Capitolo 4
A sera risuonano i boschi autunnali
d'armi letali, le auree distese
e gli azzurri laghi, e dall'alto il sole
rovina all'orizzonte, più oscuro; la notte abbraccia
guerrieri morenti, il furioso lamento
delle loro bocche in frantumi.
Pure silenziosa si raduna fra i salici
rossa nube, soggiorno di un dio furente,
il sangue sparso, argentea frescura;
tutte le strade sfociano in nera putredine.
Sotto gli aurei rami della notte stellata
vacilla l'ombra della sorella per la selva ammutolita,
a salutare gli spiriti degli eroi, le teste insanguinate;
e lievi risuonano nel canneto i sinistri flauti autunnali.
O più fiera pena! O voi, are di bronzo,
un possente dolore nutre oggi l'ardente fiamma dello spirito,
i nipoti non nati.
(Grodek-Trakl)
Ludwig, come al solito, si ritrovava sempre da solo a dormire: accadeva da anni, ormai, e ci aveva fatto praticamente l'abitudine, finendo col rassegnarsi all'eremo e a quel freddo che gli aveva invaso l'anima; viveva per i suoi figli e non c'era altro a tenerlo in vita se non il suo stesso onore – ormai intaccato da quanto doveva fare ogni giorno.
Si addormentava dandosi del vigliacco e si svegliava con lo stesso cruccio; quella mente gli dava il tormento non lasciandolo quasi mai in pace e le uniche volte che poteva definirsi spensierato erano quando davanti ai suoi occhi si palesavano immagini talmente raccapriccianti da non riuscire a formulare alcun tipo di pensiero – un paradosso.
Ancora una volta, dunque, s'infilò sotto le coperte con quell'amarezza nell'anima, constatando come le coperte fossero calde e lui terribilmente stanco; così, il sonno arrivò presto a conciliarlo e lui si ritrovò catapultato su un altro piano, dove tutt'attorno appariva come pacifico e celestiale – sembrava una di quelle raffigurazioni pittoresche riguardanti scene della mitologia greca e quindi, indubbiamente, doveva essere finito nel cosiddetto mondo onirico.
Alberi in fiore, stagni, fiumi, ninfee, fiori: tutto era estremamente bello e fonte di quella stessa forte luce che irradiava ogni cosa senza il minimo fastidio.
Ludwig non sognava un'atmosfera così rassicurante e serena da anni ormai.
Toccò le fronde degli alberi con i polpastrelli, beandosi della superficie liscia e verdeggiante delle foglie: era troppo, persino in un sogno, credere a un ambiente così meraviglioso; ma ancora più bello diventò quando scorse in lontananza la figura di un ragazzo che, dandogli le spalle, si rifletteva nella superficie di uno stagno.
«Attento!» Gridò per timore che il ragazzo potesse subire la stessa sorte toccata al povero Narciso. All'appello, questo si voltò e Ludwig poté riconoscerlo subito come Aleph; ma il ragazzo non sembrava averlo distinto, anzi, pareva più che altro un cervo che scappava da chissà quale predatore – perché sì, prese a correre via all'improvviso.
Lui si mise a inseguirlo come se l'altro stesse in pericolo, certo di quella sensazione rampante che prese a ballonzolargli nel petto, e fu solo in quel momento che si accorse degli abiti indossati dal rosso – indumenti che rimandavano all'antica Grecia: un peplo bianco dal panneggio morbido e leggiadro.
« Fermati!» Aveva continuato a dirgli di fermarsi, inseguendolo, e non si sarebbe dato pace fin quando non lo avrebbe acciuffato: voleva accarezzarlo e abbracciarlo, semplicemente lo desiderava come desiderava salvarlo da quello stagno indegno che avrebbe potuto trarlo in inganno.
Non c'era niente che poteva fermare il giovane ragazzo che correva come una furia – sembrava il vento, fuggiva via come se davvero avesse avvertito un immenso pericolo dietro di sé, ma questo non sembrava provenire da Ludwig e per lo meno di quello ne era certo.
Il colonnello, che per una notte vestiva i panni di un Dio, non si dava per vinto e tenace si era messo a rincorrere il giovane.
Erano vicini quando riuscì ad afferrarlo per la mano, cercando di tirarlo a sé, ma neppure allora ci riuscì: lo vide divincolarsi e scattare come un antilope, saettando di nuovo; allorché Ludwig prese ancora una volta a rincorrerlo fin quando, deciso nel coglierlo alla sprovvista, aggirò gli alberi ritrovarsi Aleph tra le braccia, sorpreso.
Purtroppo, però, come cercò di stringerlo nel suo abbraccio, questo si dissolse.
Erano le cinque del mattino quando Ludwig si svegliò di soprassalto, ancora frastornato da quello strano sogno che, nonostante tutto, l'aveva scosso piacevolmente come non accadeva da tempo, lasciando che nelle sue vene scorresse una strana sensazione che credeva si fosse ormai persa nel tempo alle sue spalle: l'eccitazione.
Non poté non rendersene conto, finendo addirittura col sollevare le coperte per constatare se avesse o meno ragione con un solo sguardo al di là delle lenzuola, perciò si sorprese e quasi provò l'impulso di restarsene lì, sul letto, a riposare ancora un po' fin quando non avesse dovuto per forza alzarsi a svegliare Silas – anche perché lo conosceva bene e sapeva quanto suo figlio avrebbe fatto i capricci per andare a scuola.
Quel giorno, tra l'altro, avrebbe dovuto fargli visita proprio Aleph secondo quanto stabilito la mattina in cui era andato a portargli il visto.
Il tempo prese a scorrere velocemente e tranquillamente al tempo stesso: il paradosso era proprio quello in effetti, perché sebbene la mattina passò alla svelta, ciò che regnava dentro casa era la totale armonia, qualcosa di ben più assurdo di quello che era accaduto dopo il sogno di quella mattina; nessun rumore, nessuna lamentela, nessun urlo poteva turbare le sue orecchie e ben presto Ludwig poté udire un bussare leggiadro che fu in grado di riscuoterlo dai suoi pensieri e da quella lettura che s'era concesso a tempo perso.
Si alzò dalla poltroncina e andò ad aprire la porta, certo che il suo ospite fosse arrivato, ma quando gli si presentò dinanzi dovette trattenersi dal dire qualcosa d'inappropriato:
improvvisamente, infatti, il colonnello poté solo notare la semplice bellezza di cui Aleph pareva naturalmente dotato dalla nascita – e al diavolo quegli stupidi discorsi sulle razze! Quel ragazzo aveva davvero un bel visetto, dolce e sensuale a modo suo.
«Prego, entra,» disse, facendosi da parte e permettendo al ragazzo di fare quanto suggerito.
Quella che era uscita dalle sue labbra, a suo dire, sembrava davvero un'allusione sessuale, anche se sarebbe stato lui a volersi insinuare volentieri tra le carni del rosso che, ignaro di tutto, entrò nella casa.
Obbiettivamente, però, chiunque avrebbe sostenuto il contrario: lui non poteva essere realmente ignaro e non appena la porta fu chiusa alle sue spalle, egli si mise a guardare Ludwig molto intensamente – pareva che volesse letteralmente assalirlo o quantomeno divorarlo con un solo sguardo. Ovviamente, poi, il moro si trovò a ricambiare quell'avvenenza come possibile, senza indugi, continuando a condurlo chissà dove per casa, volendo in qualche modo estendere il tempo a sua disposizione per averlo per sé il più a lungo possibile; allorché si fermò nel salotto e senza più resistere oltre cedette all'impulso di avvicinarsi a lui per carezzargli il viso – era così morbido, così accattivante, che non poté fare a meno di discendere con le dita fino al mento, sollevandolo per poi baciarlo.
Si staccò da lui poco dopo, andandosi a sedere su quella poltroncina dove era stato fino a prima del suo arrivo.
«Prego, accomodati», gli disse ancora, continuando a guardarlo in maniera lasciva.
«Dove vuoi che mi accomodi, Ludwig?» Domandò l'altro, arrossendo vistosamente sulle guance, facendo letteralmente impazzire di rimando il proprietario di casa che, senza più trattenersi, lo tirò a sé facendolo sedere sulle proprie gambe per poi prendere a baciarlo con passione – più di quella che ci aveva messo prima, sì, decisamente di più.
Spalancò gli occhi, nuovamente sveglio – o forse per la prima volta, non sapeva dirlo con esattezza.
«Cosa ho sognato?» Chiese stupidamente a se stesso, sapendo bene cosa avesse sognato. Come era possibile che quel ragazzo gli piacesse così tanto da sognarselo e per giunta a quel modo? Sollevò le coperte per accertarsi ancora una volta di come il suo corpo avesse continuato su quella scia. «Merda!» Imprecò, certo del fatto che in qualche modo avrebbe dovuto ovviare al problema tra le sue gambe che, volente o nolente, spuntava con dirompenza. Dopo tutto, però, non era poi così dispiaciuto a doversi dare del piacere da solo: il suo corpo aveva reagito così d'impulso a sogni tanto strani, perciò stava a significare che in fin dei conti fosse una necessità evidente ed era trascorso chissà quanto tempo da quando qualcuno s'era dedicato a lui.
Era un uomo abituato a reprimere i suoi istinti, ma doveva ammettere che in una situazione simile fosse impossibile e tanto era grande la voglia di rilassarsi che non ci pensò troppo, socchiudendo gli occhi e facendo scivolare una mano sotto le lenzuola, al di là della biancheria, andando ad accarezzare la sua stessa erezione per liberarsi piacevolmente di quel pungente fastidio che finalmente si era riaffacciato.
Si voltò dopo qualche minuto a guardare l'orologio da polso che aveva posato sul comodino, constatando che fosse davvero tardi e dovesse alzarsi, sistemarsi e svegliare Silas al più resto.
Era riuscito a fare tutto in breve tempo: si era vestito, si era preoccupato della sua igiene personale e aveva svegliato suo figlio affinché andasse a scuola con la speranza che, per lo meno, non si facesse cacciare dalla classe o peggio ancora sospendere – una delle tante preoccupazioni che assillava Ludwig tutti i giorni.
Tra l'altro era finalmente deciso ad affrontare un discorso con sua moglie e sebbene sapesse già a cosa sarebbe andato incontro doveva pur provarci: la vita di Salazar era importante e questo doveva cominciare ad andare a scuola – nello stesso istituto di suo fratello – perché a tredici anni non era possibile che rimanesse ancora a casa, senza contare che a istruirlo fino ad allora era stata solo sua madre.
Si diresse quindi verso la stanza di suo figlio, sperando di trovarlo lì e non nel letto con Regan, ma se in un primo momento parve tranquillizzarsi nel vederlo laddove sarebbe dovuto stare, successivamente Ludwig dovette ricredersi: lei era lì, ancora una volta aveva deciso di dormire con lui per non separarsene – come se qualcuno potesse strapparglielo improvvisamente dalle braccia per condurlo chissà dove.
Quella donna era sempre presente in ogni movimento e in ogni passo di suo figlio, cosa che riusciva a soffocare persino Ludwig, logorato dallo stato in cui ormai era finito Salazar e dal suo stesso senso di colpa; per questo si era deciso ad agire, a trovare una soluzione che potesse in un certo senso aiutarlo a distaccarsi da quella donna.
Nel momento stesso in cui aprì la porta, egli vide sua moglie intenta a schiaffeggiare il ragazzino, allora mosse passi veloci verso di lei e serrò subito il braccio di Regan per bloccarla: ne aveva decisamente abbastanza.
«Salazar, vai di là... vai in biblioteca, tesoro.» Si rivolgeva sempre dolcemente ai suoi figli e sapeva che il posto indicatogli lo avrebbe distolto e distratto dalla pessima situazione che di li a poco si sarebbe creata.
L'interpellato non se lo fece ripetere due volte e corse via, frettolosamente, dimenticò perfino di mettersi le pantofole; dal canto suo, Regan, nel veder scappare il figlio a quel modo, cercò di dimenarsi dalla ferrea stretta di Ludwig per inseguire il suo prediletto.
Ludwig, però, non solo era più forte di lei ma anche furibondo, perciò non l'avrebbe lasciata andare per niente al mondo, neanche per pietà: sarebbe stato anzi capace di spezzarle un braccio pur di far vivere al bambino attimi di assoluta tranquillità.
Puntò i suoi occhi severi verso la donna, andando a incrociare lo sguardo alla spazzola che teneva stretta nella mano.
«Perché lo stavi picchiando?» Gli domandò lui, incolore, rimproverandola come se volesse sentire una motivazione reale e non quei deliri che la colpivano il più delle volte.
«Lui... lui non voleva che lo pettinassi ancora, ma aveva dei nodi, Ludwig, e io volevo che i suoi capelli fossero lisci e belli, luminosi.» La sua voce tremava in preda al panico, perché sapeva di non potersi sottrarre dall'infliggere al piccolo delle sottili torture – era un riflesso incondizionato.
«Ti sembra una motivazione sufficiente per picchiare tuo figlio?» Il suo tono era calmo, ma si sentiva ugualmente che era furioso: era sempre stavo paziente, forse uno degli uomini più pazienti, ma adesso era arrivato al limite e la pena che provava per Regan, il loro passato amore, non gli impediva più di salvare Salazar da una dannazione più che certa.
«Lo è, lo è... ma adesso lasciami devo andare da lui, devo andare da lui.» Non erano trascorsi neppure cinque minuti da quando questa s'era ritrovata senza suo figlio e già pareva crollata in una crisi di nervi, con la voce spezzata dal pianto.
«Devi passare prima sul mio cadavere», le disse, conscio del fatto che la donna avrebbe tentato come possibile la fuga di lì a poco; fu così, infatti, che lei cominciò a dimenarsi e a colpirlo sul petto con la mano libera e subito le venne bloccata dal marito che la spinse contro il muro.
«Mi spiace, hai fatto male i tuoi calcoli.» Un piccolo sorriso di soddisfazione gli apparve sul volto: Ludwig era fuori di sé, era arrivato al limite dalla sopportazione.
«Lasciami, bastardo», ringhiò lei, fiera, come se prima non stesse piangendo. Si sentiva aggredita e sopratutto lontano dal suo tesoro.
«Perché dovrei? Per lasciarti torturare tuo figlio? Scordatelo.» La teneva stretta contro al muro e aveva preso a fare pressione col suo corpo sul suo per evitare che questa potesse prenderlo a calci.
«Lasciami, mi fai schifo, lasciami.» Chissà cosa stava immaginando la mente di Regan, proprio non voleva saperlo a dirla tutta, ma in qualche modo gli si presentò ugualmente l'occasione d'intuirlo e cercò di forzare quella stessa paura per annichilirla. Di certo, dopo si sarebbe sentito uno schifo, ma almeno suo figlio sarebbe stato salvo per un giorno, fintanto che quel piccolo trauma istillato nel cervello della donna avrebbe retto.
«Sta tranquilla», sussurrò al suo orecchio, avvicinandosi a lei ancora un po'. « Non ho intenzione di toccare il tuo corpo, né di congiungermi a tale scempio.» Aveva ancora quel sorrisetto dipinto sul volto, mentre le stringeva i polsi e premeva il corpo contro il suo. «Te l'hanno mai detto?»
A quel punto, Regan alzò lo sguardo verso di lui, impaurita: non sapeva a cosa si stesse riferendo e a suo dire sembrava che fosse quasi impazzito – non lo aveva mai visto così.
Non disse nulla, ma era chiaro che il suo sguardo stesse emettendo una muta domanda per far sì che questo le desse delle spiegazioni.
«Te l'hanno mai detto?» Insistette ancora, volendo farla parlare.
«Cosa?» Sibilò spaventata, rivolgendo quegli occhi scuri verso di lui.
«Che fai schifo... mi fai schifo, sei un essere abbietto.» Non avrebbe mai pensato di rivolgere a lei quelle parole, ma le aveva sentite rivolte a lui per anni e quello era proprio il momento propizio per scaricare su di lei ogni sensazione orribile e ingiusta che la donna gli aveva fatto provare per tutto questo tempo.
Si mise a gridare, a gridare così forte che Ludwig restrinse gli occhi per il fastidio; ma poi li puntò nuovamente verso di lei, continuando a stringerla per le braccia.
«Ah, c'è un'altra cosa...» Non riusciva più a impietosirlo. «Ho iscritto Salazar alla stessa scuola di Silas, da domani andrà a scuola.»
«No, non puoi fare questo, non puoi mandarcelo!» Urlò quell'ultima frase, variando ancora le sue emozioni: paura, rabbia e dolore si alternavano come fili, s'intrecciavano e si scambiavano come se nulla fosse, come se il suo equilibrio non fosse già così precario.
«Certo che posso farlo, l'ho già fatto.» Spregiudicato, Ludwig aveva espresso quella sentenza e lei non voleva più sottostare alla forza di suo marito, così prese a dimenarsi di nuovo, cercando anche di spingerlo via; allorché lui le fece muovere il braccio e il dorso duro della spazzola la colpì in fronte, fermandola all'istante.
«Se non la pianti ti faccio internare, ti è chiaro?» La lasciò con uno strattone, dopo aver pronunciato quelle parole in tono incolore, carico solo di disprezzo e indifferenza.
Ancora una volta aveva colpito Regan nei suoi punti deboli, ma ormai era conscio del fatto che avrebbe potuto agire nei suoi confronti solo a quel modo. La vide placarsi, adagiandosi contro il muro e lasciandosi scivolare lungo questo fino a sedersi sul pavimento: sembrava una bambola rotta, con lo sguardo perso nel vuoto, dove neanche il rumore delle scarpe di Ludwig che se ne andava riusciva ad arrivarle alle orecchie.
Poco dopo bussarono alla porta e per certi versi, a Ludwig parve come di aver già vissuto quella scena.
Ancora iracondo per quanto successo con Regan, il colonnello andò con passo svelto ad aprire, piuttosto bruscamente a dirla tutta, tanto da far abbassare lo sguardo ad Aleph che sobbalzò appena nel vedere quella furia.
«Ah, sei tu...» Ludwig sembrò calmarsi un poco nel vederlo, constanando che si fosse completamente dimenticato che quello fosse il giorno in cui Aleph avrebbe dovuto fargli visita per sdebitarsi; fortunatamente era un uomo che si sapeva adattare abbastanza bene a ogni situazione – in tempo di guerra, poi, non si poteva fare altrimenti.
«Scusami, Ludwig, forse non sarei dovuto venire fin qui: ho sbagliato.» Nonostante fosse stato invitato, Aleph si sentì tremendamente fuori luogo nel vedere l'altro tanto adirato. Non abituato, tra l'altro, al lusso di certe case e allo stesso tempo non poteva immaginare cosa era appena successo; perciò l'atteggiamento di Ludwig lo aveva umiliato fino a metterlo in imbarazzo.
L'altro si accorse del cambiamento improvviso del rosso e quelle parole non gli piacquero per nulla, perciò si rese conto di essere stato persino troppo brusco.
«Scusami, Aleph, non fraintendermi... non volevo essere scortese, è che sono solo un po' nervoso», si giustificò – effettivamente poteva fare: giustificarsi e scusarsi per la sua maleducazione.
«Se vuoi posso tornare un altro giorno.» Aleph teneva il capo basso a causa della vergogna, arrossendo per la situazione; fu a quel punto che a Ludwig tornò in mente il sogno che aveva fatto e non poté frenare la mente da strane associazioni.
Scosse appena il capo per non pensarci.
«No, entra.» Si era reso conto di aver detto una frase simile a quella pronunciata nel mondo onirico, ma era la situazione a richiederlo e non poté fare a meno che pensare, ancora una volta, che sarebbe stato lui a volersi insinuare nelle carni dell'altro – ancora continuava a pensarci, assurdo! «Dannazione», bofonchiò sottovoce mentre faceva entrare in casa Aleph che, dal canto suo, si voltò nella sua direzione: benché l'altro avesse parlato a bassa voce, non gli fu impossibile poterlo sentire.
«Davvero, Ludwig, forse non è il caso...» disse a metà tra l'entrata di casa, e l'ingresso stesse; allora fu a quel punto che Ludwig lo prese per un braccio e lo accompagnò verso l'interno, facendo provare ad Aleph non poca ansia dal momento che non si aspettava affatto una mossa del genere.
«Ti chiedo nuovamente scusa, ma tutta questa indecisione, di questi tempi, mi agita ancora di più.»
Aleph non parlò, si limitò a fare un cenno affermativo con la testa mentre seguiva Ludwig che si era già incamminato verso il salotto.
«Hai davvero una bella casa, Ludwig», sorrise Aleph, deciso a voler cambiare quell'atmosfera tesa che sentiva provenire da Ludwig, volendo come salvarlo da qualche mostro interiore.
«Ti ringrazio», gli disse semplicemente, sorridendogli a sua volta. Aleph lo aveva praticamente sciolto, depurato da ogni cosa. «Prego, accomodati», gli disse Ludwig invitandolo a sedersi su di una poltroncina – la stessa del sogno – allora gli vennero in mente le immagini del sogno e fu lui ad imbarazzarsi in quel momento.
Distolse un attimo lo sguardo fin quando non si sedé definitivamente e poté tirare un sospiro di sollievo solo poco dopo, accomodandosi a sua volta e sentendo il suo corpo reagire di rimando a tali fantasticherie; così accavallò delicatamente le gambe per non far scorgere nulla di compromettente, domandandosi solo come si sarebbe alzato da quel momento in poi – quella sì che era una brutta situazione.
«Dimmi , Aleph... è chiaro a tutti e due che tu non studi ingegneria», fece, guardandolo tranquillamente mentre sperava che il suo corpo di desse pace.
«No, Ludwig, infatti», disse quasi stringendosi nelle spalle, sentendosi messo alle strette senza un motivo – quando un uomo come Ludwig gli faceva certe domande si sentiva sempre messo alle strette, purtroppo, perciò poteva dirsi che fosse più una sua condizione che una minaccia da parte dell'altro.
«Dunque, cosa hai studiato?» Gli chiese curioso.
«Lettere», sorrise ancora, sperando che anche l'altro potesse apprezzare quella sua immersione nel mondo della cultura e dei romanzi.
«Ti piace leggere, quindi», constatò Ludwig, stupidamente – ma ormai era chiaro che quel ragazzo gli piacesse e quindi avrebbe cominciato a fare anche domande sciocche come quelle, suo malgrado, pur di non restarsene in silenzio.
«Sì, mi piace, così come mi piace anche scrivere: ho studiato per fare lo scrittore.» Era entusiasta l'espressione con la quale Aleph aveva pronunciato quelle parole.
«Quale libri ti piacciono? Qual è il tuo o i tuoi scrittori preferiti?» Ecco che Ludwig cominciava con le sue domande inutili e sproloquianti, ma quel ragazzo lo aveva colpito sin da subito e percepire il suo entusiasmo nel parlare di certe cose lo spingeva sempre di più a incuriosirsi e a chiudere qualsiasi banalità.
«Mi piacciono gli scrittori russi. Anna Karenina, come romanzo, direi che è quello che preferisco.» Aleph azzardò con quella frase, troppo preso dal discorso per pensare alla situazione e a chi aveva davanti; così abbassò appena il capo, come se fosse impaurito improvvisamente o per scusarsi, magari, della sua stessa audacia.
«Ah, sì?» Gli domandò l'altro di rimando, approfittando del suo imbarazzo, come per spaventarlo ancora un poco – in fondo gli piaceva vederlo in difficoltà, anche se probabilmente aveva sviluppato questo interesse dopo il sogno: ora, ogni volta che lo vedeva vagamente arrossire, andava letteralmente in estasi.
«S... sì.» Era titubante nel rispondere affermativamente, tanto che si guardava la punta delle scarpe e si scrutava attorno come per cercare una via di fuga nel caso la situazione fosse degenerata.
«Bene, non so perché ma devo ammettere che lo sospettavo. Ad ogni modo piacciono anche a me, come i compositori russi, tra l'altro.»
Quando Aleph sentì le parole di Ludwig tirò un sospiro di sollievo e gli sorrise nel sentire quella piccola aggiunta in merito ai compositori.
«Suoni qualcosa?» La domanda gli venne spontanea, ora più raggiante che mai: la musica era un'altra delle sue passioni, in effetti.
«Il piano», rispose schietto Ludwig. Non era tipo che si vantava delle sue passioni, ma sapeva suonare il piano, essendo cresciuto in una nobile famiglia, e sapeva fare tante altre cose che gli avrebbero permesso di svolgere vari compiti distinti.
«Davvero? Che meraviglia!» Sembrava un crescendo di gioia, quel ragazzo dai capelli ramati e dal viso gentile che ora aveva gli occhi puntati contro di lui – quei cristallini occhi marini – verso i profondi pozzi neri di Ludwig. Lo guardava adorante, felice che potessero avere qualcosa in comune, anche perché tutto avrebbe potuto pensare Aleph, tranne che sarebbe arrivato a simpatizzare per uno dei suoi nemici: sapeva però che Ludwig era diverso, ormai lo aveva capito.
«Senti, Ludwig...» A quel punto c'era una cosa che gli premeva molto, quindi non poté fare a meno di attirare la sua attenzione per il suo bisogno impellente.
«Dimmi», rispose il moro, sempre con le gambe accavallate per nascondere il suo segreto.
«Dovrei andare al bagno.» Ludwig alzò un sopracciglio, convinto che forse la sorte lo stesse assistendo: se Aleph si fosse allontanato lui poteva agire in qualche modo – in qualunque modo.
«È in fondo a destra, appena svolti l'angolo. Scusami se non ti accompagno, ma devo andare un attimo in camera», gli spiegò la direzione fino alla camera anelata, mentre lui aveva già pensato a come sistemare la situazione.
«Non ti preoccupare, grazie.» Aleph gli fece un sorrisetto e poi, guardingo, s'incamminò verso il bagno che gli era stato indicato.
Non conosceva bene la casa e per tanto si guardava intorno, meravigliato per giunta, visto la grandezza e la bellezza di tale dimora.
Ludwig, invece, si era ritirato nella camera dove dormiva da solo e si era messo indosso il capotto di pelle della divisa, in modo tale che avesse un pesante strato di stoffa che potesse coprire ogni indecenza.
Una volta sistematosi, poi, uscì e rimase in piedi ad aspettare Aleph che, suo malgrado, ci aveva messo un po' a trovare la meta visto e considerato che era stato costretto a procedere piano per cercarla.
Arrivò poco dopo, ancora una volta con il sorriso sul volto – sorrideva sempre quando vedeva Ludwig e neanche lui si spiegava il motivo: gli veniva spontaneo. Si domandò tra sé e sé perché l'altro si fosse messo il capotto, ma non gli diede peso e pensò semplicemente che dopo il loro incontro dovesse uscire.
Quella divisa lo terrorizzava a morte, doveva ammetterlo, ma cercava di non darlo a vedere semplicemente perché sapeva che davanti a lui c'era Ludwig e non un altro dei suoi colleghi.
«Aleph, seguimi.» Era più un imperativo che una proposta, ma Aleph lo seguì silente, conscio che questo non gli avrebbe fatto nulla di male – forse troppo ingenuamente, chissà, ma non aveva voglia di pensarci, preferendo crogiolarsi nell'idea di poter stare tranquillo.
Fecero parecchia strada, percorsero un lungo corridoio sulle cui mura vi erano dipinti vari simboli che Aleph sembrò riconoscere; ma si disse tra sé e sé che fosse impossibile, che sicuramente si stava sbagliando. Fece finta di niente, dunque, accantonando la cosa con la certezza che magari avrebbe chiesto spiegazioni all'altro più avanti, quando avrebbero avuto un po' più di confidenza.
Venne condotto dal colonnello nella biblioteca di casa e Aleph quasi spalancò la bocca nel vedere la grandezza contenuta di quel posto meraviglioso: tutto era pregiato e i mobili erano rossi e intarsiati finemente, così come le due scale a chiocciola laterali che sembravano essere state ricamate nei rubini per quanto il rosso che le costituiva era brillante.
Ludwig sorride appena di rimando nell'osservare la reazione di Aleph che, scrutando il posto in cui si trovavano ora, poté notare un ragazzino seduto su una scrivania di legno, intento a disegnare qualcosa da un libro aperto davanti a lui; allora vide Ludwig avvicinarsi a questo e carezzargli la testa delicatamente.
Il ragazzino sembrava bearsi silenziosamente del tocco dell'altro, mentre continuava a disegnare concentrato, così Ludwig sorrise ancora – adesso lo aveva visto sorridere in modo diverso: era un sorriso dolce, il sorriso di un padre.
«Bellissimo, tesoro», gli disse Ludwig, rimirando l'Uomo di Latta del mago di Oz che Salazar stava completando.
«Ti sto disegnando, papà», fece il piccolo, indicando il disegno con la punta della matita mentre finiva gli ultimi ritocchi.
«Perché proprio l'uomo di latta?» Gli chiese a quel punto, incuriosito.
«Papà, l'Uomo di Latta dice di essere senza cuore, di sentirsi vuoto – un po' come dici tu, no? Ma io so che tu sei buono.» Non lo aveva guardato mentre pronunciava quelle parole, lasciando che queste gli uscissero spontaneamente nel continuare a tracciare le ombreggiature del corpo di latta.
Ludwig si morse appena il labbro, forse voleva trattenere qualche lacrima e Aleph sorrise dolcemente nel vedere quella scena, lasciando che tutti i dubbi possibili sulla bontà di Ludwig andassero in fumo: un uomo cattivo non trattava così i suoi figli e sopratutto i suoi figli non avrebbero parlato così di lui.
«E così lui è tuo figlio?» Gli chiese, facendosi avanti e sorridendo a entrambi, sebbene Salazar rivolgesse il suo sguardo solo al disegno.
«Sì.» La risposta di Ludwig fu semplice e schietta. «Lui è il mio secondo figlio.» Gli accarezzò di nuovo la testa nel pronunciare quelle parole.
«Come ti chiami?» Gli domandò Aleph, così, a quel punto, Salazar si sentì chiamato in causa e non percependo alcuna minaccia alzò lo sguardo verso il rosso. Nel vederlo rimase sorpreso, perché quel ragazzino aveva degli occhi davvero meravigliosi – e cosa non era meraviglioso in quella casa? – come non ne aveva mai visti, di un azzurro intenso e brillante che differiva parecchio dallo sguardo di suo padre; fu inconscio, dunque, riflettere sulle loro somiglianze e differenze, poiché queste gli saltarono subito all'occhio.
«Salazar.» Nel guardare Aleph, questo si tirò una ciocca di capelli dietro l'orecchio come a voler essere in un certo senso più ordinato di quanto non fosse già, accennando poi a un sorriso tirato; allorché Aleph capì subito che quel ragazzino non fosse abituato a simili espressioni e pertanto si sentì quasi onorato che l'altro si fosse sforzato tanto, lasciando che anche Ludwig si sorprendesse di tale reazione.
«Papà», lo chiamò ancora per attirare la sua attenzione.
«Sì?» Ludwig lo guardava e aspettava che l'altro parlasse, mentre stava fissando Aleph come se lo stesse scrutando per bene o stesse cercando di intuire la sua vera presenza.
«Lui è buono, invitalo più spesso.» Le parole di Salazar quasi gli fecero piangere il cuore, non sentiva mai suo figlio parlare così.
«Vuoi che lo inviti? Ti è simpatico?» Gli domandò Ludwig di rimando, incuriosito da quella reazione tanto spontanea.
«Sì papà, sembra dolce.» A volte parlava in modo strano e anche gli accostamenti che faceva tra cose e persone potevano risultare particolari, ma in questo caso voleva semplicemente dire che gli erano bastati il sorriso di Aleph e la sua presunta dolcezza per giudicarlo.
«Se Aleph vuole venire, va bene», gli rispose e poi guardò il rosso.
«Certo, se vi fa piacere e mi è possibile verrò a trovarvi... d'accordo Salazar?» Si rivolse direttamente a lui e Salazar non poté far altro che sorridere – veramente, questa volta – sentendosi in qualche modo preso in considerazione in maniera sana.
«Ora puoi scusarci un secondo? Devo dare una cosa ad Aleph.»
Salazar annuì con la testa, registrando il nome del rosso per poi rimettersi a disegnare contento, più rassicurato dalla lontananza di sua madre e vicino alle cure di suo padre e del suo amico.
Aleph era perplesso, non faceva che chiedere a se stesso cosa mai avrebbe dovuto dargli quell'uomo, e Ludwig, invece, allontanatosi per un attimo, si avvicinò alla libreria vicina e ricolma di libri per prenderne uno dallo scaffale e soffiarci sopra per spazzare via la polvere.
Se lo rigirò tra le mani un paio di volte, come per vedere se fosse danneggiato o meno, dopodiché tornò dal suo ospite Aleph e glielo porse.
«Tieni.»
Aleph era praticamente incantato da quel tomo, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e non lo fece fin quando non si decise a leggere cosa fosse.
«Jhon Keats, poesie...» Ora si che era sconvolto, adorava quel poeta e non riusciva a capire come Ludwig avesse fatto a indovinarlo; cominciò a domandarsi fino a che punto il moro sapesse osservare bene gli altri e per certi versi si sentì come in soggezione, adorante come non mai.
«Cosa significa questo?» Gli chiese Aleph in tono più composto, dopo esser riuscito finalmente a ritrovare la parola.
«È un regalo.» Ludwig sembrava non avere espressioni, anche se sorrideva appena con gli occhi in un'espressione visibile solo per un buon osservatore.
«Non posso accettarlo.» Aleph scosse la testa a quel punto, perché per certi versi gli sembrava come se si stesse approfittando dell'altro pur non essendo affatto così.
«Sì che puoi», insistette il moro.
«Ludwig, io ero venuto qui per sdebitarmi e tu mi fai un altro regalo?» Aleph sembrava sconvolto, ma lo era in modo positivo: come poteva essere così gentile con lui, quell'uomo? Quasi gli venne da pensare che avesse doppi fini, ma anche se li avesse avuti non gl'interessava poi molto – o così almeno si disse, non volendo giudicarlo solo per una gentilezza.
«Ti sei sdebitato. Sei venuto fino a qui, hai parlato con me e adesso è il mio turno di sdebitarmi.»
Effettivamente, Ludwig era l'uomo che ricambiava eternamente i favori, quindi, in questo caso, si sentiva come in dovere di compiere a sua volta un altro gesto – anche se, a dirla tutta, l'aver intuito i gusti di Aleph e la sua sensibilità lo aveva portato a compiere quel gesto senza malizia alcuna, anzi, per mera cortesia e per propria volontà.
«Ma così diventerà un circolo senza fine.» Il rosso scosse la testa.
«E cosa importa?» Ludwig scrollò le spalle, conscio del fatto che non solo non gl'importasse, ma anche che sarebbe diventata una scusa per vedere Aleph il più spesso possibile – lavoro e guerra permettendo.
«Ma...» Non sapeva cosa rispondere, anche perché lo vedeva così convinto da sentirsi disarmato a ogni frase che l'altro pronunciava.
«Ad ogni modo... conosci l'inglese?» Domandò Ludwig, volendo tagliar corto quel discorso.
«Non molto», ammise, guardandolo con un certo imbarazzo per essere stato colto in flagrante sul fatto che fosse relativamente oscura la lingua originaria del poeta tanto adorato.
«Bene, allora... visto che a me e a Salazar fa piacere la tua compagnia, perché non torni a trovarci e porti con te il libro? Così potremmo tradurre una poesia alla volta.» Aveva espresso la sua sentenza e a quel punto sorrise.
«Davvero?» Lui che amava Keats, adesso aveva la possibilità di poterlo leggere nella lingua originale grazie a quell'uomo gentile. Sorrise apertamente, contento, e di rimando Ludwig azzardò una carezza leggiadra sul volto radioso di Aleph che, in tutta risposta, avvampò subito fino a fare impazzire l'altro.
«Papà!»
Vennero interrotti dalla voce di Silas che entrò in biblioteca concitato e rosso in volto: aveva corso.
«Che succede?» Domandò Ludwig, facendosi da parte e raggiungendo il suo primo figlio.
Aleph non dovette ragionarci molto su, dopo tutto, comprendendo che si trattasse dell'altro figlio che il colonnello aveva sottinteso quando gli era stato presentato Salazar.
«C'è un soldato semplice fuori la porta, un tuo subordinato, deduco», gli disse Silas mentre riprendeva fiato.
«E perché hai corso? Ti ha fatto qualcosa?» Chiese preoccupato, facendo preoccupare di conseguenza anche Aleph per la sua condizione.
«No, no... è che mi ha detto che doveva consegnarti una cosa, allora io l'ho fatto aspettare e mi sono precipitato fino a qui per riferirtelo.»
Ludwig tirò un sospiro di sollievo, ma aveva pur sempre in casa Aleph ed era meglio che nessuno lo vedesse.
«Silas tu rimani vicino a tuo fratello e tu Aleph nasconditi dietro quel settore di libri», fece, dando le direttive e indicando poi una parte rientrante della biblioteca.
Entrambi gl'interpellati annuirono e fecero come Ludwig gli aveva ordinato.
Dato che la biblioteca si trovava in un piano interrato, il colonnello ci aveva impiegato giusto un paio di minuti per risalire fino a su e aprire la porta al soldato del mistero che lo attendeva serio come gli era stato suggerito da Silas.
Non appena l'aprì, l'uomo lo salutò alla maniera nazista e sebbene Ludwig avrebbe volentieri fatto a meno di quel supplizio, come sempre non poté tirarsi indietro da quella manifestazione di fedeltà e fu costretto a farlo a sua volta.
«Standarteführer, scusatemi per il disturbo ma sono stato incaricato di portarvi questo.» L'uomo gli aveva consegnato una busta rettangolare sulla quale c'era scritto: Alla famiglia Dubois.
Erano stati invitati a un ricevimento e quando vide chi era il mandante si trattenne a stento dallo storcere il naso.
«Danke», lo ringraziò, pensando però che i soldati non servissero a recapitare inviti; allora lo lasciò andare, chiudendo la porta per poi poggiarsi con la schiena contro di questa. «Che si fottano...» disse all'etere, sperando che in qualche modo arrivasse l'offesa ai mittenti dell'invito.
I gentili componenti della famiglia Dubois sono invitati a celebrare il compleanno di nostro figlio.
Per la festa abbiamo scelto come tema "la maschera".
Siete pregati di recarvi qui con almeno un indumento che si possa ricollegare al concetto o che lo lasci intendere; inoltre, almeno un componente dovrà portare un ventaglio, a voi la scelta.
La festa si terrà fra una settimana esatta alle 21 di sabato sera.
Cordiali Saluti, famiglia Wolf.
Ludwig si diresse nuovamente verso la biblioteca per dire ai tre che potevano stare tranquilli e che non era accaduto nulla di grave nonostante le premesse di Silas.
«Aleph, puoi uscire.»
Aleph si fidava di Ludwig e mai avrebbe pensato che quella potesse essere una trappola, così uscì tranquillamente dal suo nascondiglio e solo allora, pacatamente, poté notare anche la differenza che contraddistingueva il suo primo figlio dal secondo e di rimando da Ludwig stesso.
«Allora, papà, che voleva?» Domandò il maggiore baciando la fronte del fratello per poi dirigendosi verso il padre.
«Semplicemente darmi questo.» Ludwig porse l'invito a suo figlio che subito parve intento a leggere – e dalla sua espressione tutto sembrava fuorché contento.
«Scheiße!» Imprecò nel vedere che fossero i mandanti.
«Potresti essere meno colorito nell'esprimere il tuo disappunto?» Lo rimproverò subito Ludwig, ironicamente. Ogni volta che Silas usava un linguaggio poco appropriato, questo era pronto a riprenderlo, e non aveva mancato di farlo anche in quel momento, sopratutto perché adesso che c'era anche Aleph ad osservarli.
«Ma papà, andiamo... che cosa facciamo a quella festa? Detestiamo quella gente», si lamentò Silas, non considerando la situazione nel totale.
«Se non ci andassimo daremmo nell'occhio comunque, no? Dobbiamo andarci per forza, così almeno mostriamo che non abbiamo paura di loro, perché stanno facendo di tutto per incastrarci.»
«Lo so bene», annuì Silas per nulla contento di quella prospettiva.
«Quindi vedi di non fare sciocchezze, tu.» Sembrava minaccioso, ma non lo era: voleva solo evitare che Silas, per la sua mancata attenzione, li facesse uccidere tutti.
«Aleph, ci vediamo tra tre giorni, d'accordo?» Gli domandò, cambiando discorso per non lasciare troppo tempo in disparte l'altro ragazzo.
Aleph annuì contento, mentre in braccio stringeva il libro.
«Mi raccomando, porta sempre con te il foglio che ti ho dato.» Si riferiva al pezzo di carta dove aveva scritto indirizzo e la sua firma, così da proteggerlo qualora fosse stato fermato. «Bene, allora a fra tre giorni», gli disse Ludwig sorridendogli.
Silas trovava strano suo padre, i suoi comportamenti e le sue premure erano più evidenti del solito, perciò si poteva certo dire che avesse già mangiato la foglia in qualche modo per via della sua scaltrezza; eppure non volle dire niente, sapendo che Ludwig avrebbe potuto reagire male se messo davanti alla realtà in modo tanto sfacciato.
Tornò quindi a dedicarsi a suo fratello che, nel frattempo aveva quasi finito il suo disegno, mentre Aleph si incamminò, accompagnato da Ludwig verso l'uscita della casa.
Si voltò poco prima di uscire per dire un'ultima cosa all'altro:
«Fra tre giorni, alla stessa ora?» Chiese. Era come se volesse trovare un qualche pretesto per parlare ancora qualche istante con lui.
«Sì, esatto.» Ludwig gli sorrise di nuovo – un sorriso appena abbozzato – nel notare che Aleph stringeva come fosse un tesoro il libro che gli aveva regalato.
«A presto, allora», lo salutò Aleph, uscendo da quella meravigliosa quanto maledetta casa, mentre Ludwig chiudeva la porta.
Lo avrebbe rivisto fra tre giorni e lo avrebbe aspettato con tanta impazienza, sperando di non doverselo sognare tutte le notti.
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