda retorica, ma non fa niente.»


«Retorica o meno, sorridi e parla con me. O almeno provaci.»


«Ci provo, ci provo, anche se io vorrei ucciderli tutti.»


Silas alzò gli occhi al cielo, dicendosi che Lothar era un caso perso; ma non lo poteva biasimare, quella gente non piaceva neanche a lui.


«Ora, ordiniamo qualcosa...» disse, mentre allungava la mano per prendere il giornale dal tavolo accanto. «Apri bene le orecchie e vedi se riesci a capire qualcosa, anche una singola parola.» Poi, in attesa del cameriere, scorse i titoli del giornale. Santo cielo, pensò, come si faceva a scrivere certe cose?


«Che dice?» domandò Lothar curioso di sapere perché avesse quell'espressione di disgusto dipinta sulla faccia.


«A Goebeles non è bastato fare quel triste annuncio alla radio, no, lo ha fatto scrivere anche sui giornali!»


«Avanti Silas, parla! Che fai, crei mistero? Non stai leggendo un romanzo!»


«Dice che i bombardamenti su Berlino sono colpa degli ebrei.»


Lothar non riuscì a trattenersi, scoppiò in una fragosa risata e lasciò Silas basito.
«In effetti fa ridere» disse lui.


Chiuse il giornale, quando vide il cameriere avvicinarsi. Ordinarono una cioccolata calda, entrambi, cosa che stupì Silas, ma d'altronde non poteva ordinare nulla di diverso. Una birra alle dieci del mattino era troppo persino per Lothar e poi la cioccolata calda li avrebbe riscaldati.
Quando il cameriere gli portò la tazza, Silas cominciò a soffiarci sopra. «Al diavolo il galateo!» 

disse, frettoloso di gustarsi la cioccolata. Soffiava, mentre, al di la del tavolo, Lothar beveva beatamente. «Non è bollente?»


«Non troppo, io non la sento così calda.» Lothar fece spallucce e proseguì a bere, differentemente da Silas, che aspettava che arrivasse alla temperatura giusta per evitare di bruciarsi. Poi, quando Lothar sentì dei passi dietro di lui, divennero seri.
Silas fece finta di non accorgersene.


«Una bevanda virile per giovani ragazzi del Reich.»


«Mi scusi?»


Lothar guardò Silas. Conosceva quello sguardo. Fosse stato per Silas gli sarebbe saltato alla giugulare come un felino. E per fortuna che non dovevano dare nell'occhio.


«Le sto dicendo, signore, che la bevanda che state consumando non mi sembra adatta.»


«Mi scusi, signore, quello che bevo io non dovrebbe interessarle. Francamente non mi sembra che il nostro Führer abbia detto mai nulla incontrario alla cioccolata.»


«Non mi sembra comunque adatta a un uomo, signore, ma più a un bambino.» 


Silas guardò Lothar, e questi capì subito che lui stava contando fino a dieci per non perdere la pazienza.


«Mi dispiace, signore, se ho urtato la vostra sensibilità. Ma fuori ci sono meno venti gradi, io non bevo alcolici e mi sembrava l'unica cosa che potessi bere, piuttosto che una bevanda gassata.»
Il ragazzo delle SS tacque irritato. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo; e lo avrebbe fatto, se solo avesse potuto. In fondo, Silas era un nobile ragazzo tedesco, figlio del suo colonnello, e non gli era concesso in nessun modo abusare del suo potere: non come avrebbe voluto. Così si voltò appena, cercando l'appoggio del suo superiore presente nel caffè.


Questi rimase accanto al loro tavolo, aspettando che l'altro si avvicinasse, mentre Silas si gustava beatamente la sua cioccolata calda.


Lothar scosse la testa, dicendosi che una faccia da schiaffi come la sua non l'aveva mai vista.
«Signori, qual è il problema?» domandò l'ufficiale appena avvicinatosi al loro tavolo.
«Il problema sussiste nell'affermazione del vostro subordinato...» Silas guardò i gradi cuciti sulla divisa: ormai li conosceva a memoria. «Tenente.»


«E cosa le ha detto il mio subordinato, Herr Dubois.»


Lo conoscono tutti, maledizione, pensò Lothar.


«Tenente, come ho detto al suo valorosissimo uomo, sto bevendo la mia cioccolata calda, perché non voglio bere bevande gassate al mattino. Fuori si gela e, come se non ci fosse fine alle sciagure, sono astemio. Quindi non ho altra scelta.»


Lothar si portò una mano alle tempie: sarcasmo, Silas stava facendo del sarcasmo e lo faceva anche senza remore.


«Perdonate il mio subordinato, signore, se potete, in realtà volevamo indagare su un'altra questione, forse si è posto in malo modo.»

Lothar quasi non si strozzò. «Sarebbe a dire, Tenente?»


«Una questione importante. Non vogliamo credere che lei faccia parte della resistenza borghese che si è venuta a creare dopo i primi bombardamenti.»


«Come le viene in mente, Tenente?» disse poggiando la tazza e diventando serio in volto.
Lothar ammirava il suo sangue freddo davanti a certe accuse.


«Non voglio essere scortese, ma credo che queste supposizioni siano del tutto infondate. Sarei venuto qui, oggi? Nella tana del lupo?»


«Forse no, o forse è un semplice modo per depistarci.»


«Mi ascolti bene, tenente, io non voglio mettere in discussione la sua autorità, se avete un motivo per pensare questo sicuramente sarà fondato. Ma non vorrei che venisse insultata la mia intelligenza, essendo anche superiore in quanto ariana. Credete davvero che se avessi qualcosa da nascondere verrei qui, spontaneamente, davanti a quello che dovrebbe essere ipoteticamente il mio nemico? E poi, se voi pensate che io sia un ribelle, un rivoluzionario che vuole mandare all'aria il Reich, perché non avete mandato il vostro subordinato ad arrestarmi, invece di farlo tergiversare inutilmente riguardo a quello che stavo bevendo.»


Lothar poté giurare di aver visto la rabbia sul volto dell'ufficiale nazista. Gli avrebbe sparato, se solo fosse stato certo delle sue accuse e se non fosse il figlio del suo diretto superiore.
«Quello che ammiro di voi è il coraggio, Herr Dubois. Questo non posso negarlo, è fuori discussione. Vorrei, se possibile, che voi mi seguisse fino al comando, in modo tale da poter accertare quando è radicato in voi questo coraggio.» Il tenente pensava che Silas avrebbe cercato qualche scappatoia per fuggire o che lo avrebbe pregato, a quel punto; invece, la risposta che gli arrivò, fu tutt'altro che quella immaginata.

«Da che parte, Tenente?»

Lothar pensò che fosse impazzito, si sarebbe messo a urlare e a inveirgli contro, se solo non fosse stato sospetto, perciò spalancò gli occhi incredulo, quando vide i due uomini in divisa fare strada a Silas. Poi li vide arrestarsi, scattare sull'attenti e fare il saluto nazista. Si chiese chi fosse entrato per destare tanto clamore e, non appena vide: Reinar non seppe se benedire il Dio in cui ormai aveva smesso di credere oppure no. Lo avrebbe capito solo alla fine, quando avrebbe visto Silas al suo fianco e non in una prigione.


Reinar ricambiò il saluto e poi si avvicinò con un sorriso mefistofelico in volto e un passo solenne. «Posso sapere cosa sta succedendo qui?» domandò al tenente presente.
«Stavamo scortando Herr Dubois al comando, per fargli alcune domande riguardo la sua posizione.»


«Non c'è bisogno. Garantisco io per lui.» Reinar volse lo sguardo verso Silas.


Lothar ebbe un brivido, un brutto presentimento. C'era qualcosa di strano in lui, lo percepiva chiaramente, come se avesse un doppio fine riguardo la sua affermazione.


Il tenente e i suoi uomini rimasero sbigottiti e in silenzio. Se il loro superiore Reinar Wolf, che tra l'oro era conosciuto come il boia, stava garantendo per quel ragazzo, allora doveva essere innocente.


I soldati, salutarono nuovamente il loro ufficiale, ruppero le righe e si diressero verso l'uscita del locale.


Reinar si avvicinò a Silas, gli sorrise, poi parlò: «È sempre un piacere incontrarti, Silas.»
«Anche per me, Reinar.»


A Lothar venne quasi da ridere, sapeva che quella frase seguita da un sorriso, significava solo una cosa: "Non vedo l'ora di vederti appeso".


«Allora, ragazzi, cosa ci facevate qui?»


«Stavamo bevendo qualcosa e poi siamo stati avvicinati dai suoi uomini.»


«Perdonateli, alle volte anche loro possono commettere degli errori. Vi offrirei qualcosa, ma...»
«Abbiamo appena finito, Herr Wolf.»


«Esatto è proprio quello che stavo per dire» sorrise. «Allora a presto, ragazzi.» Li vide incamminarsi e, alle loro spalle, sorrise di nuovo; presto avrebbe messo in atto il suo piano.
Usciti da quel locale, Lothar iniziò a seguire Silas. Camminava dietro di lui per tenerlo d'occhio, a vista, in modo da poter intervenire qualsiasi cosa fosse accaduta. Stando a qualche passo dietro di lui, riusciva a vedere tutto quello che accadeva intorno. 


Mentre teneva il suo sguardo fisso perfino sull'ambiente circostante, vide una ragazza avvicinarsi a lui e s'irrigidì, pensando di non conoscerla. Poteva essere una trappola. Affrettò il passo, ma si arrestò quando vide Silas fermarsi a parlare con lei in tutta tranquillità. Sembrava a suo agio, così si disse, e forse non voleva far insospettire nessuno.


«Hai deciso sul da farsi?» domandò lei a Silas, dopo che questo, trasalendo, si rilassò. Il suo sguardo era deciso e speranzoso, in attesa di una risposta da giorni.

«Sì, Elsa. So cosa devo fare.»


Trattenne il fiato. Sembrava che Silas lo stesse facendo apposta nell'aumentare la sua aspettativa, ma in realtà si guardava intorno. Lo vedeva deglutire, era chiaramente nervoso.
«Ho pensato che ognuno deve rimanere per la sua strada. Tu con i tuoi mezzi, io con i miei.»


«Ma così saremo meno forti, meno coesi.»


«Pensaci. Io ho riflettuto molto a riguardo. Se arrestassero te, o me, potremmo dire solo di conoscerci di vista, nessuno dei due conosce le azioni degli altri. Potrebbero ammazzarci comunque, è vero, ma non metteremo in pericolo la vita di altri. Inoltre, sappiamo benissimo che, se dovessi parlare per proteggere i nostri cari, Dio solo sa se lo farei. Sono franco, non ho niente da nascondere, ma ho due figli, una persona che amo; e se dovessi vendere qualcuno per proteggerli, lo farei.»


Elsa, si sentì crollare la terra sotto i piedi. Per un istante pensò che Silas fosse una spia, ma abbandonò subito l'idea. In realtà gli sembrava un ragazzo determinato, che sapeva chiaramente cosa voleva e cosa avrebbe fatto.


«Credimi se dico che ho pensato al bene di tutti» incalzò Silas, vedendola crucciata e silenziosa.
«Ne sei sicuro? Sei sicuro di quanto affermi?»


«Sicurissimo. Ascoltami, se io non so niente di te e tu di me, tutti potremmo vivere fino alla prossima sventura. Inoltre, invece di un solo gruppo, potrebbero essercene più di uno a dargli filo da torcere.»


«Saremo comunque in minoranza, Silas.»


Lothar vide la donna scaldarsi e aveva tutta l'intenzione di palesarsi ai due, ma poi vide Silas voltarsi e gli sembrò che lui gli stesse dicendo di non muoversi; tutto con uno sguardo.

Dio, se era espressivo, pensò Lothar.


«In minoranza, ma in molti. Sembra una contraddizione, ma non lo è. Se ci prendessero tutti, ci massacrerebbero tutti. E allora, chi penserebbe al futuro del nostro paese? Se invece prendessero uno di noi, sarebbe la fine solo di qualcuno che ci ha provato e non di tutti. Al contrario, ci sarà sempre qualcun altro che porterà la causa. Sappiamo benissimo che il popolo tedesco è ormai insofferente a tutto questo, ma i nazisti hanno ancora le armi per terrorizzare tutti. Vedrai, credo fortemente nel mio popolo e sappi, che sono certo che prima o poi non saremo più in pochi a combattere per questo affronto.»


Le parole di Silas le sembrarono convincenti. Ma anche se non gli avesse creduto, avrebbe dovuto accettare la sua volontà. Con lei avrebbe portato il segreto della sua conoscenza. E, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe risposto: "Sì, conosco Silas". Li sarebbe finita la storia. Aveva già superato i controlli diverse volte, quindi, in cuor suo, non le sembrava una questione complicata; anche se la paura era sempre la stessa, sempre uguale alla prima volta.
Poteva solo fidarsi di lui e sperare che fosse il ragazzo leale e corretto che sembrava, anche perché sapeva benissimo che era il figlio di un ufficiale nazista.


I due si salutarono e quando Lothar vide la ragazza allontanarsi mosse i suoi passi velocemente in direzione di Silas. «Ehi, tutto bene? Cosa voleva quella ragazza?»


«Sì, tutto bene. Lei è una giovane ribelle, proprio come noi, si è sempre mossa all'interno della città e qualche giorno fa mi aveva avvicinato. Ricordi quando ho parlato a tutti dicendo che non sapevo se unirci ad altri gruppi oppure no? Ecco, stavo valutando la sua proposta.»
«E cosa hai deciso di fare?» domandò.


«Le ho detto che è meglio se le nostre strade rimarranno così come sono. Meglio non far immischiare altre persone. Sia da una che dall'altra parte. In caso d'aiuto, poi, potremmo chiederlo, e loro fare altrettanto. Più che aiuto, si parla d'informazioni. La prima volta che l'ho vista le ho detto che sarò sempre e solo io, del mio gruppo, a chiederle o rilasciarle.»


Lothar gli afferrò il braccio, fu più un gesto dettato dall'impeto della preoccupazione che dall'ira.
«Non c'è bisogno che tu ti preoccupi.» Silas gli leggeva dentro.


«Tu, ti esponi in questo modo e io non dovrei preoccuparmi?»


«Sì, non devi farlo... Ho già detto a lei che può dire di conoscermi, ma non sapendo altro non può dire altro.»


«Non hai pensato che se penseranno che lei sia una sovversiva, possa fare il tuo nome. Potrebbe metterti in cattiva luce?»


«Ma lo pensano già. Pensano già che io sia un sovversivo. Se non fosse stato per Reinar, prima, a quest'ora sarei già stato arrestato.»


«Già, Reinar... quell'uomo è pericoloso, sento puzza di carogna lontano un miglio ogni volta che lo vedo. Le sue nefandezze lo precedono. Vuole qualcosa da te, Silas. Ne sono certo ormai.» Il volto di Lothar era diventato cupo, torvo.


«Credi che non lo sappia? Ma finché lui pensa che io sia ben disposto e ci aiuta, lasciamoglielo credere. Finché può servirci, sfruttiamolo.»


«Hai ragione.»


«Ora, vieni con me, andiamo a casa, mi devi aiutare a fare una cosa.»
Lothar lo seguì senza esitazione. Vide un velo di tristezza posarsi sul volto di Silas. Chissà cosa aveva per la mente.

Entrarono sempre da quella porticina sul retro. Percorsero il breve tragitto e salirono le scale. Come sempre, queste, portavano dritte alla camera di Silas; e Lothar sorrise nel vederla, visto le serate insieme che ci avevano passato. Si era stupito nel vedere e conoscere lati di Silas che ancora non aveva mai esplorato. Stava assecondando i suoi tempi.

Visto la facilità con il quale Silas si lanciava nei rapporti con le altre persone, pensava che anche con lui avrebbe fatto lo stesso; ma non era stato così, cosa di cui Lothar era stato particolarmente felice.


In fondo, aveva paura di sbagliare qualcosa: si sentiva in imbarazzo, non voleva sembrare un imbranato ai suoi occhi.


Venne riscosso dai suoi pensieri quando Silas lo chiamò. Mosse appena le palpebre, incredulo. Sul palmo della sua mano vennero posate delle forbici.


«Cosa ci devo fare con queste?» domandò incuriosito.


«Devi tagliarmi i capelli.»


Lothar rimase sconvolto. Stava dicendo sul serio? Davvero voleva tagliare i suoi bellissimi capelli? Mai se lo sarebbe aspettato da Silas. Così, chiese: «Sei sicuro? Perché lo vuoi fare?»
«È evidente, ormai, che io così dia troppo nell'occhio. Ci sono troppe cose in gioco. Tu, i miei bambini, i nostri amici... non voglio che la causa sia la mia vanità.» Voleva farla sembrare una cosa da niente, ma dentro si sentiva morire. «Quindi, avanti, tagliamoli!» esclamò.


Lothar lo seguì fino allo specchio, lo vide sedere sulla sedia e, in silenzio, attese. «Non me la sento... non lo posso fare» ammise, con le forbici che gli tremavano in mano.


«Devi farlo, te lo chiedo per favore. Io da solo non ne sono in grado.»


Sentiva la voce di Silas flebile, anche se voleva sembrare convinto della sua intenzione, così si fece coraggio, divaricò appena le dita consentendo alle forbici di aprirsi e le avvicinò ai suoi capelli.


La prima ciocca cadde a terra.
Silas sentiva la pesantezza dei capelli gravargli sulle spalle, sulle cosce, sui vestiti. Poteva distinguerli uno a uno, così come l'albero vedeva e piangeva ogni foglia caduta dalle fronde.
Chiuse gli occhi, mentre delle lacrime gli solcavano le guance. Non piangeva, silente, per vanità, ma per l'umiliazione che quel Regime infliggeva sugli uomini.
Se lui era costretto, ormai, a tagliarsi i capelli, gli altri a cosa sarebbero andati incontro? Tornò a guardare allo specchio, mentre Lothar continuava la sua opera.
Voleva vedere e soffrire tutto quel processo affinché la sua rabbia, la sua ragione e la sua determinazione potesse essere immensa, indistruttibile. Mai si era sentito così ferito in tutta la vita. Odiava quel tipo di male subdolo, silenzioso, che quelle persone gli stavano infliggendo.
Ogni taglio netto, ogni suono che udivano le sue orecchie, era una coltellata che gli s'insinuava nel petto; e Lothar era il suo eroe, che lo stava aiutando nel suo arduo compito. Lo sentiva soffrire, come se fosse lui a fargli quel male, sentiva l'incertezza con la quale affondava la forbice prima di tagliare.


«Bene, tesoro, sei pronto!» gli disse Lothar, mentre con le mani gli spazzolava la nuca dai capelli superflui.


Silas sorrise, nonostante tutto. Ci era voluto quel dolore immenso per la gioia di farsi chiamare tesoro. «Sento freddo alla testa» rise. «Non ci sono abituato, sono così leggero che potrei volare.»


Lothar lo ammirava. Era un lato che gli piaceva, la forza che trovava Silas nello sdrammatizzare il suo dolore. «Credo sia normale, non che io abbia portato i capelli più lunghi di così.» In quel momento avevano lo stesso taglio. I capelli più lunghi sulla parte superiore e più corti sulla nuca.


«E come mi trovi?» gli domandò Silas.


Lothar sentì nella sua voce insinuarsi il dubbio. Come se avesse paura di non potergli piacere più. Ma, in tutta risposta, si chinò per baciargli quella nuca che lui stesso aveva scoperto. Si spinse anche a baciargli l'orecchio, fino a sussurrargli: «Sarai sempre la mia Godiva.»
Silas arrossì e si sentì sollevato.


Lothar sorrise compiaciuto: non lo aveva mai visto arrossire, e sapere di essere stato lui a provocare quella reazione gli faceva piacere.


Silas non riusciva a pronunciare parola, aveva dentro di sé troppe emozioni che lo avevano come lasciato in un instabile limbo; al che Lothar gli porse la mano per farlo alzare. «La prossima mossa?»


«Andare dal secondo giudice più impietoso di tutti.»


«E sarebbe?»


«Jorgen!»


Lothar rise, poi disse: «E il primo giudice più impietoso?» domandò, immaginando già la risposta.


«Ovviamente Castaldia. Ma al momento non è qui, quindi toccherà a suo fratello.»
«Allora scendiamo.» Lothar gli fece un cenno con la testa, spronandolo a scendere; e Silas lo seguì senza fare un fiato.


Raggiunsero il piano inferiore e, senza neanche palesarsi apertamente, Jorgen percepì la loro presenza: scese dalle gambe di Nail e corse incontro a Silas, che lo sollevò di corsa, per prenderlo in braccio.


«Non c'è bisogno che corri.»


«Papino!» esclamò gettandogli le braccia al colloPercepì subito qualcosa di strano, forse una mancanza, e andò a grattare con le sue piccole dita i capelli più corti sulla nuca di Silas. Rise.
«Un vizio di famiglia» commentò Lothar salutando con la mano Jorgen, vedendo il bambino ricambiare il suo saluto.


«Allora, com'è papino con il suo nuovo taglio di capelli?»

A quella domanda anche Nail si girò e guardò Silas esterrefatto. Comprese che aveva tagliato i suoi capelli per il bene dei suoi cari: era il degno figlio di Ludwig, ne era certo, possedeva tutto il senso del sacrificio di suo padre.


«Belo!»


«Sì dice bello. Ma comunque grazie, piccolo mio.» Silas gli scoccò un bacino sulla guancia. E Jorgen fece lo stesso ricambiando quel gesto affettuoso continuando a toccare i capelli di suo padre, troppo incuriosito da quella novità.


Un fragoroso bussare li riscosse tutti da quel dolce momento, al che Silas e Lothar si guardarono preoccupati e seri in volto. Silas tornò a guardare suo figlio e gli disse: «Vuoi andare in braccio a Lothar?»


Lothar avrebbe voluto dire qualcosa, ammonirlo, ma si ricordò il discorso fuori dal locale ed era Silas che doveva andare ad aprire la porta, pensare a salvarli tutti.


Jorgen mosse energicamente la testa in segno d'affermazione e Lothar porse le braccia per sostenerlo. Jorgen si aggrappò subito a Lothar abbracciandolo, voleva bene anche a lui e, a dimostrazione, fu il bacino che gli diede poco dopo, bacino che Lothar ricambiò dandoglielo sulla fronte. Era il figlio di Silas, ma per lui era come se fosse il proprio.
Lothar lo teneva saldo a sé, come se avesse paura che potessero portarlo

 via, come se chiunque avesse bussato potesse entrare e fargli del male. «Zio Lothar, chi è? Ho paura» disse guardandolo preoccupato in volto.


«Non ti preoccupare, ci sono io qui con te, e poi il tuo papino caccia tutti gli uomini cattivi, capito?»


«Sì» disse solamente, poggiando la testa sulla spalla di Lothar.


Silas andò ad aprire la porta e, come si aspettava, quelli che aveva davanti erano uomini in divisa.


«Silas Dubois?»


«Sì, sono io. Cosa posso fare per voi?»


«Dovrebbe seguirci al comando, Reinar Wolf vuole parlare. Ha detto che dobbiamo scortarla fino a lì.»


«D'accordo.»


In casa sentirono solo il rumore della porta che si chiudeva senza vedere Silas tornare da loro.
Lothar si avvicinò alla finestra per vedere cosa stesse succedendo. Vide Silas in strada scortato da quattro uomini. Si voltò e lo guardò appena. Gli sorrise come se non fosse preoccupato. Ma, sapeva che, in realtà, cercava solo di rassicurarli.


«Papino!» si lamentò Jorgen.


«Tranquillo, tornerà presto.» Lothar sentì il piccolo Jorgen, che aveva preso a piangere. Soffriva percependo il bambino stare male ed era furioso, perché aveva sentito fare il nome di Reinar. Si voltò, guardò serio Nail, e disse: «Dobbiamo chiamare Ludwig.»

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