Capitolo 39


Tu ed io siamo una cosa sola.
Non posso farti del male senza ferirmi.
(M. Gandhi)

Friederich era al settimo cielo. La visita di Franz lo aveva rinvigorito nel corpo e nello spirito.

Per gli altri sarebbe stata una comunissima giornata di scuola a Berlino sotto la guerra, ma per quanto riguardava lui, era felice. Franz sarebbe ripartito presto, lo sapeva bene, ma voleva credere che quel tempo trascorso insieme sarebbe stato infinito e che quel maledetto conflitto non glielo avrebbe riportato via.

Si sentì strattonare per il braccio e già era pronto a far pagare tale confidenza, ma si placò quando riconobbe Bruno. «Cosa vuoi?» domandò in attesa di una spiegazione che non tardò ad arrivare.

«Anche tu sei diventato amico di quello lì?»

Era ovvio, per Friderich, che solo a Silas poteva rivolgersi con tale astio. Quello che gli sfuggiva, però, era perché Bruno ci tenesse al fatto che fosse suo amico o meno. Loro due, alla fine, erano solo compagni di classe che avevano scambiato due chiacchiere di tanto in tanto. «Intendi Silas?»

«Sì, proprio lui.» Bruno si avvicinò a Friderich pronto per carpire tutti i segreti che solo Friderich gli avrebbe saputo rivelare.

«Non siamo amici, siamo compagni di scuola, proprio come me e te, Bruno. Ma, ad ogni modo, non vedo perché non dovrei esserlo.»

«Mi chiedi perché? Sei forse impazzito o sei diventato cieco? Ti sembra un essere normale? Ti sembra come noi?»

«Hai ragione, infatti. Sembra molto più simile a me: ariano, con biondi capelli e occhi azzurri, piuttosto che a te, Bruno.»

«Friderich, tu pensi che io sia sciocco fino a questo punto? Tu non vuoi proprio capire, vero? Anzi, fai finta di non capire» ringhiò Bruno.

«Io non so perché tu mi stia dicendo queste cose, perché fai tutte queste domande, ma se hai dei dubbi, puoi rivolgerti a chi di dovere.»

«La farei se solo ne avessi le prove.» Bruno strinse i pugni per la rabbia.

«Allora non so cosa tu voglia da me.»

«Speravo tu potessi dirmi qualcosa...»

«Non vedo cosa dovrei dirti. E se anche sapessi qualcosa non mi metterei a fare del pettegolezzo con te, andrei direttamente alla questura.»

«Friderich lo so perfettamente che dove c'è un pettegolezzo ci sei tu, la maggior parte delle cose che so su questa scuola le devo a te.»

«Ma non per le cose che vai insinuando. In quel caso andrei subito da chi di dovere, come già detto.»

«Secondo me non sai quello che stai facendo.»

«Cioè? Ce cosa starei facendo?»

«Stai proteggendo un comunista, un oppositore al partito, renditene conto!»

«Allora perché non vai a denunciare lui per questo, anche se non hai le prove, e me che lo sto nascondendo?»

«Proprio non ti capisco lo sai? Da quand'è che spalleggi quell'individuo?» Bruno scosse la testa, avrebbe voluto riempire di botte Friderich solo per farlo confessare.

«Da come ne parli sembra che io stia nascondendo un ebreo. Invece, si da il caso che lui sia il figlio di un gerarca Nazista, proprio come mio padre, e che sia ariano quanto me. Penso che sia abbastanza per pensare che le tue siano solo congetture, Bruno.»

«Tu sei un povero pazzo, Friderich.» Gli puntò il dito contro il petto e sul volto di Friderich si dipinse un'espressione di disgusto.

«A me l'unico pazzo sembri proprio tu, e prima che io faccia chiamare mio padre... Ti conviene entrare a scuola.»

Irritato, Bruno, spinse appena Friderich prima di entrare dentro l'edificio. Quella conversazione non lo aveva minimamente deciso a desistere nel suo intento, ma al contrario, adesso voleva andare a fondo di quella storia, voleva distruggere Silas Dubois con tutto se stesso.

Quanto a Friderich, lui doveva tutto a Silas e gli aveva mostrato più lealtà lui che chiunque altro nel corso della sua vita. Quindi, comunista o meno, avrebbe protetto qualsiasi segreto di Silas, come lui stava facendo con i suoi.

Ero così felice... Bruno mi ha proprio guastato l'umore. Pensò Friderich prima di entrare anche lui, sperando che non lo tormentasse ancora.

In tarda serata, la pioggia sembrava voler distruggere la città.

Ludwig soffriva sempre i cambiamenti climatici, specie con quelli repentini, quindi il mal di testa gli sembrava anche accettabile dopo tutto. Quello che lo rendeva inquieto, invece, era quella sensazione fastidiosa che provava di cattivo presagio. Aveva come l'impressione che qualcosa potesse accadere da un momento all'altro e ce l'aveva dalla mattina. Era preoccupato, e forse era proprio questa preoccupazione che lo agitava ancora di più, sapendo che Silas era a Monaco.

Sentì bussare alla porta, e i nervi, per quanto tesi, sembravano averlo scosso fino alle carni. Quando l'aprì, quello che vide non gli piacque per niente. Spalancò gli occhi, il tempo poi di organizzare le idee e lo fece entrare. Raramente, in vita sua, aveva provato quel tipo di timore. «Aleph, santo cielo cosa ti è successo?» gli domandò agitato.

Era zuppo d'acqua, con un rivolo di sangue che gli scendeva lungo la linea del mento e così anche sul sopracciglio. In braccio teneva un cagnolino tanto bagnato, quanto spaventato come lui. «Ho visto questo cagnolino che, infreddolito, stava sotto un portico e volevo prenderlo con me; poi è arrivato un ragazzo, ha cominciato a insultarmi, fino a che non è arrivato alle mani, mi ha perquisito ha trovato i documenti che mi ha fatto Elger e mi ha lasciato andare.»

«Maledizione, Aleph, era necessario salvare il cane?»

«Ludwig ha questa zampina ferita, come facevo a lasciarlo lì da solo...»

«Ma è un pastore tedesco, Aleph, sarà di qualche ufficiale non credi?»

«Non ha neanche il collare, e non credo che siano così sensibili da riconoscere il proprio cane, cucciolo per di più. Ludwig, ascoltami...» disse alzandosi, per raggiungerlo a pochi passi da lui, poggiandogli una mano sulla spalla per confortarlo un po'. «Capisco che tu sia spaventato, leggo il terrore nei tuoi occhi, ma so che lo avresti fatto anche tu. So che avresti salvato questo cane. In fondo stai proteggendo un ragazzo ebreo e sua madre, perché non avresti dovuto salvare un cane?»

«Ce la fai a resistere?» gli domandò riferendosi alle sue ferite, pensando di dover medicare la zampa al cagnolino.

Aleph annuì, guardando Ludwig sparire dalla stanza. Lo vide tornare con una cassetta di metallo in mano: forse lì dentro teneva qualche disinfettante per la ferita.

«Gli disinfettò la ferita con un po' di tintura di iodio, poi gli fasciò la zampetta. Deve stare fermo però, credo che lo affiderò a Nail, si troverà a suo agio. »

Aleph rise conscio dell'associazione che Ludwig aveva fatto riguardo il suo amico.

«lasciarlo a te sarebbe troppo sospetto.»

«Ma no, Ludwig, è tuo. L'ho preso per regalarlo a te.»

Ludwig lo guardò qualche istante, frastornato da tale dolcezza: non c'era più abituato, e, rapito da quel sorriso che solo sul volto di Aleph sembrava comparire. «Non dovevi...»

«E perché no? Tu sei così caro con me... Ma ora devi dargli un nome!»

«Glielo darò dopo averlo medicato.»

Il cagnolino se ne stava buono sulle gambe di Aleph, sofferente per la sua ferita. Altrettanto sereno fu quando Ludwig lo prese tra le mani, ignaro che presto lo avrebbe medicato.

Ludwig lo guardò, sorrise. Gli piacevano molto gli animali. Si voltò per poggiarlo su di un mobile abbastanza alto per essere comodo nel medicarlo. Il cagnolino cominciava a capire. Ludwig lo accarezzava sulla testolina per rassicurarlo, consapevole del fatto che, la tintura di iodio avrebbe potuto dare qualche fastidio.

«Fai il bravo, ci metto un attimo» lo confortò ancora.

Con delle pinze afferrò un batuffolo di ovatta pulita. Lo intinse un po' sulla tintura di iodio e, delicatamente, la passò sulla ferita riportata sulla zampa. Il cagnolino mosse un poco la testa, la tintura doveva bruciargli, ma non aveva paura, perché Ludwig si stava prendendo cura di lui.

«Bravo, ho fatto, adesso ti fascio la zampetta, va bene?» Ludwig prese un rotolo di garza e cominciò a srotolarlo. Delicatamente prese a fasciare la ferita.

Aleph era rapito dalla dolcezza che Ludwig nascondeva nel suo animo. Gli sembrava esperto nelle fasciature, forse durante la Prima Grande Guerra aveva dovuto aiutare molti dei suoi compagni d'armi o provvedere a se stesso. Non avrebbe chiesto, non avrebbe indagato, perché sapeva quanto dolore poteva riaffiorare dalla mente di Ludwig.

«Ecco fatto!» disse Ludwig fissando l'ultimo punto della fasciatura. Fortunatamente non era molto profonda.

«Ludwig, adesso ha bisogno di un nome, hai promesso.»

«Non ho dubbi a riguardo, lo chiamerò: Stolz» Chiamarlo "Fiero" gli sembrava l'unico nome possibile e adatto visto che non aveva fatto un fiato mentre lo medicava.

Stolz abbaiò, un paio di volte.

«Credo che il nome gli piaccia» commentò Ludwig.

«Ora però devo pensare a te, Aleph.»

Ludwig si avvicinò ad Aleph e gli alzò delicatamente il viso, lo guardò e gli sorrise. Ludwig era sempre molto dolce con lui quando erano soli.

«Sai, forse sei fortunato. Non devo cucirli e probabilmente non ti rimarrà neanche il segno.»

«Menomale...» sospirò Aeph e poi disse: «Non voglio sembrare mostruoso ai tuoi occhi.»

«Ma non potresti mai, liebe.»

Aleph sorrise ancora, quasi non si sciolse per le attenzioni di Ludwig. Ma l'incanto si interruppe quando sentì l'ovatta, con la tintura di iodio sopra, che piombò prima sul sopracciglio e poi sul labbro.

Aleph strinse forte gli occhi, dolorante. Era coraggioso, ma bruciava, bruciava come l'inferno a suo dire.

Dopo averlo medicato, gli applicò un cerotto prima sul sopracciglio e poi sul labbro. «Sta attento che non si stacchino, per favore, domani poi ti rimedicherò la ferita.»

«Va bene.»

Ludwig si chinò verso di lui per baciarlo nell'angolo della bocca sano e salvo.

«Forse è meglio che stanotte dormi qui, io a breve uscirò per il mio turno, puoi stare sul mio letto.»

«Grazie, Ludwig, sei molto caro con me.»

«Oh, non devi ringraziarmi, Aleph. È il minimo che io possa fare.»

Lo baciò di nuovo, prima di uscire definitivamente per il turno.

Aleph raggiunse il cagnolino e lo prese in braccio stando attento alla sua zampa. «Aspettiamo Nail e poi facciamo come dice Ludwig: starai un po' con me e un po' con Nail.»

Stolz abbaiò come ringraziamento e felice di essere accolto con tanto amore.

Lothar, era furioso. Lo stava aspettando lungo la strada di casa, era arrabbiato, nauseato a causa dello Strudel che Helen non faceva che propinargli. Un giorno era arrivato perfino a rimettere tanta era stata la nausea che gli aveva procurato, perché lei non faceva che prepararlo e prepararlo più volte anche nel corso dello stesso giorno, come se non fosse in grado di fare altro, come se dovesse eccellere in quello. E tutto era iniziato da quando aveva avuto quella maledetta ricetta.

«Tu!» tuonò Lothar in direzione di Silas non appena lo vide arrivare. Gli era andato incontro come una furia, neanche dovesse attaccarlo.

«Io?»

«Smettila di fare il finto tonto, non ne posso più di quello stramaledetto Strudel!»

«Mi dispiace, ma non so cosa questo può significare la mia implicazione, Lothar. Dovresti prendertela con Helen. Lei vuole diventare una moglie perfetta per te, potresti mai biasimarla?»

«Tu e tuo zio siete stati gli artefici di questa maledizione. Di tutte le ricette che possederà, di quelle che la tua famiglia avrà accumulato nei secoli proprio quella dello Strudel?»

Silas era esausto, Lothar non faceva altro che sgridarlo, inoltre era appena tornato da Monaco e l'ultima cosa che voleva sentire era una ramanzina. Quindi fu lui che, in maniera del tutto imprevedibile, spinse Lothar contro il muretto vicino casa.

«Sono stanco, stufo marcio delle tue pretese! Dici che vuoi allontanarti da me, che vuoi dimenticarmi, che sei fidanzato, ormai, eppure sei sempre qui, sempre pronto a sgridarmi, a lamentarti di qualcosa, basta! Non ne posso più.»

«Non ci posso fare niente!» gridò di rimando Lothar per poi continuare: «Non avevo programmato di innamorarmi di un ragazzo, mi sono sempre immaginato accanto a una ragazza...»

«E quindi? Ti hanno accontentato hai visto? Hanno scelto per te la fanciulla della tua vita, Lothar. Bene, continua affinché gli altri siano a decidere per te, a pensare per te. Tu sei in grado di mettere su una famiglia con una persona che hanno scelto per te? Cosa racconterai: L'hanno scelta per me, non l'ho scelta io?»

Lothar cercò di liberarsi, voleva mettere a tacere quel delirio, così lo afferrò per la camicia, tirandolo a sé per baciarlo.

Silas gli morse il labbro, stufo di essere trattato a quel modo, poi, come se non bastasse, raccogliendo tutta la rabbia e la frustrazione che aveva in corpo, gli sferrò un pugno, facendolo allontanare da sé e disse: «Forse non ci senti bene!»

Lothar rimase lì, impassibile, immobile, annichilito a causa di quel gesto tanto disperato di Silas.

Sono un'idiota. Si disse, reagiva sempre così istintivamente. Ma l'idea di sentirlo così distante, così freddo, così arrabbiato, lo faceva star male.

Rimase a guardarlo, mentre si allontanava, mentre Silas tratteneva le lacrime dal nervoso e dalla rabbia. Aveva sferrato quel pugno per lui quanto per Lothar, timoroso che qualcuno avesse potuto vederli.

Lothar continuava a pensare sul da farsi, era andato lì anche per un altro motivo, invece solo dopo il pugno che lo aveva destato dalla sua rabbia, si ricordò che Silas era appena tornato da Monaco.

Maledetto stupido ancora una volta! Sei un dannato maledetto stupido Lothar. Era appena tornato da Monaco, avresti dovuto chiedergli come stesse, se tutto era andato bene, invece tu gli propini sempre i tuoi problemi e Helen. Stupido, sono proprio un maledetto idiota, avrei dovuto stringerlo, invece...

Silas rientrò in casa come una furia, sbattendo la porta. Se ne accorsero tutti, perfino Stolz che mosse le orecchie addrizzandole quando sentì quel tonfo.

«Qualcuno è arrabbiato...» disse Nail.

«Oh, non osi immaginare quanto.»

«Fammi indovinare, vediamo se il mio intuito non si smentisce mai... Lothar!»

«Precisamente.»

«Cosa ha fatto questa volta?»

«Ti ricordi la ricetta che zio Natthasol ha dato a Helen?»

«Sì, come dimenticarlo...» disse Nail, pensando a Natthasol che compieva la sua più sordida vendetta.

«Mi ha aspettato all'inizio del vialetto, sbraitandomi contro che è stufo del fatto che Helen gli propini sempre lo Strudel, lo sta facendo odiare anche a me! Io sono stanco, stanco di tutto questo. Vuole Helen? Che si prenda Helen, ma che mi lasci in pace! Deve essere conscio delle sue decisioni, non posso pensare di farmi una vita, con l'idea che lui si lamenta o è geloso o arrabbiato.»

«Effettivamente non fa una piega... Ma dimmi, come è andata a Monaco?»

«Bene, io e Hans ce la siamo cavata bene, anche se per un momento ce la siamo vista brutta. C'erano due pattuglie e in uno dei tanti vicoli non c'era una via d'uscita. Fortunatamente hanno cambiato direzione.»

«Menomale, tuo padre stava morendo d'ansia, ma non dirgli che te l'ho detto.» Nail gli fece l'occhiolino per suggellare quella confidenza.

Silas venne distolto da un flebile rumore di un animale, ma lui a parte Bushel al maneggio non aveva altri animali.

Così avanzò verso il salotto, vedendo Aleph che teneva tra le braccia un cagnolino. Molto carino a suo dire.

«Aleph che ti è successo? E lui chi è?»

«Lui è Stolz! Si chiama così perché quando tuo padre lo ha medicato non ha fatto un fiato! Un cagnolino davvero coraggioso.» Aleph lo accarezzò sulla testa e lui abbaiò.

«E a te?»

«Io sono stato aggredito mentre salvavo questo povero cagnolino, ma niente di serio, appena ha visto i documenti falsi, mi ha lasciato andare.»

«Sei stato fortunato, ma devi stare attento...»

«Sì, anche tuo padre me lo ha detto.»

Silas si mise un po' ad accarezzare il cane, a coccolarlo. Stolz sembrava contento di quelle attenzioni tant'è che scodinzolava e lo riempiva di bacini.

«È ferito ad una zampa, proprio come zio Nail!» costatò.

«Sei uguale a tuo padre, maledizione, la stessa battuta e non è divertente!» disse avendolo sentito dato che lo aveva seguito fino al salotto.

«Suvvia, zio... sicuramente ti sentirai più compreso, adesso.»

«Senza ombra di dubbio, come no...» commento ironicamente.

«Dov'è la mia bimba?» Domandò Silas, riferendosi a Castaldia.

«Era nella culla, è nella culla.»

Silas si avvicinò alla culla, ma non la vide. La bimba non c'era.

«Non c'è, dov'è mia figlia?» domandò preoccupato. Il cuore aveva cominciato a battergli all'improvviso all'impazzata. Così pensò di raggiungere velocemente la camera dove si rifugiava Agnes, magari voleva tenerla un po', visto che sarebbe diventata madre, e allora sarebbe andato tutto bene.

Silas entrò come una furia nella camera, ma vide Agnes che stava leggendo un libro e di Castaldia neanche l'ombra.

«Dov'è Castaldia? Non è con te?»

«No, affatto, era con tuo zio, non è con tuo zio?»

«Ma zio Natthasol non c'è, sarà uscito per procurarsi qualcosa. Possibile che se non c'è mio padre, fate sparire una bambina?» Silas era agitato: aveva paura e nella sua testa cominciò a pensare che qualcuno potesse essere entrato e che gliela aveva portata via.

Chiuse la porta dietro di sé, senza dire più niente. Continuò a cercare per casa, fin quando non gli venne un'idea. Salazar!

Così raggiunse anche quella camera, bussando alla porta, aspettando che il fratello lo facesse entrare.

«Chi è?» domandò Salazar dalla camera.

«Sono Silas, tuo fratello.»

«Entra.»

Quando entrò vide che Castaldia stava bene anche se tra le braccia di Salazar, Silas sorrise e Salazar volle credere che quel sorriso fosse per lui e non per la bambina.

«Ho cercato la piccola ovunque, mi ero spaventato, ma sono contento che sia con te.» Silas, ormai, aveva capito come prendere suo fratello. A causa di Regan, Salazar aveva sempre avuto comportamenti anomali, ma da quando lo aveva aggredito la prima volta, aveva cominciato a pensare a un modo d'approccio totalmente diverso, qualcosa che faceva sentire Salazar incluso e non escluso.

«E sei contento che sia con me?»

«Certo, perché non dovrei esserlo? Sono sicuro che tu l'avresti protetta da chiunque. Infondo sei suo zio, no?»

«Sì è vero.» Nel sentire quelle parole, Salazar lasciò che Silas prendesse in braccio la bambina, che le desse bacini e che la salutasse. Poi, sentì le labbra di Silas poggiarsi contro la sua guancia e dire:

«Grazie per esserti preso cura di lei.»

Fu in quel momento che Salazar decise che, da lì in avanti, né lui, né nessun altro avrebbe fatto male a Castaldia.

Lothar lo aveva aspettato per ore fuori da casa. Aveva appuntamento con le altre per i volantini proprio nei pressi di casa sua, perché sperava che Silas andasse con loro.

Silas uscì per dirigersi al Dorian Gray, del tutto ignaro che Lothar fosse lì fuori, sapeva che quello sarebbe stato il suo turno e che sarebbe andato con Becky e con Stella.

«Silas...» lo chiamò.

Silas si arrestò di colpo, alzando gli occhi al cielo e sbuffando nel sentirsi chiamare, non immaginando minimamente per cosa lo avrebbe sgridato questa volta. Fece qualche passo indietro per raggiungerlo.

«Si può sapere cosa vuoi? Mi hai detto tutto prima o sbaglio.»

«Hai un gancio destro niente male.» Fu la prima cosa che gli venne in mente.

«Era questo che volevi dirmi? Il motivo per il quale mi hai aspettato qui fuori?»

«Sì... Cioè no.»

«Sto per perdere la pazienza. Per favore, dimmi quello che mi vuoi dire.»

«Volevo chiederti scusa. Sapevo che eri appena tornato da Monaco e non ti ho chiesto neanche come stessi o come fosse andata.»

«Accetto le scuse, non ti preoccupare. Ora, però, devo andare.» Stava per incamminarsi quando si sentì afferrare per il polso.

«So che sei stanco e che sei appena tornato da Monaco, ma mi chiedevo se potessi venire con me e con le altre.»

«Devo controllarti perché Helen potrebbe essere gelosa di Stella o Bechy?»

Lothar lo guardò e disse: «Ormai sai che non dovrebbe essere gelosa di loro.»

«Pensa che scandalo!» rise.

«Avanti, vieni o no?»

«Ma sì, certo che vi accompagno, per me sai benissimo che è una missione, non importa quanto sia stanco.»

«Sei sicuro di farcela?» Gli accarezzò appena il braccio preoccupato. Silas si allontanò da lui.

«Ma certo che sono sicuro, non temere. Le altre, piuttosto?»

«Dovrebbero aspettarci appena qui fuori, al viale.»

Incamminandosi verso il luogo designato, a Silas venne in mente che non aveva la più pallida idea di dove Lothar avesse deciso di lasciare gli articoli da lui scritti.

«Dove vuoi lasciarli?»

«Alla bacheca dell'università!»

«Sei forse impazzito? E poi sarei io lo scavezzacollo? Quello ignaro, irragionevole?»

«Tu volevi fare un attentato...»

«Te lo ha detto Agnes?»

«Ovvio e chi sennò?»

Silas fece spallucce e poi disse: «Era soltanto un'idea, l'ho abbandonata praticamente subito, ma tu... tu stai per gridare al Reich di arrestarti, te ne rendi conto?»

«Mi rendo conto del fatto che questa è l'ora dove la maggior parte degli studenti escono dall'università. Quindi potremmo approfittare del trambusto e del fatto che potremmo essere scambiati per studenti che stanno appendendo dei loro annunci sulla bacheca.»

«Quindi il tuo piano è quello di entrare, estrarre gli articoli, appenderli e di uscire come se niente fosse?»

«Esattamente.»

«Ci uccideranno tutti.»

«Non essere così pessimista, non sei tu quello che punta sempre ai più alti e nobili ideali? All'idealismo.»

Silas non commentò, Lothar gli sembrava posseduto da chissà quale demone, da quand'è che era diventato così poco attento? Ad ogni modo, consapevole di non poter far niente, dato che non aveva un altro piano di riserva pronto, si limitò a tacere, estrasse il capello che aveva nella borsa e cominciò a nasconderci i capelli al suo interno. Lo faceva sempre quando doveva dirigersi al Dorian Gray.

Salutarono Stella e Becky non appena le videro e le ragazze rimasero stupite quando videro Silas.

«Ci sei anche tu, non ti aspettavamo» gli disse Stella salutandolo con un abbraccio.

«Lothar ha pensato bene di farmi un'imboscata sotto casa e, a giudicare del vostro piano, una persona in più direi che vi serve.»

«Ma non credo ci sia da preoccuparsi...» disse Becky sorridente «Credo che non sarà poi così difficile. Visto che io devo iscrivermi all'università, potrò chiedere indicazioni al riguardo, Stella può fare da guardia e tu, con Lothar, cercare di appendere questi articoli.»

«Una passeggiata, quasi non ci beccano in strada a me e Hans l'altra sera...»

Lothar sgranò gli occhi. «Cosa? E cosa è successo? Vi hanno fatto del male?»

«No fortunatamente hanno deciso di prendere un'altra direzione all'ultimo momento, ma noi eravamo in un vicolo cieco e sicuramente ci avrebbero trovato.»

Lothar cominciava a capire perché Silas, tutto a un tratto, non era più così sprezzante del pericolo.

«Non ti preoccupare, ce la caveremo, in fondo dobbiamo solo appendere un paio di articoli alla bacheca, ci vorrà un istante» Stella cercò di confortarlo.

«Speriamo che sia come dite voi, ragazze.»

Becky gli poggiò una mano sulla spalla, come a dirgli che sicuramente ce l'avrebbero fatta e che lei, come lui, sosteneva fortemente quella causa che ci credeva.

Il pomeriggio era inoltrato, la luce del sole non era mai favorevole a chi, come loro, voleva commettere qualcosa di illegale, Silas era agitato, era nervoso, ma cercava di non darlo a vedere, in fondo lui era il capo di quel gruppo, lui avrebbe dovuto sostenerli, anche se il viaggio a Monaco lo aveva provato.

Entrarono come se niente fosse all'interno della scuola, mentre gli studenti scendevano le scale, liberi dallo studio giornaliero, loro le salivano dividendosi come da copione.

Becky si fermò subito alla guardiola dell'università per chiedere quando e come avrebbe potuto prendere appuntamento per la sua iscrizione, o per i corsi.

Stella era rimasta fuori come d'accordo, mentre Lothar e Silas si erano divisi per i corridoi del primo piano. Chi a destra e chi a sinistra: si erano divisi per appendere un paio di articoli a bacheca.

Il cuore di Silas batteva fortissimo, come un cavallo imbizzarrito. Si portò una mano al petto tanto era il battito che quasi gli parve volergli uscire fuori dal petto. Chiuse gli occhi, un attimo solo, giusto il tempo per far un respiro profondo e buttare fuori tutta l'ansia e il nervosismo che aveva accumulato in quel momento. Doveva essere lucido e veloce perché altrimenti avrebbe potuto compiere uno sbaglio.

Lothar, invece, era piuttosto sicuro del suo piano. Il corridoio dove si trovava era quasi del tutto sgombro, e sembrava che nessuno volesse prestargli attenzione. Lo avrebbero letto dopo l'articolo, di questo ne era sicuro. Lì per lì, appena usciti dalle classi nessuno prestava attenzione, nessuno aveva voglia di concentrarsi ancora.

Il corridoio dove era Silas, era piuttosto popolato ancora, ma la stessa disattenzione era toccata a lui fortunatamente, gli si gelò il sangue quando uno studente gli si avvicinò per appendere anch'esso un annuncio, ma sembrava frettoloso pertanto si limitò ad appendere il suo foglio e ad andarsene. A Silas tremarono le gambe.

Aveva quasi fatto, solo pochi secondi. Cinque minuti per due articoli e gli sembrò di aver passato in quel corridoio tutta una vita. Affisse l'ultimo bordo, quando vide Lothar, correre come una furia, dall'altra parte del corridoio. Lo stavano inseguendo.

«Corri!» gli gridò da lontano.

Silas strabuzzò gli occhi, cercò di raccattare quello che aveva dietro con molta goffaggine, segno che la paura aveva preso il sopravvento.

Lothar lo raggiunse presto, l'atletica e gli allenamenti che gli aveva fatto fare suo padre, erano serviti a qualcosa, correva veloce come una lepre. Lo afferrò per la mano e lo trascinò via con sé, mentre il soldato, probabilmente un poliziotto della Gestapo, continuava a inseguirli del tutto volenteroso a raggiungerli.

Silas corse e corse più veloce che poteva, mentre teneva Lothar per mano, si sentì strattonare per la giacca dal soldato. Questi tirava e Silas, invece, correva in avanti. La giacca scivolò di mano dal soldato. La mente di Silas era in puro delirio, troppo sopraffatto dalla paura, mentre Lothar era concentrato a correre e dal portarlo in salvo.

«Fermatevi! Dove credete di andare!» gli gridava il poliziotto a pochi passi da Silas.

Non si sentiva più le gambe. Era allenato, ma lui tirava di scherma, ignorando tutte le ore di atletica di scuola. Si inventava sempre una scusa.

Quasi sembrò inciampare all'improvviso e si sentì afferrare per l'orlo del pantalone quando a momenti cadde, ma Lothar lo tirò su e ricominciarono a correre. Dovevano trovare il modo per uscire da lì, l'uscita era da tutta altra parte, dovevano nascondersi, seminare il soldato e poi andarsene.

«Dove stiamo andando!» Dal suo tono di voce si poteva percepire perfettamente tutta la sua preoccupazione.

«Sta' zitto e corri, ti porterò fuori da qui, fosse l'ultima cosa che faccio.»

Silas annuì in silenzio continuando a correre insieme a Lothar. Passando si fermarono un istante, Lothar cercò di capire quale direzione prendere. Svoltarono verso l'ala destra, approfittando del fatto che il soldato venne distratto per qualche momento.

Si chiusero dentro una classe vuota, Lothar tirò avanti la cattedra ponendola davanti la porta della classe, si barricarono dentro.

Si precipitò subito dopo da Silas che, fermo, cercava di fare dei respiri profondi, per riprendere fiato, per ritrovare la lucidità.

Lothar gli prese il viso tra le mani, tirandolo su, cercando di guardarlo negli occhi. Lo vide spaventato a morte, ancora senza respiro, alla ricerca di una via di fuga.

«Ehi, stai bene? Ti tiro fuori di qui hai capito?»

«Te l'avevo detto che era una missione suicida, te lo avevo detto. Che cosa volevi dimostrare? Siamo chiusi qui dentro, intrappolati, segregati in un'aula sperando che quell'individuo non ci trovi.»

«Se ne andrà prima o poi, se non ci trova se ne andrà.»

Improvvisamente Silas venne scosso da un pensiero. «Stella e Bechy, dove sono?»

«Sta tranquillo è stata Stella ad avvisarmi che stava arrivando qualcuno, solo che quel bastardo è stato più veloce del previsto. Quanto a Becky ha raggiunto Stella non appena lei ha dato l'allarme. Loro sono al sicuro, probabilmente troveranno un modo per aiutarci.

Trasalirono, quando sentirono bussare alla porta in maniera poderosa. «Aprite la porta prima che io la butti giù!»

«Sparerà alla serratura» sussurrò Silas.

«Che lo faccia, comunque non potrà entrare, dovrà sfondarla e spostare la cattedra.»

«Provaci a buttarla giù se ne hai il coraggio!» lo istigò Lothar dall'interno dell'aula.

Silas, raccolse i pensieri. Calcolò di avere davvero poco tempo prima che il poliziotto della Gestapo entrasse.

Si affacciò alla finestra e vide che probabilmente avrebbero avuto una via di fuga.

«Lothar, vieni qui. Siamo al primo piano, credo sia possibile saltare!»

Lothar si avvicinò a lui e ne assecondò la pazzia. Lasciò che lui scendesse per primo, aveva detto che lo avrebbe fatto uscire da lì e se ne assicurò.

Lothar si voltò verso la porta, il poliziotto aveva già sparato alla serratura e la porta sembrava pronta a crollare sotto i suoi colpi.

Uscì dalla finestra, mentre Silas lo aspettava, e cominciò a correre. Il poliziotto gli era di nuovo alle calcagna, ma almeno erano fuori di lì.

Visto che non sembravano volersi fermare, che non sembravano voler cedere il passo, l'uomo della Gestapo cominciò a sparare. Il primo colpo andò a vuoto, ma l'altro prese Silas di striscio a una gamba.

«Maledizione!» ringhiò tra i denti Lothar. Si sentiva ancora una volta un dannato stupido. Se fosse successo qualcosa di grave a Silas non se lo sarebbe mai perdonato, perché sarebbe stata sua la colpa. «Ce la fai a correre?»

«Sì, mi ha preso di striscio. La ferita brucia e sanguino, ma dovrei farcela.»

«Benissimo... ce la facciamo ad arrivare fino a casa tua?»

«Sei impazzito? C'è mia figlia lì e Agnes, se questo ci segue che facciamo?»

Lothar correva e cercava di pensare altrettanto velocemente, poi gli venne un'idea, disse: «Andiamo a casa mia, lì al massimo beccano mio padre!»

«Sei sicuro?»

«Sì, signorino Silas» disse sardonicamente, cercando di fargli capire che senz'altro avrebbe creduto a loro.

«D'accordo, allora andiamo, non è molto lontano da qui no?»

Ancora una volta vennero distratti da un altro colpo di pistola, che ferì il braccio di Lothar.

«Basta, mi sono stufato!» Lothar era armato, portava sempre con sé la pistola che avevano rubato al fortino, si voltò per sparargli, lo mancò; a quel punto Silas rischiò il tutto e per tutto, cercò di ingannare il soldato e fidandosi di Lothar. Si divise, cominciò a correre e, andando da tutt'altra parte, fece da esca.

Il poliziotto lo mirò, ma fu a quel punto che Lothar poté prendere la mira, ma riuscì a colpirlo solo al braccio, perché anche il suo gli doleva.

«Scheiße!»

«Corri, corri, ci vediamo a casa!»

Silas lo prese in parola, cominciò a correre, sapendo che se la sarebbe cavata, lo sperò almeno. Anche perché lui era disarmato e gli sarebbe stato solo d'intralcio.

Corse, fino a che non gli sembrò di essere abbastanza lontano da loro, Si fermò un attimo, prese un fazzoletto che aveva con sé e lo legò intorno alla gamba, per non perdere altro sangue. Lo aveva preso solo di striscio, prima o poi avrebbe smesso di sanguinare, almeno lo sperava!

Era riuscito ad arrivare a casa di Lothar, bussò alla porta, sperando che lo facessero entrare.

«Signorino Dubois!» esclamò il padre di Lothar nel vederlo affannato e ferito. «Cosa è successo?»

In casa c'era anche Helen, che si alzò immediatamente andandogli incontro, dato che ormai lo conosceva.

«Stai bene? Dov'è Lothar?»

«Non lo so dov'è Lothar, ci hanno sparato addosso, non so se te ne rendi conto Helen!»

«Come vi hanno sparato addosso...» il padre di Lothar era sconvolto.

«Sì, ci hanno sparato addosso, io ho fatto da esca, Lothar mi ha detto di correre fino a qui e l'ho fatto.»

«Hai lasciato da solo Lothar? Perché lo hai lasciato da solo? Perché hai fatto il codardo?»

«Non ho fatto il codardo, cosa pensi che io stia vivendo serenamente questo momento? So che sta bene, lo so. Mi ha chiesto di fare così e io l'ho fatto. Ho cercato di agevolarlo e non di essere di peso, ma evidentemente tu sei troppo occupata a cucinare Strudel per sapere cosa significa a non essere d'intralcio!»

«Per favore, Silas, capisco che lei sia agitato e spaventato, ma non c'è bisogno di animare così i toni.»

«No, io non sono spaventato, io sono furioso perché mi hanno appena sparato contro, non so dove sia Lothar e mi hanno dato del codardo.»

«Non vi posso lasciare un attimo da soli che vi trovo a bisticciare?»

Silas riconobbe immediatamente la voce di Lothar e si voltò nella sua direzione. La sua ferita perdeva più sangue del previsto, gli corse in contro, prima che potesse farlo Helen.

Helen percepì perfettamente il legame che li legava, per quanto potessero essere amici e per quanto lei potesse essere la fidanzata di Lothar, si sentiva come fosse un pesce fuor d'acqua.

«Sei riuscito ad andartene vedo... » Gli sbottonò la camicia e gliela tolse piano per medicargli la ferita. Chiuse gli occhi quando senti le mani di Silas accarezzargli la pelle erroneamente.

«Certo, l'ho fatto fuori.»

«Lothar, mi vuoi dire cosa è successo?» tuonò suo padre.

«Niente dei ribelli ci hanno sparato contro, volevano derubarci. Io ero armato e mi sono difeso.»

Silas pensò che fosse davvero un'ottima idea addossare la colpa a quelli come loro dato che era più credibile una cosa del genere, piuttosto che inventare una scusa plausibile sul perché la Gestapo li stesse inseguendo.

«Deve essere stato terribile...»

«Signor Schröder, ha una cassetta di pronto soccorso?»

«Sì, ne ho una nel mobiletto del bagno, vado a prenderla!» Si prodigò subito, mentre Helen si rendeva conto che la vera incapace era lei.

«Chi ti ha insegnato tutte queste cose?» domandò Helen, per cercare di seppellire l'ascia di guerra.

«Mio padre, mi ha insegnato a fare tutto questo, in fondo lui è un militare, un soldato, medicare le ferite è il suo abc, deve saperle trattare in qualche modo.»

«L'altra volta non eri così sprezzante del pericolo con le ferite.» fece Lothar guardandolo.

«Non ti devo cucire fortunatamente...» ammise Silas in un sospiro.

Lothar rise.

«Ecco la cassetta...» il signor Tewes Schröder fece ritorno.

«Danke» rispose Silas aprendola e cominciando a trafficare con le pinze, l'ovatta e la tintura di iodio proprio come suo padre fece con Aleph e il cagnolino.

«Brucia?» gli domandò mentre strofinava il tampone con una strana soddisfazione in volto.

«Affatto...» mentì Lothar mentre stringeva i denti.

Silas rise, prese le fasce per avvolgergli la ferita e gliela fasciò ben stretta. Gli diede una pacca sulla spalla del braccio a posto.

Lothar stava per ringraziarlo, quando vide la gamba stretta alla buona con un fazzoletto, dimenticatosi per un attimo della sua ferita.

«Sono proprio un'idiota, vero? Siediti, per favore, che ti medico la ferita alla gamba.»

Silas gli sorrise e si sedette sul posto che Lothar gli aveva lasciato per sedersi.

«Posso strappare i pantaloni?» gli domandò.

«Sì, tanto ormai sono belli che andati grazie a quel ribelle!» sbuffò.

Lothar prese tra le mani i lembi delle stoffe e tirò. Scoprì la gamba di Silas fino alla coscia e si stupì di come le sue gambe potessero essere tanto simili quanto diverse dalle sue. La sua pelle era bianchissima e glabra. Certo, non si immaginava Silas con un uomo villoso, ma neanche totalmente privo di peluria. Questa cosa lo stupì particolarmente.

Lo medicò allo stesso modo e gli rivolse la stessa domanda. «Brucia?»

Sul volto di Silas si dipinse un'aria altezzosa e disse: «Per niente!»

Dove trovasse tutta quella forza e quell'orgoglio quel ragazzo, Lothar ancora non lo sapeva. L'unica cosa di cui gli importava in quel momento era che stava bene, che tutti stavano bene e che, ancora una volta, erano riusciti a farla franca.

Credo che se non lo seccano gli altri Nazisti a Ludwig lo seccherà l'infarto xD

Nel frattempo come foto principale all'inizio vi ho piazzato Aleph ùù

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