Capitolo 45
Forse non essere è esser senza che tu sia,
senza che tu vada tagliando il mezzogiorno
come un fiore azzurro, senza che tu cammini
più tardi per la nebbia e i mattoni,
senza quella luce che tu rechi in mano
che forse altri non vedran dorata,
che forse nessuno seppe che cresceva
come l'origine rossa della rosa,
senza che tu sia, infine, senza che venissi
brusca, eccitante, a conoscer la mia vita,
raffica di roseto, frumento del vento,
e da allora sono perché tu sei,
e da allora sei, sono e siamo,
e per amore sarò, sarai, saremo.
(P. Neruda. Forse non essere è esser senza che tu sia)
Quella sera Lothar era rimasto a casa di Silas. Avevano trascorso le ore che precedevano l'alba a baciarsi e ad accarezzarsi. Lothar non aveva bene in mente come e cosa avrebbe dovuto fare e Silas non aveva voglia di bruciare le tappe subito. Volevano viversi entrambi, momento per momento e, anche se Lothar lo negava, Silas percepiva la sua preoccupazione. Non voleva pensarci, voleva solo bearsi dei baci di Lothar, quei baci che tanto aveva bramato, desiderato e sofferto per tutti quegli anni. Ci fu un momento in cui si incupì, quando pensò che le stesse labbra che lo stavano baciando avevano toccato quelle di Helen, ma poi scacciò via il pensiero sciogliendosi tra le braccia di Lothar.
Quando le prime luci dell'alba illuminarono la stanza, Silas giaceva supino sul letto, sotto Lothar che aveva continuato a baciarlo per ore senza che nessuno dei due avesse chiuso gli occhi. Quelle attenzioni lo avevano ristorato dai brutti, seppur brevi momenti, passati in prigione.
Anche Ludwig non aveva chiuso occhio quella notte, ma lui aveva un altro motivo. Era inorridito dal ruolo che avrebbe dovuto ricoprire, vivendo male l'idea del trasferimento. Insidiato d'apprensioni. C'erano troppe cose in sospeso che avrebbe dovuto sistemare e per tutta la notte non aveva fatto che cercare la soluzione, o il metodo più pratico, per sistemare ogni problema. Neanche la presenza di Aleph lo aveva tranquillizzato. Aveva preferito la solitudine.
La stessa sorte era toccata ad Aleph, il quale non aveva chiuso occhio dispiaciuto per Ludwig e per il suo distacco. Prima che partisse avrebbe voluto stare un po' con lui, anche solo rassicurarlo, invece non gli era stato permesso.
Erano le sei del mattino e Ludwig ancora non si era deciso a uscire dalla propria stanza; così, Aleph si era diretto in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua nella sua attesa. Quando arrivò in cucina, Natthasol lo fece sedere: ci avrebbe pensato lui. Così, invece del misero bicchiere d'acqua, gli passò una tazza di tè caldo per dargli un po' di conforto.
«Sei in pena per Ludwig, non è vero?»
Aleph portò la tazza alle labbra, ne bevve un sorso e poi la posò sul tavolo annuendo alle parole di Natthasol.
«Sì, a volte non capisco perché debba essere così scostante. Io a cosa servo se non posso neanche confortarlo? Forse non solo all'altezza...»
Natthasol si dispiacque nel sentirgli pronunciare quelle parole, pertanto cercò di rassicurarlo: «Vedi, Aleph, Ludwig ha un carattere molto difficile e oltre ad essere molto forte è anche molto chiuso. Si chiude in se stesso quando soffre e spesso diventa scostante; ma non lo fa né a posta, né con cattiveria, semplicemente è stato abituato, spesso per forze di cause maggiori, a combattere le sue battaglie da solo.»
«Ottima analisi, io stesso non avrei saputo farla meglio.»
Aleph trasalì, quando sentì la voce di Ludwig, non avrebbe mai voluto che pensasse che stessero sparlando di lui, ma sembrò che Ludwig non gli desse peso, o che Natthasol fosse molto tempestivo sull'attirare l'attenzione altrove. «Tieni, prendi un caffè. Devi essere esausto.»
«E lo sono.»
Ludwig si sedette al tavolo del tutto intenzionato a godersi la tazza di caffè caldo che suo fratello gli aveva passato. Lo sorseggiò con gli occhi chiusi, a piccoli sorsi, come voler riacquistare un po' di quelle forze perdute, distrutto dalle mancate ore di sonno. Rimase in silenzio mentre udiva i passi di Nail farsi vicini, inconfondibili a suo dire.
Lo vide entrare in cucina mentre ancora sorseggiava il caffè e lo vide servirsi la sua stessa bevanda, lasciandolo piacevolmente stupito. «La gamba non ti fa male questa mattina?» gli domandò seriamente, volendo indagare sul suo stato di salute.
«Altroché! Sembra che un cane mi stia mordendo sulla ferita! Ci si sta accanendo!»
«E non ti sei abbandonato ai tuoi soliti rimedi?»
«No, oggi no. Devo fare una cosa importante.»
«Ti sei deciso, finalmente.» Un sorrisetto apparve sulle labbra di Ludwig prima di poggiare queste ancora una volta alla tazza, per sorseggiare il suo amato caffè ormai arrivato alla fine.
Quell'affermazione, però, destò l'attenzione di Natthasol. Si domandò cosa avesse di così importante da fare al punto da non cedere all'alcool per cercare di lenire il dolore. E poi, Ludwig, cosa aveva voluto dire con quella affermazione? Una strana sensazione lo aveva colto al centro del petto; forse un battito più veloce, mentre i pensieri sembrava andare alla rinfusa.
Natthasol si era abituato a vedere sempre Nail dentro casa, usciva solo per le commissioni lavorative che doveva sbrigare per Ludwig. Sapeva sempre tutto, ma da quando aveva cominciato a ignorarlo, si era limitato a osservarlo per comprendere i suoi spostamenti. Forse era semplicemente geloso.
In quel momento non sapeva se era più infastidito dalle sue sensazioni, o dal comportamento che Nail aveva avuto nei suoi confronti in quell'ultimo periodo.
Uscì dalla cucina e Nail lo seguì con la coda dell'occhio, mosse un passo e si maledì per averlo fatto, le fitte che gli arrivavano alla gamba ogni volta che si muoveva erano allucinanti, ma quel giorno aveva finalmente preso la forza e il coraggio di farsi avanti e non c'era dolore che lo avrebbe fermato. «Natthasol, aspetta, ti posso parlare?»
Inconsapevolmente, o forse no, invece di rallentare il passo, Natthasol lo accelerò, quasi a volergliela far pagare per averlo ignorato così a lungo.
«Dannazione, ti vuoi fermare, sai benissimo che non ti posso correre dietro più di così.» Nail lo conosceva bene, ormai, e sapeva che lo stava facendo apposta. In quegli anni non aveva ancora capito se fosse diventato davvero molto paziente, o se avesse perso la testa per Natthasol. La cosa certa era che non gli piacevano le situazioni facili. «Proprio non vuoi fermarti, eh.» Strinse i denti, si stava sforzando più del dovuto; ma a quel punto, con uno slancio più faticoso del previsto, riuscì quantomeno ad afferrarlo per un polso e farlo arrestare, bloccandolo contro un muro dopo avergli voltato il braccio dietro la schiena. «Ti piacciono le maniere forti? Bene, le avrai!»
In tutta risposta, Natthasol alzò il volto con fare stizzito. «Sei tu che mi devi parlare, ma non hai minimamente considerato il fatto che io non ti voglia ascoltare.»
«Rendermi più zoppicante di quello che sono non aiuta comunque nessuno. Potevi benissimo voltarti e dire che non avevi la minima voglia di starmi a sentire. Potevi benissimo mettermi a tacere, come hai già fatto altre volte. Io non so perché tu faccia così, sinceramente.»
«Non lo sai? Sono giorni che mi ignori e poi, improvvisamente, ti svegli una mattina dicendo che prima hai una cosa da fare e poi che mi vuoi parlare... Allora perché dovrei prendere in considerazione la cosa?»
«Natthasol, sei uno stupido, un idiota. Quello che penso io, invece, è perché spreco tutto questo tempo con te. Mi sembra palese che tu mi detesti, anche se non ne conosco il motivo, ma la cosa importanti, eri tu. Forse sono io l'idiota, tra i due, già. Volevo parlare con te e importante è quello che ho da dirti, ecco perché sono qui, a soffrire come un animale, affinché tu possa prendermi sul serio.»
Natthasol si fermò per un momento. Da un'espressione stizzita, ne assunse una confusa, smarrita. «Dovevi parlare con me? Importante è quello che hai da dirmi?» Natthasol sbatté le palpebre, incredulo. Forse lui non sapeva proprio combatterci con i sentimenti, non ci capiva nulla, e sebbene avesse ormai trentasette anni suonati, le sue emozioni in fatto di amore, erano acerbe, pari a quelle di un adolescente.
«Perché volevi parlare con me?» Il tono di Natthasol sembrò essersi addolcito, così Nail tirò un sospiro di sollievo immaginando che, almeno in quel momento, lo avrebbe ascoltato.
«Sono due anni che cerco di mandarti segnali, Natthasol, veramente. Io capisco che non posso reggere il confronto con tuo fratello, lo so benissimo. So che sei cresciuto con lui, so che per te, lui è la rappresentazione perfetta dell'uomo perfetto. Io non lo sono. Ho una ferita di guerra che, come sai, non mi da tregua, bevo per sopperire al dolore, non perché mi piaccia farlo, ma ormai mi ci sono abituato, pensa: prima della ferita non avevo neanche mai immaginato che sapore avesse l'alcool. Porto gli occhiali, quindi non sono perfetto neanche in questo. Non sono colto come tuo fratello, non ho lo stesso livello di studio, forse non sono neanche intelligente e scaltro come lui. Ma ti prego, ti devi fidare di me. Forse tu sei anche più diffidente di Ludwig, forse vuoi solo proteggerti, ma se lui si fida di me, tanto da affidarmi la sorte dei suoi figli, ci sarà un motivo? Quindi, Natthasol, ti prego, fidati di me. Ormai non ci posso fare niente: voglio te, mi sono innamorato di te. Del tuo caratterino, che Dio ti perdoni per quanto è difficile... mi fa letteralmente impazzire.»
Natthasol si era agitato: era palese, il suo volto era impallidito e arrossito in poco tempo. Muoveva gli occhi confuso, come se non volesse incontrare lo sguardo di Nail, tanto questo era stato schietto e sincero nei suoi confronti. Volse appena la testa di lato, imbarazzato. Nessuno gli aveva dimostrato tanto sentimento. Si vergognava.
Nail, sospirò, pensò che Natthasol fosse senza speranze, ma aveva imparato a comprenderlo, ormai. Sapeva che davanti a certe situazioni non ci si era mai ritrovato, che aveva quasi vissuto come un eremita. Si ricordò di quanto gli aveva detto Ludwig riguardo al fratello e in quel momento non ci pensò due volte: agì. Prese il viso di Natthasol, con la mano, adottando una presa decisa e dicendosi che doveva infondergli la sua fermezza in un gesto, tutte le parole che gli aveva appena detto, e poi, altrettanto deciso lo baciò. Un bacio per il quale Natthasol non fece resistenza, ma anzi, in maniera piuttosto maldestra, lo ricambiò.
«Non ti preoccupare» sussurrò Nail vicino alle sue labbra, immaginando che l'altro si potesse sentire a disagio nel suo essere impacciato.
Natthasol si sentì avvampare per la vergogna, non per quel bacio che in fondo anche lui aspettava da troppo tempo, ma per la sua sbadataggine, per il suo essere incapace di dare un semplice bacio, un bacio che desiderava con tutto se stesso.
«Guardami...»
Natthasol puntò gli occhi in quelli di Nail come a voler cercare una rassicurazione. Quella fu la prima volta che Nail lo vide così fragile.
«Ho aspettato due anni per esserti così vicino, non mi fermerà questo dettaglio, che ce ne vogliano dieci.»
Quell'affermazione spinse Natthasol a farsi avanti, fu lui a slanciarsi verso Nail, il quale lo afferrò prontamente abbracciandolo e ricambiando il suo bacio. Un bacio semplice, tenero, un bacio che Nail cercò di guidare affinché l'altro si sentisse compreso e non in difetto.
Natthasol sembrò continuare a volerlo baciare, quasi fosse famelico, quasi fosse lui ad averlo aspettato per tanto tempo, ma effettivamente era una vita che lo aspettava, perché in fondo aveva riconosciuto tutte le qualità di Nail. Continuò a baciarlo fin quando non si sentì in grado di potersi definire all'altezza, capace, in grado. Fin quando fu Nail a rincarare la dose, a spingersi in un bacio più passionale, ormai acceso dai baci frettolosi di Natthasol. Questi sembravano aver portato i suoi frutti, dato che riuscì a ricambiare Nail con più facilità.
Nail lo vide sorridere, tra un bacio e l'altro, e lo sentì rabbrividire sotto le sue carezze, durante quei baci, perché non c'era punto che Nail non avesse accarezzato, mentre Natthasol faceva pratica per prendere confidenza con lui.
«Natthasol, io non vorrei essere né scortese, né inopportuno, ma ti prego, possiamo andare in camera tua? Qui siamo quasi sotto gli occhi di tutti.» Nail giurò di aver visto Natthasol arrossire mentre lo prendeva per mano e lo tirava via. Quasi non lo fece inciampare. «Ehi, piano, sono sempre sciancato io.»
Natthasol rallentò il passo, ma non accennò a voltarsi, vergognandosi neanche fosse un ladro. Salì le scale per arrivare alla sua camera, sempre tenendo la mano di Nail, mantenendo un passo meno veloce affinché Nail non si stancasse troppo o non fosse troppo dolorante.
Entrati in camera Natthasol non disse niente. Sebbene avesse iniziato a desiderarlo si sentiva troppo insicuro per fare qualsiasi cosa, ma non ci volle molto tempo affinché fosse proprio Nail a compiere l'ennesima mossa: lo tirò a sé, poggiandosi con la schiena contro la porta chiusa, in modo che potesse avere un sostegno senza gravare ulteriormente sulla gamba ferita. Baciò Natthasol; e lui, quasi sentendosi mosso da un istinto che non immaginava di possedere, prese ad accarezzare Nail lungo il collo, il torace, sopra i vestiti, fino ad arrivare alla gamba offesa come a volerlo massaggiare per togliergli un dolore. «Se avessi saputo che tanto dolore avesse portato a questo, alle tue carezze, alle tue attenzioni, lo avrei sopportato e quasi desiderato, invece di maledirlo.»
«Secondo me, tu parli un po' troppo.»
«Ti piace sentire queste cose però, lo vedo chiaramente. Lo sento anche.» Nail rise e Natthasol si sentì schernito perché era chiaro che Nail stesse facendo riferimento alla sua intimità. Fu così che Natthasol si spinse con un gesto forse affrettato, dando uno schiaffo a Nail, che non disdegnò affatto, ma che, anzi, non fece altro che accenderlo.
«Tanto, anche se mi prendi a schiaffi, non me ne vado.»
Natthasol riprese a baciarlo come se volesse scusarsi, Nail sentiva chiaramente che Natthasol desiderava le sue attenzioni; anche se lui era inesperto, era pur sempre un adulto che aveva aspettato troppo lungo.
Natthasol si allontanò da lui, facendogli cenno con la testa di seguirlo, fin quando non raggiunse il suo letto e disse a Nail di sdraiarsi affinché la sua gamba non gli facesse più male. Nail sorrise: quella era la prima gentilezza che Natthasol, spontaneamente, mostrava nei suoi confronti; così Nail, accettò il suo invito e si sdraiò, vedendolo sedersi sopra di sé; era evidente ai suoi occhi, che Natthasol aveva immaginato quel momento per molto tempo.
Si sporse verso il viso di Nail baciandogli dolcemente il mento e la linea del collo. Nail, in quel momento, non fece niente. Desiderava solo bearsi delle attenzioni di Natthasol.
«Eppure, almeno in teoria, sembra che tu sappia benissimo cosa fare.»
«Ho pur sempre trentasette anni, almeno quello che voglio fare lo avrò pur immaginato non credi? E poi mio padre aveva delle riviste abbastanza esplicative a riguardo.»
«Ecco, magari il discorso di tuo padre lo affrontiamo in un altro momento, non credi?»
Natthasol annuì e continuò a baciarlo lungo il collo, Nail passò le mani tra le onde dei suoi capelli. Maledì ancora una volta la sua gamba, perché non poteva fare quello che la sua mente immaginava: avrebbe voluto ribaltare Natthasol e farlo suo, se solo avesse potuto.
Natthasol cominciò a spogliarlo dei pochi vestiti che aveva e lo stesso fece con se stesso, sfilandosi la camicia, Nail era affascinato dalla sua sicurezza, ci aveva messo due anni per avvicinarlo e forse era stato troppo tempo anche per lui, visto che non si immaginava di avere un contatto di quel tipo. Non poteva che esserne felice.
«Non so bene che idea tu possa avere di me in questo momento, ma ti aspetto da una vita e non intendo far passare altro tempo.»
«E io non intendo fermarti» rise Nail.
Si mosse appena, quando sentì Natthasol spostarsi dalla sua postazione, strusciandosi contro la sua eccitazione ben celata dietro la stoffa dei pantaloni.
«Ho come l'impressione che tu voglia uccidermi. Non ci sono riusciti in trincea, ma tu sei sulla buona strada» ammise.
Natthasol capì perfettamente a cosa si stesse riferendo ed è per questo che si spostò appena, sollevandosi e andando a sbottonargli i pantaloni, per liberarlo da tanto fastidio. Fece lo stesso con se stesso: se li sfilò letteralmente, gettandoli al suolo. Tanta audacia sorprese anche Nail, ma era pur vero che anche Natthasol era un essere umano e aveva provato più volte il desiderio di stare con qualcuno, di congiungersi con qualcuno. Nail aveva buone speranze che anche Natthasol ricambiava i suoi sentimenti alla stessa maniera.
«Sei certo di quello che stai facendo?» gli domandò Nail preoccupandosi per lui.
«Ne sono consapevole, ma lo desidero, pertanto lasciami fare. Non importa.»
«Agli ordini mio signore!» Nail alzò le mani in segno di resa, guardando Natthasol, beandosi del suo corpo e della sua pelle nivea. Dio se era bello e a lui sembrava l'arcangelo Michele avvolto dalle fiamme.
Gemette appena, sentendo le mani di Natthasol accarezzargli frettolosamente la sua eccitazione e poi prese la mani di Nail, lo condusse verso la sua, più in basso, spingendolo ad arrivare fino quel luogo da nessuno esplorato. Nail lo accarezzò, gli appoggiò appena il polpastrello e giurò di sentirlo fremere; se solo fosse stato nel totale possesso delle sue capacità, lo avrebbe posseduto seduta stante.
Cercò di spingersi di più verso il suo interno, sentendo la mano di Natthasol che si preoccupava della sua erezione; ancora una volta, e questa volta insistendo su di essa.
Guardava il volto di Natthasol, per scorgere espressioni nuove, per comprendere i suoi sentimenti, ma su di lui balenava dolore e piacere: sembrava che soltanto l'idea gli avesse fatto rilassare ogni muscolo del corpo. E quando vedeva quel piacere sul suo corpo che si spingeva con le mani al suo interno ancora di più, si spinse al suo interno con un altro dito, muovendosi in esso, cercando di raggiungere il punto fatidico del suo piacere. Urlò Natthasol. Un grido breve, estatico che quasi non mandò su di giri Nail, al punto da fermarsi. Aveva pensato che di punto in bianco sarebbe potuto entrare Ludwig per staccargli la testa dal corpo.
Natthasol, però, lo sorprese ancora una volta, tolse la sua mano, bruscamente, dalla sua erezione, lasciandolo ancora insoddisfatto e colmo di desiderio, tirandosi su, liberandosi della sua mano che era dentro di lui, per poi andarsi a posizionare proprio sull'erezione di Nail, lasciandosi penetrare, facendosi avvolgere da fitte di dolore e un piacere strano che lo stava scuotendo dall'interno.
Nail reclinò la testa all'indietro, si morse le labbra, trattene una smorfia di dolore. Natthasol era vergine, e si era lasciato andare così senza la minima esitazione, lo aveva colto alla sprovvista. Natthasol era famelico: fu questo quello che pensò, una creatura bellissima e famelica, passionale. Sapeva che quel suo caratterino per nulla semplice da gestire nascondeva un lato focoso, selvaggio.
Gli portò le mani ai fianchi e lo esortò a muoversi, per fargli trovare il suo ritmo, per non farlo soffrire più del dovuto; e così Natthasol fece: reclinò la testa indietro, lasciando che i capelli gli ricadessero sulle spalle, inarcò la schiena e cominciò a spingersi con il bacino. Dapprima piano, lentamente, profondamente. Sembrava proprio di non volerne sapere di tacere, ma anzi, si stava godendo il suo momento, lasciando che il piacere uscisse dalla sua bocca. Piccoli mugolii e ansiti emettevano le bellissime labbra di Natthasol e, Nail, che lo guardava con gli occhi socchiusi e colmi di piacere, si beava di tutte le sue movenze, incitandolo a muoversi più velocemente, dal momento che sembrava aver superato il dolore.
«Mi ucciderai Natthasol, me lo sento; ma se è per mano tua, sotto di te, mi sta più che bene!»
«Ti sembra il momento di fare del sarcasmo?» La voce di Natthasol era più bassa, seducente, a tratti rotta dal piacere e dal desiderio. Si muoveva con disinvoltura, ormai, era chiaro che avesse letto, visto, immaginato quel momento e, bramato, più di ogni altra cosa al mondo. La verità era, però, che non lo avrebbe fatto con altri se non con Nail, lo avrebbe atteso, avrebbe atteso quella mossa giusta che gli avrebbe fatto capire che, finalmente, poteva dedicarsi anima e corpo a qualcuno e che non lo avrebbe ferito.
Nail gli fece cenno di avvicinarsi a lui, voleva baciarlo, sentirlo vicino e non solo vederlo muoversi sopra di lui, così Natthasol fece, mentre ancora manteneva un certo ritmo cadenzante, si avvicinò alla sua bocca e lo baciò, meglio di prima, meglio di come Nail potesse immaginare. Gli portò le mani alla testa, le passò tra i capelli, sul viso, lungo tutta la schiena e la colonna dorsale. Si spinse giù fino ai fianchi, fino a concentrare le sue ultime energie, affinché Natthasol potesse raggiungere il piacere tanto desiderato. Natthasol gemette tra i suoi baci, sentendosi improvvisamente pervaso da un piacere più forte e più intenso, si portò lui stesso una mano alla propria erezione, lasciando che Nail lo guidasse. Nascose il viso nell'insenatura del collo di Nail, quasi sentì quello che, sicuramente doveva essere l'orgasmo, coglierlo, lasciando che la sua voce fosse smorzata dai cuscini e il suo viso nascosto. Nail invece aveva ancora una mano sul sua fianco, per spingerlo, per incoraggiarlo a muoversi, mentre con l'altra lo abbracciava, per farlo sentire sicuro e protetto. Raggiunse anche lui il suo apice, il piacere più grande di tutti, quello avuto con Natthasol. Fosse stato per lui non si sarebbe più alzato da lì.
Silas aprì la porta della camera, aspettando che Lothar uscisse per richiuderla. Ma Lothar non sembrava volerlo lasciarlo andare, lo aveva tirato per il braccio e portato a sé costringendolo ad abbassarsi appena. Silas sorrise sulle sue labbra e ricambiò il suo bacio.
«Posso farti una domanda?»
Silas sbatté appena le palpebre e annuì affermativamente, aspettando di ricevere la domanda.
«Tu sei sempre stato così passionale, dolce, felice con le altre?»
«Non così, tu sei il mio mondo, Lothar, nessuno mi ha mai avuto così.»
Lothar gli sorrise e lo lasciò andare. Cambiò espressione però, quando vide uscire da una stanza in fondo al corridoio, Salazar.
«So che vuoi andare a parlare con tuo padre, io vado un attimo al bagno, ti raggiungo subito.»
«Se hai bisogno di me, chiamami!» gli disse facendo l'occhiolino, prima di scendere le scale.
«Che stupido!»
La verità era che Lothar voleva parlare con Salazar, perché come lo stava guardando non gli piaceva per niente, era evidente che stesse cercando di minacciarlo in qualche modo.
Lothar, con un cenno della mano, gli fece segno di farsi avanti, di andare a parlare con lui se proprio aveva tanta urgenza di dirgli qualcosa.
«C'è qualche problema?» gli domandò Lothar.
«Sì, il problema è che mi infastidisci, la tua presenza vicino a mio fratello mi infastidisce.»
«E per quale ragione? Ti ho fatto mai qualcosa?» Lothar si stranì: cosa voleva Salazar da lui?
«Lo hai fatto soffrire e ora farai soffrire tutti: lui, i suoi figli, la nostra famiglia.»
Lothar deglutì, in che senso avrebbe fatto soffrire i suoi figli e la sua famiglia? Non avrebbe mai voluto una cosa del genere e Silas non gli sembrava sofferente al momento.
«Tu vuoi allontanare mio fratello da me, vuoi portarmelo via, vuoi che io sparisca dalla sua vita, ma non accadrà, perché se accadesse sarò io il primo a farti sparire.»
Lothar avevo compreso, negli anni, che Salazar fosse una persona particolare, ma quelli che aveva appena pronunciato gli sembravano deliri belli e buoni e poi lo stava minacciando. A lui non piaceva essere minacciato, non lo intimoriva nemmeno e cosa più preoccupante ancora era la possibilità che Salazar potesse fare del male a Silas.
«Ascoltami bene. Non osare minacciarmi, perché non otterrai nulla. Non mi allontanerò mai da lui, fosse l'ultima cosa che faccio.» Lothar mosse qualche passo per raggiungere Silas, ma Salazar lo afferrò per la giacca che venne strattonata a sua volta da Lothar. E allora Salazar lo spinse. Mise male un piede sulle scale e se la provvidenza non fosse intervenuta, la sorte, la fortuna, Lothar sarebbe finito giù, ma si aggrappò alla parete poggiandosi contro di essa. «Ti piace il gioco sporco? Benissimo, ho capito perfettamente le tue intenzioni.»
«Buongiorno...» Silas entrò nella cucina e vide suo padre ancora seduto lì a leggere il giornale della mattina. Giornale che, per Silas, non erano che un mucchio di menzogne naziste. Salutò anche Aleph e si sedette al tavolo.
«Mh... sono affamato, dov'è lo zio?»
«Lo zio credo sia occupato o irraggiungibile al momento.»
«Non sarò io a disturbarlo.» Silas si alzò dal tavolo, dirigendosi verso il bancone della cucina dove sapeva di poter trovare qualcosa da mangiare.
Aleph era arrossito nel comprendere il discorso che i due stavano facendo. Sebbene ormai il suo rapporto con Ludwig fosse navigato, mostrava sempre un certo imbarazzo a riguardo.
Silas si rimise a sedere, porse anche il piatto a Lothar quando lo vide arrivare. Un tempismo che stupì Lothar sopra ogni cosa. Come aveva fatto? Si sarebbe posto dopo i quesiti sui prodigi di Silas, in quel momento si sarebbe solo gustato la colazione.
Silas prese a mangiare, appena ingerito il primo boccone iniziò a parlare: «Dunque, papà, devo ancora capire quali sono i miei sentimenti riguardo alla tua prossima attività. Sono combattuto perché, vedi, da una parte avere te in prima linea potrebbe farci arrivare le notizie direttamente, sarebbe un passaggio più breve. Ma immaginare te come carnefice non mi rallegra affatto.»
Ludwig lo guardò e rimase calmo, guardò anche Aleph, perché in fondo il discorso riguardava anche lui.
«Ascoltami, Silas. Non vado lì ad ammazzare la gente, vado li perché sono costretto ad andarci a questo punto della guerra, vado lì per non farci ammazzare tutti. Cosa credi che sia una situazione facile questa? Ci sono tre bambini qui, tuo zio che sappiamo tutti come lo tratterebbe il Reich, c'è Aleph, c'è Nail e sopratutto c'è tuo fratello. Nulla è facile e il compito che mi è stato affibbiato è tra i più meschini. Sentirmi dire da te che, praticamente, sono al pari di un assassino, mi ferisce, ti rende un ingrato. Hai pensato al fatto che tua figlia, Castaldia, dovrà venire con me? Perché sono io il tutore legale agli occhi del partito?»
Silas tacque per un momento, l'idea di separarsi da sua figlia lo distruggeva. Forse era stato ingiusto con suo padre, lui che lo aveva sempre protetto, che aveva sempre rischiato tutto per lui. «Scusami, papà, forse ho esagerato, a volte parlo senza pensare, specie quando non dormo da giorni.»
Ludwig annuì accettando le sue scuse.
«Se mi posso permettere...» s'intromise Lothar. «Credo che la situazione di Herr Dubois sia di beneficio alla causa: riflettici Silas, lui ci può dire tutti gli spostamenti all'interno del campo e fuori, di tutti quelli che passano di lì per andare a Monaco o nei dintorni e, a poco a poco, potremmo prenderci quello che ci spetta, raggiungere il nostro obbiettivo.»
«Forse hai ragione.»
«Ah proposito, quando hai finito di mangiare ti devo parlare.»
Silas annuì pensando che Lothar dovesse dirgli qualcosa riguardante la causa, così si sbrigò a finire la sua colazione, ad alzarsi e mettere il piatto nel lavandino per poi seguirlo fuori dalla cucina, nel salotto adiacente.
«Tuo fratello mi ha minacciato.»
Silas spalancò gli occhi. «Come sarebbe a dire che ti ha minacciato?»
«Esattamente, ma non importa che abbia minacciato me: ho paura che possa fare del male a te. È mai successo qualcosa di strano?»
Silas aveva perso il conto di tutte le volte che suo fratello lo aveva aggredito fisicamente e verbalmente a causa di Lothar. «Ha semplicemente paura di perdermi, tutto qui. Sono sempre il fratello maggiore e Salazar nemmeno vive una situazione semplice, specie adesso che si deve sposare.»
«Però lo trova il tempo per minacciare le persone.»
«Dopo ci parlerò, ma ha provato a farti del male?» domandò Silas scrutando Lothar in volto.
«Mi ha spinto. Se avessi perso l'equilibrio, sarei finito giù per le scale. Per il resto non ha fatto altro.»
«Dopo ci parlerò. Comprendo la paura, ma deve smetterla di comportarsi così. Spero che mi dia ascolto una volta per tutte.»
«Lo spero anche io, perché non sono capace di garantire delle mie azioni se ti facesse del male.»
«Stai tranquillo, non succederà nulla. Conosco quegli atteggiamenti fin troppo bene. Se dice qualcosa non mi ferisce; e, per quanto riguarda la violenza, sono ancora in grado di difendermi. Ma non è questo il punto, lui deve capire che sarà e resterà sempre mio fratello che ci sia tu oppure no.»
Lothar gli poggiò una mano sulla spalla e scosse la testa con fare affermativo. «Mi fido di te, so che ci parlerai, ora torniamo di là, più tardi dovremmo salutare tuo padre e tua figlia.»
Una fitta allo stomaco colpì Silas: ancora una volta, il pensiero di separarsi dalla sua bambina lo distruggeva; doveva subire, subire di nuovo, e tutto a causa di quella guerra. «Già, spero che la mia bambina un giorno capirà e che non mi odierà.»
«E come potrebbe? Ti chiama papino» gli disse Lothar ridendo.
«E questo che significa?»
«Che ti vorrà bene qualsiasi cosa tu faccia, perché sono certo che lei sa che tutto quello che fai è per lei, lo fai per proteggerla.»
«Spero solo che Jorgen non soffra per un'altra separazione, che lei non si senta non scelta...»
Lothar lo fermò un attimo, gli fece cenno di tacere. Silas, per i suoi gusti, cominciava ad andare troppo oltre con i suoi pensieri. Lo afferrò per le spalle e cercò di rassicurarlo: «Ascoltami, la tua bimba mi sembra abbastanza sveglia, parlale a cuore aperto, come fai sempre con tutti, e lei capirà. E poi non la stai abbandonando, la rivedrai, ti rivedrà.» Silas, annuì, cercando di farsi bastare le rassicurazioni di Lothar, sperando che avesse ragione.
«Va bene, torniamo di là e aspettiamo di riunirci tutti, cosicché io possa salutare mio padre e salutare mia figlia.»
Lothar lo seguì, gli sarebbe stato vicino, sarebbe stato al suo fianco, in qualsiasi momento.
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