Capitolo 44
Ti voglio dire,
che ti voglio
dire, che ti
voglio dire, che
voglio dirti, che
ti voglio dire,
che ti voglio.
(T. Kibirov - Dichiarazione)
Silas venne trascinato fino alla sua cella e spinto all'interno della stessa. Non ebbe il tempo di voltarsi che le guardie già avevano chiuso la porta. Su di essa, una piccola finestrella con delle inferiate chiuse ermeticamente da un'anta di metallo. Sospirò: era tutto così angusto. Quanto meno gli avevano assegnato la cella dei "privilegiati", dato che aveva un posto per i suoi bisogni fisiologici e un letto; se si poteva definire.
«Che postaccio» bofonchiò tra sé e sé. Si mise seduto non avendo nulla da fare, sapendo che per interrogarlo avrebbero aspettato minimo la tarda serata, o l'indomani mattina. Era in cella da tre minuti e già si era annoiato mortalmente. Stare rinchiuso dentro quelle strette e anguste pareti non gli faceva proprio bene allo spirito. Gli poteva capitare di peggio, chissà dove lo avrebbero spedito. Sperava che qualcuno dei suoi si facesse venire qualche idea brillante. Si guardò intorno, cercando cose fondamentalmente utili, ma visto che era appena arrivato, non aveva oggetti particolari dentro la sua prigione. C'era una piccola finestrella, però, almeno quella, e costatò che se avesse voluto scappare, quella via d'uscita non gli sarebbe stata utile, troppo piccola e troppo stretta per lui.
«Silas, Silas!»
Si sentì chiamare e, se le sue orecchie non lo stavano ingannando, qualcuno lo aveva interpellato dalla cella accanto.
Ci rifletté prima di rispondere: chi mai lo avrebbe potuto conoscere in un posto come quello? Ma, vista l'insistenza, dell'altro detenuto, rispose: «Chi sei?»
«Sono Dirk, ti ricordi di me?»
Panico. In un primo momento pensò che il suo vecchio compagno di squadra si fosse fatto arrestare e che avesse spifferato tutto a chi di dovere; poi cercò di tornare lucido per scoprire il motivo per il quale quel ragazzo si trovava lì.
«Come sei finito qui dentro?» gli domandò.
«Amico mio, ho fatto proprio un grosso errore. Se avessi saputo che sarei finito così, avrei agito in tutt'altra maniera.»
«Continuo a non capirti... se ci sentono parlare potrebbero picchiarci fino alla morte, lo sai?»
«Mi hanno già vessato come si deve...» ammise Dirk.
Silas era dispiaciuto per lui, ma non voleva essere punito a causa d'altri. Tacque, aspettando che fosse l'altro a dirgli come mai era finito lì dentro.
«Ho disertato. Mi ero arruolato nelle SS e ho disertato. Non ho ubbidito a un ordine, per me troppo crudele, e sono finito qui dentro.»
«Cosa credevi, che avresti fatto merenda a casa del Führer una volta arruolato nelle squadre di protezione?» Pensò su quanto fosse ironico quel nome.
«No, ma avevo paura.»
«Capisco...» rispose soltanto, cercando di dare un taglio a quel discorso per non essere scoperto.
«Voi state tutti bene?» domandò.
Silas alzò gli occhi al cielo. Perché non poteva farsi gli affari suoi? Pensò. Forse si sentiva solo: lo comprendeva, ma non avrebbe messo a repentaglio la vita di tutti per fargli passare qualche ora in compagnia.
«Non so di cosa, o di chi tu stia parlando.»
Erano trascorse più di sei ore da quando Silas era stato portato via di casa. Lothar era rimasto lì. Tutti erano rimasti lì in un muto silenzio. Si sentiva l'agitazione aleggiare nella casa e Nail, che se ne stava vicino a Ludwig, avrebbe potuto giurare di percepire i pensieri del suo amico, tanto questo sembrava essere nervoso.
Lothar si era alzato, faceva avanti e indietro: nessuno poteva fare niente. Né Ludwig, né suo fratello Salazar, questa volta non avrebbero potuto mettere una parola buona per lui.
«Possibile che lo stiano ancora interrogando?» domandò Lothar. Aveva preso a pensare ad alta voce, ma tutti avevano cominciato a cercare a una soluzione, senza trovarla.
«Possibile, come è possibile che lo abbiano arrestato» rispose Ludwig con una calma disarmante. In realtà era abituato a celare le sue emozioni.
«Dobbiamo fare qualcosa» lamentava Lothar continuando a fare avanti e indietro quasi volesse segnare il pavimento.
«Intanto, per cominciare potresti far sparire il volantino che ti ha consegnato.» Ludwig gli indicò il foglio di carta che Lothar stringeva ancora tra le mani.
«Non posso farlo, sarebbe come tradirlo!» sbottò.
Ludwig si alzò in piedi. «Tradirlo è far finire quel foglio nelle mani sbagliate: questo lo porterebbe dritto alla fucilazione!» rispose perentorio.
Agnes si avvicinò a Lothar e gli prese il foglio dalle mani. «Mi dispiace amico mio, ma ha ragione Ludwig. Non possiamo permetterci di farlo circolare adesso che Silas si trova in questa situazione.» Strappò il foglio. «Non ti preoccupare, l'ho fatto io. L'importante, ora come ora, è riportarlo a casa, se sopravvivrà, avrà la possibilità di scriverne altri mille di volantini.»
«Non voglio contemplare l'ipotesi della sua morte neanche per scherzo!» Lothar sembrava minaccioso.
«Quello che non avete ancora capito è che state rischiando davvero, non è un gioco» asserì Ludwig.
Bastien stava morendo di preoccupazione. Sarebbe voluto andare lui stesso a liberare Silas, ma non avrebbe ottenuto un bel niente; con il tempo si era scoperto impulsivo quanto Lothar. Fortuna che c'erano Agnes e Hans a tenergli la mano, quindi riusciva a sentirsi un po' più sollevato.
«Forse ho un'idea!» disse improvvisamente Lothar.
«Spero tu non faccia nulla di avventato» si raccomandò Ludwig.
«No, se avessi voluto fare qualcosa di avventato mi sarei scapicollato fuori per riprendermelo. Questa volta però sono consapevole che non basta alzare un po' la voce. Se è vero quello che mi ha detto Silas, so chi potrebbe aiutarlo. Ma per farlo devo andarci da solo.»
Come aveva accennato, Lothar uscì di casa da solo. Sperò con tutto se stesso che quanto gli aveva detto Silas fosse vero. Era quasi ora di cena, si sarebbe presentato lì senza il minimo accenno, ma non poteva aspettare la mattina: anche poche ore avrebbero potuto fare la differenza.
Bussò alla porta e attese. Qualche attimo dopo gli venne ad aprire quella che aveva tutta l'aria di essere la governante.
«Buonasera, signora, sono Lothar Schröder. Chiedo scusa per il disturbo, ma avrei l'urgenza di parlare con Herr Wolf.»
«Attenda qui, per favore, glielo chiamo e vedo se può riceverla.» La donna richiuse la porta. Lothar se ne stava lì, immobile, mentre si attorcigliava le mani dall'ansia. Per un attimo capì come si sentiva Bastien: una sensazione orribile. Si sentiva soffocare. Poi, però, la porta si riaprì ed era stato proprio Herr Wolf a concedergli di entrare.
«Prego, gli amici di mio figlio e di Silas, sono i benvenuti.»
«La ringrazio Herr Wolf. Mi scuso per l'ora, spero non stavate per cenare.»
«Non preoccuparti, manca ancora un'ora alla cena, ma dimmi a cosa devo la visita?»
Herr Wolf lo portò fino in salotto e si sedette, invitando anche Lothar a farlo; tuttavia lui rimase in piedi, era troppo agitato per sedersi.
«Vede, Herr Wolf, è proprio di Silas che devo parlarle...» Lothar per un attimo si stranì, quando gli nominò Silas. Gli vide apparire sul volto una strana espressione, cominciava a pensare male.
«Cosa è successo, è ne guai?»
«Credo di sì, Herr Wolf. La Gestapo è venuta a casa sua questa mattina, verso l'ora di pranzo, da quello che so è stato inviato a seguirli; ma da quel momento non abbiamo più notizie di lui. Se fosse stata questione di poco, lo avrebbero già rimandato a casa e, cosa più importante, non starei qui a scomodarvi. Vede, Silas è un ragazzo brillante, come lei ben saprà, e molti ne sono invidiosi... già gli è successo in passato di essere finito nei guai perché vittima di gelosie.» Lothar giurò di veder comparire sul volto di Reinar Wolf un'espressione preoccupata.
Si alzò. «Andiamo immediatamente al comando. Se è stato arrestato lo tireremo fuori, in caso contrario chiederemo tutte le spiegazioni dovuteci.»
«La ringrazio infinitamente, Herr Wolf.» Lothar, in altre circostanze, si sarebbe ucciso pur di chiedere favori a un gerarca Nazista, ma era in gioco la vita di Silas e non si sarebbe fatto accecare dall'orgoglio, non quella volta.
«Le ho già detto, Tenente, che queste voci sono infondate.»
Non avevano aspettato l'indomani, qualche ora dopo lo avevano richiamato per farlo confessare o estorcergli una presunta dichiarazione.
«Silas, so che per te, noi, possiamo sembrare ingenui; ma perché un illustre uomo del Reich come Huge Ritcher dovrebbe accusarla ingiustamente? Non crede, che forse, sa ciò che dice?»
Per Silas era impossibile: lo aveva capito da subito che quella di Huge era una ripicca. Dal Dorian Gray avevano portato via tutto, non c'era la ben che minima traccia di niente. «Tenente io non vorrei insultarla, non le mancherei di rispetto, ma sono costretto a farlo. Huge Ritcher mi sta usando e sta usando tutto il suo pregevole dipartimento per il suo tornaconto.»
«E quale sarebbe il suo tornaconto?»
«Non spetta di certo a me dirlo. Fatto sta che io non sono un sovversivo, non so neanche perché lei creda che io lo sia. Forse vuole prendersela con me perché è invidioso di mio padre.»
Finì la frase e il tenente gli sferrò un manrovescio, che gli fece voltare la faccia. Gli uscì appena del sangue, ma sulle sue labbra apparve un sorrisetto sfrontato, fiero di aver fatto breccia nell'orgoglio del tenente. Silas non poté vederlo, ma il Tenente fece un cenno ai due uomini che se ne stavano in piedi dietro di lui, lo tirarono su strattonandolo per i capelli. «È un vizio» disse a denti stretti per il dolore. Gli uomini lo tenevano in tensione, aveva il viso un poco sollevato.
Il tenente si avvicinò a lui. «Vedo che è cresciuto, ma che non ha imparato. Quello che non le è chiaro è che non ho bisogno di prove. Posso farla deportare oggi stesso.»
«Potrebbe.»
«Quindi, cosa la spinge a innervosirmi?»
«Lei mi ha chiesto di parlare, Tenente, e io rispondo soltanto alle domande che mi fa. Non deve sentirsi minacciato dalle mie; ma credo che, se lei mi facesse deportare, poi non avrebbe più nessuno al quale dare la caccia così fervidamente.»
Un altro segnale e gli uomini gli spinsero la testa in avanti. Silas percepì una forte fitta al collo, sicuramente era stato un muscolo che si era tirato per la spinta.
«Riportatelo in cella. Starà a digiuno per tre giorni, poi lo rivedremo, vediamo se avrà ancora così tanta voglia di parlare.»
Quasi non gli venne da ridere. Silas accettò il suo destino e, sbattuto nuovamente in prigione, si rimise a sedere su quel giaciglio. Posò la testa contro il muro, chiuse gli occhi: gli dolevano la guancia e il collo.
Si appisolò poco dopo, esausto: era un bel po' che non si riposava.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, ma si svegliò quando sentì aprire la porta della sua cella. Quello di cui era certo, a giudicare da come gli pungeva ancora la ferita, è che non fossero passati tre giorni.
Spalancò gli occhi di sorpresa quando vide Hubert Bauer fuori dalla sua prigione.
«È libero di andare Herr Dubois.» Hubert era livido di rabbia, non sapeva come, ma anche questa volta erano riusciti ad allontanarlo dal suo obbiettivo.
Silas si alzò, ma tentennò, preoccupato che quella potesse essere l'ennesima trappola psicologica fatta da quei bastardi. Raggiunta l'uscita riconobbe Herr Wolf, non fu mai così felice, come quella volta, di vederlo.
«Caro Silas! Vedo che non ti hanno trattato bene...» lanciò un'occhiata furiosa verso Hubert.
«Sicuramente sono stato trattato meglio di altri...»
«Ma loro sono colpevoli, Silas, tu non lo meriti questo trattamento.»
Silas tacque, ma era convinto del fatto che molti, lì dentro, fossero innocenti almeno quanto lui.
«A ogni modo, Silas, come vedi, Herr Bauer ha capito il suo errore ed è venuto lui stesso a liberarti.
Silas guardò prima Herr Wolf e poi il tenente: era frastornato, ma era felice di uscire da lì dentro. «Spero che le nostre strade non si incrocino più Tenente.»
«No, non ne avrebbe motivo tenente» s'intromise Herr Wolf.
Silas lo conosceva come il padre di Friederich, ma solo Hubert sapeva cose fosse in grado di fare: la sua fama lo aveva preceduto, non era certo un uomo misericordioso. E se lui aveva motivo di credere che Silas fosse innocente, allora non gli restava che crederlo a sua volta. «È giunto il momento di lasciarla andare Herr Dubois.»
«Glielo avevo detto che credevo nella mia innocenza, Tenente.»
«Herr Wolf, la ringrazio per avermi aiutato: non so davvero cosa possa essere successo.» Si erano incamminati verso l'uscita della prigione.
«Silas, sei un mio amico e so che sei innocente.»
«Piuttosto, Herr Wolf, come ha fatto a sapere che ero chiuso qui dentro?»
Prima di rispondere, Reinar, appena uscito dal dipartimento indicò davanti a sé. «Lui è corso da me per avvisarmi. Menomale che è stato così diligente di avvertirmi, altrimenti chissà che fine avresti potuto fare.»
Silas deglutì. «Già...» Sorrise poi in direzione di Lothar. Avrebbe voluto correre incontro a lui e abbracciarlo, ma non gli sembrò né il luogo, né il momento, specie con accanto Herr Wolf che gli sembrava trionfante per la liberazione.
«Allora dopo dovrò ringraziare anche lui.» disse Silas riferendosi a Lothar.
«Comunque, miei giovani amici, mi sembra evidente che non siate stati poi troppo tempestivi. Mi sembra chiaro che Silas sia rimasto per più di qualche ora nella prigione. Lothar dovevi venire subito a chiamarmi.»
«Vede, Herr Wolf, non avevo pensato che potesse essere arrestato, credevo che volessero fargli solo qualche domanda» rispose Lothar.
«Una persona come lui non deve certo finire al comando per essere interrogato, suvvia:è chiaro che si siano sbagliati o che abbiano voluto fargli qualche dispetto.»
«Mi domando perché, Herr Wolf...» gli disse Silas facendo spallucce.
«Eppure è strano. Però capisco che possano avere delle antipatie, o essere invidiosi di te o di tuo padre.»
«Lei che cosa pensa di mio padre, Herr Wolf?»
«Veramente, non potrei dirlo; però, visto che siamo tra amici e siamo in confidenza... In primo luogo è un eroe di guerra, come il suo amico che ospita gentilmente, poveretto, con quella gamba, deve averne di problemi...» Reinar si mise a pensare, ma poi scosse la testa e cercò di riprendersi il filo del discorso. «Sto divagando... Dunque, dicevo, penso che sia un eroe di guerra, non tutti avrebbero rischiato la vita per un gesto sciocco fatto per istinto. Inoltre posso affermare di non aver mai conosciuto uomini con la sua disciplina e la sua dedizione per il lavoro. È davvero un uomo retto e capisco che possa suscitare delle invidie.»
Lothar non riusciva a credere che stesse conversando con il nemico, con colui che avrebbe potuto uccidere su due piedi, ma gli era debitore, aveva tirato fuori Silas dalla prigione e questo doveva riconoscerglielo.
«Miei cari amici, sono arrivato in prossimità di casa, devo lasciarvi. Mi raccomando, non fatevi arrestare lungo il tragitto» rise.
Lothar lo guardò allontanarsi, aspettò che fosse abbastanza distante per parlare. «Si crede pure simpatico?»
«Non sai quanto...» commentò Silas, sbuffando appena. Era stanco e la guancia gli doleva ancora un po'.
Entrambi scossero la testa, poi Silas si voltò verso Lothar e gli sorrise. Lothar sbatté le palpebre sorpreso, chiedendosi cosa avesse da sorridere all'improvviso. «Che c'è?»
«Niente, ti ho solo sorriso, sono contento che tu abbia cercato quell'individuo. Hai pensato prima di agire!» rise.
«Ehi, non ridermi in faccia!» lo additò.
«Scusami, scusami...» Silas alzò le mani in segno di resa. «Conoscendoti avevo immaginato te che sfondavi un muro o che facevi un foro gigante per farmi evadere.»
Lothar sembrò pensieroso. «In effetti è la prima cosa che ho pensato... ma non credo che tuo padre e gli altri me lo avrebbero consentito. Così mi sono ricordato cosa mi avevi detto alla festa e sono andato a cercarlo.»
«Hai fatto bene e non sai quanto. Lui si sente molto importante, quando viene coinvolto in queste cose. Me ne ha raccontate di storie sai... tralasciamo i dettagli efferati, però. A quelli non ci voglio neanche pensare, non sarei in grado di agire lucidamente: in fondo bisogna dare tempo al tempo. Reinar Wolf pagherà per i suoi crimini come lo farà Huge Ritcher.»
Lothar ammirò quella luce negli occhi di Silas. Era vero che nella prigione ci era rimasto poco, ma chiunque non fosse abituato a certi trattamenti ne sarebbe uscito turbato. Sebbene Silas lo fosse, riusciva ancora a credere nel tempo, nella speranza e a trovare una forza interiore, un ardore tale, da accendere in Lothar l'ammirazione più profonda.
«Bene. Adesso dove andiamo?» domandò Lothar cercando di distrarlo, non voleva che pensasse ancora alle brutte circostanze e poi a casa erano tutti in pena per lui.
«A casa, no? Che domande. Ma non entriamo dalla porta principale, entriamo da quella secondaria, voglio godermi un po' la pace prima di essere assalito dai bambini, e da Bastien!»
«Ah già, lui si che era mortalmente preoccupato, avevo quasi paura che gli prendesse un colpo all'improvviso!»
Lothar lo seguì e di li a breve entrò insieme a lui dalla parte dei sotterranei. Questi davano sul retro della casa; e Lothar ancora ricordava quando Silas lo fece passare da lì, perché, a suo dire, era meglio che sua madre non lo vedesse. In quel momento pensò che, a parte tutto quello che aveva visto con i suoi occhi, non conosceva molto della vita di Silas. Lui era un ragazzo piuttosto taciturno per quanto riguardava le sue cose. Sapeva che Silas era in grado di trasmettere le sue emozioni, ma effettivamente non si era mai sfogato o aperto del tutto con lui. Sospirò, abbassando la testa una volta arrivati alla fine di questi, e pensò che, da quel momento in, avanti avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per conoscerlo a fondo; e non ci sarebbe stata guerra o nemico che lo avrebbe allontanato da lui.
Senza neanche accorgersene, Lothar, si rese conto soltanto dopo che Silas, per tutto il tragitto, lo aveva preso per mano. Si erano baciati, ma non si erano mai presi per mano. Lothar si imbarazzò, era strano per lui quel contatto, forse troppo dolce, ma non gli dispiaceva, perché aveva appena compreso una cosa dell'altro: lo avrebbe saputo accompagnare, sempre, senza mai permettergli di perdere la rotta.
Entrarono nella camera di Silas, e Lothar constatò che era rimasta esattamente come la ricordava. Vide Silas lanciarsi sul proprio letto cadendo sulla schiena. «Che bello, com'è morbido!»
Lothar era rimasto in piedi e lo guardava. Erano in penombra, con la luce della luna che illuminava Silas parzialmente. Berlino sembrava tranquilla e silenziosa e si resero conto che quella tranquillità era preziosa visto la guerra.
Silas si mise seduto e con le mani gli fece cenno di sedersi accanto a lui. «Vieni, siediti, non ti mangio.» Gli fece l'occhiolino e lo fece apposta, sapendo che in quel momento, dato la sua affermazione e la circostanza, lo avrebbe messo in imbarazzo.
«Silas, smettila di dire queste cose inutili, sono imbarazzanti!» e lo ammise lui stesso, anche se si sedette nel punto indicato. Si voltò verso Silas e lo vide sorridere: non sorrideva così spesso, era raro; spesso scherzava, rideva, era serio, ma quel sorriso dolce glielo aveva visto poche volte stampato sulle labbra. Così, Lothar, si avvicinò a lui e Silas lo lasciò fare, curioso di vedere che cosa avrebbe fatto. Si baciarono e fu un bacio dolce, lento ed estenuante quasi a voler recuperare tutto il tempo perduto e rubato.
Quando si scostò da Silas aveva il respiro corto. Si stupì nel vederlo apparentemente calmo. Aveva gli occhi su di lui e le labbra socchiuse. Le cercò, ma non le baciò: rimase a qualche centimetro dalla sua bocca, come a volerlo stuzzicare. Non si accorse, però, che il primo a iniziare a quel gioco era stato proprio Silas.
Un sorriso, poi il ritratti del capo ogni volta che Lothar provava ad avvicinarsi un poco, fin quando non gli poggiò una mano sul petto e, con una spinta, lo fece distendere sul letto. Sopra di lui, infine, lo sormontò e lo baciò proprio come usava fare.
Silas gli portò una mano dietro la nuca, accarezzandogli la rasatura, per poi andare a stringere i capelli più lunghi: ancora non gli sembrava vero.
Lothar non gli lasciava respiro, continuava a baciarlo sulla bocca, sul viso, sul collo. Silas avrebbe riso, se solo glielo avesse permesso. «Lothar...» sospirò.
Non gli rispose, e Silas lo accarezzò lungo la schiena, facendo scivolare la mano sotto la cinta.
Chissà come sarà, pensò Lothar, mentre gli slacciava i pantaloni e soccombeva piano, al rumore fievole dei bottoncini della biancheria. Silas s'intrufolò con la mano nella biancheria, accarezzando l'erezione turgida e sorrise ancora.
«Silas...» lo chiamò.
Per quanto Lothar combattesse per avere il controllo, Silas sapeva bene che non era così e, a dimostrarlo, era Lothar stesso, che si era lasciato andare completamente, poggiando la fronte sul letto, accanto alla sua spalla, tra un movimento e una carezza, fino al raggiungimento dell'estasi.
Il respiro affannato, la testa gli girava, ma era stranamente vuota, si sentiva leggero.
«Forse ora dovremmo scendere...» gli disse Silas anche se ancora aveva il respiro affaticato e le parole che gli morivano in gola.
«E vuoi che ti lasci così?»
«Pensi di esserne in grado?» domando di rimando preoccupato dei tormenti interiori di Lothar; ma dovette ricredersi, quando lo vide riprendere le forze per poi ripiombare sopra di lui.
Silas sorrise sornione, mentre Lothar era del tutto intenzionato a ricambiarlo con le stesse attenzioni, a restituirgli quel piacere che tanto lo aveva appagato.
Lo accarezzò ancora sopra la stoffa dei pantaloni. Silas aveva gli occhi chiusi e la bocca socchiusa: i suoi respiri avevano cominciato a essere irregolari, ma allo stesso tempo silenti, strozzati in gola.
Una volta averlo liberato degli indumenti, Lothar si dedicò completamente a lui, e lo stupì con i suoi gesti; ci stava mettendo la stessa intensità e la stessa passione di quei famosi baci che si erano dati nel vicolo dietro la casa.
Quando fu il momento, per Silas, si levò un lamento più forte, che Lothar occluse con la propria bocca e un bacio. Inarcò la schiena, la testa, liberandosi nella sua mano.
Era rosso in volto, imbarazzato. Non era la sua prima esperienza sessuale, ma era l'effettivo primo contatto con Lothar. Di sfuggita lo vide prendere un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, per pulirsi la mano; ma non aveva detto niente. Lothar si sarebbe già lamentato, conoscendolo, o almeno così si disse. Il fatto che non avesse detto nulla, forse, significava che stesse vivendo a pieno quel momento, proprio come lui.
Cercò di ricomporsi, richiudendo i bottoncini della biancheria e sistemandosi i pantaloni con la cintura. Si mise a sedere sul letto e prima che potesse dire qualsiasi cosa. Lothar gli diede un altro dolce bacio. Silas sospirò tra le sue labbra e sorrise. Il sogno di tutta una vita si era praticamente avverato. Non avrebbe mai immaginato che Lothar fosse così passionale: andava oltre ogni sua immaginazione e aspettativa.
«Ora, credo proprio che sia arrivato il momento di scendere.»
Prima di correre giù, entrambi si diressero al bagno per rinfrescarsi un po' e darsi una veloce ripulita; di certo, Silas non voleva sembrare impresentabile agli occhi dei suoi bambini.
Scese le scale seguito da Lothar, Ludwig aveva percepito il rumore dei passi e tirò un sospiro di sollievo, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, tutti si accorsero della loro presenza, quando Jorgen, il più piccolo, lo chiamò a gran voce: «Papino!»
Bastien che era rimasto agitato e nervoso fino a quel momento, fu il primo a correre verso Silas, per abbracciarlo, prima ancora che potessero farlo i bambini.
Silas ricambiò, con entusiasmo. «Bastien non ti sarai angustiato, vero?»
«Silas, Silas, mi sono preoccupato da morire! Ho avuto una paura bestiale. Ho temuto il peggio, ho pensato perfino che tu potessi essere morto.»
Se solo Lothar avesse avuto la possibilità, si sarebbe abbandonato a qualche gesto scaramantico, o compiuto qualche azione che potesse allontanare tutta quella negatività.
«Oh, Bastien, suvvia, non essere così agitato, ci vuole ben altro per uccidermi.» Lo abbracciò ancora forte e si accorse che dietro di lui c'erano Jorgen e Castaldia che attendevano il loro turno.
«Bastian, forse è il caso che ora mi lasci ai miei bambini...»
«Oh, già! Scusami davvero! Sono proprio uno stupido sbadato!»
Silas sospirò, non comprendendo come quel ragazzo potesse denigrarsi a quel modo. Si inginocchiò, poi, e allargò le braccia, lasciando che i bambini si lanciassero contro di lui. «Miei adorati pulcini!» gli disse stampando ad entrambi bacini sul viso e sulla fronte.
Una volta lasciato dalla loro morsa di affetto mortale, si diresse verso gli altri. Guardò Agnes, che gli sorrise, Hans che a sua volta aveva ripreso a gioire sapendo che il suo adorato amico stesse bene, e suo padre, che era serio in volto e non prometteva nulla di buono.
«Il volantino?» domandò Silas.
Ludwig non si sentì di rispondere: sapeva che avrebbe potuto ricominciare a discutere di quella faccenda e che sarebbe stato del tutto inutile, vista la cocciutaggine mostrata dalla sua progenie.
«L'ho strappato» intervenne Agnes. Si sentì come in dovere di prendersi tutta la colpa e la responsabilità, pensò che era meglio che Silas non sapesse quanto fosse accaduto, che era stato Ludwig a chiedere il favore a Lothar.
«Perché lo hai fatto?»
«L'ho fatto perché quanto hai scritto era davvero troppo. Rischioso per tutti.»
«Agnes queste non sono le tue parole. Non mi aspetto da te un comportamento del genere.» Silas sembrava stizzito.
«Basta» disse Ludwig perentorio. «Ho chiesto io a Lothar di strappare quel maledetto volantino, ma Lothar ti è troppo fedele anche per salvarti la vita a quanto pare. Ha pensato che ti saresti arrabbiato, che ti avrebbe deluso, così Agnes lo ha strappato al suo posto, in modo tale che lui non fosse complice di una mia decisione.»
Silas guardò Lothar, poi riportò il suo sguardo verso suo padre. Forse aveva ragione, forse era davvero troppo rischioso, ma si sentiva comunque tradito, perché avrebbe potuto parlargliene e, come uomo, avrebbe agito.
«So bene, papà, che tu mi consideri spesso un ragazzino scavezzacollo e so che hai tentato di dirmelo prima del mio arresto, ma vedi, se solo tu non mi attaccassi, non t'imponessi e mi trattassi come un uomo capace di essere in grado di prendere la scelta giusta, ti avrei dato ascolto. Avrei ponderato la mia decisione e, molto probabilmente, ti avrei dato ascolto. Ma forse è meglio così, è meglio che Agnes si sia presa la colpa per tutti e che ci abbia evitato ancora lunghe discussioni.»
Ludwig non avrebbe saputo spiegarlo, ma in un certo qual modo le parole di suo figlio gli avevano fatto male. Forse era vero che, alcune volte, lo considerava ancora un ragazzino; ma lo faceva inconsciamente, essendo solo un padre che si preoccupava.
«Purtroppo mi vedo costretto a comunicarvi una notizia: dovrò partire per Dachau.»
Tutti rimasero attoniti. Silas lo osservò spaesato e incredulo, come se la terra gli stesse crollando sotto ai piedi. Come poteva suo padre adempiere a quel compito così crudele?
«Non puoi andarci...» disse sommessamente.
«Purtroppo devo farlo.» Ludwig si vergognava. Ed era stato proprio suo figlio a farlo vergognare, ma come al solito stava agendo per un bene superiore, per il bene di tutti.
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