Capitolo 43
Era giunta l'ora di resistere; era giunta l'ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini
(P. Calamandrei)
Ludwig era rimasto in piedi per tutta la notte. L'alba era sorta da parecchio, ormai, e lui era ancora seduto su quel divano da quando erano andati via tutti gli ospiti. I pensieri lo tormentavano, non riuscivano proprio ad andarsene dalla sua mente, e pareva impossibile cacciarli. Si faceva logorare, forse perché i sensi di colpa erano ben diversi dalla preoccupazione.
Si girò di scatto quando sentì la mano di suo fratello poggiarsi sulla sua spalla. Si rilassò immediatamente, riconoscendolo, ma ormai aveva paura. Appreso della morte di Ilia aveva come lo strano presentimenti che tutti fossero in pericolo più di prima.
«Ludwig, non hai dormito?» gli domandò affettuosamente Natthasol sedendosi al suo fianco.
«E come avrei potuto?»
«So che sei molto in pensiero...» disse mentre gli accarezzava la schiena per rassicurarlo. «Ma sai che non dormire ti rende meno vigile. E poi non ti fa bene alla salute.»
«Molte cose non mi fanno bene alla salute eppure sono ancora qui. Non riesco a dormire pensando di aver reso infelice Salazar, non mi fa star bene non avere più rapporti con nostro fratello, non mi fa star bene sapere che Silas e i miei nipoti sono in pericolo costante.» Senza neanche accorgersene si era lasciato andare: forse le ore di veglia lo avevano reso più emotivo e vulnerabile, o forse riconosceva in suo fratello qualcuno con cui lasciarsi andare.
«Ludwig, fratello mio, sei un essere umano. Hai fatto tutto quello che potevi fare ed è ingiusto nei tuoi confronti questa condanna che ti infliggi. Se hai scelto un matrimonio combinato per il destino di Salazar è per il suo bene. È meglio avere una donna al fianco, piuttosto che venire con te a Dachau; o ancora peggio essere fucilato, perché potrebbe essere considerato inutile al Reich. Persino Salazar ha voluto aiutare te e Silas entrando nella gioventù. Tutti dobbiamo fare qualche sacrificio. Tu ne fai fin troppi e nessuno ti odia per quello che fai, anzi: te ne siamo tutti riconoscenti.»
«Dachau... Dimmi come posso entrare dentro un campo di concentramento e vedere gente innocente morire? Ancora una volta devo tacere per il bene della mia famiglia, spesso, però, ammetto di sentirmi un vigliacco.»
«Oh, Ludwig...» Natthasol si era rattristato davvero molto nel sentire le pene di suo fratello, avrebbe voluto dividere con lui quel dolore se solo fosse stato possibile. Poggiò la testa sulla sua spalla per fargli capire che non era solo e che lui era proprio al suo fianco. Spalla a spalla, non avrebbe mai abbandonato suo fratello.
«Questo non ti rende un vigliacco. Ti rende un uomo coraggioso. Ci vuole coraggio a sopportare tutto questo, Ludwig, e una grande forza. Vedrai, in qualche modo riuscirai a farti perdonare o a fare la tua parte, ne sono certo. E poi c'è Silas che pensa già da solo a difendere tutti coloro che sono oppressi da questo partito infame e sei tu che lo hai cresciuto Ludwig, perciò si orgoglioso di quello che hai fatto.»
Ludwig posò la propria mano su quella di suo fratello e la strinse. Non disse niente, sapeva che suo fratello avrebbe riconosciuto il suo gesto di riconoscenza.
Natthasol rimase un po' lì con lui, ancora con la sua testa poggiata contro la spalla, e sarebbe rimasto lì almeno fin quando i bambini non si fossero svegliati e avessero avuto bisogno di lui.
La morte di Ilia aveva scosso Lothar. Non aveva chiuso occhio e aveva rimuginato tutta la notte. Se fosse venuto a mancare Silas che cosa avrebbe fatto? Non ci voleva neanche pensare, non era una cosa che voleva prendere in considerazione.
Per tutta la sera trascorsa, da quando era rientrato a casa con Silas, aveva ignorato Helen, la quale era rimasta terribilmente frustrata e infastidita dalla cosa.
Era rientrato a casa in silenzio, avvolto nella sua preoccupazione. Non si era nemmeno trattenuto a parlare con suo padre riguardo il ricevimento. Lo ignorò ritirandosi in camera sua per chiudersi in camera al buio, stendersi sul letto e pensare ad Agnes e alla sua compagna. Non pensava di essersi affezionato così a quelle due ragazze, ma forse dovette ammettere che tutte le battaglie, le lotte e la condivisione avvenuta in quei tre anni lo avevano coinvolto più del dovuto.
Quella mattina non scese neanche per i suoi allenamenti, non c'era sgridata di suo padre che potesse smuoverlo dal suo raccoglimento. Si limitò a scendere in cucina verso le dieci del mattino.
Quello che trovò non gli piacque per niente. C'era un vassoio ricoperto da un tovagliolo di stoffa al centro del tavolo. «Helen, dove sei?» domandò, aspettando che questi si fece avanti.
«Eccomi!» Spuntò dal salotto, facendo la sua entrata nella cucina. Lei, povera ignara, di quanto fosse accaduto, si era premurata, anche quella mattina, di preparare un dolce al povero Lothar.
«Se è un altro strudel, o quella ripugnante torta alla ricotta, sta pur certa che non la mangerò.»
«Non c'è bisogno di essere così scontroso. Comunque no, questa volta è una banale torta paradiso» gli confidò prima ancora che Lothar tirasse via il tovagliolo.
Con lei, Lothar era stato sempre gentile, sempre attento a non ferire i suoi sentimenti; ma ultimamente cominciava a essere una presenza scomoda, quasi ingombrante. E, come se non bastasse, visto il lutto subito, gli sembrava di troppo.
«Non sono scontroso, ma sono stufo. Sono due anni che mi propini lo stesso dolce, se ti viene sempre uguale, forse, non hai pensato di dover cambiare ricetta o di cercare qualcosa in cui sei più brava?» le domandò.
«Infatti l'ho capito. Ti ho fatto quest'altro apposta.» disse lei indicandogli il dolce al centro.
«Non ho fame al momento.»
«Ma solo un pezzettino... Per favore.»
Lothar si mosse verso il cassetto dove sua madre teneva le varie stoviglie. L'ultima cosa era vedere quella ragazza piangere per niente, quando lui non poteva piangere la sua amica. Così prese un coltello e ne tagliò una fetta. «Devo essere sincero?» domandò. La vide annuire, ne tagliò una fetta e ne morse un pezzo. Assaporò bene il ciò che stava masticando e poi si pronunciò a riguardo: «Credo che il dolce sia asciutto, non ha un cattivo sapore, ma non è soffice come dovrebbe essere questo tipo di torta, di sicuro però è meglio di quello che altre persone possono permettersi in questo momento.» Pensò che più tardi avrebbe potuto portare quel dolce a chi stava morendo di fame, sicuramente lo avrebbero apprezzato più di lui che aveva lo stomaco chiuso.
«Va bene, ho capito.»
Lothar la vide spegnersi in viso. Il sorriso era sparito dalle sue labbra. Finalmente, per una volta, vedeva un'espressione diversa.
Helen aveva seguito il consiglio di sua madre, gli aveva preparato un dolce nuovo per cercare di sedurlo, ma forse doveva passare al consiglio successivo; anche se Lothar non le sembrava quel tipo di ragazzo. Dovette provare il tutto per tutto, visto che si sentiva minacciata dalla presenza di Silas. Non sapeva bene che cosa potessero provare due ragazzi, né Lothar le sembrava dedito a tale inclinazioni, perché in fondo, si erano scambiati svariate effusioni nel corso degli anni. Ma aveva paura che quel ragazzo glielo portasse via definitivamente. Si mosse in direzione di Lothar e lo abbracciò. Lui si fece abbracciare: non avrebbe ricambiato quell'abbraccio, ma in fondo comprendeva che, se lui era arrabbiato e triste, non doveva infliggere le sue pene a tutto il mondo.
Si limitò a poggiargli una mano sulla schiena per non sembrarle del tutto freddo, anche perché Helen lo aveva già minacciato seppur in maniera implicita. Si stranì quando sentì le labbra delle ragazza poggiarsi sul proprio collo. Cosa voleva fare in quel momento? Attese, sperando che gli stesse dando un semplice bacio come segno d'affetto. Quello, di certo, non lo avrebbe negato; ma comprese di sbagliarsi, quando capì che questi baci non si sarebbero arrestati, specie dopo aver sentito la mano di Helen che era scivolata sotto la sua cintura. Non poteva dirgli che una sua amica rivoluzionaria, una sovvertita e in più invertita nemica del Reich, era morta; così decise di giocarsi la carta del bravo ragazzo, sperando che Helen abboccasse. «Helen, ci ho pensato, e non possiamo.»
Lei alzò il viso e lo guardò stupita. Sbatté le palpebre, sapendo che, in fondo, quelle cose le aveva già fatte. «Non ti sei mai tirato indietro... Perché adesso non possiamo?» gli domandò.
«Perché io non sono quel tipo di ragazzo. Ho paura di spingermi oltre e io non voglio disonorarti. Voglio aspettare il matrimonio prima di fare tutto il resto...»
«Il matrimonio?» domandò incuriosita allontanandosi da lui.
«Sì, il matrimonio.»
«Il matrimonio... Lothar non hai mai parlato di andare a letto insieme dopo il matrimonio, anzi, mi sembra che più volte siamo quasi finiti oltre, una volta stavamo per farlo e poi sei dovuto scappare via, quindi cos'è questa storia adesso?» Cominciava a innervosirsi e diventava sempre più sospettosa.
«Sono cresciuto, adesso, sono un uomo. Avrò il diritto di desiderare una moglie non disonorata?»
«Certo e non lo sono, dato che lo farei con te che sei il mio promesso sposo, non trovi?»
Lothar, tacque. Lui era cresciuto, ma anche lei era diventata più scaltra. «A ogni modo non ho voglia di farlo adesso» confessò Lothar.
«È per via di Silas?»
«Cosa centra Silas? Santo cielo, sei gelosa di un ragazzo?» le domandò.
«Ho visto come lo guardi, tu non mi hai mai guardata così.»
«E, sentiamo, come lo guarderei?»
«Come se fosse la creatura più bella del mondo, come se saresti in grado di uccidere chiunque si avvicinasse a lui per fargli del male o non...» Helen si era incupita davvero molto e sembrava arrabbiata.
Beccato. Pensò Lothar. E adesso come ne esco?
«Tutte queste cose non sono in grado neanche di pensarle per me stesso, figurati per un'altra persona.»
«Vuoi prendermi ancora in giro? Smettila, Lothar, smettila una volta per tutte, prima che io possa commettere una sciocchezza.»
«Del tipo?»
«Denunciarvi, tutti e due!»
«Sei forze impazzita, vuoi vedermi morto?»
«No...» disse lei, forse, rendendosi conto di aver esagerato.
«Sia da il caso che è proprio quello che faranno. Mi arresterebbero a causa della tua stupida gelosia e vendetta, mi chiuderebbero in prigione se non peggio e mi fucilerebbero, è questo che vuoi?»
«Scusami... Ma è che non voglio perderti.»
«Helen, il problema è che non mi hai mai avuto. Sei una ragazza molto dolce e disponibile, ma la nostra unione l'hanno scelta i nostri genitori. Io, forse, neanche ti avrei notata; ma non perché sei una brutta ragazza, anzi, credo che tu sia bellissima, ma non credo che faresti al caso mio. Meriti qualcuno che ti sappia amare, come io mi merito qualcuno che mi ami.»
«Forse... hai ragione, ma io ci tengo a te Lothar.»
«Helen, considera ufficialmente interrotto il nostro fidanzamento. Io non me la sento di prenderti in giro ancora, né di sposarmi con qualcuno che non ho scelto. Spero per te che tu possa trovare la tua anima gemella» le disse e la vide piangere: era comprensibile.
Helen non disse niente, lasciò il dolce sul tavolo e si incamminò verso la porta, ma prima che se ne andasse, la chiamò per l'ultima volta. «Helen!» lei si voltò, gli sorrise appena.
«Sì?»
«Grazie comunque per i dolci e per l'impegno. Spero che tu penserai alle mie parole e che non faccia sciocchezze.»
Helen si limitò ad annuire e a uscire di casa.
Lothar si sedette sulla sedia e si lasciò andare ai pensieri. Non riusciva a credere di essere stato capace di lasciare Helen, ma era vero che lo aveva promesso a Silas. Non avrebbe di certo potuto amarlo con Helen al suo fianco: avrebbe preso in giro due persone e non gli sembrava giusto.
Più tardi sapeva di doverlo raggiungere a casa e non vedeva l'ora di dirglielo, voleva abbracciarlo, baciarlo e dirgli finalmente che era libero da tutte quelle costrizioni che aveva costruito per lui, Finalmente era libero di amare chi voleva.
Silas aveva vegliato Agnes, per tutta la notte. Si era sdraiato accanto a lei tenendola abbracciata, lasciandola piangere quando le veniva da piangere, rassicurandola quando voleva essere rassicurata e ascoltandola quando voleva parlare. Si era addormentata alle prime luci dell'alba, cullata dal dolore e Silas poco dopo di lei, dopo che ormai aveva assolto il suo compito.
La lasciò dormire, dato che la sera precedente aveva chiesto a Lothar di avvisare Hans e Bastien del loro incontro l'indomani. Sarebbero arrivati verso mezzogiorno, per cui Agnes aveva tutto il tempo di riposare.
Lui, invece, era già sceso in sala, dirigendosi in cucina per vedere se i suoi bimbi e se, sopratutto Karl, fossero tranquilli.
«Buongiorno!» esclamò Natthasol vedendolo, mentre i tre ragazzini erano seduti al loro posto in cucina.
Castaldia salutò Silas con la manina e Jorgen la imitò, fece salutare perfino l'orsacchiotto.
«Buongiorno, zio, bambini...» sorrise.
«Karl, come stai, hai dormito bene?» gli domandò sedendosi accanto a lui. Il bambino rispose affermativamente con un cenno della testa e poi chiese:
«La mamma?»
«La mamma sta bene. Benissimo. Però, adesso dorme e noi siamo bravi e la lasceremo riposare, giusto?»
Risposero tutti e tre di sì all'unisono, anche se la questione non riguardava gli altri due.
«Vedo che siete preparati! Ah, a proposito, Castaldia, dopo ti devo dire una cosa.» Le fece l'occhiolino e lei comprese che forse si trattava del gioco. Il nonno le aveva detto che era stata brava, che aveva difeso il suo papà da persone cattive che lo volevano portare via e lei si sentiva tanto orgogliosa di questo.
«Grazie zio» gli disse, cogliendo alla sprovvista Natthasol.
«E di cosa?»
«I bambini sono puliti, vestiti, e hanno appena finito di fare colazione mangiando cose buonissime immagino. Tutto merito tuo, senza di te, saremo perduti, temo.»
«Silas, vuoi forse mettere in imbarazzo tuo zio?» rise. «Comunque non devi ringraziarmi, lo faccio con piacere alla fine sono anche nipoti miei, no?»
Karl si sentiva escluso da quel discorso, specie dopo aver visto quanto fosse crudele il suo di padre. Quella famiglia invece era stata tanto buona con lui. «E io?» chiese improvvisamente. Silas si voltò verso di lui accarezzandogli la testolina. «Tu sei il mio nipotino! Agnes è come se fosse mia sorella, sai? Quindi tu sei il mio nipotino, loro i tuoi cuginetti, il che fa di te anche nipote di zio Natthasol!»
Karl sorrise vistosamente, felice di sentire quelle parole. «Quindi ti posso chiamare zio? E anche a lui?» domandò indicando Natthasol.
«Sì, puoi chiamarmi zio. E anche a lui.» gli confermò, dandogli un bacino sulle guance.
«Buongiorno.»
«Mamma!» esclamò Karl scendendo velocemente dalla sedia, correndo per abbracciarla.
Agnes lo tirò su in braccio e si mise, insieme a lui, seduta accanto a Silas. Le sorrise contento di vederla lì insieme a tutti loro.
«Sai, ho appena finito di dire a Karl, che tu per me sei come una sorella e che per tanto può chiamarmi zio.»
Agnes gli sorrise. Provava davvero un affetto profondo per quel ragazzo. E nessuno, a parte Ilia, le era stata mai così vicino.
Poco dopo Agnes si alzò, lasciando il suo posto al figlio. «Silas, puoi venire di là un momento, devo dirti una cosa.»
Silas annuì e si alzò dalla sedia, mentre con la coda dell'occhio si assicurò che i suoi bimbi stessero bene e avessero dei volti sereni. Ogni pensiero era per loro, cosa avrebbe fatto senza.
«Quando mi sono addormentata ho sognato Ilia» gli confidò Agnes.
Silas le accarezzò il volto e le chiese: «Cosa ti ha detto?»
«Era serena, o almeno così mi è parso. Mi ha detto che mi amava e che non dovevo preoccuparmi per lei, perché, nonostante tutto, si sentiva in pace.»
«Vedi, Agnes, anche lei sta cercando di dirti che hai fatto il possibile, tutto quello che era nelle tue forze.»
«Forse, o forse no. Forse è solo la mia mente che sta cercando un modo per farmi smettere di soffrire.»
«In questi casi mi piace credere che i nostri cari abbiano sempre un pensiero per noi, che vogliano confortarci anche da lontano.» le sorrise. Ci credeva davvero, anche se lui aveva solo incubi riguardante sua madre.
«Spero che sia come dici tu, lo spero davvero con tutto il cuore. Non credo che smetterò mai di soffrire per la sua perdita, ma almeno adesso posso pensare che è in pace e che non è in collera con me per averla lasciata lì.»
«E come potrebbe, amica mia.»
Agnes l'abbracciò e Silas ricambiò quell'abbraccio.
«Papino, sta arrivando lo zio Lothar! L'ho visto dalla finestra!» gli gridò Castaldia dalla cucina.
Silas scosse la testa, la sua bimba lo faceva intenerire quanto sorridere, chiese scusa ad Agnes per allontanarsi, congedandosi e andando davanti alla porta. Non appena sentì i passi più vicini, l'aprì cogliendo Lothar di sorpresa: non si aspettava minimamente un tale tempismo, non sapendo che Castaldia ne fosse stata complice.
«Ehi... Splendore.» lo salutò Silas, lasciando che entrasse superando la porta.
«Ehi, come stai?» gli domandò Lothar.
«Adesso a meraviglia.» lo baciò appena sulle labbra per salutarlo come si deve.
«Hans e Bastien arriveranno più tardi immagino.» rispose guardando l'orologio.
«A mezzo giorno come gli avrai chiesto, no?»
«Sì, sono venuto prima perché devo dirti una cosa. Ma prima dimmi: Agnes come sta?»
«Sembra che si stia riprendendo anche se il dolore che si porta dentro è evidente. Le sono stato vicino tutta la notte, finché non si è addormentata verso le cinque. Adesso era scesa per vedere come stava Karl, credo che ci stia aspettando in salotto.»
«Allora raggiungiamola.»
«Ma tu che mi dovevi dire?» gli domandò Silas, ormai incuriosito.
«Ho lasciato Helen» gli rispose a bruciapelo incamminandosi verso il salotto.
Silas venne travolto dalle emozioni, glielo aveva detto così su due piedi che quasi non gli sembrò vero. Afferrò Lothar per il braccio prima che potesse essere troppo lontano. Ma fu Lothar a tirarlo prepotentemente a sé, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo quasi come fece quel giorno nel vicolo.
«Ehi, vacci piano, o non sarò in grado di camminare» rise, mentre Lothar moriva per l'imbarazzo, così si voltò e si diresse una volta per tutte verso Agnes.
«Buongiorno!» le dissi non appena la vide.
«Buongiorno, Lothar.» gli sorrise appena, sforzandosi di non sembrare una morta che camminava tra i vivi.
Lothar non sapeva bene cosa dirgli. Se le avesse detto quanto gli dispiaceva probabilmente avrebbe risvegliato nuovamente il dolore di Agnes. Se invece avesse taciuto sarebbe passato da insensibile. Non gli era mai capitata una situazione del genere. E detestava sentirsi così a disagio. Ma intervenne Silas, al suo posto, senza neanche sapere come si sentisse in realtà, lo salvò questo era certo.
«Ragazzi, aspettiamo Hans e Bastien, ma ho scritto un altro volantino, simile a quello che abbiamo sparso per Monaco. Dopo ve lo leggerò e mi direte cosa ne pensate.»
Loathar già tremava all'idea: l'ultima volta parlò di campi di concentramento, adesso cosa avrebbe tirato fuori?
«E poi dobbiamo pensare a dove rifugiarci visto che, a causa di Huge, il Dorian Gray non è più accessibile» commentò Agnes.
«Aspettiamo che arrivino così possiamo parlarne tutti insieme. Poi agli altri comunicheremo la situazione. Mi dispiace, ma non potevo di certo farli venire tutti in casa. Già così è rischioso, aggregarci tutti qui per rischiare una fucilazione di massa non mi sembrava il caso» cercò di giustificarsi. Lui che credeva nell'opinione di tutti, si era ritrovato a dover decidere per i suoi compagni.
«Non c'è bisogno che tu ti giustifichi, Silas. Capiranno, in fondo lo stai facendo per proteggerci.»
«Speriamo che sia come dici tu, Agnes.»
Bussarono alla porta. I tre si guardarono, Silas disse: «possibile che sia già...» non fece in tempo a finire la frase che all'unisono risposero: «Bastien!»
Silas andò ad aprire divertito la porta, tutti ormai sapevano quanto Bastien si facesse prendere dagli eventi. «Buongiorno Bastien»
«B... Buongiorno, forse sono in anticipo?» Era in imbarazzo aveva sempre il terrore di essere fuori posto.
«Di circa trenta minuti, ma non fa niente, anzi: hai fatto bene.»
Bastien entrò in casa e rimase ammaliato dalla grandezza e da tutta la bellezza che lo circondavano. Lui, da quando si era trasferito a Berlino da Monaco viveva in una piccola casa insieme a una zia malandata.
«Buongiorno Lothar, Buongiorno Agnes.»
«Buongiorno a te, Bastien.»
«Sapete ragazzi, oggi sono davvero felice perché ho la pancia piena! Non so quale angelo divino mi ha lasciato una torta, quasi intera, fuori dalla porta di casa. Avrei voluto ringraziarlo, ma ha bussato e, quando ho aperto, era rimasta solo la torta.»
Lothar sorrise, era contento che il suo amico fosse felice e con la pancia piena.
«E come era questa torta?» domandò Silas curioso di tale gesto.
«Una semplice torta fatta con uova, latte e farina credo. Ne mancava uno spicchio piccolissimo, ma per me e mia zia andava più che bene: ne abbiamo mangiata un po' e il resto lo lasciamo per questa sera.»
«Vieni, Bastien, seguimi» gli disse Silas.
«E dove?»
«In cucina, vieni.»
«Ma perché in cucina?»
«Perché nonostante tu stia dicendo di avere la pancia piena, il tuo stomaco brontola.»
«Che imbarazzo...» disse quasi fosse una vergogna che non mangiava da giorni. Visto l'offerta appetitosa, lo seguì in silenzio, sapendo di essere ancora debitore a Silas.
Si sentì osservato quando i tre ragazzini si voltarono tutti verso di lui.
«E loro chi sono?»
«Allora, te li presento. Cadetti, tutti in fila, prego!»
Bastian rise nel vedere i bambini che, chi con più fatica, chi meno, scendevano dalle loro seggiole per mettersi in fila davanti a Silas.
«Lei è mia figlia Castaldia, non che principessa. In realtà noi saremmo marchesi, ma a lei piace più il titolo di principessa.» Silas fece spallucce e Bastien stette al gioco.
«Buongiorno, altezza» le disse.
«Lui è il più piccolino ed è Jorgen. Mio figlio.»
Secondo il calcolo mentale di Bastien, Silas aveva cominciato presto ad avere figli.
«E lui, invece, è Karl. Il figlio di Agnes, nonché mio nipote, in quanto io sono uno zio acquisito.»
Karl sorrise sentendosi ancora una volta parte integrante di quella famiglia.
«E per ultimo, ma non per importanza, c'è zio Natthasol, il fratello minore di mio padre.»
Bastien gli strinse la mano per presentarsi e salutarlo. «Siete tutti così belli» disse senza rendersene conto.
«Vero» rispose semplicemente Castaldia.
«Zio, puoi dare qualcosa da mangiare a Bastian. Non so... un dolce, o cucinagli qualcosa di buono.»
«Ma... non voglio dare disturbo.»
«Tranquillo, c'è tutto il tempo, mentre aspettiamo Hans.»
Erano tutti pronti mentre Silas prendeva il volantino da leggere. Hans era arrivato puntuale e si era seduto accanto a Bastien, pronto per ascoltare Silas nella lettura. Lothar e Agnes erano sul divano.
Silas prese il foglio in mano, era al centro del salottino in modo che potessero ascoltarlo e vederlo.
Cominciò a leggere: «Hitler ha detto: "La brutalità incute rispetto. Le masse hanno bisogno di qualcuno che ispiri loro paura e le renda tremanti e sottomesse. Non voglio che i campi di concentramento si trasformino in pensioni di famiglia. Il terrore è il più efficace tra tutti gli strumenti politici... I malcontenti e i disobbedienti ci penseranno due volte prima di mettersi contro di noi, quando sapranno che cosa li aspetta nei campi di concentramento. Aggrediremo i nostri avversari con brutale efficacia e non esiteremo a piegarli agli interessi della nazione mediante i campi di concentramento."
Vi chiediamo, miei cari concittadini, se è così che voi volete essere trattati. Volete una persona che vi rispetti o che vi tratti come carne da macello? Volete qualcuno che vi protegga, come aveva promesso, o qualcuno che vi terrorizzi e che non esiterebbe a uccidervi o peggio ancora deportarvi qualora non corrispondesse a tutte le caratteristiche ariane?
Vi preghiamo di aprire gli occhi. Tutto quello in cui vi fanno credere è costruito sulla menzogna. Quanti di quelli che fanno passare per nostri nemici lo sono effettivamente? Quanti di noi hanno tutte le caratteristiche che ci fanno capire che siamo ariani? Perfino il Führer non è ariano. Aprite gli occhi, ve lo chiediamo per favore. E svegliatevi da questo sonno letargico.
Il Führer non ci sta minacciando, lo sta mettendo già in atto. È da quando è salito al potere, un giorno dopo dal suo incarico, ha cominciato con questa macchina di morte e di terrore, ancora prima della guerra. Vuole uccidere, sopprimere tutti coloro che secondo lui, soltanto secondo la sua idea politica da lui descritta, tutti coloro che non ne faranno parte verranno arrestati, uccisi o deportati in campi di lavoro fino a quelli di sterminio.
È questo che volete per i vostri cari? Per i vostri figli? Se è questo che volete noi non vi giudicheremo, siete artefici del vostro destino, ma se non è ciò che desiderate per il popolo e per l'Europa, allora vi preghiamo, svegliatevi da questo letargo.»
Lothar immaginava che Silas aveva scritto qualcosa di tremendamente vero quanto pericoloso, ma non osò pronunciare parola, come tutti gli altri presenti, solo Agnes era in grado di mantenere sangue freddo, non avere paura davanti a quelle parole.
«Non lo hai firmato questa volta?»
«No, ho pensato che non fosse il caso. Magari potremmo depistarli in questo modo. Meglio rimanere anonimi, in fondo non mi interessa la gloria, ma la salvezza delle persone innocenti.»
Ludwig era rimasto in disparte per sentire cosa avesse scritto suo figlio, ma a quel punto decise di intervenire, perché aveva paura che suo figlio potesse davvero cacciarsi in guai molto grossi.
«Credo che questa volta tu abbia davvero perso il senno, Silas.»
Silas si voltò verso suo padre, rispose: «Ho dormito poco, ma sono lucidissimo, credo in quello che ho scritto e sono certo che lo divulgherò.»
Ludwig cominciava a far fatica a rimanere calmo, chiuse appena gli occhi, prese un bel respiro e poi parlò: «Non ho dubbi riguardo al fatto che tu creda in quello che hai scritto, ma qui c'è ben altro in gioco. Hai due figli, dei famigliari e tutti i tuoi amici. Cosa credi che potreste durare a lungo così facendo? Lo credi davvero?»
«Il tuo suggerimento è scappare? Tacere? Da te non me lo aspetto papà.»
I due avevano preso a litigare davanti gli occhi attoniti degli altri.
«Non so se ti rendi conto che il luogo della vostra aggregazione è inagibile, li hai portati qui e hai scritto anche questo volantino.»
«Ma non riesco a stare a guardare, a non fare niente. Aleph è stato fortunato perché ha incontrato te, noi tutti siamo fortunati perché siamo sotto questo tetto; ma gli altri che sono innocenti come possono difendersi? Chi li aiuterà? Chi li proteggerà da tutto questo?»
Ludwig avrebbe voluto rispondergli, nonostante riconoscesse la ragione in suo figlio, ma era un incosciente e lo voleva vivo. Avrebbe cercato di contrastarlo ancora, se solo un tonfo sordo non li avesse distratti tutti. Poi il rumore proseguì: stavano bussando alla porta.
Silas si guardò velocemente intorno e c'erano tutti. Nessun altro doveva andare a casa sua, quindi, ripensando al discorso di suo padre, era meglio essere prudenti.
«Papà, visto che Aleph è già qui, tu va con lui in biblioteca; Zio, porta i bambini di sopra insieme a Salazar; Nail e Anastasia. Voi ragazzi rimanete nel sotterraneo verso l'uscita secondaria.»
«Sei impazzito? Vuoi aprire da solo alla porta?» gli domandò Lothar terrorizzato per Silas.
«Sì e devo fare anche alla svelta, tieni prendi questo.» gli diede il volantino che aveva letto poco prima e aspettò che tutti presero le postazioni da lui indicate.
Quando aprì la porta vide Hubert Bauer lo stesso tenente della Gestapo che lo prese in custodia la prima volta. E, insieme a lui c'erano altri tre agenti.
«Silas Dubois, la dobbiamo portare al comando. Abbiamo delle accuse nei suoi riguardi che dovrebbe chiarirci.» Era ovvio che non avevano da chiarire alcunché: Hubert era solo un uomo che si divertiva a dare false speranze.
«Va bene, verrò con voi.»
Ci rimase di sasso quando non lo vide opporre resistenza, Silas pensò che fosse la cosa migliore da fare: meno destava sospetto, meno la situazione si sarebbe complicata, o almeno così credeva.
Lo facevano camminare accanto a Herr Bauer così che loro potessero tenero sotto tiro alle sue spalle qualora Silas avesse cercato di scappare. Ma Silas non fece nulla se non limitarsi a seguirli.
Arrivato allo stesso comando della prima volta, lo fecero accomodare, cercando di avvolgerlo in quella trappola psicologica di cui erano abili esecutori.
«Ci è arrivata voce, Herr Dubois, che lei abbia a che fare con un certo movimento di resistenza e che si stia impegnando davvero molto.» Si era seduto al di là della scrivania, mentre i suoi tre uomini erano ai fianchi e dietro le spalle di Silas.
«Questa cosa giunge nuova anche a me, Tenente. La prima volta mi avete accusato di essere un invertito sulla base di voci, supposizioni che sono state smentite. Ora mi incolpate, insultandomi, di essere un sovversivo, un reazionario!»
«Le accuse vengono mosse alla base di certe informazioni. La voce che ci è giunta questa volta è autorevole pertanto troviamo difficile credere che non sia vero.»
«Per caso la voce autorevole è di Huge Ritcher? Perché non vedo quale sia il motivo né il perché la mia voce non possa essere altrettanto autorevole. Mio padre è colonnello, superiore di grado a voi e del vostro dipartimento, in più io mi sto diplomando nella scuola del Reich e conosco alla perfezione la nostra storia politica, i discorsi del nostro Führer; come se non bastasse è stato ospitato nella mia casa, insieme a tutti gli alti vertici, per il fidanzamento di mio fratello. Crede davvero, Tenente, che il Führer verrebbe a casa di un sovversivo e lo lascerebbe libero? Crede davvero che il Führer lascerebbe una piaga sociale a piede libero?»
«Herr Dubois, il mio lavoro è di verificare la voce e di indagarla, pertanto non importa se il Führer è venuto a casa vostra, perché per me, per quanto mi riguarda, potete essere diventato un sovversivo anche questa mattina.»
«Lo capisco Tenente, ma io non so come aiutarvi.»
«Sa, Herr Dubois, mi ricordo il nostro ultimo incontro, il vostro temperamento era ben diverso da questo. Il che mi fa pensare. Lei considera il fatto di prenderci in giro?»
«No, Tenente, ma voi parlate di quando ero un ragazzino, e con gli anni sono cresciuto nel corpo e nello spirito, come tutti del resto.»
«Silas?»
Silas si voltò per vedere chi lo stesse chiamando, ma le guardie dietro di lui, lo fecero girare con la forza, tenendolo ben saldo alla sedia.
«Helmut?» Silas lo riconobbe quando questi si fece avanti. Era Helmut Müller, commissario della Gestapo, lo stesso che ispezionò casa di Elger poche ore prima.
«Che ci fai qui?» gli domandò sbalordito.
«Il Tenente crede che io sia un sovversivo.»
Helmut guardò il Tenente sbalordito, era un suo superiore per cui doveva stare attento a come gli avrebbe rivolto la parola. «Signor Tenente, mi scusi se mi permetto, ma Herr Dubois non può essere quello per cui lo accusate. Eravamo compagni di scuola, ho avuto spesso occasione di parlare con lui e vi assicuro che non può essere accusato per qualcosa che non ha fatto!»
«Va bene commissario, prenderemo in considerazione il vostro appello.»
Aspettarono che il commissario si allontanasse in modo che non potesse più intervenire nei loro discorsi. Hubert guardò Silas in silenzio, Silas lo guardò negli occhi senza distogliere mai lo sguardo. Era teso però, quasi in apnea. Fin quando non sentì pronunciare la sua sentenza.
«Portatelo in cella. Ma non torcetegli un capello, dobbiamo trattenerlo così com'è fin quando non avremo verificato la situazione.»
Silas spalancò appena gli occhi e poi si accigliò. Lo guardava con una tale rabbia e un tale odio da non poter esprimersi a parole. Due delle guardie lo presero per le braccia e lo tirarono su, a forza.
«Questa volta non c'è stato tuo padre a tirarti fuori dai guai.»
«Credo nella mia innocenza, Tenente» rispose, lasciando che lo guardie lo conducessero in cella.
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