Capitolo 41
Son luce ed ombre; angelica
farfalla o verme immondo
sono un caduto cherubo
dannato a errar sul mondo,
o un demone che sale,
affaticando l'ale,
verso un lontano ciel.
Ecco perché nell'intime
cogitazioni lo sento
la bestemmia dell'angelo
che irride al suo tormento,
o l'umile orazione
dell'esule dimone
che riede a Dio, fedel.
Ecco perché m'affascina
l'ebrezza di due canti,
ecco perché mi lacera
l'angoscia di due pianti.
ecco perché il sorriso.
(Dualismo. A. Boito)
Silas era tornato a Monaco, così come aveva promesso a se stesso e a suo figlio: voleva che Weike fosse rispettata nella morte in quanto madre di suo figlio, anche se faticava a comprendere le ragioni di un gesto tanto disperato, specie in quegli anni flagellati dalla guerra.
Era tornato a casa, non senza fatica: distrutto, senza ore di sonno, afflitto dalle emozioni. In più, Weike gli aveva lasciato una lettera contenente il motivo del suo gesto; o forse qualcosa per lui. Non aveva avuto il coraggio di leggerla, non ancora. Se l'era portata indietro ben chiusa e solo a Berlino l'avrebbe letta, sicuro di potersi abbandonare a qualsiasi stato d'animo nelle mura domestiche.
Si trascinò fino al divano, ormai stanco e privo di forze, e sedé in un tonfo. Reclinò la testa indietro, poggiandola sullo schienale. Si riposò un secondo, il tempo per mettere insieme tutte le sue idee. In mano stringeva la lettera. Poi, composto, l'aprì.
Weike non faceva che incolparlo; ma di colpe che non poteva avere: lo aveva accusato di averla sposata e poi abbandonata, di averla lasciata sola dopo la nascita di Jorgen, nonché di averle dato un anello che non aveva mai rispettato. Ecco: Silas non aveva mai fatto niente di tutto questo. E, per quanto riguardava Jorgen, non sempre poteva viaggiare: spesso e volentieri non era una scelta che dipendeva da lui. Mi uccido perché non riesco a sopportare più quest'assenza. Questa solitudine mi squarcia l'anima. Furono queste le ultime parole che la donna aveva scritto su quel foglio.
Silas arricciò la lettera nella sua mano, la strinse forte. Si poggiò, con i gomiti sulle ginocchia e il capo sulle mani. Sembrava quasi penitente. Scoppiò in lacrime. Pianse perché non era riuscito a scorgere tutta questa sofferenza, pianse perché in quel momento aveva realizzato a cosa aveva assistito Jorgen per anni, pianse perché la madre di suo figlio era morta. Era troppo stanco per cercare di controllare le sue emozioni, per cercare di pensare lucidamente e, allora, pianse per la mancanza e la noncuranza di Lothar, per il suo andare e venire, per le sue parole non corrispondenti ai fatti. Pianse così a lungo da addormentarsi stremato, ormai privo di forza e svuotato nell'animo.
Trascorse qualche ora e si svegliò quando si sentì strattonare la stoffa dei pantaloni. Aprì gli occhi, sbatté appena le palpebre per riprendersi, mettere insieme i pezzi e ricollegare il tutto; poi indirizzò lo sguardo e lo vide: era Jorgen. «Piccolo mio, che succede?» gli domandò dolcemente.
«Ho visto un bimbo in cucina, è con Castaldia.» Non riuscì a pronunciare correttamente il nome della sorellina, ancora troppo complesso per lui.
«Andiamo a vedere chi è questo bimbo!» disse, prendendolo per la manina. Sapeva perfettamente chi fosse il bambino in questione, ma voleva prestare la giusta attenzione e importanza a suo figlio.
«Eccolo è lui!» Gli indicò il bambino, nascondendosi dietro la gamba di suo padre.
«Quel bimbo è Karl, è il figlio di una mia amica, Agnes» gli spiegò.
«Quindi papino è ancora tutto mio?» domandò per accertarsene.
«Ehi, ci sono prima io!» si intromise Castaldia mettendo il broncio.
«Sì, sì, tu» la liquidò Jorgen.
Silas rise divertito, lo prese in braccio e gli riempì le guance di bacini affettuosi. «Sì, papino, è tutto vostro: tuo e di Castaldia. Ora che il tuo papino è al sicuro, Jorgen, fai amicizia con Karl, d'accordo?»
Jorgen annuì e Silas, prima di metterlo giù, gli diede un altro bacino e lo lasciò andare.
Sistematosi e riposatosi decise di andare da Danika. Era giusto che passasse da lei, avrebbe potuto darlo per disperso e poi desiderava vederla. Almeno qualcuno avrebbe potuto dargli un po' di conforto. Era così triste, si sentiva così sconfortato che anche un abbraccio o una carezza o semplicemente un sorriso sarebbe stato in grado di rimetterlo al mondo. Bussò alla porta, sperando che ad aprirgli non fosse ancora una volta la cugina; doveva insistere per vedere la sua fidanzata, quando gli capitava lei. E fortunatamente fu la diretta interessata ad aprirgli. Lui ne fu molto felice: le sorrise e l'abbracciò quasi all'istante, cingendola per la vita e tirandola a sé. L'avrebbe baciata, se solo lei non si fosse messa a ridere per l'imbarazzo.
«Potrebbe vederci qualcuno!» disse. Gli aveva poggiato una mano sul torace, per tenerlo appena lontano da sé, ma poi lo aveva preso per mano e, dolcemente, lo aveva condotto dentro casa. Si lasciò dare quel bacio che Silas desiderò tanto.
La baciò più volte e lei gli accarezzo i capelli.
Percepì una sorta di sofferenza in Silas, i suoi baci erano più dolci, più desiderosi di qualcuno che potesse dirgli che tutto andava bene, qualcuno che per una volta avrebbe pensato a lui.
«Tutto bene?» gli domandò lei, accarezzandogli il viso.
«Sì, tutto bene, sono solo un po' stanco, non ho dormito molto.»
«Ne sei sicuro tesoro? Non voglio che tu stia male.»
«Sei molto dolce, Danika, davvero.» Le sorrise. Un altro bacio.
Lei gli accarezzò ancora il viso, sentiva che c'era qualcosa che non andava, ma doveva dargli quella notizia, aspettava Silas per dirglielo. «Devo dirti una cosa...»
Silas strabuzzò gli occhi, temette il peggio.
«Devo partire. L'altro giorno hanno fatto un controllo qui a casa di mia cugina, fortunatamente noi non c'eravamo, ma temo che dobbiamo partire. Tu vuoi venire con noi?»
A Silas si spezzò il cuore. Un altro abbandono non lo avrebbe retto. Quasi gli sembrò che fosse costretto a far transitare persone nella sua vita per affezionarsene e poi lasciarle andare. Un circolo vizioso, un destino che ricominciava sempre da capo.
«Mi piacerebbe tanto poter venire via con te. Abbandonare tutto e tutti, sopratutto i miei pensieri, le preoccupazioni, le persone a cui sono legato, ma che mi fanno soffrire...»
«Sento che sta per arrivare un ma... Non vuoi venire, vero?» Il volto di Danika si rabbuiò.
«Ma ho due figli, lo sai. Non posso di certo abbandonarli. Vorrei partire con te, davvero, credo tu sia capitata proprio nel momento giusto, ti avrei seguito se solo non avessi delle responsabilità così grandi. Come vivrei senza i miei figli? O senza sapere dove sono e cosa fanno? Non potrei...» Silas abbassò il volto, si vergognò del suo desiderio di fuga, era triste per il certo abbandono, desiderava solo essere amato.
«Mi dispiace solo che sia finita così, Silas, ma ricordati che ti ho amato e che probabilmente continuerò a farlo» gli disse, comprendendo senza rancori o rimorsi.
Silas la strinse a sé, l'abbracciò e la baciò in quello che era un bacio d'addio dolce e amaro, carico di sofferenza.
Per i restanti giorni, Silas fu quasi assente. Natthasol, da zio amorevole quale era, aveva provato a consolarlo con qualche dolce al cioccolato, come piaceva a lui, ma non c'era verso: si vedeva che Silas lo mangiava per non farlo dispiacere, eppure aveva lo stomaco chiuso. Era semplicemente triste, stanco e triste di dover iniziare ancora una volta tutto da capo. Almeno Danika non gli serbava rancore, lo aveva capito, e per quanto potesse sembrargli dispiaciuta era certo che, prima o poi, si sarebbe fatta una vita; come lui, del resto. Ma serbava un po' di rancore verso Lothar. Ricordava ancora la discussione prima dell'accademia e il discorso che gli aveva fatto subito dopo. Con gli anni aveva imparato quasi a farsi scivolare le cose addosso, a comportarsi come se le cose dovessero succedere e basta.
Quattro giorni, e Silas non era neanche andato al Dorian Gray; c'era andata Agnes, però, che da amica affettuosa si era prodigata dal fare le sue veci dicendo agli altri componenti del gruppo che stava poco bene e che non era in grado di poter presiedere alle loro riunioni.
Anche quella mattina, come le quattro precedenti si era diretto fino alla cucina nella speranza di riuscire a mandar giù qualcosa. Superata quella sorta di limbo si era deciso a darsi una smossa per riequilibrarsi un po': doveva pur riprendere in mano la situazione! Era conscio del fatto che non avrebbe giovato neanche ai suoi bimbi vederlo in quello stato.
«Zio, hai qualcosa da farmi mangiare questa mattina?» domandò prendendo posto a tavola.
«Come potrebbe mai deluderti il tuo zietto?» Gli sorrise Natthasol.
«Oh, non potresti mai, zio!» Silas rise.
Natthasol gli mise in un piattino una fetta di Sacker del tutto rivisitata; invece della classica marmellata aveva fatto una crema al cioccolato e l'aveva farcita con quella.
«Mein Gott, zio! Credo che sarà favolosa!»
«Vedo che ti è tornato l'appetito».
«Sarebbe un peccato a Dio non mangiarla!» Silas affondò la forchettina sulla punta della fetta, la portò alla bocca e l'assaggiò. Chiuse gli occhi e ne assaporò tutto il contenuto, quasi gli sembrava di raggiungere l'estati per quanto era buona.
«Ma sei ateo» rise Natthasol.
«Questo è solo un dettaglio! Ora lasciami mangiare che sennò mi deconcentri!»
Natthasol rise ancora, felice di vedere suo nipote sulla via della ripresa.
I due vennero seguiti da Ludwig, il quale, vedendo dolci di prima mattina, si sentì disgustato; lui era abituato a bere caffé nerissimo, senza la più lontana traccia di zucchero. Appena sveglio aveva lo stomaco chiuso e l'umore troppo nero per ingurgitare dolci.
Natthasol, conoscendo ormai le sue abitudini, gli servì una tazza di caffè dove accanto c'era il quotidiano che leggeva a cui era abituato.
Silas lo guardò, desideroso di fargli delle domande per capire se era necessario preoccuparsi più di quanto non avesse già fatto.
«Tu credi che io stia sbagliando, papà?»
«Cosa intendi dire di preciso?» Ludwig poggiò un attimo il giornale cercando di prestargli ascolto, aveva intuito che quello di suo figlio aveva tutta l'aria di essere un discorso serio.
«Con i miei bimbi, dico. Loro mi hanno visto giù di corda per quattro giorni, ho cercato di non essere triste, ma non vorrei aver intristito anche loro.»
Ludwig sospirò e poi disse: «Silas, essere così preoccupato per i tuoi bambini è normale perché è indice dell'affetto che nutri per loro, ma non devi temere, ti ameranno anche per questo, perché sanno che sei umano, perché sapranno che potranno aprirsi con te e cedere alle loro emozioni, perché il loro papà gli ha dimostrato che è giusto stare male se è necessario. Insegnare a cadere e rialzarsi, Silas, è una delle lezioni di vita più difficili da trasmettere. Vedrai, oggi saranno felicissimi di vedere che stai meglio.»
Natthasol sorrise dolcemente, lui sapeva quanto potesse essere sensibile Ludwig.
«Grazie, papà, sono felice che tu pensi questo.»
«E come potrei non pensarlo? Certo, sei uno scalmanato, mi fai sempre preoccupare, ma in fondo è questo il mio compito: preoccuparmi, perché sono padre. Il tuo è quello di sognare, di cercare di costruire un futuro migliore per te e per i tuoi figli, di fare quello che vuoi e che desideri.»
Sia Natthasol che Silas riconosceva la sincerità nelle parole di Ludwig, ma lo videro farsi più serio, rabbuiarsi, quasi, probabilmente si sentivano in colpa per via di Salazar, una questione che gravava sull'animo da Ludwig ormai da tempo.
Silas si alzò dal suo posto e posò il piatto vuoto nel lavello della cucina, poi si diresse verso Ludwig e fece proprio come facevano i suoi bambini quando lo avevano visto giù in quei giorni: gli diede un bacio sulla guancia, infine rise, certo che quel gesto avrebbe scosso suo padre più del dovuto. Si dileguò subito dopo.
«Ludwig, te l'ha fatta! Tuo figlio è proprio affettuoso» gli disse Natthasol, rincarando la dose.
«E dovevi vederlo da piccolo che angioletto che era: tenero, fin troppo, e di una dolcezza e ingenuità da far invidia ai più puri degli esseri. Sono contento, però, che nonostante tutto, abbia mantenuto quella dolcezza e il suo spirito.»
«Ludwig, sei troppo pensieroso e nostalgico oggi, c'è qualcosa che non va?»
«Non c'è niente che non vada... » mentì Ludwig, ovviamente preoccupato per Salazar. «Se qualcosa non andasse o mi preoccupasse, te lo direi.»
«Ne sono proprio convinto, Ludwig.»
«Scorgo una nota cinica e sarcastica nella tua voce, fratello!»
«Oh, no, ti sbagli!»
Ludwig rise. «Certo, come no...» poi guardò l'orologio che aveva al polso. «Ho ancora un po' di tempo, vuoi giocare a carte o fare una partita a scacchi?»
«Vuoi perdere di prima mattina, Ludwig?»
«Me se ti ho insegnato io...»
«Appunto, l'allievo supera sempre il maestro!» asserì Natthasol con un'espressione altezzosa sul volto.
«Vedremo!» Ludwig, in tutta risposta, si dipinse un ghigno sul volto.
Silas, dopo essersi ringalluzzito grazie alla colazione di Natthasol, decise, finalmente, di recarsi al Dorian Gray; era giunta l'ora che i suoi compagni lo vedessero.
Quando Bastien lo vide tirò un sospiro di sollievo, andò verso di lui e lo abbracciò, poi disse: «Era ora che ti facessi vivo, come ti senti? Era preoccupatissimo per te» Scosse la testa.
«Bastien, te l'ho detto. Tu ti preoccupi davvero troppo, ma non temere, sto bene.» Gli poggiò le mani sulle spalle, lo guardò in volto e sorrise, poi lo abbracciò di nuovo anche lui, felice che qualcuno gli mostrasse tanta amicizia. Si guardò intorno, sospirò e, felice di rivederli tutti, disse: «Mi siete mancati, ragazzi!»
«Anche tu ci sei mancato.» E anche Agnes lo abbracciò da sorella acquisita quale era diventata.
«Ma tu non fai testo!» si intromise Bastien e aggiunse: «Praticamente vivi con lui!»
Agnes si puntò una mano sul fianco, alzò un sopracciglio e lo fissò. «Bastien, tu non sai quello che stai dicendo: hai mai visto Silas arrabbiato o triste? È inavvicinabile!»
Silas rise e annuì, Agnes aveva perfettamente ragione, era meglio che non avesse nessuno nei paraggi in quel momento. «Credo che Agnes stia dicendo che sia felice di vedere quello che per voi è il Silas di sempre, che sono rinato? Non saprei come spiegarlo... »
Tra una chiacchiera e l'altra, poi, si guardò intorno; praticamente c'erano tutti tranne Lothar. «Ragazzi, ma Lothar dov'è?»
«In questi giorni che sei mancato era nero, nerissimo dalla rabbia! Intrattabile oserei dire, a tratti scorbutico.» Tra quello di Lothar e quello di Silas, Bastien non avrebbe saputo scegliere quale fosse il temperamento peggiore o il più distruttivo.
«Quindi non viene?» domandò Silas, stranendosi. Pensò che Lothar, visto che lui non c'era, se la stesse prendendo comoda, trascurando quelli che erano impegni seri.
«Non lo so» rispose Agnes. «Gli altri giorni c'era, magari oggi non sarà venuto per protesta. Già me lo immagino: "Chissà cosa sta combinato Silas!"» Agnes lo scimmiottò.
«Per adesso non preoccupiamocene, se non è venuto avrà avuto un motivo, ora pensiamo alla nostra riunione.» Silas si sedette dove di solito prendeva posto per spiegare le prossime mosse da attuare, più tardi sarebbe andato a vedere che cosa stesse combinato Lothar, magari cercando di riassumergli quanto detto.
Chissà cosa avrà avuto di meglio da fare. Si disse Silas mentre si dirigeva a casa di Lothar. Probabilmente avrà dovuto assaggiare qualche altro dolce. Silas schioccò la lingua infastidito. Si arrestò davanti casa di Lothar: vederlo baciarsi sotto al portico con Helen non migliorò il suo umore. Con fare stizzito, Silas, incrociò le braccia al petto, aspettando che qualcuno si degnasse a prestargli attenzione.
La prima ad accorgersi di lui fu proprio Helen che, imbarazzata, si scostò da Lothar, sussurrando appena: «C'è Silas.»
Lothar si voltò e strabuzzò gli occhi. Si sentiva come se lo avesse tradito e, vedendolo, si ricordò che quel giorno avrebbe dovuto avere un incontro al Dorian Gray. Si diede dello stupido e, congedando velocemente Helen, scese le poche scale che lo separavano da Silas.
«Hai fatto bene a non scomodarti è evidente che avevi cose migliori da fare.»
Lothar, ogni tanto, si dimenticava il lato cinico di Silas. «Non dire idiozie!» lo attaccò sulla difensiva. «Mi è solo passato di mente... E poi parli proprio tu? Che cosa hai fatto in questi giorni?»
A Silas parve ovvio che Lothar non aveva creduto a una singola parola detta da Agnes, preferendo dare adito alle congetture della propria mente. Gli diede una spinta, gli venne istintivo. «Vai al diavolo!» inveii contro di lui, incamminandosi poi verso la strada del ritorno.
Lothar non ci pensò due volte e lo inseguì, certo di aver detto qualcosa fuori posto, qualcosa che lo aveva fatto infuriare. Voleva chiarire prima che il loro rapporto si incrinasse più di quanto già non fosse. Lo afferrò per il braccio, ma Silas, sbottò:
«Come osi? Con quale coraggio osi dirmi certe cose? Sono venuto fino a casa tua per vedere quale fosse il motivo per il quale oggi non sei venuto al Dorian, ma poi mi hai schiarito decisamente ogni dubbio e preoccupazione. Ti trovo davanti casa ad amoreggiare con quella; e tu osi chiedermi che cosa ho fatto in questi giorni? Anche se avessi fatto la più turpe delle cose, questo non ti riguarda, hai deciso tu che non ti riguardasse. La mia vita non ti riguarda.» Con uno strattone si liberò della presa, ma Lothar non se lo lasciò sfuggire e lo afferrò di nuovo.
«Allora, dimmi perché non sei venuto al Dorian Gray?»
«Mi sembra che il motivo ti sia stato spiegato.»
«Sì, ma perché?»
«Perché non sono stato molto bene e te lo ripeto: non devo darti alcun tipo di spiegazione.»
«Ma perché non dovresti dirmelo? Voglio solo sapere cosa ti ha fatto stare male, lo sai che ci tengo a te.»
«Appunto, non credo mi basti più, non credo che serva parlarne, non credo di voler parlarne...»
Lothar lo afferrò per le spalle, lo avrebbe voluto scuotere per farlo calmare, gli era evidente che vederlo con Helen sotto al portico lo avevano innervosito.
Lo trascinò con sé appena dietro le mura di casa sua dove c'era una piccola discesa in mattonato, al di là della quale era stato curato, con tanto amore, quel piccolo pezzo di terra e quelle belle rose.
«Vuoi darti una calmata e dirmi cosa diavolo ti è successo?»
Silas lo guardò con uno sguardo carico d'odio, uno sguardo che Lothar non aveva mai visto, ed era evidente che fosse tutto l'astio che stava covando verso i suoi confronti.
«Mi ha chiesto di andare con lei. Avrei dovuto lasciare il Paese e andare in un altro, il suo Paese o chissà dove, ma non ho accettato, non potevo abbandonare la mia patria e i miei figli, ma sarei fuggito volentieri lontano da te.»
«Chi? Di cosa stai parlando?» Lothar era sconvolto, la sola idea di non vederlo più gli aveva fatto crollare la terra sotto i piedi.
«Di Danika, di chi sennò?»
«Chi diavolo è Danika? Silas che stai dicendo?»
«Elfi è Danika, ha un nome falso perché è ungherese: fa l'attrice, viveva da sua cugina, è dovuta fuggire, perché hanno già fatto dei controlli in casa di sua cugina. Non ho preso bene la cosa, sono stato male un po' di giorni. Spero che ora ti sia chiara la situazione.»
«Saresti fuggito con lei?» gli domandò Lothar incredulo.
«Sì e ne sarei stato felice, così avrei potuto dimenticarti, non vederti più: mi sono stancato di subire tutto questo per il tuo egoismo. Ho accettato il fatto che tu non mi voglia, ma perché devi infliggermi un tale supplizio?»
Lothar lo spinse contro il muro per non farlo andare via, era certo che se ne sarebbe andato di nuovo, lontano da lui, prima che potesse fare o dire qualcosa.
«Lasciami, lasciami andare via di qui, ora!» gli ringhiò contro Silas, spingendolo via lontano da sé, ma Lothar piombò ancora una volta su di lui, spaventato del fatto che, fuggito da lì, sarebbe fuggito anche da lui.
«Non voglio che vai via! Lo capisci o no? Lo capisci che voglio che stai qui, davanti a me, a guardarmi negli occhi?»
«E tu lo vuoi capire o no che non ho voglia di guardarti più in faccia? Che guardarti mi arreca dolore?»
Lothar gli strinse il viso tra le mani e lo baciò, ma Silas gli morse il labbro come aveva già fatto una volta e gli diede nuovamente un pugno in pieno volto; Evidentemente, a Lothar piaceva prenderle, si disse.
Lothar si leccò il rivolo di sangue uscito dal suo labbro, non ricordava il destro di Silas così forte.
«Non ci provare mai più, o giuro che vado io stesso da Helen a dirgli l'ipocrita che sei!» gli urlò contro.
«Non lo faresti mai» rise nervosamente Lothar. Scosse la testa e spalancò gli occhi, quando vide Silas fare mancia indietro per tornare sotto al portico.
«Fermati razza di stupido, fermati!» Lo inseguì, lo afferrò per il braccio, ma Silas si divincolò per la presa. Lo afferrò per il collo e Silas reclinò la testa, sentendosi immobilizzare a quel modo.
«Che vuoi fare? Sei arrivato fino a questo punto?» gli domandò Silas; e riprese a camminare, quando Lothar, colpevole, abbandonò la presa. Lo superò ponendosi davanti a lui.
«Fermati, ti ho detto!» gli intimò Lothar. «Fermati, ti prego!»
«E che motivo avrei di fermarmi, eh? Tanto tu non mi vuoi, magari chiariamo anche le cose a Helen, che ne dici?»
«Ti rendi conto che mi stai minacciando?» gli gridò contro Lothar.
Silas era esasperato «E con questo, ho da perdere qualcosa? Ti ho già perso, no? Ti ho perso per colpa di una donna che detesti...» urlò e poi proseguì: «Che vuoi sposarti solo per non sentirti in colpa verso te stesso e verso tuo padre. Ma non ti importa minimamente di come possa sentirmi io e allora è bene che una volta per tutte si concluda questa storia, Lothar!»
Lothar lo spinse. «Fermati stupido fermati! Lo capisci che potresti rischiare anche tu? Te ne rendi conto?» Ma Silas sembrava come posseduto da un demone per la rabbia che mostrava.
Non dava cenno di arrestarsi e allora Lothar lo spinse ancora una volta, Silas mise male un piede e cadde all'indietro. «Maledizione!» ringhiò. Aveva sbattuto in varie parti del corpo e sembrava dolorante.
Lothar approfittò della situazione e mentre Silas cercava di tirarsi su frettolosamente, piombò su di lui. «Adesso devi fermarti.»
«Alzati subito!» lo intimò nel mentre in cui cercava di sfuggire alla sua presa; Lothar lo afferrò per le gambe e Silas iniziò a sgusciare peggio di un'anguilla, cercando di calciarlo ma senza riuscirci, perché Lothar lo teneva saldo nella sua presa. Lo tirò bene a sé, facendolo aderire a terra, bloccandolo con le sue gambe in modo che fosse in trappola che non potesse muoversi. Silas cercò di divincolarsi e Lothar gli diede uno schiaffo in pieno volto.
«Ti vuoi calmare, maledizione!»
Silas era pieno di rabbia, ma adesso si era aggiunta anche l'indignazione per quel gesto e Lothar fece l'errore di lasciargli le mani libere, mani che portò al suo collo che cominciò a stringere.
«Vuoi uccidermi? Fallo! Così smetteremo di soffrire entrambi!» sussurrò appena Lothar, preda di quella stretta.
«Non tentarmi...» disse Silas mentre premeva ancora più forte intorno al collo di Lothar, ma poi quando lo vide socchiudere gli occhi, forse stremato per l'assenza di aria, tornò quasi lucido e lo lasciò andare.
Lothar si portò una mano alla gola, dolorante, cominciò a riprendere aria. Guardò Silas sotto di lui, sconvolto, ansante un po' per la paura e per il dolore che aveva dentro, così si sollevò da lui, per riprendersi e farlo riprendere.
Silas si alzò, si sentiva peggio di prima, lo guardò e disse: «Scusami...» Un sussurro. Fece dietro front, e questa volta, Lothar, gli fece muovere qualche passo, quasi gli lasciò credere che lo stesse lasciando andare. Poi lo seguì ancora una volta e lo riportò nella stessa discesa che li aveva visti protagonisti poco prima.
«E adesso...» Silas non riuscì a terminare la frase, perché Lothar piombò ancora una volta sulle sue labbra; ancora una volta Silas lo interruppe, gli poggiò le mani sul petto per allontanarlo. Lothar, però, sembrava determinato.
«Stai zitto, stai fermo!» gli disse vicino alle sue labbra, Silas lo lasciò avvicinare e poi lo morse di nuovo.
«Non illudermi, non voglio che tu mi usi a tuo piacimento, Lothar! Cosa significano per te questi baci?»
«Che ho scelto te, che voglio te.»
Silas rimase di sasso, di stucco, attonito, senza parole. Lo guardò spaesato, quasi come se non avesse capito quello che aveva appena sentito.
«Come hai detto?» sussurrò appena.
«Che voglio te, che non voglio stare con Helen, che sono infelice, che voglio sapere dove sei e cosa fai, che se stai male piangi sulla mia spalla, voglio che tu sia felice, che io sia felice insieme a te.»
Silas rimase immobile come se stesse aspettando di svegliarsi da quel sogno.
Lothar si avvicinò ancora una volta a lui, poi lo baciò sulle labbra, per un istante Silas ricambiò quel bacio, una lacrima gli solcò una guancia, finì tra i loro baci. Il cuore gli batteva forte, i pensieri correvano come un treno nella sua testa, lo scansò di nuovo.
«Non è come al solito vero? Non mi dici questo e poi ti rimangi tutto dicendomi che non puoi stare con un ragazzo... come farai con Helen che ti aspetta appena varcato quel portico?»
«Helen è un mio problema...» si accigliò appena Lothar, certo che in quel momento Helen non c'entrasse.
«No, è un nostro problema!»
«Lo risolverò» disse Lothar cercando di usare il tono più convincente che aveva.
«D'accordo.» Silas era sconvolto, non aveva ancora realizzato quanto fosse successo. Si sentì afferrare ancora una volta. «Te ne vai via così?» gli disse Lothar, tirandolo a sé, verso il muro e, con sua sorpresa, Silas si sentì sollevare per le gambe che, prontamente, cinse intorno alla vita di Lothar. Sembravano due pazzi a rischiare la vita in quel modo, ma evidentemente, quel loro ritrovarsi valeva più di ogni altra cosa.
Lothar gli tolse il cappello con il quale nascondeva i capelli e afferrò questi strattonandoli appena, a Silas sfuggì una smorfia di dolore, reclinò appena la testa indietro, ma poi baciò Lothar, lo baciò in maniera famelica, dimostrandogli anni di amore represso. Lothar ricambiava quel baci troppo passionali, bramosi e frettolosi per lui, ma cercava di stare al passo di quell'essere così vorace, ricordando quanto a Helen non piacesse quel tipo di manifestazioni.
Silas si scostò da lui, per riprendere un po' fiato. «Ci vediamo dopo?»
Cosa voleva fare dopo? Pensò Lothar, ma poi annuì.
«Devo andare a casa...» disse ancora Silas, scendendo da quella prese riprendendo il berretto.
Lothar lo salutò con un ultimo bacio, tenendolo per quella mano che, secondo lui, aveva tutta l'aria di sfuggirgli.
Senza Silas già si sentiva perso. Lo aveva fatto davvero, c'era riuscito finalmente a fare ciò che più desiderava: accettare se stesso e l'amore che provava nei suoi confronti.
Si sentiva confuso, frastornato, a tratti preoccupato, ma anche euforico. Silas era riuscito a fare breccia in lui, nel suo cuore con tutto il suo essere, pregi e difetti. Era un uomo e a lui non erano mai piaciuti gli uomini: sembrava che mai un pensiero simile avesse potuto sfiorarlo, ma Silas era speciale. Per lui, ormai, era una parte concatenante della sua vita senza la quale non poteva dire di viverla appieno.
Arrivato a casa, non sapeva cosa dire a Helen: avrebbe dovuto rigurgitare tutto quello che era successo? Poi pensò al fatto che non era un buon piano, lei avrebbe potuto agire sconsideratamente e non avrebbe potuto biasimarla. Quando entrò in casa, ancora incerto su cosa dirle, fu proprio lei che iniziò a parlare: «Lothar cos'è successo? Vi ho visto azzuffarvi in mezzo alla strada.»
Panico. Il sangue ribolliva nelle vene, il cuore all'impazzata. «Ti riferisci a quando l'ho spinto e lui è caduto in terra?»
«Sì...» Helen lo guardò meglio in volto, vide la ferita sul suo labbro. «È stato lui a ferirti?»
«Sì, si è difeso, chiunque lo avrebbe fatto.»
«Siediti che ti medico la ferita.»
«Non serve, è un piccolo taglio, più tardi lo farò da solo.»
«D'accordo... Ma perché siete arrivati alle mani?» Helen sembrò confusa, sentiva chiaramente che Lothar stava mentendo o, semplicemente, le nascondendo qualcosa.
«L'ho accusato di qualcosa che non aveva fatto, abbiamo litigato e siamo finiti alle mani.»
Dopo quell'affermazione, Helen si chiuse in un silenzio quasi inquisitore, come se stesse aspettando che Lothar sputasse il rospo, perché lei aveva visto come i due si parlavano e aveva visto che Lothar più volte lo aveva spinto dietro le mura della casa.
Quando Silas rimise piede in casa, chiuse la porta dietro le sue spalle, si appoggiò contro di essa e sospirò. Era entusiasta, euforico e felice, ma i suoi sentimenti erano contrastanti: sentiva nel petto come una morsa un magone, aveva parlato troppo poco con Lothar e nella sua testa cominciavano a formularsi domande come: Cosa siamo io e lui? Aveva paura che potesse ripetersi quello che era sempre accaduto, che si tirasse indietro. Credeva alle sue parole, ai suoi sentimenti: erano evidenti, ma in quel momento sperava che tutto potesse continuare.
Rammentava i baci di Lothar felice, quasi sognante, desideroso di dargliene altri e altri ancora.
Ludwig lo vide avanzare nel salotto e gli fece cenno di farsi avanti. «Vieni, ti presento la tua futura cognata» disse, presentandogli una ragazza tanto dolce quanto timida.
Silas sbatté appena le palpebre, constatando quanto questa fosse bellissima: aveva i capelli biondi, più biondi dei suoi, una pelle lattea, quasi ultraterrena e occhi di un celeste terso, rilassante. Le si avvicinò, le prese la mano e la portò quasi alle labbra in un bacia mano fatto come si deve. «Benvenuta, signorina, spero che si troverà bene qui. Qual è il vostro nome?» Si tirò su e le sorrise dolcemente.
«Anastasia Lebedev.» Sorrise appena anche lei, imbarazzata. Sperava che il ragazzo che doveva sposare fosse almeno la metà bello di colui che aveva davanti.
Silas guardò Ludwig confuso sentendo il nome della fanciulla, ma poi arrivò la spiegazione e tutto gli sembrò più chiaro.
«Il padre della signorina Lebedev scappò da San Pietroburgo durante la rivoluzione rossa e andò a stanziarsi in Norvegia. Sua madre è norvegese invece.»
«Conosce il russo?» domandò Silas vedendola annuire «Allora potrebbe insegnarcelo, prima o poi» le propose. «Magari anche ai suoi nipotini» affermò.
«Nipotini?» Anastasia sorrise raggiante.
«Sì, sei appena arrivata e sei già zia!»
«E la mamma di questi bimbi?» domandò, curiosa e ingenua.
Silas si portò una mano alla testa imbarazzato, si grattò appena la cute: spiegarlo era un po' difficile.
«Ecco vedi... una mi ha lasciato; o meglio se ne è proprio andata, però la bimba avuta da lei l'ha riconosciuta mio padre, perché ero troppo giovane per farlo io e, come sai, di questi tempi ci sarebbero state delle complicanze. Quindi ti pregherei di stare attenta, se qualcuno te lo chiedesse. Invece l'altra è morta qualche giorno fa, purtroppo suicida.»
Anastasia sembrò rattristarsi: le dispiaceva per Silas, il quale sembrava non aver avuto molta fortuna con le donne; e, da quello che aveva compreso, aveva avuto due figli da due donne diverse.
«E dove sono? Così li conosco...»
Appena nominati, Natthasol li portò dalla cucina al salotto. Jorgen si mostrava sempre molto timido davanti a persone che non conosceva, mentre Castaldia era sempre la più curiosa, difatti fu la prima ad avvicinarsi con la sua macchinetta fotografica e le disse: «Lo sai che sei bella? Ti posso fare una foto?» chiese.
«Certo che mi puoi fare una foto, dove mi metto?» le domandò lei dolcemente.
«Sul divano, seduta.» Le indicò Castaldia.
Nail alzò le sopracciglia, era perplesso riguardo questa giovane fanciulla promessa sposa a Salazar.
«Quasi mi dispiace per lei...» commentò all'orecchio di Ludwig.
«Perché andrà in sposa a Salazar?»
«Sì...»
«Capisco che tra voi non scorre buon sangue, ma è pur sempre di mio figlio che stai parlando.»
«Lo so amico mio, ma dovrai ammettere che Salazar non è proprio quello che definiscono una persona affettuosa.»
«No, questo no, ma aspettiamo di vedere come procede prima di giudicare.» Ludwig, in realtà, era più preoccupato di quanto non volesse sembrare.
«Papà, scusa se ti interrompo, ma hai pensato a organizzare un ricevimento per il fidanzamento di Salazar? Sei tra gli alti vertici sembrerebbe strano se tu non lo facessi, non trovi?»
Ludwig ci pensò un attimo: la cosa aveva senso, ma significava riempire la casa di Nazisti. «Ha perfettamente senso, ma dovremo dire ad Aleph di tornare a casa di Elger. Questo non sarà un problema, mi preoccupano Agnes, Ilia e Karl.»
«Potrebbero restare per una notte al Dorian Gray, dove ci riuniamo c'è qualche poltrona potrebbero dormire lì. Non sarà comodo, ma è solo per una notte.»
«Sei consapevole del fatto che casa sarà piena di gente che disprezzi, oltre a essere pericolosa?»
«Sì papà, ma poi come lo giustifico il fatto che Salazar si è fidanzato e che si sposerà? Specie a Herr Wolf... Poi lo sai che adora certe feste.»
«Ci stupiamo da chi ha ripreso Friderich poi...»
Silas rise.
«Ludwig, non ti preoccupare: per preparare qualcosa ci penserò io» s'intromise Natthasol fiero della sua arte culinaria.
«Non avevo dubbi a riguardo.»
Nail, nel vederlo, gli fece l'occhiolino prima che si rintanasse nuovamente in cucina; e Natthasol sorrise.
«Che mi sono perso?» domandò Silas.
Bussarono alla porta. Ludwig non aspettava visite, perciò scattò sull'attenti, come sempre in certe circostanze. Silas gli mise una mano sulla spalla, per tranquillizzarlo e gli disse: «Non ti preoccupare, è Lohar.»
«Che mi sono perso?» commentò Ludwig, ponendo la stessa domanda che gli aveva posto suo figlio.
Silas sorrise e, senza dare troppe spiegazioni, si diresse alla porta. Davanti a questa ci trovò già la piccola Castaldia che, sentendo chi fosse, si era già precipitata lì. Aspettava solo che qualcuno l'aiutasse ad aprire perché lei non ci arrivava.
Silas aprì ed effettivamente era Lothar.
«Zio Lothar, zio Lothar, guarda.» Castaldia alzò la macchinetta fotografica per mostrarla a lui.
«Una macchinetta fotografica? »
Castaldia scosse la testa affermativamente in maniera energica.
Lothar guardò Silas come a chiedergli cosa ci facesse una bimba di neanche quattro anni con una macchina fotografica. Silas fece spallucce e poi disse: «Ne avevo due, una l'ho data a lei. Un giorno le ho fatto una foto e le ho fatto vedere come si scattano... E da quel giorno ha cominciato con l'andare in giro per casa a fare finta di fare foto. Quindi niente, ho ceduto, gliene ho regalata una delle mie.»
Anche Jorgen li raggiunse. Si attaccò alla gamba di Silas come per abbracciarlo mentre faceva "ciao" con la manina in direzione di Lothar. Lothar gli sorrise.
«A quanto pare non vogliono cedermi» disse Silas e rise.
«Però, dovranno farlo...» gli sussurrò Lothar all'orecchio.
Silas prese in braccio Jorgen per allontanarsi da Lothar, che lo aveva messo in imbarazzo. Si aspettava che Castaldia lo seguisse, invece era rimasta a fissare Lothar e aveva alzato un braccino segno che anche lei voleva essere presa in braccio da lui.
Lothar sospirò e la tirò su.
Ludwig lo guardò entrare nel salotto, lo fissò a lungo. Sapeva di quante volte si era tirato indietro nei confronti di Silas e si augurava che anche questa volta non finisse così.
Lothar lo guardò si accigliò appena non capendo che cosa volesse da lui, Ludwig, così tanta insistenza.
Ma fu distratto da Silas e allora ne approfittò per chiedergli: «Chi è quella ragazza?» E pensò subito male
«Non fare lo sciocco, sono abituato a vedere gente che non conosco in casa tua.»
«Quella è la ragazza che dovrà sposarsi con Salazar.»
«Auguri...»
Silas sentì l'ironia nella voce di Lothar, ma decise di sorvolare sulla questione per tirarne in ballo un'altra.
«Dovremmo dare la festa di fidanzamento qui, casa sarà gremita di Nazisti e io devo farti vedere una cosa che ho scritto.»
«Un volantino?»
Silas annuì.
«Di che si tratta?»
«Dei campi di concentramento.»
Lothar sgranò gli occhi, Silas era forse impazzito? Parlare della deportazione era più di qualsiasi altro articolo o volantino scritto prima. «E sei sicuro della tua fonte?»
«Sono sicurissimo, praticamente ho ricevuto una confessione.»
Lothar, ormai era consapevole che più sarebbero andati avanti con la guerra e il Regime, più le cose si sarebbero messe male; specie negli ultimi anni, dove la follia era divampata. Tutto sembrava ancora più crudele di quanto non fosse già. Ma avrebbe aspettato di leggere questo volantino, prima di dire qualsiasi cosa. Si preoccupava per Silas: saperlo in pericolo lo mandava ai pazzi. Tutto era cambiato, la paura che gli potesse succedere qualcosa lo tormentava. Non voleva più separarsene, mai più.
Quella povera fanciulla di Anastasia è arrivata a casa Dubois, vi allego un'altra foto che sicuro è post bellica XD
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